Analisi dei mercati del 12.10.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Settimana positiva per gli asset di rischio: i mercati azionari hanno chiuso con un rialzo complessivo pari al 3.6% (MSCI World) che ha trainato anche il comparto obbligazionario a spread. Buono il restringimento dello spread fra la periferia dell’eurozona e il bund tedesco. Rimbalzo deciso anche per le commodities grazie al balzo del prezzo del petrolio.

Il presidente americano Donald Trump esce dall’ospedale, dopo tre giorni di terapia per il Covid19, torna alla Casa Bianca e i mercati tirano un respiro di sollievo. Tutto finché lo stesso presidente, in uno dei suoi tweet, non afferma che i negoziati con i Democratici sono stati interrotti e quindi il pacchetto fiscale è sospeso fino a dopo le elezioni. Poi, però, rimedia al danno affermando che, comunque, si sta lavorando a singole misure, quindi provvedimenti mirati che comprendono nuovi assegni per i consumatori (si parla di 1200$) da rilasciare prima delle elezioni e aiuti al settore aereo. Il tira e molla è proseguito nella settimana con Nancy Pelosi che si dichiara contraria a singoli provvedimenti ma vorrebbe un serio pacchetto di aiuti o nulla.

L’indecisione sullo stimolo fiscale, con Democratici e Repubblicani che stentano a trovare un punto di accordo, contrasta ancora una volta con le dichiarazioni del numero uno della Fed Powell che ribadisce i rischi di una ripresa economica incompleta ovvero che potrebbe innescare dinamiche recessive; ripete che non è il momento di abbassare la guardia e la politica fiscale, soprattutto, deve fare la sua parte perché in questo momento è meglio correre il rischio di fare troppo che troppo poco.

Sulla campagna elettorale americana in settimana c’è stato il faccia a faccia tra i due vice candidati Kamala Harris (vice Biden) e Mike Pence (vice Trump): il primo ha puntato il dito contro la gestione della pandemia mentre il secondo ha usato la leva delle maggiori tasse che i Democratici intendono introdurre. I sondaggi si sono mossi di poco e continuano ad avvantaggiare Biden.

Trump che dichiara che non intende fare il prossimo dibattito da remoto e risponde alle polemiche, circa un trattamento medico privilegiato nei suoi confronti dichiarando che l’anticorpo monoclonale utilizzato per la sua terapia (il Regeneron, un trattamento sperimentale a base di anticorpi sintetici prodotto da Eli Lilly) sarà disponibile gratuitamente per tutti gli americani.

La Lagarde (presidente della BCE) continua con le dichiarazioni “dovish” affermando che la ripresa potrebbe essere più lenta a causa della seconda ondata di Covid19 e, quindi, la politica monetaria deve rimanere a disposizione ed essere pronta a varare nuovi stimoli. La ripresa, invece della auspicata forma a V, potrebbe essere una sorte di W allontanando così il ritorno ai livelli pre-Covid19. Anche il capo economista Lane ribadisce che la politica monetaria sarà sufficientemente accomodante da assicurare il raggiungimento dell’obiettivo di inflazione anche dopo il possibile superamento dei danni legati alla pandemia.

L’accondiscendenza delle banche centrali emerge anche dai verbali delle ultime riunioni: da quelli della BCE, relativi al meeting di settembre, è emerso che un approccio “a mano libera” da parte di Francoforte è assolutamente preso in considerazione per contrastare i danni provocati dalla pandemia, non si escludono ulteriori tagli dei tassi o modifiche alle attuali condizioni dei prestiti. L’andamento dell’euro e l’impatto sull’inflazione vengono costantemente monitorati.

Per quanto riguarda le minute della Fed emerge un board spaccato su quali metodi utilizzare per applicare i nuovi principi (facendo riferimento probabilmente anche alla “forward guidance”) ma un’uniformità di vedute sul fatto che sia necessario mantenere i tassi vicino allo zero finché non si avrà nuovamente la piena occupazione nel mercato del lavoro e quindi, ipoteticamente, fino al 2023/2024.

Evidente il sostegno della BCE sui nostri titoli di stato con il BTP che ha visto restringere ancora lo spread verso il Bund (arrivato a 121bps) e scendere in termini di rendimento a nuovi minimi storici (il decennale ha chiuso la settimana a 0.72%). Il Tesoro ne sta approfittando per emettere nuovi titoli e/o sostituire quelli già in circolazione. Questa settimana è prevista la prima emissione di un BTP a tre anni con cedola zero!

Un interessante articolo de Il sole 24 ore riporta una tabella con i costi medi delle emissioni per i vari anni dal 2000 ad oggi: per ora il 2020 si colloca a 0.69% e sarebbe ottimo se, da qua a fine anno, il Tesoro riuscisse ad abbassare ulteriormente questo livello (il minimo è stato raggiunto nel 2016 ed era pari a 0.55%).

Qualche analista sottolinea come il livello al quale sono arrivati i rendimenti dei nostri BTP potrebbe creare dei problemi alle compagnie assicurative italiane: nei prossimi quattro anni, infatti, scadranno circa la metà dei titoli detenuti che attualmente hanno una cedola media nell’ordine del 4.4% e, dovessero essere sostituiti oggi, il rendimento si ridurrebbe drasticamente allo 0.8% circa. Le assicurazioni dovranno cercare alternative più remunerative (tipo le azioni) che però richiedono maggiori assorbimenti di capitale in base alla normativa europea Solvency II.

Anche il comparto obbligazionario governativo spagnolo si è mosso bene in settimana grazie all’annuncio di un taglio di 15 miliardi di euro al programma di emissioni nette per il 2020.

