Analisi dei mercati del 28.01.2020

Il tema della settimana, alla base della “turbolenza” sui mercati, è il Coronavirus che, partito dalla città cinese di Wuhan (11 milioni di abitanti) si sta estendendo ad altri paesi compresi Europa e Stati Uniti.

Il parallelo con le pandemie precedenti (vedi Sars che nel 2002/2003 causò la morte di oltre 800 persone con un tasso di mortalità del 10%) è immediato, così come le stime di un eventuale impatto sulla crescita economica.

Questa volta le autorità cinesi hanno immediatamente informato il WHO (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), trasmettendo la mappa del DNA del virus (nel 2002 attesero circa 4 mesi) e il vaccino potrebbe essere pronto in tre mesi ma, ovviamente, non vi è alcuna certezza e, sebbene Pechino abbia praticamente “bloccato” dieci città e impedito gli spostamenti a più di 30 milioni di cinesi, la coincidenza con i festeggiamenti per il Capodanno cinese rende la gestione più complicata.

Le autorità locali hanno deciso di estendere la Lunar New Holidays fino al 2 febbraio (quindi, forse, il mercato riaprirà il 3 febbraio) e di tenere le scuole chiuse fino al 17 febbraio e le aziende fino al 9 febbraio.

La temporanea paralisi dell’economia cinese avrà un impatto sulla crescita del PIL, che alcuni economisti stimano in circa un punto percentuale nel primo trimestre. Lo stesso IMF ha individuato nel Corona Virus uno dei non pochi rischi di downside dell’economia per questo anno.

A proposito di IMF, dall’aggiornamento dell’outlook emerge che la crescita mondiale è stimata salire, nel 2020, al 3.3% dal 2.9% del 2019. I rischi di rallentamento legati alla guerra commerciale si sono significativamente ridotti ma non sono totalmente scomparsi. La stima di crescita dell’Italia per il 2020 è di 0.5%, da 0.2% del 2019, ma permane la raccomandazione di migliorare la produttività e fare scendere il debito.

Da Davos sono uscite indiscrezioni su possibili accordi tra USA e UE in merito agli scambi commerciali: Trump e Ursula Von der Leyen si sono dichiarati d’accordo sul fatto che i due paesi devono lavorare assieme per affrontare le sfide globali, le scorrette pratiche commerciali cinesi, le telecomunicazioni e il tema energetico.

Non sono mancati i soliti attacchi, oltre che da parte di Trump, questa volta anche da parte di Kudlow (consigliere economico di Trump), alla politica della Fed che, dopo avere alzato i tassi troppo in fretta è accusata di averli poi abbassati troppo lentamente ed è ora invitata a continuare a tagliarli.

In tema di banche centrali la prima che si è riunita in settimana è stata quella giapponese: la BOJ, come atteso, ha mantenuto invariata la politica monetaria e rivisto leggermente al rialzo le stime di crescita economica alla luce anche dei minori rischi in seguito all’accordo commerciale fra Cina e Stati Uniti. L’obiettivo rimane sempre quello di riportare l’inflazione al suo target.

Nessuna modifica neanche da parte della BCE, che conferma l’attuale atteggiamento finché che non si raggiungerà l’obiettivo di inflazione del 2%: pertanto, gli acquisti di titoli continueranno e termineranno solo poco prima di un eventuale rialzo dei tassi.

Christine Lagarde ha annunciato che, tra novembre e dicembre, verrà rivista la strategia di politica monetaria, per la prima volta dal 2003, dato che le economie dell’Eurozona sono state investite da profondi cambiamenti strutturali. Le sfide, ora, per un banchiere centrale vanno dal calo della crescita potenziale al rallentamento della produttività, all’invecchiamento demografico alla minaccia della sostenibilità ambientale etc. Le dinamiche inflazionistiche sono, quindi, diverse rispetto al passato e devono essere affrontate diversamente.

Intanto, il fondo pensione della BCE ha già cominciato ad investire in green bond e, all’interno del comitato, si sta valutando se introdurli anche nel CSPP (corporate sector purchase program).

Le altre principali banche centrali riunitesi in settimana non hanno apportato modifiche alla politica monetaria: la Bank of Canada ha mantenuto i tassi invariati a 1.75%, ritenendoli appropriati ma rimanendo aperta ad eventuali tagli qualora la situazione macro dovesse peggiorare. Stesso messaggio da parte della Banca norvegese che ha lasciato i tassi a 1.50%.

In UK il governo ha incassato la prima sconfitta in parlamento (per la prima volta dalle elezioni di dicembre), in un voto sulla protezione dei diritti dei cittadini UE in Gran Bretagna dopo la Brexit ma, alla fine della settimana, la Regina ha dato il suo assenso e la proposta relativa alla Brexit è diventata ufficialmente legge.

Buona notizia per i titoli governativi di Atene dopo che Fitch ha portato il rating sulla Grecia da BB- a BB (due gradini sotto l’investment grade) e rivisto l’outlook da stabile a positivo. Le motivazioni risiedono nella permanenza del debito a livelli sostenibili grazie alla crescita e alla prudenza di bilancio.

