Analisi dei mercati del 14.12.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIME DUE SETTIMANE

Mentre l’ultimo giorno di novembre si è chiuso con dei forti movimenti tecnici (al ribasso per gli indici azionari) legati al ribilanciamento dei fondi (infatti sulla chiusura dei mercati europei ci sono state parecchie vendite), durante le prime due settimane di dicembre i mercati si sono stabilizzati oscillando in funzione, soprattutto, del newsflow relativo al piano fiscale americano e alle trattative sulla Brexit.

Il settore tecnologico americano, decisamente ben intonato nei primi giorni del mese, ha poi sofferto per l’aumento dei rischi regolamentari: la Federal Trade Commission, infatti, sta agendo contro Facebook accusandola di pratiche anticoncorrenziali e proponendo di separarla dalle società recentemente acquisite, ovvero Instagram (acquistata nel 2012) e WhatsApp (acquistata nel 2014). La questione ha pesato sull’intero settore tecnologico (anche Google è presa di mira) portando a massicce prese di profitto.

L’euro è stato particolarmente forte a inizio dicembre e si è, poi, stabilizzato intono a 1.21. La rottura della resistenza di 1.20 non ha generato nessun intervento verbale da parte dei banchieri (come, invece, avvenne a settembre da parte del capoeconomista della BCE Lane) e questo ha generato un non rientro nel trading range precedente (1.16-1.20) in piedi da agosto. Fra i principali fattori che hanno portato alla debolezza del dollaro possiamo citare la nomina della Yellen al Tesoro (e quindi l’attesa di una politica fiscale espansiva che genera un maggiore deficit) e le aspettative circa le riunioni delle banche centrali che avrebbero potuto evidenziare le armi spuntate da parte della BCE (relativamente alla Fed). Il differenziale dei tassi nominali a breve termine (fra area euro e Stati Uniti), attualmente, non giustifica il movimento del cambio eur/usd, che potrebbe, invece, trovare qualche appiglio sia nelle diverse aspettative di inflazione fra le due aree (maggiori negli Stati Uniti) sia, come detto sopra, nel fatto che gli Stati Uniti si avviano verso il c.d. “twin deficit” (disavanzo fiscale e delle partite correnti) che giustifica una valuta più debole. La curva dei rendimenti governativi americani, infatti, si è leggermente “irripidita” con i tassi più a lunga scadenza (dai cinque anni in su) che sono saliti.

Andamento opposto per i governativi europei che mantengono bassi rendimenti con i paesi della periferia che vedono ulteriori restringimenti degli spread: il Portogallo si è aggiunto ai paesi che possono vantare un rendimento negativo sul titolo decennale (attualmente pari a -0.03%), il pari scadenza spagnolo viaggia in un intorno dello zero mentre anche il BTP italiano a cinque anni ha raggiunto un rendimento negativo. Ricordiamo che si tratta di paesi appartenenti ai cosiddetti PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) al centro della crisi del debito sovrano nel 2011. Ad oggi l’Italia rimane, insieme alla Grecia, il paese con i rendimenti più alti in area euro, seppur in calo.

Le ultime due settimane sono state decisamente dense di eventi.

Partiamo con la riunione della BCE di martedì 10: i tassi non sono stati modificati (tasso principale 0%, tasso sui depositi -0.50%) e rimarranno tali (se non ancora più bassi) finché non ci sarà stabile crescita e inflazione in ripresa e, comunque, oltre il termine della pandemia.  La dotazione del piano PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) è stata incrementata di 500 miliardi (arrivando ad un totale di 1.850 miliardi) e la durata protratta fino a marzo 2022 (le attese erano dicembre 2021): su questo punto è emerso che il comitato era diviso sull’ammontare dell’incremento ma la decisione circa l’estensione è stata unanime. Anche sul secondo strumento in mano alla BCE, ovvero il TLTRO3 (Targeted Long Term Refinancing Operations) è stata ricalibrata la durata, estendendo di ulteriori 12 mesi (fino a giugno 2022) il periodo in cui si applicano condizioni favorevoli di rifinanziamento (tra -0.5% e -1%) e aumentando il limite che le banche possono chiedere a prestito.

Per quanto riguarda il cambio, Christine Lagarde, durante la conferenza stampa, ha risposto ad un’esplicita domanda ribadendo che si tratta di un elemento importante e da monitorare, dato che impatta sulle prospettive di inflazione, ma non è direttamente nel mandato della banca centrale.

Durante questo incontro era anche prevista la comunicazione delle nuove previsioni di crescita: il Pil del 2020 è stato rivisto leggermente in miglioramento a -7.3% (da -8% della stima di settembre) mentre per il 2021 la crescita attesa è del +3.9% (dal +5% stimato precedentemente). Sul lato dell’inflazione la stima rimane invariata a +1% per l’anno prossimo quindi ben sotto al target.

In sostanza la BCE sta cercando di mantenere condizioni finanziarie favorevoli per il sistema nel complesso (privati, imprese e governi) almeno fino alla fine della pandemia. Tuttavia, il mercato (nella componente azionaria) non ha reagito particolarmente bene non vedendo nulla di nuovo nella strategia di politica monetaria ma semplicemente un’estensione dell’attuale.