La Commissione Europea, in settimana, ha annunciato che dalla seconda metà di ottobre partirà il programma Sure (“Support mitigating Unemployment Risks in Emergency” ossia la cassa integrazione europea) e verranno emesse le prime obbligazioni ESG (quindi che rientrano nel piano di acquisti della BCE) per finanziare il progetto. Ricordiamo che la capienza del programma è di 100 miliardi e quindi le emissioni di bond arriveranno massimo fino a questo ammontare. Ad oggi le richieste sono state per 87.4 miliardi e i fondi verranno trasferiti sotto forma di prestiti (l’Italia ne ha richiesti 27.4 miliardi); gli stati dovranno poi rendicontare circa l’utilizzo dei fondi. Se la raccolta dei finanziamenti inizia a metà ottobre (quindi un mese oltre il previsto) si stima che gli aiuti non verranno erogati prima della fine del 2021. Da notare che man mano che la Commissione Europea si finanzierà sul mercato obbligazionario per finanziare progetti di questo tipo le obbligazioni emesse rientreranno nel panorama degli emittenti più sicuri e potranno rappresentare un’alternativa al Bund tedesco, considerato oggi il “risk-free” in eurozona.

Citiamo spesso, in questa sede, il mondo dei green bond: è di questa settimana la notizia che le emissioni hanno superato il triliardo di dollari di cui solo 200 miliardi emessi nel 2020. È evidente come le società stiano cavalcando questa onda che è anche alimentata dalle dichiarazioni della BCE e della Commissione Europea che stanno e intendono continuare ad acquistare questa tipologia di obbligazioni.

In ripresa il prezzo del petrolio per i rumors sui possibili tagli dell’OPEC e per due fattori transitori ovvero l’uragano Delta in arrivo sul Golfo del Messico (categoria 4), che ha fatto stoppare il 92% della produzione dell’area, e lo sciopero nel settore Oil&Gas in Norvegia.

In settimana, Borsa Italiana è stata venduta dal LSE (London Stock Exchange), che la aveva acquistata nel 2007 per 1.6 miliardi, ad Euronext per circa 4.3 miliardi di euro. Sebbene Euronext non possa ancora essere considerata la Borsa della UE (in quanto quella di Madrid è stata acquisita un anno fa dalla Borsa di Zurigo e quella di Francoforte e altri paesi minori non sono comprese) diventa ora la maggiore piazza azionaria di Europa, con circa 1800 società quotate, comprendendo le borse di Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Lisbona, Oslo e Dublino. Borsa Italiana apporterà l’MTS (Mercato telematico dei titoli di stato) facendo diventare Euronext leader nella negoziazione all’ingrosso dei titoli di Stato. Fra gli azionisti italiani di Euronext figurano IntesaSanpaolo con l’1.3% e CDP con il 7.3%.

Approvata dall’autorità Antitrust la fusione fra Sia e Nexi che farebbe nascere uno chi dei grandi player europei dei pagamenti digitali del valore di 15 miliardi di euro, presenza in quattro continenti e 50 paesi e ricavi pari a oltre 1.8 miliardi di euro: Sia (la ex CartaSi partecipata da IntesaSanpaolo al 10%) si fonderebbe per incorporazione con Nexi (controllata da CDP) con un azionariato diviso fra Nexi al 70% e Sia al 30%; CDP avrà circa il 25% della nuova entità. La firma dell’accordo è prevista per dicembre.

QUESTA SETTIMANA

Nel mondo siamo arrivati a più di 37 milioni di persone contagiate dal coronavirus e i decessi superano il milione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità si stima che il 10% della popolazione globale potrebbe avere contratto il virus. I vari paesi stanno cercando di correre al riparo con chiusure mirate. Ripetiamo che è essenziale che non si arrivi ad un nuovo lockdown.

Oggi il mercato obbligazionario americano sarà chiuso per il Columbus Day.

La PBOC (Banca centrale cinese) ha ufficializzato oggi la decisione di azzerare (dal 20% precedente) il coefficiente di riserva obbligatoria per le istituzioni finanziarie nel trading di contratti valutari nell’ottica di alleviare la pressione al rialzo per la valuta (lo Yuan aveva raggiunto venerdì i livelli di inizio 2019 contro dollaro). Il coefficiente del 20% era stato introdotto due anni fa quando la valuta si era indebolita troppo superando la soglia di 7 contro dollaro e aveva lo scopo di rendere più costoso scommettere contro la valuta cinese.

Oggi, lunedì 12, la presidente delle ECB Christine Lagarde presenzierà al meeting annuale dell’IMF e della World Bank e il giorno successivo l’IMF pubblicherà il World Economic Outlook che darà un’idea dello stato di salute delle principali economie alla luce della pandemia.

Martedì 13 Apple annuncerà i nuovi quattro iPhone con il 5G, migliori fotocamere e un maggiore range di schermi. Ricordiamo che l’iPhone genera circa la metà dei ricavi di Apple.

Il 15 ottobre è previsto il secondo dibattito fra Trump e Biden, potrebbe essere virtuale anche se Trump si è opposto.

Sempre il 15 ottobre era prevista la deadline per la Brexit: durante il summit si spera che le parti trovino un accordo. Indiscrezioni di Reuters parlano di progressi tra Londra e Bruxelles che potrebbero protrarre le negoziazioni fino a metà novembre.

Inizia ufficialmente la reporting season americana con le varie società che pubblicheranno gli utili per il terzo trimestre: come sempre le prime saranno le banche (JPM, Citigroup, GS, MS, Wells Fargo e Bank of America). I risultati di Alcoa (leader mondiale dell’alluminio) ci aiuteranno ad avere il polso dell’attività economica. In generale sono attesi utili in calo anno/anno del 20% circa ma in rialzo rispetto al secondo trimestre del 19% circa.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Anche questa settimana abbiamo avuto due conferme: 1) in questo periodo gli Stati Uniti sono al centro dell’attenzione degli investitori e guidano il resto dei mercati; 2) i mercati dipendono ancora molto dai supporti monetari e fiscali.