In Germania è stato pubblicato lo ZEW: meglio delle attese in entrambe le componenti, ma ricordiamoci che si tratta di una survey fra investitori professionali spesso influenzati dall’andamento dei mercati.

Source: Bloomberg

Le tanto attese elezioni in Emilia Romagna hanno decretato la vittoria del PD e, quindi, aiutato la coalizione di governo scongiurando elezioni anticipate. Immediata la reazione sui BTP che questa mattina riducono parecchio lo spread rispetto al Bund.

Source: Bloomberg

QUESTA SETTIMANA

Inizia, fra i timori scatenati dal Corona Virus, la prima settimana del nuovo anno cinese: secondo l’oroscopo sarà l’anno del Topo. I festeggiamenti sono stati ridotti, se non cancellati, causa epidemia ma il periodo di vacanza verrà protratto oltre la data prevista del 30 gennaio (probabilmente fino al 2 febbraio) con le borse locali conseguentemente chiuse.

Questa mattina l’IFO tedesco ha leggermente deluso le aspettative sia nella componente “expectations” che in quella “current assessment”. Sebbene il dato, in apparenza, metta in discussione la ripresa della principale economia europea, analizzando le componenti emerge che la parte manifatturiera mostra segnali di miglioramento (deludenti, invece, il settore delle costruzioni e dei servizi) lasciando ben sperare per una future ripresa complessiva dell’economia.

Mercoledì 29 gennaio è prevista la comunicazione della Fed (la Banca Centrale Americana) in merito alla politica monetaria. Non ci si attendono modifiche del tasso sui Fed Funds (attualmente 1.5%-1.75%) e dovrebbe essere confermato il proseguimento della fase di pausa.

Giovedì sarà la BOE (Bank of England) a comunicare la propria decisione: la probabilità di taglio dei tassi è scesa intorno al 60% quindi non c’è assolutamente certezza sull’esito della riunione. Si tratta dell’ultima riunione presieduta da Carney.

Venerdì 31 gennaio la Gran Bretagna lascerà definitivamente la UE, più di tre anni dopo il fatidico referendum. Inizieranno, poi, gli undici mesi entro i quali si dovranno definire bene gli accordi e le relazioni future. Non sarà banale sostituire l’attuale legislazione, fatta di centinaia di norme in diversi settori chiave e il rischio è di arrivare ad intese parziali o addirittura ad un mancato accordo che farebbe riaffiorare il rischio di una non-deal Brexit.

In settimana verranno pubblicate le stime sui dati di crescita del PIL per il quarto trimestre del 2019 per Eurozona e Stati Uniti.

La reporting season americana, nella settimana più ricca di risultati (38% della capitalizzazione di mercato dell’S&P500 pari a circa 145 società), vedrà fra i protagonisti i giganti del tech: Apple, Facebook e Amazon.

Il Cigno Verde si è sostituito al Cigno Nero, come principale fonte di rischio per i mercati, da quando la BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali – l’organizzazione internazionale nata con lo scopo di promuovere la cooperazione tra le banche centrali) ha dichiarato che il cambiamento climatico potrebbe essere alla base della prossima crisi finanziaria.

Si tratta di un ulteriore monito, rivolto alle banche centrali, affinché queste svolgano un ruolo di stimolo e coordinamento (fra le loro politiche dei governi e le iniziative private), al fine di evitare di non essere più in grado di assicurare la stabilità finanziaria e dei prezzi e di essere costrette ad intervenire, acquistando su larga scala asset svalutati, per salvare il sistema finanziario.

Un interessante articolo de Il sole 24 ore sul tema, individua due possibili approcci per le Banche Centrali: quello “macroeconomico”, che considera il rischio climatico per l’impatto che può avere sull’economia e, in quanto tale, non cambia la funzione di reazione della BCE, oppure quello “microeconomico” che, invece, fa rientrare il rischio climatico nella funzione di reazione della BCE, modificandone o integrandone gli obiettivi, oppure definendo addirittura gli strumenti (es. i titoli che possono essere acquistati).

Ovviamente il primo approccio è più facilmente accettabile, siano i banchieri “falchi” o “colombe”, mentre il secondo è avverso ai “falchi” in quanto legato ad un maggiore effetto distorsivo sull’economia e sui mercati da parte della Banca Centrale.

Nella riforma della strategia della BCE si presume che Christine Lagarde cercherà di assecondare la linea verde della Commissione Europea: per ottenere un aumento degli investimenti “green” in Europa, occorre che qualcuno acquisti le obbligazioni i cui proventi sono ad essi destinati e la BCE, ovviamente, è la prima candidata essendo il maggiore detentore di titoli pubblici e privati del continente.

Esiste però un problema di “size” dato che il mercato dei green bond è ancora piccolo: di circa 750 miliardi di euro nel mondo, un terzo è denominato in euro e di questi circa la metà sono già sottoscritti da fondi di investimento a lungo termine.

Utilizzando solo il 5% dell’APP (programma di acquisto di asset della BCE) si prosciugherebbe l’intero mercato dei green bond europeo. E’ essenziale, quindi, che il mercato cresca e che si incentivino le aziende a dedicare parte del bilancio a investimenti che scommettano sul futuro verde del continente.

