Le buone notizie sul fronte Brexit e sui negoziati commerciali USA-Cina hanno portato una ventata di ottimismo e permesso agli indici azionari, soprattutto europei, di concludere positivamente la settimana. Per contro, la fase di risk-on ha pesato sui rendimenti obbligazionari, in rialzo un po’ ovunque, e quindi sul segmento investment-grade del mercato a spread.
Partiamo dagli incontri tra Cina e Stati Uniti: non c’è ancora un documento ufficiale, che sarà probabilmente firmato il mese prossimo. Le indiscrezioni confermano quanto il mercato si aspettava e auspicava in settimana, ovvero una fase di tregua con la sospensione delle tariffe che sarebbero dovute scattare dal 15/10. La Cina aumenterà gli acquisti di prodotti agricoli americani e proseguirà il percorso di apertura dei mercati finanziari. Non si è parlato, invece, del controverso tema della protezione della proprietà intellettuale, del prossimo incremento delle tariffe previsto per il 15 dicembre e del caso Huawei, anche se, secondo il NY Times, gli Stati Uniti dovrebbero concedere nuove licenze alle aziende americane per fornire a Huawei dei materiali “non sensibili”. Il mercato si attendeva una sorta di currency-pact: anche su questo punto non ci sono notizie ufficiali ma è molto probabile che la Cina si impegnerà a mantenere il Renminbi stabile o più forte alla luce di un accordo valutario non pubblico. La valuta cinese, intanto, si sta riportando intorno alla soglia di 7 verso USD.
In UK la sterlina ha decisamente beneficiato dell’ottimismo relativo alla Brexit: il premier irlandese Varadkar e quello inglese dichiarano di avere avuto una discussione costruttiva ed un accordo è possibile, stessa cosa dichiarano il capo negoziatore per la UE Michel Barnier e l’omologo britannico Stephen Barclay.
Il governatore della Bank of England Carney segnala che, comunque, in caso di hard Brexit la banca centrale farà di tutto per sostenere la crescita.
Tornando alle banche centrali, in settimana sono state pubblicate le minute dei meeting di settembre di Fed e ECB: da quelle relative alla Fed è emerso che, se da un lato i timori di un rallentamento globale della crescita lasciano aperte le porte ad un ulteriore stimolo monetario, dall’altro non viene indicata una tempistica precisa. Inoltre, da parte di alcuni membri dissenzienti è arrivata la richiesta di mettere fine all’easing, il che fa emergere dissensi all’interno del comitato.
Il tema delle tensioni sull’interbancario è stato affrontato, sembra, in un meeting straordinario il 4 ottobre, decidendo di partire con l’acquisto di 60 miliardi di dollari al mese di treasury bill fino a giugno 2020 e prolungando i repo fino a gennaio 2020.
Anche all’interno della BCE sono emerse spaccature dalla pubblicazione dei verbali relativa al meeting del 12 settembre: il QE è stato riaperto nonostante il parere contrario del comitato tecnico di politica monetaria. Circa un terzo dei membri si è detto contrario alla misura (come abbiamo già riportato negli scorsi commenti la tedesca Sabine Lautenschlaeger si è dimessa) e alcuni ex banchieri centrali hanno espresso pubblicamente critiche a Draghi, lanciando indirettamente messaggi a Christine Lagarde che sarà al vertice della BCE dopo il 24 ottobre.
Sul tema dei tassi negativi è tornato Mustier che, dopo le dichiarazioni in qualità di presidente della Federazione bancaria europea, anche in qualità di AD di Unicredit ha affermato che la banca si sta attrezzando affinché già nel 2020, nei diversi paesi in cui opera, i tassi negativi vengano gradualmente trasmessi ai clienti avendo cura, però, di salvaguardare i depositi inferiori ai 100 mila euro. Siccome la misura impatterà i depositi “ben al di sopra dei 100 mila euro” verranno offerte soluzioni alternative come investimenti in fondi di mercato monetario senza commissioni e obiettivi di performance positive. Si tratta di un territorio inesplorato e si dovrà verificare la compatibilità e il rispetto del Testo Unico Bancario, del Codice Civile, e il principio della tutela del risparmio sancito dalla Costituzione.
Intanto, approfittando del regime di tassi bassi, proseguono le emissioni obbligazionarie sia governative che corporate.
Dopo un’assenza di nove anni, il Tesoro italiano è tornato ad emettere BTP denominati in dollari riscontrando un discreto successo. Si tratta di un’emissione da 7 miliardi in tre tranche: 2.5 miliardi a 5 anni, 2 miliardi a 10 anni e altri 2.5 miliardi a 30 anni. Dopo la crisi finanziaria i costi degli swap valutari sono saliti a tal punto da rendere nulla la convenienza ad emettere titoli in dollari, giustificando, in parte, la quasi totale assenza dei bond italiani dal mercato globale dei titoli in dollari. Nella seconda metà del 2018 sono stati chiusi gli accordi bilaterali CSA, Credit Support Annex, firmati dal Tesoro con tutte le controparti, che hanno abbattuto il costo dei derivati necessari a proteggersi dal rischio di cambio. Considerata la buona accoglienza dell’operazione, probabilmente vedremo nuove emissioni in valuta con l’obiettivo di “garantire una presenza più regolare sui mercati esteri”, come indicato nelle linee guida sulla gestione del debito pubblico per il 2019. Possibile anche un’emissione in yen.