Le correzioni, infatti, tendono ad avvenire o quando il mercato prende atto che la Fed non si muoverà fintanto che non lo farà il Congresso americano, o quando aumenta l’incertezza sulla scena politica americana, mentre le risalite si hanno esattamente nei casi opposti ovvero quando si ipotizza che la Fed possa muoversi prima, o quando si percepisce che il pacchetto fiscale si fa sempre più concreto, o quando si delinea con maggiore precisione lo scenario politico.

Riguardo alle elezioni, a prescindere da quale sarà il prossimo presidente americano la sua capacità di portare avanti la propria agenda politica dipenderà fortemente dal sostegno del Congresso, motivo per cui sarà importante vedere se i Democratici riusciranno a prendere anche il controllo del Senato.

Ripetiamo che i principali elementi che impatteranno i mercati, e che dipendono dalle elezioni americane, sono: a) la tassazione: se, ad esempio, ipotizziamo che gli utili dell’S&P500 siano stimati in crescita del 21% per il 2021, qualora dovesse vincere Biden la maggiore tassazione potrebbe eroderli del 9.2% (stima di Bofa) e impattare negativamente soprattutto i settori tech, telecom e dei consumi non discrezionali mentre settori come quello delle energie rinnovabili o delle infrastrutture sarebbero avvantaggiati; b) il pacchetto fiscale: consideriamo che, a prescindere dal vincitore, verrà deliberato un pacchetto fiscale ingente che per l’effetto moltiplicativo potrebbe tradursi in una cifra anche vicina ai 5.000 miliardi di dollari. In caso di vittoria dei Repubblicani l’aumento della spesa sarebbe ridotto ma in compenso non verrebbero introdotte nuove tasse, in caso di una vittoria Democratica a fronte di un consistente aumento della spesa pubblica si avrebbe anche un aumento della tassazione (da 21% a 28%).

Alla fine, “net net” ci sarebbe comunque un considerevole aumento della spesa pubblica e a quel punto la Fed si muoverebbe per finanziarlo e potremmo quindi cominciare a parlare di MMT (Modern Monetary Theory) e fare anche ipotesi sulla possibile evoluzione dell’inflazione, tema ad oggi abbastanza ignorato dei mercati.

Settimana decisamente positiva per le nostre linee di gestione che traggono vantaggio soprattutto dal buon andamento dei listini azionari e degli obbligazionari high yield.

Analisi dei mercati dell’11.05.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

La prima parte della settimana ha visto un po’ di tensione sui titoli di stato italiani: il rendimento del BTP decennale ha toccato il 2% e lo spread verso Bund è arrivato a 250bps. La causa principale è da attribuirsi alla decisione di martedì della Corte costituzionale tedesca che si è espressa sulla legittimità degli acquisti di titoli da parte della BCE nel programma di QE iniziato nel 2015. Non sembrano emergere problemi di monetizzazione del debito pubblico (non si ritiene che il programma finanzi gli stati) ma nei prossimi tre mesi la BCE dovrà dimostrare che gli acquisti erano realmente necessari (ovvero non sproporzionati, nel programma PSPP, rispetto agli obiettivi di inflazione, anche nel reinvestimento del capitale dei titoli di Stato rimborsati in quanto giunti a scadenza) altrimenti la Bundesbank dovrà interrompere gli acquisti e rivendere sul mercato parte del suo portafoglio. La sentenza, per ora, non si applica al PEPP ovvero al programma istituito dalla BCE specifico per gli acquisti legati all’emergenza coronavirus. Non si esclude che possa essere coinvolto in futuro.

La BCE ha subito ricordato che nel 2018 la Corte Europea di giustizia aveva giudicato adeguato il programma di acquisto titoli di Francoforte e secondo la Commissione UE le sentenze delle corti costituzionali europee sono vincolanti per tutti i tribunali nazionali. La Lagarde ha ribadito che la BCE non si lascia intimorire dalla Corte costituzionale tedesca e ribadisce che si tratta di un organo indipendente che risponde al Parlamento Europeo e agisce all’interno del proprio mandato. Lascia, quindi, alla Bundesbank il compito di rispondere e alla corte tedesca dimostrando la legittimità dell’intervento.

L’aspetto negativo della vicenda è l’ennesima conferma della mancanza di coesione e flessibilità in un momento in cui sono estremamente necessarie e si sono viste ripercussioni sui governativi (rendimenti al rialzo e spread in allargamento) e sull’euro (indebolimento).

Christine Lagarde nei vari incontri a cui partecipa dichiara che intende continuare a garantire il massimo sostegno all’economia grazie all’azione espansiva della Banca Centrale Europea Si auspica una risposta comune ad un disastro economico causato da un virus che rischia di compromettere l’Unione Europea.

Anche la Commissione Europea, che ha rilasciato le stime relative all’impatto economico della crisi sanitaria, sottolinea che è necessaria una risposta concertata e coordinata a livello comunitario per evitare gravi distorsioni e radicate divergenze economiche finanziarie e sociali. Il crollo del Pil per il 2020 è pari a -7.7% (maggiore contrazione nel secondo trimestre) con un rimbalzo di +6.3% nel 2021. Ovviamente ci sono differenza geografiche che vedono i paesi periferici più colpiti: per l’Italia il calo dovrebbe essere superiore e pari a -9.5% mentre il rimbalzo per il 2021 dovrebbe essere pari a 6.5%. Ovviamente le ipotesi alla base della ripresa sono che la pandemia rimanga sotto controllo, il lockdown venga rimosso e che le misure di sostegno intraprese siano in grado di almeno attutire l’impatto economico. Previsione in linea con quelle dell’IMF.