Analisi dei mercati del 17.12.2019

Il primo importante appuntamento settimanale lo abbiamo avuto con la Banca Centrale Americana, che ha deciso di mantenere, come da attese, i tassi invariati a 1.50%-1.75%. I tassi nel corso del 2019 sono stati tagliati tre volte e si è ritenuto opportuno non variarli e dichiarare, all’unanimità, che rimarranno invariati per tutto il 2020. La politica monetaria attuale è ritenuta appropriata, anche se il board continuerà a monitorare l’evoluzione della situazione soprattutto relativamente agli sviluppi globali e all’inflazione. La “dot plot”, ovvero la rappresentazione delle stime sul livello dei tassi da parte dei membri del FOMC, vede solo 4 membri su 17 propendere per un rialzo nel 2020, mentre per il 2021 la mediana indica un rialzo così come per il 2022. Le stime di crescita economica americana per il 2019 sono rimaste invariate a 2.2% e quelle per il 2020 a 2%. Nonostante gli sviluppi e i rischi globali le prospettive economiche sono considerate favorevoli.

Giovedì i riflettori erano puntati sul primo consiglio della BCE presieduto dalla francese Christine Lagarde. Anche in questo caso non erano attese variazioni dei tassi che, difatti, sono stati confermati agli attuali livelli. La politica monetaria è stata confermata espansiva, anche se si intravede un miglioramento del quadro macro. A gennaio partirà il processo di revisione della strategia della BCE, che durerà probabilmente tutto l’anno e riguarderà sia la “price stability” che le tematiche ambientali. Le stime di crescita sono passate da 1.1% a 1.2% per il 2019 e da 1.2% a 1.1% per il 2020 confermando poi a 1.4% la crescita per il 2021 e per il 2022. Inflazione attesa stabile a 1.2% questo anno, 1.1% l’anno prossimo e 1.4% e 1.5%, rispettivamente per il 2020 e 2021.

Sempre in tema di banche centrali, citiamo anche la Swiss National Bank che ha lasciato i tassi invariati a -0.75%, ribadendo che i tassi negativi sono l’unico modo per tenere sotto controllo la valuta e aiutare l’economia. Si tratta del quinto anno di tassi negativi, che si trovano al livello più basso del mondo.

Le banche centrali, quindi, hanno confermato la loro “stance” espansiva ma non hanno aggiunto nulla di nuovo a quanto già atteso dai mercati.

La vera svolta è arrivata, però, giovedì con i tweet di Trump, in tema di un possibile “grande accordo” con la Cina. Secondo il Wall Street Journal, gli Stati Uniti avrebbero potuto tagliare del 50% i dazi attualmente presenti e cancellare quelli nuovi previsti per domenica. Dopo una serie di tweet ambigui di Trump, che hanno destabilizzato un po’ i mercati, venerdì è arrivata la conferma da parte del vice ministro al commercio cinese, che ha annunciato il raggiungimento dell’accordo per chiudere la “fase uno” delle negoziazioni. Il risultato immediato si è avuto domenica quando non sono scattati i dazi americani su 160 miliardi di dollari di prodotti cinesi e, quindi, i contro-dazi del 25% che la Cina avrebbe imposto come rappresaglia. L’accordo prevede misure legate al rafforzamento della proprietà intellettuale, al trasferimento forzoso delle tecnologie, all’acquisto di prodotti agricoli e alimentari, all’apertura del mercato dei servizi finanziari, alla promozione degli scambi commerciali e alla trasparenza della normativa. Il responsabile del commercio americano, Robert Lighthizer, ritiene che l’accordo potrà essere firmato definitivamente a gennaio. Secondo Trump la riduzione dei dazi sarà alla base della fase due, che partirà subito dopo la firma della fase uno. Si stima che l’accordo raggiunto farà aumentare di 200 miliardi di dollari gli scambi commerciali fra USA e Cina nei prossimi due anni, gran parte dei quali legata ai beni agricoli.

L’altro evento che ha dato una notevole spinta ai mercati e al sentiment degli investitori, si è avuto venerdì mattina con il risultato delle elezioni in UK: i conservatori di Boris Johnson hanno ottenuto una larga maggioranza. Molto probabile quindi la Brexit sarà, finalmente, attuata il 31 gennaio, con un periodo transitorio che durerà fino alla fine del 2020. Il successo dei conservatori conferma che l’intenzione del popolo britannico è ancora quella del referendum del 2016, ovvero l’uscita dall’Unione Europea. Per contro, però, si è avuta la conferma che Scozia e Irlanda del Nord osteggiano la Brexit e vorrebbero continuare a fare parte della UE. La legge prevede che entrambi i paesi possano chiedere a Johnson il via libera ad un nuovo referendum sull’indipendenza, dato che spetta al Governo di Londra autorizzare il voto. Si apre, pertanto, una fase delicata per la Gran Bretagna sia per la trattativa con la UE, circa l’intesa sui futuri rapporti fra i due blocchi, sia per il rischio di disgregazione del Regno Unito.