Sul tema dividendi delle banche la BCE non si è espressa ma venerdì, a borse chiuse, è uscita la notizia di un possibile cap al payout ratio (quota degli utili destinata alla distribuzione agli azionisti) che si porrebbe al 20% dei profitti. 

L’altro tema parecchio dibattuto in questo periodo in Europa ha riguardato la riforma del Mes (conosciuto come Fondo Salvastati). Occorre, innanzitutto, premettere che tale riforma non ha nulla a che vedere con il Mes “sanitario”, ovvero quello legato ai prestiti per affrontare la pandemia, ma si riferisce a quello istituito nel 2012 e che è intervenuto in aiuto di Irlanda, Portogallo, Grecia, Spagna e Cipro in cambio dell’impegno a realizzare riforme draconiane dell’economia per risanare le finanze pubbliche. Nel 2018 il Consiglio europeo ha esteso le funzioni del Mes permettendogli di intervenire anche in supporto delle istituzioni bancarie e finanziarie.

L’Eurogruppo, che raccoglie i vari ministri delle Finanze, dopo un anno di trattative, ha finalmente raggiunto un accordo per la riforma del Mes che riguarda due aspetti:

  • la sua trasformazione in “paracadute” per il fondo di risoluzione bancaria (Srf) a partire dal 2022 (e non dal 2024 come inizialmente previsto). Il Mes acquisirebbe, così, il ruolo di salvagente di ultima istanza in caso di crisi bancaria intervenendo, con una linea di credito al SrF, qualora lo Stato esaurisse le munizioni finanziarie nazionali e anche il bail-in (salvataggio interno) fosse già stato effettuato. L’ammontare a disposizione sarà di circa 68 miliardi e, in caso di accesso, il rimborso del prestito dovrà avvenire con i contributi delle banche entro tre o cinque anni. L’obiettivo è di rafforzare l’unione bancaria e rappresenta un primo passo verso un accordo sulla garanzia unica europea per i depositi. Sottolineiamo che, sebbene il sistema bancario italiano abbia fatto progressi notevoli e le sofferenze siano in calo, l’Italia rimane fra i paesi con il più alto livello di crediti inesigibili (insieme a Cipro, Portogallo e Grecia);
  • per quanto riguarda la parte relativa al salvataggio dei singoli Stati, le principali differenze, rispetto alla versione precedente (quella che, per intenderci, fu alla base dell’intervento sulla Grecia), riguardano la sostituzione della Troika (BCE, FMI e Commissione Europea) con la sola Commissione Europea (che gestirebbe con il Mes le linee di credito e il monitoraggio) e la richiesta di una semplice lettera di intenti (invece di uno stringente memorandum) per attivare la prima linea di credito. Sarebbe proprio questo il punto che non piace ad alcuni paesi (Italia compresa): le condizionalità che permettono l’attivazione della linea di credito in questo modo riguardano il rispetto dei parametri di Maastricht (rapporto deficit/Pil inferiore a 3% e debito/Pil inferiore a 60%) e nessuna procedura di infrazione in corso ma il rischio è che, in mancanza si assoluzione degli obblighi previsti (tipo il miglioramento della situazione di bilancio) vi sia un aumento consistente del tasso di interesse. Inoltre, la ristrutturazione del debito pubblico diventa tanto più pesante quanto maggiore è la quota di tale debito detenuta all’interno del paese da parte di banche e cittadini: in Italia, ad esempio, tale quota è pari a circa il 75% mentre per la Germania è pari a solo il 20%.

L’iter procedurale adesso prevede che il 27 gennaio l’accordo sia firmato dal Consiglio Europeo e successivamente ratificato dai singoli stati (19 paesi dell’area euro) per, poi, entrare in vigore nel 2022.

Sempre in Europa, molta enfasi è stata posta sull’approvazione del Recovery Plan o Next Generation EU: durante l’ultima riunione presieduta dalla Germania, la Cancelliera Angela Merkel è riuscita a trovare un accordo con Polonia e Ungheria che ha, di fatto, portato a un’intesa dei 27 paesi sul bilancio comunitario 2021 e 2027 e sbloccato il pacchetto da oltre 1.800 miliardi di euro (di cui 750 per il vero e proprio Recovery Fund).

Spostandoci dall’altra parte dell’oceano, il newsflow politico ha continuato a farla da protagonista soprattutto per la parte relativa allo stimolo fiscale americano: il Congresso sta discutendo della proposta bipartisan, pari a circa 900 milioni di dollari (ovvero, i 500 voluti dai repubblicani sommati ai 450 che Mnuchin sottrarrebbe al programma “main street” della Fed), che rappresenterebbe un “ponte” in attesa del piano più corposo atteso quando entrerà ufficialmente in carica Biden, a gennaio, e la Yellen si occuperà del Tesoro. Siamo lontani dagli oltre 2.000 miliardi voluti dai Democratici ma è comunque un passo in avanti. Rimane aperto e in attesa di risoluzione il tema del “debt ceiling”, ovvero il tetto del debito americano il cui sforamento è da approvare da parte del Congresso alla fine di ogni anno per evitare la paralisi della macchina amministrativa.