Fra le misure di sostegno deliberate venerdì a livello europeo si è confermato che i fondi ESM (del fondo “salvastati”) verranno erogati con la sola condizione di essere utilizzati per i costi diretti e indiretti relativi alle spese sanitarie e per un importo massimo pari al 2% del Pil dello stato richiedente. L’utilizzo può essere su base mensile e il rimborso in dieci anni. Non è chiaro ancora se l’Italia ne farà ricorso. Per quanto riguarda i finanziamenti “Sure” (la cassaintegrazione europea) e quelli della BEI (per le infrastrutture) i fondi dovrebbero essere operativi a breve. Non c’è ancora nulla di definitivo sul più importante e atteso “Recovery fund” che potrebbe essere operativo, forse, nella seconda metà dell’anno.

L’atteso verdetto da parte delle agenzie di rating si è concluso  come atteso e come il mercato si auspicava: l’agenzia canadese DBRS ha mantenuto invariato il rating a BBB (high) e tagliato l’outlook a negativo da stabile in quanto ci sono parecchie incertezze relative alle ripercussioni economiche del coronavirus sul già debole quadro italiano; Moody’s ha sospeso il giudizio, di fatto mantenendo invariati sia il rating “Baa3” (un gradino dal livello Junk) che l’outlook “stabile”, e rimanda un eventuale cambio al prossimo appuntamento del 6 novembre.

Fra i dati macro usciti in settimana segnaliamo:

  • i PMI Europa: si confermano stabili a 33.4 con il dato italiano che passa da 40.3 a 31.1 (la peggiore rilevazione da 22 anni);
  • i dati mensili sul mercato del lavoro americano: la variazione dei nuovi occupati del settore non agricolo è pari a -20.5 milioni (atteso -22 milioni), con il settore “leisure&hospitality” più impattato (-7.7 milioni), il tasso di disoccupazione sale a 14.7% (atteso 16%) mentre il dato sull’inflazione salariale segnala un rialzo del +7.9% anno/anno (da precedente 3.1%) ma è da vedere in relazione al licenziamento di lavoratori con un basso salario più che ad un reale incremento delle paghe orarie. La reazione dei mercati non è, tuttavia, stata negativa probabilmente perché l’entità del danno al mercato del lavoro era largamente attesa e basata sui dati settimanali relativi ai sussidi alla disoccupazione.

Per quanto riguarda l’azione delle banche centrali riportiamo:

  • la Banca Centrale Australiana ha lasciato invariati, come atteso, i tassi di interesse a 0.25%;
  • la Bank of England ha lasciato i tassi invariati a 0.1% (minimo storico) e ha mantenuto il target QE a 645 miliardi di sterline, in linea con le attese. Dichiara di essere pronta ad incrementare il programma se necessario dato che ritiene che il Regno Unito stia rischiando la peggiore crisi economica degli ultimi 300 anni;
  • interessante notare che ad aprile la Bank of Japan ha nel suo portafoglio “commercial paper” per circa il 30%, segno che sta intervenendo pesantemente sul mercato a favore delle società colpite dalla crisi.

Stabile il prezzo dell’oro a 1700 dollari/oncia: ha risentito un po’ del generale rialzo dei rendimenti obbligazionari in seguito alla decisione della Corte costituzionale tedesca ma poi si è riportato intorno al livello raggiunto a metà aprile.

In forte ripresa il prezzo del petrolio che si assesta intorno a 24 dollari/barile per il WTI e 30 dollari/barile il Brent. Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti hanno tagliato la produzione assieme e in modo equo: da notare che la Russia, il cui taglio ammonta a quasi 2 milioni di barili al giorno e fa scendere la produzione a 8.5 milioni di barili al giorno, di solito non taglia così velocemente e nell’ammontare concordato ma questa volta potrebbe essere stata costretta dalla limitata capacità di stoccaggio.

In Europa è entrata nel vivo la stagione delle trimestrali per le banche. Segnaliamo:

  • Intesa Sanpaolo: utile netto (1.15 miliardi) in rialzo sia all’ultimo trimestre del 2019 sia allo stesso periodo dell’anno precedente (+9.6%). Gli accantonamenti per i possibili NPL (non-performing loans) sono pari a 1.5 miliardi (includendo anche la plusvalenza legata alla cessione a Nexi di attività legate alle carte di credito). Confermato il payout ratio (percentuale di utili distribuiti) del 75% per il 2020 e 70% per il 2021 e l’intenzione di distribuire il dividendo sospeso appena verrà meno la raccomandazione della BCE. Gli utili 2020 sono attesi a circa 3 miliardi mentre per il 2021 saranno non inferiori a 3.5 miliardi. La solidità patrimoniale è confermata dal livello di Common Equity Tier 1 attestatosi al 14.5% (fra i più alti in Europa). Confermata l’intenzione di procedere alla fusione con Ubi;
  • peggiori i risultati di Unicredit che chiude il trimestre con una perdita di 2.7 miliardi di euro, la peggiore degli ultimi tre anni, e superiore alle attese degli analisti. Oltre agli ovvi accantonamenti sui crediti hanno pesato le perdite sulla cessione della banca turca Yapi Kredi e i costi straordinari sostenuti per la riduzione del personale. L’attitudine dell’AD Jean Paul Mustier rientra nel cosiddetto “kitchen sinking” ovvero fare ordine nei conti subito, mantenere un approccio cauto, e puntare ad avere delle sorprese positive. Come per Intesa anche in questo caso la solidità patrimoniale viene confermata così come i dividendi per il 2021.