In settimana, inoltre, sono stati pubblicati una serie di dati macroeconomici in Cina: i prezzi al consumo, CPI, hanno toccato il massimo degli ultimi otto anni mentre quelli alla produzione, PPI, rimangono in territorio negativo, segnalando che a livello manifatturiero persistono i rischi derivanti dalla guerra commerciale. Bisogna osservare che la salita del CPI è da imputare soprattutto alla componente alimentare, in particolare ai prezzi della carne di maiale che sono saliti notevolmente per un problema di epidemia negli allevamenti. Positivi i dati relativi agli aggregati monetari, sui quali si sta trasmettendo la politica monetaria. Speriamo che il passaggio successivo sia legato ad un aumento dell’attività economica.

Souce: Bloomberg

In Europa segnaliamo la pubblicazione dello Zew tedesco, che batte le aspettative grazie alla componente coincidente. Ricordiamoci che si tratta di una survey dedicata ad analisti e operatori finanziari, pertanto tende ad essere influenzata dall’andamento dei mercati.

Infine, debutto positivo per l’IPO di Saudi Aramco, che in tre giorni di negoziazioni ha guadagnato quasi il 17%, raggiungendo una capitalizzazione di due mila miliardi di dollari. Consideriamo che il flottante è molto basso, circa 1.5%, e che la quotazione è limitata alla borsa saudita, pertanto, in larga parte in mano a istituzioni locali legate anche al governo.

La settimana si è chiusa in modo positivo per la maggior parte degli asset finanziari, con molti indici azionari sui massimi storici. Gli asset emergenti (equity, bond e valute) hanno sovra-performato grazie al miglioramento del sentiment e al marginale deprezzamento del dollaro americano. Bene anche gli asset UK, che hanno beneficiato dell’esito delle elezioni.

QUESTA SETTIMANA

Dopo una settimana, come quella appena trascorsa, ricca di eventi che hanno condizionato l’andamento dei mercati, quella che si apre oggi dovrebbe essere più tranquilla.

I dati pubblicati in Cina sono stati positivi e fanno ben sperare sul fatto che gli sforzi per fare ripartire la crescita stiano iniziando a funzionare: la produzione industriale è cresciuta del 6.2%, verso attese di +5% e dato precedente +4.7%, e le vendite al dettaglio sono salite dell’8%, verso attese di 7.6% e dato precedente di 7.2%.

Sempre questa mattina sono stati pubblicati in Europa i dati PMI preliminari di dicembre: in generale assistiamo ad un miglioramento di quelli relativi al settore dei servizi ma ad un peggioramento di quelli relativi al settore manifatturiero. Mercoledì in Germania verrà pubblicato l’IFO tedesco, le attese sono per un miglioramento del dato in entrambe le componenti, current assessment e expectations.

Souce: Bloomberg

Fra le banche centrali segnaliamo che giovedì ci sarà la riunione della BOJ, livello attuale dei tassi -0.10%, della Risksbank, banca centrale svedese, ci si attende un rialzo di 0.25% a 0%, e della BOE, banca centrale inglese, non sono attese variazioni del tasso che dovrebbe rimanere a 0.75%.

Infine, venerdì avremo terza stima del GDP US atteso salire a 2.1% nel 3Q.

Venerdì in Gran Bretagna i deputati cominceranno ad esaminare l’accordo di recesso concordato con la UE, che dovrebbe essere approvato in tempi brevi e senza intoppi. I passaggi successivi saranno i seguenti: entro il 31 gennaio il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea, restandone “associato” fino al 31 dicembre con pieno accesso al mercato unico ma senza poter partecipare al processo decisionale comunitario. Durante questi mesi Londra e Bruxelles negozieranno l’intesa, che regolerà i rapporti fra i due blocchi. Entro il primo luglio, e solo per una volta, può essere chiesto di allungare il periodo di transizione per massimo due anni. L’obiettivo dell’Unione Europea è di raggiungere un accordo che preveda “zero quote, zero dazi, zero dumping”. Il rischio è che, in virtù del risultato elettorale, Johnson possa considerarsi legittimato a seguire una linea più dura, arrivando perfino ad una no-deal brexit; l’obiettivo sarebbe quello di ottenere, come promesso da Trump, un grande accordo commerciale con gli Stati Uniti.

La scorsa settimana sono cessate, o meglio sono state parzialmente superate, due grosse incertezze che pesavano sui mercati e la reazione immediata è stata molto forte. Nonostante i mercati azionari fossero sui massimi, la probabile risoluzione della Brexit con un accordo con la UE e un rilassamento delle tensioni fra Cina e Stati Uniti hanno dato un’ulteriore spinta agli indici azionari.

Le incertezze hanno pesato in due modi: 1) sull’economia, dato che hanno frenato gli investimenti e provocato un brusco rallentamento del settore manifatturiero; 2) sui mercati, perché nonostante le performance decisamente molto buone il 2019, fino ad ora, è definito come l’anno del bull-market meno “partecipato” dagli investitori. L’azione delle banche centrali, così come ha penalizzato la fine del 2018, ha rappresentato una grossa spinta sia per i mercati obbligazionari sia per i mercati azionari.