Trump, al di là delle dichiarazioni di una prossima ricandidatura alle elezioni del 2024, sembra avere accettato la sconfitta e oggi ci dovrebbe essere l’ufficializzazione del risultato. Ricordiamo che rimane ancora aperta la questione relativa alla composizione del Senato che verrà smarcata con il ballottaggio in Georgia a inizio gennaio.

Mentre Stati Uniti ed Europa, quindi, sono ancora in fase di discussione, il Giappone prosegue deciso nella sua politica fiscale di sostegno annunciando un piano di 700 miliardi di dollari a supporto delle aziende e settori più in difficoltà (es. turismo). È evidente come nel paese del Sol Levante (ma, forse, in Asia in generale) le decisioni siano molto più veloci, sia in campo fiscale che monetario, dimostrando una maggiore reattività delle autorità.

Per rimanere in ambito politico non poteva certo mancare all’appello la Gran Bretagna alle prese con un’estenuante negoziazione con l’Unione Europea la cui deadline continua ad essere posposta. Si teme che sia forte la possibilità di non arrivare ad un punto in comune che comporterebbe un’uscita senza accordo (e la sterlina, nell’ultimo periodo, ne ha decisamente risentito). La scorsa settimana il premier Johnson si è recato a Bruxelles per discutere direttamente con Ursula Von der Leyen; le trattative sono, poi, proseguite nel week-end ottenendo, semplicemente, di continuare la negoziazione fino all’ultimo. Un’intesa di massima sul tema del confine fra le due Irlande è stato trovato (l’Irlanda del Nord rimarrebbe nel mercato comune e, quindi, nell’unione doganale europea) ma rimane aperto il punto sulla pesca, quello della concorrenza (regole) e dei sussidi (aiuti di stato) e quello dell’autorità competente in caso di disputa, tutti i temi che risultano particolarmente delicati per UK.

Per quanto riguarda i vaccini si avvicina la fase dell’approvazione e del loro utilizzo. L’FDA americana il 10 ha approvato il vaccino di Pfizer e il 17 è chiamata a decidere su quello di Moderna. L’autorità europea EMA (European Medicines Agency, che si occupa dell’approvazione dei farmaci) ha annunciato che si esprimerà entro il 29 dicembre per il vaccino di Pfizer ed entro il 12 gennaio per quello di Moderna. In UK, invece, il vaccino di Pfizer è già stato approvato (si tratta del primo paese al mondo a farlo con la motivazione dell’emergenza) e le vaccinazioni sono già cominciate l’8 dicembre. Anche in Russia è partita la campagna di vaccinazione di massa con il vaccino Sputnik. Negli Stati Uniti si partirà oggi e per l’Italia si ipotizza il 6 gennaio.

Il prezzo del WTI (riferimento americano del petrolio) rompe al rialzo il livello di 45 dollari al barile e si porta sopra quota 47 tornando, così, ai livelli pre-pandemia. Stesso andamento per il Brent (riferimento europeo del petrolio) che torna sopra la simbolica soglia dei 50 dollari. A favorire la forza dell’oro nero possiamo identificare tre elementi: 1) la pandemia in via di risoluzione, grazie ai vaccini, lascia ben sperare sulla ripresa economica; 2) l’OPEC+ ha deciso di ridurre i tagli alla produzione (a partire da gennaio) fissando incontri mensili di verifica (il primo dei quali è previsto il 4 di gennaio) per calibrare meglio l’offerta all’evoluzione della domanda. Ricordiamoci che, su questo punto, la posizione critica rimane quella degli Emirati Arabi che non vorrebbero farsi carico di alcun taglio e minacciano di uscire dal cartello; 3) la Cina continua a dimostrare una decisa ripresa economica (anche i PMI elaborati dalla privata Caixin ne confermano la forza crescendo al ritmo maggiore degli ultimi dieci anni) e contribuisce in buona parte alla domanda di petrolio (e sembra che siano proprio gli Emirati Arabi i principali fornitori).

Dopo il CDA straordinario di Unicredit, a cui avevamo fatto accenno, il CEO Mustier ha annunciato che si ritirerà dal suo ruolo alla fine del secondo mandato (aprile 2021) dopo che per cinque anni è stato alla guida della banca (amministrata, precedentemente, da Federico Ghizzoni e, prima ancora, da Alessandro Profumo). Fra i possibili successori circola il nome di Victor Massiah (ex ceo di UBI che però sembra escluso per un patto di non concorrenza con Intesa), Marco Morelli (ex MPS) ma anche nomi interni ad Unicredit. Le motivazioni della decisione di Mustier, come si ipotizzava, sembrano riguardare “incomprensioni” interne emerse negli ultimi mesi che lasciano pensare al discorso MPS. Nei cinque anni durante i quali è stato alla guida di Unicredit Mustier ha realizzato il più grande aumento di capitale mai effettuato in Italia (13 miliardi di euro) e una campagna di dismissioni di asset pari a sei miliardi di euro (Bank Pekao, Pioneer, Fineco e Yapi Kredi) non sempre ritenute corrette e ben valutate. Ricordiamoci che il nuovo presidente di Unicredit è Piercarlo Padoan la cui nomina, tempo fa, è stata letta come un tentativo di favorire la fusione con MPS, dato che l’ex ministro del Tesoro conosce bene la banca toscana avendo guidato l’operazione di salvataggio nel 2017.