La settimana si chiude positivamente per i mercati azionari (MSCI +2.9%) trainati essenzialmente dai listini americani (Nasdaq +5.8%) mentre l’Europa soffre allargando ulteriormente il divario di performance rispetto agli Stati Uniti. La sottoperformance europea si riflette anche sul cambio con l’Euro che si indebolisce rispetto alle principali valute.

QUESTA SETTIMANA

Come sempre l’attenzione sarà rivolta ai dati su una possibile ripresa dei contagi nei paesi che stanno gradualmente rilasciando il lockdown e che potrebbe rimettere in discussione la riapertura delle economie con evidenti impatti sulla crescita economica.

Molto importante la ripresa delle trattative fra Cina e Stati Uniti: questa settimana è prevista una telefonata fra le due parti in merito alle tensioni dell’ultimo periodo. L’amministrazione americana accusa la Cina, e minaccia rappresaglie, sulla base di uno studio che proverebbe che il virus è uscito dal laboratorio di Wuhan (ricordiamo che il 22 maggio è previsto il congresso del Partito Comunista Cinese durante il quale si potrà discutere delle questioni emerse).  

Proseguono i colloqui tra UK e Unione Europea in merito alle modalità della Brexit.

Mercoledì 13 verrà pubblicato il report mensile dell’OPEC che include le previsioni circa la domanda e la produzione di petrolio.

Fra i dati macro segnaliamo quelli relativi alle vendite al dettaglio e produzione industriale di aprile sia per gli Stati Uniti che per la Cina.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Alle incertezze relative all’impatto del Covid19 sull’economia si aggiungono, in questi ultimi giorni, le preoccupazioni circa un possibile riacuirsi delle tensioni fra Cina e Stati Uniti. E’ possibile che la ripresa della guerra commerciale sia l’arma che Trump potrebbe usare qualora la crisi economica si dimostrasse essere più forte del previsto e meno gestibile. A quel punto l’attenzione verrebbe dirottata da un sostanziale fallimento nella gestione dell’emergenza sanitaria/economica alla colpevolizzazione del responsabile con le conseguenti ripercussioni. Ricordiamoci che ci sono le elezioni presidenziali a novembre e Trump o ci arriva con un mercato azionario al rialzo e un’economia in fase di ripresa o dovrà trovare qualcuno a cui dare la colpa.

Come sostiene l’economista premio Nobel Paul Krugman l’economia è in una sorta di “coma indotto” dato che buona parte è stata fermata per combattere la diffusione del virus. Non si tratta di una recessione convenzionale e quindi non può essere affrontata normalmente e non si può pensare che segua la stessa evoluzione delle recessioni passate.

Per questo sono necessarie massicce dosi di stimoli finanziati con il debito pubblico, affinché rimangano attive le funzioni “vitali” e si possa pensare ad una ripresa, ma è altrettanto importante concentrarsi su come e quando “risvegliare il malato”. Un risveglio prematuro potrebbe essere pericoloso esattamente come lo sarebbe aspettare troppo.

Gli elementi da monitorare sono quindi due: 1) la curva dei contagi, per scongiurare un “risveglio prematuro” ma anche per velocizzare l’uscita dal “coma”, 2) politiche fiscali e monetarie di entità tale da attutire i danni (tanto maggiori quanto durerà il “coma indotto”).

Una volta ripresa l’attività economica anche gli utili si rimetteranno su una traiettoria ascendente (e questo giustifica la salita degli indici azionari) ma affinché tornino ai livelli precedenti occorrerà un po’ di tempo, soprattutto a causa degli inevitabili maggiori costi che le aziende dovranno sopportare per continuare il business.

Poco variate le performance delle nostre linee di gestione fra le quali spicca la Chronos che beneficia sia della forza del mercato azionario americano sia del dollaro. Il Nasdaq, mercato sul quale il portafoglio della Chronos è molto esposto, è l’unico listino azionario con performance positiva da inizio anno.

Analisi dei mercati del 27.04.2020

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

La settimana è stata inaugurata da un movimento del petrolio che non si era mai visto e che ha creato un po’ di destabilizzazione sul mercato: i futures sul petrolio WTI con scadenza maggio, sono andati per la prima volta in territorio negativo arrivando a raggiungere -40 dollari nella serata di lunedì. Da quando il New York Mercantile Exchange (Nymex) ha lanciato i contratti future sul WTI, nel marzo 1983, non si era mai verificato nulla di simile.

La motivazione tecnica del movimento violento risiede nel fatto che i futures (ovvero strumenti derivati, contratti a termine, utilizzati per copertura/speculazione sia dagli operatori che dagli investitori) sul WTI (il petrolio americano estratto in Texas) prevedono la consegna fisica dei barili di petrolio una volta arrivati a scadenza. Consideriamo che un future ha come sottostante 1000 barili di petrolio. Se a scadenza non si ha la possibilità di ritirare i barili (perché non si ha spazio o perché si stava semplicemente speculando) l’unica cosa che si può fare è vendere il future ed è proprio questo che ha portato il prezzo in negativo. Si è avverato quanto avevamo indicato, citando un articolo de Il sole 24 ore, qualche settimana fa: esauriti gli spazi di stoccaggio, gli operatori sono disposti a pagare pur di non avere la consegna fisica del petrolio.