Come abbiamo sempre detto è ora opportuno che diminuiscano le incertezze, soprattutto legate al commercio mondiale, e riparta l’attività economica, in modo tale da generare gli utili necessari per il sostegno delle quotazioni azionarie. Le banche centrali continueranno ad essere espansive. In questo modo potremmo goderci l’ultima fase di un ciclo espansivo, che non sembra ancora giunto al capolinea.

Analisi dei mercati del 23.10.2019

Sabato scorso il Parlamento britannico si è riunito in una sessione speciale, non accadeva dall’invasione delle Isole Falklands da parte dell’Argentina nel 1982, per votare l’accordo sulla Brexit raggiunto fra il premier Johnson e l’Unione Europea. L’accordo non è stato votato e il Parlamento ha emanato una legge che impone di chiedere il rinvio della Brexit a gennaio 2020. Il premier Johnson, quindi, ha inviato a Bruxelles una lettera nella quale viene chiesto il rinvio, ma senza apporre la sua firma, e, successivamente, ne ha inviata un’altra, questa volta firmata, nella quale chiede di non considerare la precedente poiché l’accordo sarà votato in tempo.

Proseguono le negoziazioni fra cinesi e americani che continuano a lavorare alla “Fase 1” dell’accordo commerciale; secondo Trump difficilmente verrà siglato prima dell’incontro, previsto per il 16-17 novembre, con il presidente Xi Jingping al prossimo forum Apec in Cile.

Il clima fra Cina e Stati Uniti rischia di riscaldarsi nel caso in cui il Congresso americano promuova la legge “Hong Kong Human Rights and Democracy”, approvata alla Camera e non ancora al Senato: il supporto americano alle proteste ad Hong Kong sarebbe visto come un’interferenza negli affari cinesi.

Il Fondo Monetario Internazionale ha abbassato, in generale e come atteso, le stime di crescita economica. La crescita per il 2019 è solo leggermente limata al 3% (minimi dalla crisi finanziaria del 2008) ma la cosa importante è il messaggio lanciato dalla nuova presidente dell’IMF Georgieva Kristalina : il rallentamento in atto è “sincronizzato”, riguarda quasi il 90% dell’economia mondiale, quindi non limitato ad un singolo parse o area, e il fatto che le banche centrali siano a corto di munizioni rende ancora più importante evitare errori politici. La politica monetaria è importante che rimanga favorevole ma quella fiscale deve svolgere un ruolo più attivo.

In Cina, venerdì, è stato pubblicato il dato sul Pil del terzo trimestre: 6% da un precedente 6.2%. Si conferma il rallentamento in atto, che garantirà un atteggiamento ancora accomodante da parte della banca centrale. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha, in settimana, stimato una crescita inferiore al 6% per il 2020. La crescita cinese si pone nella parte bassa del range target indicato dal governo, 6%-6.5%, e al livello minimo di sempre, da quando la Cina ha iniziato a pubblicare i dati trimestrali nel 1992, e inferiore anche a quello raggiunto con la crisi del 2008, 6.4%.

Source: Bloomberg

Per contro, però, sono positivi i dati sulla produzione industriale, che risale dopo il minimo da 17 anni di agosto, così come le vendite al dettaglio, segno che i consumi, per ora, tengono.

Mentre l’Italia approva la legge di Bilancio 2020, “salvo intese”in quanto ci sono ancora dei nodi da sciogliere, e la invia a Bruxelles, l’FMI prende di mira i conti italiani e ribadisce che è necessario un piano credibile di riduzione del debito pubblico e misure per rilanciare la produttività. Il basso tasso di crescita del paese non è dovuto all’inefficacia della politica monetaria espansiva ma dai problemi strutturali del paese.

Il tasso minimo garantito del BTP Italia 2027 in emissione è stato fissato a 0.60% e potrebbe essere rivisto al rialzo. L’indicizzazione, come sempre, è all’inflazione italiana, escluso il tabacco, ed è previsto un bonus pari allo 0.40% per chi detiene il titolo fino alla scadenza, otto anni. I risparmiatori hanno potranno sottoscriverlo lunedì 21 e martedì 22.

In Germania il dato ancora deludente sullo ZEW aumenta le probabilità di una manovra fiscale espansiva. La Merkel guarda al dato sul GDP, in pubblicazione il 14 novembre, che potrebbe confermare una recessione tecnica. Intanto il governo rivede al ribasso le stime di crescita per il 2019 a +0.5% e per il 2020 a +1%.

A pesare sull’Europa anche l’entrata in vigore dei dazi americani sui prodotti europei pari al 25%.

Per quanto riguarda la reporting season americana il messaggio è misto: le banche riportano nel complesso non male. Alcoa, principale produttore di alluminio, non mostra risultati brillanti e taglia ancora la stima della domanda mondiale a causa di un probabile rallentamento dell’industria automobilistica. Nei consumi si segnala J&J che alza la guidance di fine anno (positivo quindi il giudizio sui consumi).