Interessante osservare il tema dell’azionariato delle due banche e della ipotetica nuova identità evidenziato da Il Corriere della Sera: considerato che, dopo la cessione dei crediti deteriorati di MPS ad Amco, il Tesoro possiede il 64% dell’istituto senese (che ha una capitalizzazione di circa 1.2 miliardi) e che Unicredit (che capitalizza circa 17 miliardi) ha un azionariato molto frammentato (massima partecipazione pari al 5%), qualora il Tesoro sottoscrivesse l’aumento di capitale (si parla di 2.5 miliardi) arriverebbe ad avere una partecipazione del 11% circa diventando così il primo azionista.

Qualora, invece, non si arrivasse alla fusione con BMPS c’è chi ritiene che Unicredit potrebbe diventare preda di gruppi stranieri (francesi soprattutto) per una fusione cross-border dato che, comunque, si tratta di una banca con fondamentali solidi ed una valutazione attraente. Oppure, proprio per “evitare” MPS, si parla di aggregazione con Bper: in tal caso Unipol (principale azionista della banca modenese) si candiderebbe a sostituire Aviva nel contratto di bancassicurazione.

Prosegue la corsa di Tesla che, ricordiamo, il 21 dicembre entrerà nell’indice S&P500 con una capitalizzazione pari a 578 milioni di dollari che la porterebbe ad essere, quindi, il sesto titolo (circa 1.5%) subito dopo Alphabet. Il forte rialzo dal giorno dell’annuncio dell’inclusione non si è arrestato neanche con l’annuncio della vendita di azioni proprie pari a 5 miliardi di dollari (0.8% del capitale) che corrisponderebbe a circa 7.79 milioni di azioni. Solo il downgrade della raccomandazione di JPM a “underweight” ha fatto correggere il titolo ritenuto, dagli analisti della casa americana, sopravvalutato. Elon Musk, CEO e proprietario del 18% di Tesla, diventa così la seconda persona più ricca al mondo, dopo Jeff Bezos di Amazon, scalzando dalla posizione il presidente di LVMH Bernard Arnauld.

Ancora sugli scudi il bitcoin dopo che Guggenheim Partners ha richiesto alla SEC (Securities and Exchange Commission) di poter investire dal 5% al 10% degli asset (fino a 530 milioni di dollari) del fondo Macro Opportunities Fund sulla criptovaluta attraverso il Grayscale Bitcoin Trust (che investe solo in bitcoin). Si conferma quanto abbiamo scritto la scorsa settimana: i movimenti di prezzo, essendo l’offerta rigida, sono essenzialmente dettati da news sulla domanda sia da parte di investitori (che lo stanno prendendo sempre più in considerazione) che da parte di consumatori (ricordiamoci che Paypal consentirà dal 2021 di acquistare e regolare transazioni in bitcoin).

Intanto la divisione che si occupa della composizione degli indici per S&P Global ha annunciato che per l’anno prossimo è previsto il lancio di alcuni indici sulle criptovalute. L’idea nasce dalla constatazione che si tratta di un’asset class in rapida crescita e ha senso, quindi, creare dei benchmark di riferimento.

Una banca tedesca di medie dimensioni fondata nel 1976, la Hauch & Aufhauser, ha annunciato che a gennaio lancerà un fondo di criptovalute a gestione passiva con Bitcoin, Ethereum, Stellar e altre croptovalute, destinato ad un pubblico di investitori con patrimonio elevato o istituzionali. La size minima di investimento sarà pari a 200.000 euro.

Resta il tema della regolamentazione che è stata ribadita ad un incontro G7 (tra banchieri centrali, ministri delle finanze, membri del FMI e della World Bank) da parte, ancora, di Steve Mnuchin (segretario al Tesoro americano). Dal dibattito è emerso che sebbene i pagamenti digitali e la nascita delle monete virtuali sia importante per superare i limiti dei sistemi di pagamento tradizionali in termini di inefficienza e costi, è altrettanto importante evitare comportamenti illeciti.

QUESTA SETTIMANA

Man mano che gli eventi che avevamo identificato come particolarmente rilevanti verso la fine dell’anno vengono superati diventa molto importante continuare a monitorare l’evoluzione dei contagi nel mondo: negli Stati Uniti sembra ci sia una ripresa dei numeri in conseguenza alla festività del Thanksgiving e in Europa, con l’avvicinarsi del Natale e il parziale allentamento delle restrizioni, si potrebbe assistere ad un peggioramento dei dati a gennaio. Si parla anche di chiusure dopo Natale per frenare un’ipotetica terza ondata. Il tema, ripetiamo, è importante perché la sostenibilità della ripresa dipende anche dai danni, più o meno pesanti, subiti dall’economia.