La giustificazione principale del movimento è quindi legata alla speculazione così come al proliferare di strumenti tipo ETC per scommettere sull’andamento del prezzo del petrolio, primo fra tutti il “United States Oil Fund – USO” americano che controlla un quarto delle posizioni aperte sul WTI (vedi articolo girato la settimana scorsa). Per avere un’idea dell’entità si stima che nel mese di marzo gli scambi siano stati pari a circa due milioni di barili al giorno, il 70% in più rispetto all’anno precedente. Se consideriamo che ogni contratto ha come sottostante 1000 barili, ogni giorno sono scambiati circa due trilioni di barili, circa 400 volta la produzione fisica del Texas!

La dimostrazione che la speculazione e gli aspetti tecnici hanno contribuito in gran parte al movimento è dimostrata dal fatto che il prezzo del Brent (il petrolio estratto in nord Europa e i cui derivati consentono il regolamento “cash” e non solo fisico) non è crollato nella stessa misura ma si è mantenuto intorno ai 20 dollari al barile.

Ricordiamo che quando la curva è in “contango” (ovvero il prezzo è più alto sulle scadenze più lontane) per effetto, in questo caso, degli alti costi di stoccaggio (attualmente intorno a 8 dollari al barile al mese) gli strumenti che si basano su futures devono “rollare” le posizioni (ovvero vendere il contratto in scadenza e comprare quello o quelli successivi) e subiscono una perdita vendendo ad un prezzo più basso di quello a cui comprano.  Quando queste operazioni sono massicce l’effetto viene esasperato e gli strumenti che ne pagano più le conseguenze sono gli ETC a leva: se, ad esempio, il prezzo del petrolio scendesse del 30% (passando da 20 dollari a 14) un ETC leva tre moltiplicherebbe per tre la performance giornaliera arrivando a perdere il 90% del suo valore, cioè quasi azzerando l’investimento (spesso l’ETC viene poi liquidato annullando qualunque possibilità di recupero).

Ovviamente ci sono anche motivazioni fondamentali che spiegano il calo del prezzo del petrolio: la domanda, che viaggiava in un intorno di 100 milioni di barili al giorno, è di fatto paralizzata (dopo essere crollata del 30%) dal lockdown e quindi neanche un prezzo incredibilmente basso riesce a stimolarla (ricordiamoci che circa il 50% domanda è legata al trasporto automobilistico e circa 20% a quello aereo). Occorre necessariamente fare ripartire l’economia perché ci sia un minimo di ripresa della domanda (che comunque difficilmente tornerà a livelli pre-crisi in tempi brevi).

Occorre, quindi, agire sull’offerta: ci vorrebbe un taglio più intenso della produzione (i tagli decisi nell’ultimo Opec partono da maggio) che dai dati non sembra stia scendendo (anzi ad aprile è vicina ai massimi storici). Da quando gli USA sono entrati nel settore con lo shale oil il controllo dell’offerta è andato in tilt (libero mercato in US vs oligopolio dell’Opec+) tant’è che gli Stati Uniti hanno raddoppiato la produzione nel giro di cinque anni arrivando a produrre circa 13 milioni di barili al giorno (shale oil ha break-even price di 30 dollari per i produttori che non hanno ancora ammortizzato gli investimenti, per gli altri è più basso).

Trump minaccia di introdurre tariffe sulle importazioni di petrolio ma queste rischierebbero di essere poco efficaci per alzare prezzi (anzi) ma avrebbero semplicemente un effetto redistributivo: positivo per produttori domestici americani ma con il costo pagato da paesi emergenti.

Il basso prezzo del WTI mette in difficoltà alcuni produttori americani di petrolio e gli effetti li vediamo sui prezzi delle obbligazioni High Yield del settore oil che in certi casi riflettono già una situazione di default.

L’attenzione degli investitori rimane sempre concentrata sulle misure governative a supporto dell’economia e anche questa settimana gli Stati Uniti si sono distinti dall’Europa (in positivo).

Il Congresso americano ha approvato un pacchetto aggiuntivo pari a 480 miliardi di dollari a favore di piccole e medie imprese, ospedali e test sui virus. Questa ulteriore misura porta la risposta alla crisi alla cifra di 3000 miliardi di dollari. Qualche delusione invece dall’Unione Europea i cui leader, durante il vertice di giovedì, hanno confermato il pacchetto di 540 miliardi: 100 miliardi per il “Sure” (una sorta di cassa integrazione europea), 240 miliardi per il MES (il “fondo salvastati”) e 200 miliardi tramite la BEI.

Hanno, inoltre, deciso di istituire un “Recovery fund” sul quale dovranno essere elaborate, da parte della Commissione Europea, le proposte entro il primo giugno. I dettagli potrebbero essere resi noti tra parecchio tempo dato che rimangono forti le divisioni fra chi chiede finanziamenti a fondo perduto (Italia e Spagna) e chi ritiene debbano essere dati sotto forma di prestiti (blocco nordico).  La size dovrebbe essere di un trilione (non due come atteso) finanziato da bond emessi dalla CE e legato al budget 2021-2027. La delusione deriva proprio dalla mancanza di dettagli (finanziamenti fondo perduto o prestiti?), da una minore size rispetto alle attese e dal timing dell’implementazione.

La Lagarde, in una lettera a un membro del Parlamento Europeo, afferma che potrebbe essere illegale, per la BCE, acquisire direttamente dai governi il debito e, quindi, la Banca Centrale resterà acquirente solo sul mercato secondario. Intervenendo all’apertura del summit ha avvertito che esistono pesanti rischi di severa contrazione, anche nell’ordine del 15% pertanto è importante un supporto massiccio di politica fiscale.