Torna a fare parlare Saudi Aramco per l’ennesimo rinvio di quella che è definita come “l’IPO del secolo”. La motivazione, questa volta, sembra essere legata alla verifica del potenziale impatto sul bilancio degli attacchi contro gli impianti petroliferi subiti un mese fa. L’obiettivo è raccogliere più di 25 miliardi di dollari, motivo principale della più grande IPO mai effettuata, al fine di diversificare l’economia saudita che è troppo dipendente dal petrolio.

Il difficile contesto macroeconomico e l’incertezza relativa hanno bloccato, negli ultimi venti giorni, una decina di IPO tra Europa e Stati Uniti. Due hanno riguardato anche l’Italia: si tratta di Ferretti e RCF, per entrambe le offerte sono state deludenti e si è preferito rimandare l’operazione.

I movimenti più significativi sui mercati, in settimana, hanno riguardato le valute: l’allontanamento dell’ipotesi di una “hard brexit” ha permesso alla sterlina di guadagnare contro euro, per contro il mercato azionario è sceso in virtù della correlazione inversa con la valuta, e all’euro di guadagnare contro le altre valute, soprattutto USD e Yen.

Source: Bloomberg

QUESTA SETTIMANA

Giovedì 24 si riunirà la Banca Centrale Europea. Si tratta dell’ultimo meeting con la presidenza di Mario Draghi. Non sono attese decisioni sui tassi: il tasso principale dovrebbe rimanere allo 0% mentre quello sui depositi al -0.50%. Fra 10 giorni la BCE riprenderà l’acquisto di titoli di stato al ritmo di 20 miliardi al mese.

Si riunirà anche la Banca Centrale Svedese, attesi tassi fermi a -0.25%, e quella Norvegese, attesi tassi fermi a 1.25%. Negli Stati Uniti verranno pubblicati i dati relativi agli ordini di beni durevoli e alla fiducia delle famiglie mentre in Europa avremo i PMI preliminari di ottobre e l’IFO tedesco.

Prosegue la reporting season americana, riporteranno società pari a circa il 31% della market cap, e anche quella europea si comincia a fare più interessante: fra le big americane si segnalano Amazon, Intel, Verizon, Microsoft, Twitter, Ford, Tesla, Mc Donald’s, Caterpillar, Boeing. In Europa, fra gli altri, verranno pubblicati i numeri di UBS, Basf, Saipem, Eni.

Sul fronte Brexit, in settimana, Boris Johnson dovrà cercare di fare approvare l’intesa con Bruxelles al Parlamento, come promesso pubblicamente. Intanto i rappresentanti dell’Unione Europea hanno deciso di proseguire, come se niente fosse, il processo di ratifica europeo. A questo punto abbiamo, di nuovo, due scenari: 1) Johnson riesce a fare approvare l’accordo di recesso, una volta approvato anche dal Parlamento Europeo la Brexit potrebbe avere luogo il 31 ottobre; 2) rinvio tecnico (per permettere di completare l’iter di ratifica) o politico (in caso di bocciatura da parte del parlamento britannico) seguito da elezioni anticipate. Guardando i movimenti della Sterlina il mercato sembra scommettere su un accordo.

Analisi dei mercati del 18.09.2019

Anche questa settimana è proseguita la rotazione dei portafogli dai bond all’equity: i mercati azionari hanno apprezzato sia la determinazione di Mario Draghi sia le buone notizie sui rapporti fra Cina e Stati Uniti. I mercati obbligazionari hanno, invece, visto un ri-posizionamento verso l’alto di tutte le curve con livelli di rendimento meno penalizzanti. Il comparto bancario europeo è quello che sta traendo maggiore giovamento dall’azione della BCE e il movimento sui tassi ha portato a casa un rimbalzo del 7.80%.

La conseguenza della fase distensiva sui mercati si è vista sul ritracciamento di tutti gli strumenti di “hedging” utilizzati dagli investitori negli ultimi tempi: l’oro si è riportato intorno a 1500 dollari/oncia, dopo avere toccato i 1550, gli indicatori di volatilità degli indici azionari, VIX e Vstoxx, sono tornati a livelli più “tranquilli” e le valute rifugio, come Yen e Franco Svizzero, hanno marginalmente corretto.

Souce: Bloomberg

L’evento che ha catalizzato l’attenzione dei mercati durante la settimana è stata sicuramente la riunione della BCE: il taglio dei tassi sui depositi di 0.10%, a -0.50% (le attese erano per 0.10%/0.20%), ma con un sistema di “tiering” (scaglioni) per limitare gli effetti negativi sul sistema bancario, e il nuovo QE, a partire da novembre con acquisti di 20 miliardi di bond al mese erano bene o male attesi. Quello che il mercato ha apprezzato è stata la forza della forward guidance: la politica monetaria rimarrà accomodante e le misure intraprese resteranno in piedi fino a che l’inflazione raggiungerà il target del 2%, “close but below”, quindi senza un esplicito limite temporale.

La manovra è stata interpretata come un “bazooka” e rappresenta un’eredità significativa per Christine Lagarde, che prenderà il posto di Draghi a partire da novembre.