Giovedì 17 l’FDA americana dovrebbe approvare anche il farmaco di Moderna.

La Fed si riunirà mercoledì 16 e vedremo se ci saranno novità sulla strategia e il programma di acquisti. Qualcuno si attende una calibrazione diversa degli acquisti lungo la curva ma non una modifica dell’ammontare.

Il giorno successivo, giovedì 17, si riunirà la Bank on England e la Swiss National Bank: mentre quest’ultima ha la necessità di limitare l’apprezzamento del Franco e probabilmente lascerà i tassi ai livelli attuali (-0.75%), la BOE si troverà a dovere fare i conti, eventualmente, anche con la Brexit. In UK il barometro della situazione rimane sempre il cambio della sterlina.

Infine, venerdì 19 terminerà la carrellata delle banche centrali la Bank of Japan.

In generale dalle banche centrali ci si aspetta il mantenimento di toni accomodanti e di ulteriore supporto ai mercati qualora la situazione dovesse richiederlo.

Il 19 dicembre il Parlamento Europeo dovrà decidere sia sulla riforma del Mes sia sul Recovery Plan. Sono 27 i paesi coinvolti.

Anche se, ormai, la deadline finale è il 31 dicembre, le notizie sul fronte delle negoziazioni fra UK e EU rimangono estremamente importanti da seguire.

Da un punto di vista macroeconomico sono previsti in uscita i dati di fiducia delle imprese (PMI) preliminari per il mese di dicembre attesi, sostanzialmente, stabili.

Il 18 di dicembre c’è una scadenza tecnica particolarmente importante (il c.d. “quadruple witching”): si tratta del giorno in cui scadono, contemporaneamente, futures e opzioni sia su indici che su titoli. Avviene ogni terzo venerdì di marzo, giugno, settembre e dicembre e può generare dei movimenti particolarmente violenti soprattutto dopo periodi di movimenti di mercato importanti.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Il tema delle banche centrali è indubbiamente molto sentito dai mercati, come abbiamo avuto più volte modo di sottolineare. L’impatto diretto è sul comparto obbligazionario: se guardiamo, ad esempio, ai 500 miliardi di euro aggiunti al piano PEPP da parte della BCE, circa il 18% andrebbe all’Italia e si tradurrebbe in 90 miliardi di euro di titoli di stato acquistati dalla banca centrale in nove mesi, più del fabbisogno pubblico.

I tassi sono destinati, in base a questo fattore, a rimanere favorevoli ancora per un po’ di tempo. Il problema si presenterà quando, una volta terminata l’emergenza, tutto il debito in mano alla BCE dovrà essere ripagato (qualcuno parla di cancellazione del debito ma sembra essere vietato dallo statuto). Solo in quel momento si vedrà chi avrà utilizzato bene e in modo profittevole i soldi perché, così facendo, sarà riuscito a fare rientrare un po’ l’enorme debito. Sebbene sia decisamente prematuro discuterne ora è, comunque, importante che ci sia la percezione che i soldi vengano ben spesi per garantire la stabilità dei mercati obbligazionari una volta che la “lunga mano” della banca centrale verrà meno.

Se guardiamo al bilancio della Fed siamo, ad oggi, sopra ai sette mila miliardi di dollari e, per avere un’idea dell’enormità di tale ammontare, consideriamo che, a marzo, prima della pandemia, tale cifra viaggiava intorno ai 4 mila miliardi ed era già il massimo mai raggiunto.

Si tratta di cifre davvero considerevoli che, per molti, rappresentano la “droga” dalla quale dipendono i mercati ad oggi. Naturale chiedersi cosa accadrà quando verrà gradualmente rimossa.

Nell’immediato, però, possiamo dire che la rete di protezione le banche centrali la hanno posizionata e con il 2021 sia in Europa che negli Stati Uniti partiranno i programmi di spesa che dovrebbero fare da volano alla ripresa.

Ora occorre continuare a valutare l’evoluzione della pandemia per capire quanto è ancora lungo il tunnel della cui fine però già si vede la luce.

Abbiamo in passato parlato più volte della dicotomia tra “main street” e “wall street” ovvero tra attività reale (sintetizzata dalla crescita, o meglio decrescita, del Pil) e attività finanziaria (sintetizzata dai listini azionari) e abbiamo giustificato tale dicotomia con due elementi: 1) tassi di interesse bassi (e quindi valutazioni azionarie relativamente migliori e attraenti) e 2) tendenza dei mercati di anticipare la ripresa economica.

Una dicotomia ancora più strana la possiamo notare fra l’andamento di alcune materie prime, considerate “leading” della ripresa economica, e il ciclo economico: in particolare, se osserviamo l’andamento del prezzo del rame (o “dr copper” come si chiama in gergo) o dell’iron-ore (minerale di ferro utilizzato nella produzione dell’acciaio) vediamo che si trovano entrambi ai livelli massimi degli ultimi sette anni e sembra assurdo in un mondo ancora, essenzialmente, in recessione.