La BCE mercoledì ha deciso che accetterà i c.d. “fallen angels”, ovvero i titoli Investment Grade che a causa degli effetti della crisi vengono downgradati a high yield, come collaterale per evitare una crisi del credito nella zona euro. I bond ammessi dovevano essere almeno BBB- alla data del 7 aprile e non dovranno, comunque, avere un rating inferiore a BB. Verranno ammessi come collaterale fino a settembre 2021. Dovesse essere downgradato il debito italiano, questo verrà comunque accettato come collaterale (magari con haircut più alti) e acquistato fino a settembre 2021.

Chi temeva un possibile downgrade dell’Italia è stato rassicurato venerdì sera quando S&P si è pronunciata sul rating sovrano lasciandolo invariato (BBB e outlook negativo) ma sottolineando che è, ovviamente, atteso un peggioramento dei rapporti deficit/Pil e debito/Pil. L’economia italiana è considerata ricca e diversificata e la posizione netta dell’Italia sull’estero consente di bilanciare in parte il peso dell’alto debito pubblico, tuttavia una revisione negativa del rating sarà possibile se l’Italia non porterà il debito su un sentiero di discesa nei prossimi tre anni o se si deterioreranno le condizioni di credito. L’8 maggio si pronunceranno DBRS (rating BBB outlook stabile) e Moody’s che, pur avendo posto il rating all’ultimo gradino dell’investment grade (Baa3 e outlook stabile) ha, di recente, pubblicato una nota tranquillizzante.

L’agenzia Fitch invece si è espressa sul settore bancario affermando che il 95% delle banche dell’Europa occidentale saranno in difficoltà nel 2020 e saranno possibili downgrade. Le motivazioni risiedono nell’incertezza legata alla durata della crisi e all’efficacia delle misure prese dai governi e dalle varie istituzioni per supportare le aziende. Fra le banche italiane solo Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi e Mediobanca hanno mantenuto la view precedente.

All’inizio della settimana c’è stata un po’ di tensione sullo spread. Consideriamo che i titoli di stato italiani sono fra i più liquidi in circolazione e ciò li rende più soggetti alla speculazione legata, questa volta, all’incertezza circa l’esito del consiglio europeo di giovedì.

Inoltre, il Tesoro ha collocato un BTP 5 anni (scadenza 1 luglio 2025) e riaperto il BTP 30 anni (scadenza 1 settembre 2050): le richieste degli investitori hanno superato i 110 miliardi di euro complessivi per un’offerta di 16 miliardi (sufficienti a coprire i 15 miliardi dei BTP Italia in scadenza il 23 aprile) ma i tassi sono stati più alti. La BCE ha continuato ad offrire sostegno al mercato (acquistati 20 miliardi la settimana precedente nell’ambito del programma PEPP) riportando lo spread intorno a 220bps.

Con il DEF il Governo italiano porta l’obiettivo deficit/Pil nel 2020 al 10.4% e al 5.7% nel 2021 per effetto dell’eliminazione delle clausole di salvaguardia Iva. Il debito passa al 155.7% nel 2020 e al 152.7% nel 2021 con un Pil tendenziale del -8% per quest’anno e +4.7% il prossimo.

Fra i dati macroeconomici pubblicati in settimana sottolineiamo i PMI (indici di fiducia delle imprese) preliminari di aprile: in Europa i numeri usciti sono parecchio deludenti soprattutto per la parte servizi (da 26.4 a 11.7 vs attese di 22.8) che ha portato il dato aggregato a 13.5 da 29.7. Decisamente più vicini al consenso anche se in calo quelli americani.

Coca Cola riporta bene e batte le stime ma come ormai quasi tutte le società annulla le guidance per il resto dell’anno evidenziando che quindi la visibilità è decisamente limitata.

Qualche dato sulla reporting season: in US, con circa il 20% delle società dell’S&P500 che ha riportato, l’utile risulta in calo del 18% circa (a causa soprattutto del settore finanziario) mentre, in Europa, con il 17% delle società europee il 25% delle società dell’Eurostoxx600, l’utile è in calo del 16% ma dobbiamo considerare una diversa composizione settoriale in quanto in Europa il grosso del settore finanziario deve ancora riportare.

La settimana si è conclusa con una correzione per l’azionario (MSCI World -1.4%), soprattutto europeo (Eurostoxx50 -2.7%), e per il segmento High Yield americano. Poco significative le variazioni sul mercato dei cambi. Commodity in forte correzione (CRY -9%) a causa del crollo del prezzo del petrolio (WTI -32%) mentre l’oro guadagna terreno mantenendosi sopra i 1700 dollari/oncia (+2.12%).

QUESTA SETTIMANA

La settimana delle banche centrali è stata inaugurata dal meeting della BOJ: la banca centrale giapponese ha mantenuto, come atteso, i tassi invariati a -0.10% ma la cosa più importante, e che i mercati si auspicavano, è stata la rimozione dei limiti precedenti (80 trillion yen all’anno, pari a 742 miliardi di dollari) agli acquisti di bond governativi (al fine di mantenere allo 0% il rendimento del JGB a 10 anni) e l’innalzamento del limite agli acquisti di corporate (la BOJ potrà detenere fino a 20 trillion yen, pari a 186 billion USD, in corporate debt  rispetto ai 7.4 precedenti).

Altrettanto importante la proposta da parte del governo di un extra budget per l’economia pari a 25.690 miliardi di yen (240 miliardi di dollari) che comprende la distribuzione di 100.000 yen a ciascun residente (circa 930 dollari).

Mercoledì 29 l’appuntamento sarà con la Fed FOMC: non sono attese variazioni dei tassi attualmente fissati nel range 0%-0.25%.

Giovedì 30 aprile si riunirà la ECB: è probabile che, come ha già fatto la Fed, deciderà di includere le obbligazioni High Yield nel programma di QE dopo averli ammessi come collaterale. Qualcuno si attende una nuova asta TLTRO a tassi agevolati per facilitare il finanziamento delle imprese e un incremento del PEPP (attualmente 750 miliardi).