Il dollaro americano, dopo una prima reazione di rafforzamento durante la conferenza della BCE, si indebolisce e chiude la settimana riportandosi in prossimità di 1.11 contro l’euro.

I BTP, in virtù di quanto detto nello scorso commento circa la relativa maggiore attrattività nel panorama governativo europeo, rimangono stabili con rendimenti ai minimi assoluti.

Buone notizie anche sul fronte dei negoziati commerciali: gli Stati Uniti annunciano che intendono rinviare di 15 giorni l’incremento delle tariffe, dal 25% al 30%, su 250 miliardi di dollari di prodotti cinesi previsto per il primo ottobre, mentre la Cina annuncia che incrementerà l’acquisto di prodotti agricoli americani.

La Cina, inoltre, ha varato una delle misure per attrarre capitali o comunque limitare i deflussi che rischiano di affliggere il paese in caso di ulteriore deterioramento del quadro macro: vengono eliminati i limiti agli investimenti stranieri, sia azionari che obbligazionari, e si valuta l’introduzione di trattamenti fiscali agevolati per gli acquirenti di fondi di investimento. Il tutto crea ottimismo in vista degli incontri di inizio ottobre. L’impatto sul cambio CNY/USD è positivo e porta la divisa cinese verso quota 7.

Souce: Bloomberg

Sabato un attacco terroristico ha colpito gli impianti petroliferi sauditi che fornivano il 5% delle forniture globali. Teheran respinge le accuse degli USA, secondo i quali sarebbe dietro agli attacchi con i droni. La reazione più forte si è avuta sul prezzo del petrolio, che è salito di circa 5 dollari raggiungendo i 60$ al barile (WTI) nonostante gli Stati Uniti abbiano autorizzato il ricorso alle scorte di emergenza e nonostante le dichiarazioni saudite circa i brevi tempi previsti per il ripristino degli impianti. I primi analisti stimano che il danno subito dall’Arabia sia superiore allo shock avuto sul mercato ai tempi sia della prima guerra del Golfo nella in rivoluzione in Iran. Incertezza anche relativa all’impatto sulla prossima quotazione di Aramco, per cui è possibile un rinvio.

Souce: Bloomberg

QUESTA SETTIMANA

Anche questa settimana il focus degli investitori si concentrerà sulle banche centrali: mercoledì 18 sarà la volta della Fed. Powell si trova in una posizione non semplice in quanto l’economia non sta dando particolari segnali di debolezza, con il Pil che cresce al 2%, l’inflazione viaggia intorno al 2.4% e le vendite al dettaglio sono stabili. Tali dati non giustificherebbero l’avvio di una serie di tagli ai tassi di interesse ma, tuttavia, il mercato sconta, con una probabilità del 98.6%, un taglio certo di 25bps. Dopo la performance del suo “collega” europeo, Powell deve cercare di esserne all’altezza, anche per evitare ulteriori critiche di Trump. Importanti saranno, soprattutto, le proiezioni macroeconomiche che verranno fornite e i “dots”, ovvero le indicazioni sulle future manovre.

Giovedì 19 si riunirà anche la BOJ: le attese sono per tassi invariati a -0.10% ma c’è una probabilità pari al 24% che la banca centrale li tagli di 10bps.

Sempre giovedì si riunirà la Bank of England: attesi tassi invariati allo 0.75%. Nel Regno Unito la situazione rimane estremamente incerta: oggi il ministro Barclay incontra il capo-negoziatore per l’Unione Europea Barnier. Barometro della Brexit è la sterlina che sta proseguendo un trend di rafforzamento verso euro (attualmente quota 0.88) che l’ha riportata ai livelli di giugno.

Martedì 17 in Germania è stato pubblicato lo ZEW, indice che misura le aspettative di crescita economica: tale indice, in territorio negativo da inizio maggio.

Souce: Bloomberg

Interessante sarà anche la pubblicazione dei dati relativi all’inflazione per l’Eurozona.

Analisi dei mercati del 23.07.2019

La settimana che si è appena conclusa ha visto un leggero ritracciamento dei mercati azionari soprattutto negli Stati Uniti, con la complicità di qualche trimestrale deludente, e in Italia, a causa delle tensioni politiche al governo. I rendimenti obbligazionari sono calati, soprattutto in Europa, a causa delle aspettative sulle imminenti decisioni della BCE, che peseranno sul settore bancario e sull’Euro.

Mercoledì sera è stato pubblicato il Beige Book, ovvero il report sullo stato dell’economia preparato per la riunione del FOMC di fine luglio. Emerge che gli Stati Uniti si trovano in discreta forma, con un ritmo “modesto” di espansione delle attività, ma con preoccupazioni sulle prospettive future. La causa principale è quella dei dazi: il 28% delle aziende intervistate ha dichiarato di essere stata danneggiata dalle misure protezionistiche ad oggi applicate.