Questa volta la spiegazione risiede nello stato di salute di uno dei principali utilizzatori di tali materie prime ovvero la Cina: le sue importazioni hanno battuto ogni record e, come abbiamo già detto, la Cina si sta portando avanti nelle provviste di materie prime in anticipo rispetto alla possibile ripresa globale e al potenziale enorme utilizzo nei vari progetti infrastrutturali e green (di transizione energetica) che diverse economie hanno in programma e che potrebbero fare alzare considerevolmente i prezzi.

La fase di consolidamento dei mercati in queste ultime due settimane si è riflessa sulle performance delle nostre linee di gestione che si sono mantenute stabili. Prosegue il recupero della linea ITA che riduce considerevolmente le perdite da inizio anni grazie alla buona performance dell’ultimo periodo delle small cap italiane. Bene anche la nostra SICAV Stable Return che si avvicina ai 105 di NAV.

Analisi dei mercati del 05.10.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

L’inizio di settimana spumeggiante sui mercati trova le sue motivazioni nella possibilità di un accordo sullo stimolo fiscale: Nancy Pelosi, presidente della Camera dei rappresentanti ed esponente democratico, spinge per una seconda versione del pacchetto da 2.200 miliardi di dollari (invece dei 2.400 miliardi precedenti) che comprenderebbe aiuti alle piccole imprese, ristoranti, compagnie aeree e nuovi assegni per i consumatori. La proposta repubblicana, a detta del segretario al Tesoro Steven Mnuchin, sarebbe di 1.500 miliardi che, però, potrebbero salire a 2.000 miliardi qualora l’epidemia dovesse tornare a minacciare la ripresa economica. Il mercato è ottimista perché ritiene che un accordo sia possibile.

Quindi, tutto nella norma fino a giovedì notte quando è uscita la notizia, giunta come un fulmine a ciel sereno, della positività di Donald Trump e della First Lady al Covid19. Nel week-end il presidente americano è stato ricoverato in ospedale ma le sue condizioni sembrano già in miglioramento tanto da parlare di possibili dimissioni.

La settimana si è conclusa, alla fine, con mercati azionari nel complesso positivi. Le materie prime hanno corretto considerevolmente a causa del petrolio che ha sofferto sia per i dubbi sulla tenuta del ciclo economico che per l’incertezza sui tagli alla produzione.

L’evento principale della settimana, ovvero il primo dei dibattiti fra il presidente americano Donald Trump e lo sfidante Joe Biden, non è stato particolarmente positivo e determinante ai fini dei sondaggi poiché si è svolto in modo un po’ troppo animato e con insulti reciproci. Si è discusso dello stato dell’economia, dei rapporti commerciali con la Cina, della gestione dell’emergenza sanitaria. Consideriamo che poiché Trump è ufficialmente più indietro nei sondaggi può mostrarsi più aggressivo mentre Biden, non particolarmente forte sulla strategia comunicativa, rischia di essere sopraffatto dall’avversario. Per ora sembra che le preferenze degli elettori non si siano modificate.

Passando all’Europa non è molto piaciuto quanto dichiarato dalla Germania, ovvero che ritardi nel Recovery Fund sono sempre più probabili a causa di divergenze interne (sembra di Ungheria e Polonia e dei paesi nordici).

Per contro abbastanza positivi i discorsi della Lagarde che in settimana è intervenuta in più occasioni (al Parlamento Europeo e all’annuale conferenza “ECB and its watchers”) ribadendo l’importanza del PEPP (il programma lanciato a marzo con 750 miliardi di euro saliti di altri 600 miliardi a giugno scorso) che è considerato uno strumento estremamente efficace e senza effetti collaterali significativi anche se all’interno del consiglio ci sono delle divisioni fra i c.d “falchi” e “colombe”. Ha, inoltre, sottolineato che il cambio è costantemente monitorato per le evidenti ripercussioni sullo scenario inflattivo. La Lagarde sostiene che non è il momento di guardare al debito pubblico che è aumentato significativamente in Eurozona: la sostenibilità non va valutata con il rapporto debito/Pil ma guardando al servizio del debito ovvero ai costi che lo Stato sostiene ogni anno per gli interessi e che, considerando il livello attuale dei tassi, è basso e ragionevole. Ha ribadito la simmetria del target di inflazione quindi nella revisione strategica della ECB si andrà esattamente nella direzione di un obiettivo di inflazione “media”, come ha recentemente stabilito anche la Fed.

Per quanto riguarda Covid19 non sono uscite notizie particolarmente buone dato che il CEO di Moderna (l’azienda farmaceutica americana che sta studiano un vaccino anti-Covid19) ha dichiarato al Financial Times che probabilmente non riuscirà ad ottenere l’approvazione prima delle elezioni di novembre e AstraZeneca, pur riconoscendo di andare avanti rapidamente, dichiara che non intende “prendere scorciatoie” ma vuole assicurare i normali standard di efficacia, sicurezza e qualità.