La settimana vedrà anche la pubblicazione dei dati su GDP del primo trimestre: per US è atteso -3.9% (in declino per la prima volta in 6 anni e con il più forte calo dal 1940), mentre per l’Eurozona le stime sono per un calo di 3.4% (con l’Italia a -5.2%).

In Cina si riunirà lo Standing Committee del Parlamento, in ritardo rispetto ai programmi a causa di covid19.

Il primo maggio, festa in molti paesi, cominceranno ad allentarsi le misure restrittive imposte dalla gestione della pandemia. Negli Stati Uniti saranno i singoli governatori a decidere per il proprio stato.

Il primo maggio, festa in molti paesi, cominceranno ad allentarsi le misure restrittive imposte dalla gestione della pandemia. Negli Stati Uniti saranno i singoli governatori a decidere per il proprio stato.

Sempre il primo maggio entreranno in vigore i tagli alla produzione di petrolio decisi dall’OPEC+ ad aprile (9.7 milioni di barili al giorno).

Prosegue la reporting season in US e in Europa. Riporteranno i risultati circa 200 aziende dell’S&P500 tra le quali segnaliamo Amazon, Twitter, Facebook, Microsoft, Apple, Alphabet, nel tech, ma anche GE, Boeing, 3M negli industrial e Ford, Tesla, Harley Davidson industrial, McDonalds fra i consumer.

CONSIDERAZIONI FINALI

Le preoccupazioni di questo periodo sono, ovviamente, di due tipi: sanitario (si monitora la curva dei contagi) ed economico, sia micro (si monitora l’impatto del lockdown sulle aziende) che macro (sui conti dei paesi più colpiti e più indebitati).

Per quanto riguarda il primo aspetto sarà essenziale che al graduale rilascio delle restrizioni non segua un’impennata dei contagi che porti ad un nuovo lockdown o ad un nuovo intasamento del sistema sanitario.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, dal punto di vista micro-economico, sempre più aziende segnalano la necessita di tornare ad operare altrimenti i danni dello stop diventeranno irreversibili. Il presidente di Brembo, in un’intervista, ha dichiarato che se l’attività produttiva non riprende velocemente, se quindi l’Italia non si aggancia subito alla locomotiva tedesca, il futuro delle aziende italiane sarà a rischio. Le aziende che fanno parte di catene produttive internazionali rischiano di farsi scavalcare e sostituire da concorrenti esteri se non saranno in grado di garantire le forniture. Per non parlare di settori definitivamente danneggiati e che andranno incontro a maggiori costi e minori ricavi come quello turistico e della ristorazione.

Tante imprese si trovano in crisi di liquidità. A tal proposito, su Il sole 24 ore è stato pubblicato un articolo che suggerisce, come soluzione all’aumento dell’indebitamento delle imprese italiane costrette a finanziarsi per ottenere iniezioni di liquidità, di convertire buona parte di questi debiti in capitale di rischio. Si dovrebbe costituire un fondo sottoscritto da Cassa Depositi e Prestiti e magari da istituzioni finanziarie (come ad esempio le fondazioni o i fondi pensione) in grado di acquistare i prestiti convertibili derivanti dalla trasformazione dei debiti bancari. La dimensione dovrebbe essere di 20-25 miliardi e destinato alle imprese di dimensione minima non inferiore a 25 milioni di fatturato e massima 5 miliardi, con 50 addetti. Per le aziende più piccole si dovrebbe pensare a prestiti trasformati in contribuiti a fondo perduto. In questo modo si potrebbe rimettere in moto la nostra economia.

Per quanto riguarda, infine, il punto di vista macro-economico sappiamo bene che gli impatti sui bilanci nazionali degli interventi a supporto dell’economia saranno consistenti. La stessa agenzia Moody’s ritiene che l’affidabilità creditizia dell’Italia, ad esempio, dipende da un piano di bilancio credibile dopo lo shock legato all’epidemia. E’, quindi, indispensabile pensare subito a come intervenire soprattutto qualora dall’Europa non arrivino tempestivamente e nella giusta misura e forma i fondi necessari.

Sempre su Il sole 24 ore, un articolo un po’ provocatorio, suggerisce di sfruttare la ricchezza delle famiglie: gli Stati si dovrebbero finanziare fuori mercato attraverso obbligazioni retai inalienabili ma con possibilità di rimborso anticipato “on-demand” a condizioni certe. Ogni banca centrale nazionale (ad es. la Banca d’Italia) dovrebbe rilevare dal governo la quota di titoli retail rimborsata anticipatamente e si indebiterebbe con la BCE per acquistare quelli emessi, facendosi così carico del rischio di perdite. Se non si trovasse un accordo a livello europeo ogni singolo stato (l’Italia ad esempio) potrebbe emettere obbligazioni con durata da 6 mesi a 3 anni riservate ai retail. Sarebbero obbligazioni non vendibili, con conseguenti rendimenti vantaggiosi, ma rimborsabili anticipatamente (con delle penali ovviamente in modo da incentivare la detenzione fino a scadenza). Si calcola che, a fine 2018, la ricchezza finanziaria netta degli italiani sia stata di circa 3.300 miliardi di euro, di cui il 42% rappresentato da monete e depositi. Se si ipotizzasse di intercettarne il 10% si riuscirebbe a coprire il 50/75% del fabbisogno causato da Covid19 evitando di ricorrere a patrimoniali o a poco interessanti prestiti perpetui a tasso basso. Food for thought.

In leggero calo i rendimenti delle nostre linee di gestione. L’esposizione all’oro e alle valute diverse dall’euro hanno consentito di limitare le perdite.