Il Tesoro ha annunciato anche una nuova offerta di BTP Italia che partirà il 21 ottobre: verrà messo sul mercato un titolo a 8 anni con un tasso annuo minimo garantito che verrà comunicato venerdì 18 ottobre. Ricordiamo che a novembre del 2018 l’ultima offerta di BTP Italia è andata quasi deserta: si trattava di un titolo a 4 anni con una cedola di 1.45%, che è stato penalizzato da un contesto politico sfavorevole. Tuttavia, si è rivelato un titolo interessante tanto che, a distanza di un anno, in questo momento quota 104. Attualmente la situazione è diversa e il Tesoro ne approfitta raddoppiando la durata, garantendo, probabilmente, condizioni economiche meno interessanti.
Considerando le emissioni della settimana e i titoli attualmente in asta, l’Italia dovrà collocare ancora 25 miliardi di BTP entro fine anno. Si tratta di una cifra inferiore ai 55 miliardi di rimborsi e quindi tale da non pesare sullo spread, a tutto vantaggio della legge finanziaria. Ad oggi il Tesoro ha superato l’80% del fabbisogno sul medio-lungo termine.
Interessante notare che anche la Grecia ha emesso, per la prima volta, bond a rendimenti negativi. Si tratta di titoli di stato a tre mesi collocati per un ammontare di 487.5 milioni di euro ad un tasso di -0.02%. La Grecia ha riconquistato la credibilità, uscendo ufficialmente, ad agosto dello scorso anno, dal commissariamento legato al salvataggio europeo. Sul mercato secondario, da inizio anno ad oggi i rendimenti dei titoli greci sono passati da 2.29% a 1.40%, a conferma del pieno accesso ai mercati finanziari da parte di un emittente che è stato il simbolo della crisi dell’euro.
Passando alle emissioni corporate, segnaliamo che Enel, in settimana, ha emesso il secondo green bond, emissione in tre tranche con scadenze di 5, 7 e 15 anni, raccogliendo ordini per circa 10 miliardi, a fronte di un’offerta di 2.5 miliardi. La prima tranche ha spuntato una cedola fissa pari a zero, con rendimento a scadenza 0.189%, dato che il prezzo di emissione sotto la pari è stato 99.123; un meccanismo di step-up incrementerà il tasso di 25 bps in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo di una determinata percentuale di fonti rinnovabili sulla capacità installata (Sgd-linked ovvero obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite). Il tasso della seconda tranche da 7 anni è pari a 0.375% mentre quello della terza da 15 anni è pari a 1.125%.
QUESTA SETTIMANA
Negli Stati Uniti il tema della settimana prossima dovrebbe essere più microeconomico: inizia infatti la reporting season americana, dalla quale emergerà il vero stato della corporate americana e si valuterà l’impatto sugli utili del rallentamento economico in corso e delle tensioni commerciali. Si parte con i big della finanza, tra cui JPM, Citigroup, Wells Fargo, Bofa, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Amex e Blackrock, per passare ai consumer, quali J&J, Netflix, Coca Cola. Gli utili del terzo trimestre sono attesi ancora deboli ma, come sempre, importanti saranno le guidance e il dato tendenziale rispetto al trimestre precedente.
In UK la settimana sarà molto importante per capire le sorti del paese: iniziamo con martedì 15 ottobre quando il Parlamento britannico voterà il programma del premier Boris Johnson con possibile voto di sfiducia e nuove elezioni; giovedì 17 a Bruxelles i leader europei si incontreranno per due giorni e Brexit sarà al centro delle discussioni; sabato 19 sarà la deadline per il premier britannico che dovrà giungere ad un’intesa con la UE e convincere il parlamento britannico a ratificarla.
Sospesa l’entrata in vigore dei nuovi dazi previsti per questa settimana, occorre definire i dettagli precisi dell’accordo tra Cina e Stati Uniti; la partita non si è ancora conclusa tanto che, oggi, la Cina dichiara che occorrono ulteriori incontri per firmare la prima fase dell’accordo con Trump.
A Washington sono previsti gli incontri annuali di World Bank e IMF e verrà presentato il World Economic Forum.
Interventi dei vari banchieri centrali in diverse occasioni daranno ulteriore colore al dibattito in corso sulla politica monetaria.
In Germania verrà pubblicato lo ZEW relativo alla fiducia degli investitori.
Venerdì 18 la Cina pubblicherà il dato del Pil del terzo trimestre, atteso a 6.1%, oltre alla Produzione industriale e alle vendite al dettaglio.
Sempre venerdì verranno applicate le tariffe imposte da Trump su 7.5 miliardi di dollari di prodotti europei .