Sul fronte Brexit, dopo che il governo britannico non ha ritirato il progetto di legge che è considerato una palese violazione del protocollo Irlanda/Irlanda del Nord, la Commissione Europea ha deciso di volere lanciare una procedura di infrazione contro il Regno Unito cominciando con l’invio di una lettera di costituzione in mora al governo UK.

Dalla Cina il miglioramento dell’attività economica è confermato sia dal dato sui profitti delle aziende industriali, salito per il quarto mese consecutivo (+19,1% a agosto) e che ha trainato i settori più ciclici, sia dai buoni PMI di settembre che si confermano in crescita grazie soprattutto al traino della domanda estera (la componente “new export orders” è stata particolarmente forte). Il dato calcolato dall’agenzia governativa relativo ai servizi si attesta a 51.9 (in crescita a differenza di quello europeo), quello manifatturiero a 51.5 e quello calcolato dalla privata Caixin a 53.

I PMI europei finali di settembre hanno visto una conferma del 53.7, uscito in via preliminare, per il comparto manufatturiero (con il dato spagnolo che si porta a 50.8 da 49.9 e quello italiano che passa da 53.1 a 53.2) quindi una situazione sostanzialmente stabile ma positiva. Deludenti, invece, i numeri relativi all’inflazione in eurozona usciti peggiori delle aspettative (in Germania si è visto l’impatto del taglio dell’iva) e rimarcando il problema dell’influenza del cambio sull’obiettivo di inflazione.

Passando agli Stati Uniti migliora leggermente l’ultima revisione del Pil americano per il secondo trimestre che si attesta a -31.4% trimestre/trimestre annualizzato. A differenza dell’Europa, il dato sull’inflazione, PCE deflator, di agosto esce in crescita e leggermente superiore alle aspettative (1.6% anno/anno da 1.4% precedente e atteso). L’ISM manifatturiero invece delude ma rimane su livelli decisamente buoni.

Dati misti quelli sul mercato del lavoro con il tasso di disoccupazione che scende a 7.9% ma nuovi occupati che salgono meno delle attese.

Ancora in restringimento lo spread fra BTP e Bund che si sta riportando sui minimi degli ultimi due anni. In settimana è stato collocato un nuovo BTP decennale che per un solo centesimo non ha registrato il minimo storico di rendimento: 4.5 miliardi di euro (la richiesta è stata di 5.7 miliardi) sono stati infatti piazzati a 0.89% di rendimento (il minimo è stato 0.88% un anno fa). Oltre al decennale è stato anche collocato un BTP a 5 anni per 2.5 miliardi allo 0.35% e un CCTeu febbraio 2024 per 1.25 miliardi a 0.11%. Da qua a fine anno il tesoro dovrà ancora raccogliere circa 40 miliardi di euro. Se nell’immediato il Tesoro non dovrebbe avere problemi in quanto le prospettive sono ancora favorevoli e il costo medio potrebbe ancora ridursi allargando l’orizzonte temporale dobbiamo considerare che nel 2023 il debito in scadenza potrebbe superare i 300 miliardi di euro e bisognerà valutare a quel punto quanto la BCE sarà ancora di sostegno.

Sul settore bancario mentre negli Stati Uniti si invitano le banche a non pagare i dividendi fino a fine anno (né a fare buyback), in Europa le banche fanno pressing affinché si decida di sbloccare il pagamento dei dividendi. Si stima che i dividendi “bloccati” e quindi non distribuiti valgano circa 20 miliardi di euro solo per i primi dieci gruppi bancari. La BCE probabilmente deciderà a fine anno, quando scadrà il veto, ma nel frattempo tre istituti cooperativi tedeschi decidono di muoversi in autonomia e preparano lo stacco del dividendo ritenendo di avere sufficiente solidità. C’è da dire che le banche cooperative tedesche essendo “less significant” rientrano sotto la sorveglianza della Banfin (più elastica) mentre, da noi, Bankitalia si è subito allineata alle direttive della BCE. Questa situazione rischia di creare delle asimmetrie fra paesi e, inoltre, indebolisce le banche nel lungo termine mettendo a rischio gli aumenti di capitale.

La settimana scorsa avevamo citato il gruppo Chanel nell’ambito delle emissioni di green bond, questa settimana è stata Adidas la protagonista con un collocamento di 500 milioni di euro di obbligazioni “verdi” con scadenza a otto anni e che finanzieranno progetti ambientali e sociali di Adidas.

La scorsa settimana avevamo citato HSBC per la debolezza che l’aveva travolta, di questa settimana la notizia che Ping An (colosso assicurativo cinese) ha aumentato la sua partecipazione portandola dal 7% all’8% approfittando della debolezza e consolidando, così, la sua posizione di principale azionista.

QUESTA SETTIMANA

Golden Week per la Cina per commemorare l’anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949. I mercati locali sono pertanto chiusi dall’1 all’8 di ottobre. Sarà interessante, successivamente, valutare come certe attività (soprattutto il turismo) si sono mosse durante il periodo di festa.

Stamattina sono stati pubblicati i dati PMI composite in eurozona in leggero miglioramento soprattutto per l’Italia e la Germania che salgono entrambe sopra la soglia del 50. I corrispondenti dati americani saranno pubblicati nel pomeriggio.