Diversi membri della Fed questa settimana si sono espressi a favore di politiche monetarie molto accomodanti: mercoledì il presidente della Fed di Chicago Charles Evans ha dichiarato che un taglio di 50 bps potrebbe essere appropriato già per fine mese, nella riunione Fed 31 luglio. Anche il presidente della Fed di New York, John Williams, e quello della Fed di Kansas City, Esther George, hanno confermato un atteggiamento molto “dovish”, portando il mercato dei Fed Fund Futures a scontare un rialzo di 50bps al meeting di luglio con una probabilità che è passata dal 20% della settimana precedente al 45%. Nelle ore successive, sono poi giunti chiarimenti che hanno ridimensionato le aspettative.

Mentre negli Stati Uniti c’è qualche segnale macro in miglioramento, in Europa i dati confermano ancora la debolezza dalla Germania. Lo ZEW segnala un ulteriore rallentamento sia nella “current situation” che nelle “expectations”. Inoltre, i dati sui prezzi alla produzione relativi al mese di giugno calano dello 0.4% mese/mese.

Source: Bloomberg

Prosegue la reporting season negli Stati Uniti. Fin ora hanno riportato i dati il 16% delle aziende. Anche se in aggregato sia dai livello di utili che dei ricavi non generano preoccupazioni, alcuni nomi specifici sono stati pesantemente colpiti. Gli utili crescono del 2% superando del 5% le attese, i ricavi crescono del 2.5% superando dell’1% e, inoltre, il 73% delle società ha battuto le stime degli analisti. CSX, società operante nel settore dei trasporti, il giorno in cui ha riportato i risultati, ha perso circa il 10% a causa delle guidance poco incoraggianti sul 2019. Netflix ha riportato un numero di abbonati pari alla metà di quelli attesi per il trimestre e il titolo ha corretto del 10%. Alcoa, principale produttore di alluminio, ha tagliato le stime di crescita della domanda per la seconda volta in tre mesi citando sempre le dispute commerciali.

Per quanto riguarda le banche, Citigroup ha riportato EPS, ovvero gli utile per azione, superiori alle attese degli analisti. Nonostante minori ricavi derivanti dalle attività di trading, a migliorare i risultati hanno contribuito l’operazione straordinaria relativa alla quotazione di Tradeweb market, il buyback dei mesi scorsi e da un tax rate più favorevole. Morgan Stanley, nonostante il calo degli utili pari al 10%, ha battuto le stime sia dei ricavi che di EPS, grazie alla divisione di Wealth Management. Solo Wells Fargo, fra le banche principali, ha sottolineato il problema a livello di sostenibilità dei margini, in caso di tassi in ulteriore ribasso.

Nello scorso commento avevamo sottolineato come varie società stessero approfittando dei tassi bassi per emettere nuovi bond. Questa settimana è stata la volta di Banca Monte dei Paschi di Siena che ha emesso un bond subordinato per 300 milioni ad un tasso del 10.5%.

Il contesto di tassi bassi continua a favorire le quotazioni dell’oro che si mantengono ormai stabilmente superiori ai 1400 dollari/oncia. E’ interessante osservare, a conferma di quanto detto, la correlazione positiva tra oro e il valore totale dei bond con negative yield. Questi ultimi arrivano a superare i 13 trillions di dollari.

Souce: Bloomberg

In UK, infine, il parlamento sta varando delle misure per impedire a Boris Johnson, che probabilmente diventerà primo ministro entro la fine dell’estate, un No-Deal Brexit. La sterlina, che si era indebolita fino a superare il livello di 0.90 contro l’euro, sulla notizia ha marginalmente recuperato.

QUESTA SETTIMANA

L’evento principale della settimana è la riunione della BCE che si terrà giovedì 25 . Ci si attende un impegno a mantenere i tassi negativi fino a quando sarà necessario e l’apertura a portarli, eventualmente, ancora più in negativo, downturn bias.

Il possibile taglio immediato del deposit rate, da -0.40% a -0.50%, attualmente è scontato dal mercato con probabilità del 35%. Il rischio però è di avere un impatto negativo sulla credibilità della banca stessa. E’ probabile, e auspicabile, l’annuncio di nuove misure sull’Asset Purchase Programme, ovvero il programma di acquisto di titoli pubblici e privati. Si ipotizza che, in un nuovo round di QE, si possano includere anche i bond senior bancari.

Souce: Bloomberg

Sembra che la BCE stia pensando di adottare un target “simmetrico” di inflazione. In questo modo, si tollererebbero periodi di inflazione superiore al target del 2% dopo periodi di inflazione inferiore. La reazione sui mercati obbligazionari è stata, ovviamente, molto positiva.

In settimana avremo anche la pubblicazione dei dati sui PMI preliminari per il mese di luglio, sia in Europa che in USA, che contribuiranno a dare un’idea sul generale quadro macro. Le attese sono per una sostanziale stabilizzazione in Eurozona e un parziale recupero negli Stati Uniti.

Venerdì verrà pubblicato il dato preliminare sul Pil americano del secondo trimestre: le attese sono per un rallentamento dal 3.1%, trimestre/trimestre annualizzato, all’1.8%.

Sul fronte politico da monitorare la tenuta del Governo in Italia, l’iter di insediamento del nuovo governo in Spagna e la possibile indicazione di Boris Johnson come nuovo premier britannico.