Con anche Trump positivo al Covid19 l’attenzione è, ora più che mai, sulla diffusione dei contagi e sui potenziali lockdown o comunque misure restrittive a cui i vari governi stanno pensando.

Le negoziazioni formali tra UK e EU si sono concluse ma fino al 15 ottobre si andrà avanti a discutere informalmente per arrivare ad una soluzione. Sembra che Boris Johnson e Ursula Van del Leyen si siano accordati per un’estensione delle trattative di un altro mese, quindi oltre la deadline del 15 ottobre che il premier britannico si era imposto.

Il presidente della Fed Jerome Powell e il capo economista BCE Philip Lane sono attesi all’annuale NABE conference (National Association for Business Economics) mentre la presidente della BCE Christine Lagarde parteciperà alla panel discussion orgranizzata dal Bridge Forum Dialogue. Sappiamo quanto, in questo periodo, le banche centrali siano importanti nel dare sostegno all’economia e ai mercati.

Sempre in tema banche centrali mercoledì verranno pubblicate le minute della Fed dello scorso meeting FOMC dal quale si potranno analizzare le eventuali discussioni circa le condizioni necessarie affinché si modifichi la politica monetaria e il potenziale incremento del programma di QE.

Giovedì avremo le minute della BCE relative al meeting del 9-10 settembre

L’IMF pubblicherà uno studio all’interno del suo World Economic Outlook relativo agli impatti economici del lockdown e ai cambiamenti climatici.

L’OPEC pubblicherà il suo World Oil Outlook.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Anche questa settimana abbiamo avuto la conferma di quali sono i fattori che dominano i mercati in questo periodo: pacchetto fiscale americano, elezioni presidenziali americane e l’andamento del Covid19.

I tre fattori si sono magicamente intrecciati in una giornata: Trump positivo al coronavirus ha messo a rischio le elezioni di novembre e creato incertezza sul pacchetto fiscale.

Si è pertanto aggiunga incertezza su incertezza e sappiamo bene che la cosa innervosisce i mercati (come il Vix, indice di volatilità dell’S&P500, ha dimostrato).

Per quanto riguarda le elezioni è noto che, statisticamente, il mercato soffre prima ma poi si riprende dopo l’esito elettorale. Questa volta potrebbe essere prolungata l’incertezza per le possibili contestazioni. I programmi dei due candidati sono, ovviamente, diversi prevedendo una maggiore tassazione (si stima che l’aliquota per le imprese potrebbe passare dal 21% al 28%), ma anche una maggiore spesa fiscale (pacchetto di stimoli di 2.400 miliardi di dollari tra gennaio e febbraio 2021), in caso di vittoria di Biden. Da osservare anche come si modificherà il Congresso dato che c’è la possibilità che anche il Senato passi in mano democratica. Un congresso diviso renderebbe più complessa l’attuazione delle decisioni, indipendentemente dal presidente. A seconda quindi del “colore” che assumerà la politica americana i mercati/settori si muoveranno di conseguenza.

La positività al coronavirus di Trump crea dubbi sul resto della campagna elettorale ma, a meno che non degeneri nello scenario peggiore ovviamente, potrebbe addirittura arrivare ad avvantaggiare l’attuale presidente mettendo in difficoltà l’avversario in una campagna elettorale sospesa e, magari “addolcendo” un po’ l’immagine di Trump. In caso di aggravamento della malattia si ipotizza che il suo vice, Mike Pence, potrebbe prendere il suo posto. Ci sono dubbi sui c.d. “swing states”, ovvero sugli stati che non sono ancora chiaramente schierati, e quindi in assenza di campagna elettorale potrebbero rimanere nel limbo fino alla fine.

La maggiore incertezza, si potrebbe trasformare in un qualcosa di positivo qualora il Congresso dovesse decidere di dare un supporto all’economia e al mercato, in un momento di impasse politico, arrivando a formulare una decisione sul tanto atteso pacchetto fiscale.

Se poi Trump, come sembra dalle ultime notizie, dovesse uscirne sano e salvo si avrebbe un ulteriore dimostrazione della minore aggressività del CovSars2.

Tutto ciò per dire che, nonostante si debba usare il condizionale, non necessariamente l’attuale situazione, alla luce degli ultimi eventi, si tramuterà in qualcosa di negativo per i mercati. Certo la volatilità continuerà ad essere protagonista finché qualche elemento dello scenario non si inizierà a delineare con maggiore precisione.

Tutto ciò per dire che, nonostante si debba usare il condizionale, l’attuale situazione, alla luce anche degli ultimi eventi, non è necessariamente destinata a trasformarsi in qualcosa di negativo per i mercati. Certo la volatilità continuerà ad essere protagonista finché qualche elemento dello scenario non si inizierà a delineare con maggiore precisione.

Le nostre linee di gestione sono riuscite a chiudere la settimana positivamente avvantaggiandosi del buon andamento dei mercati sia azionari che obbligazionari.

Analisi dei mercati del 7.09.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Dopo che il mese di agosto ha avuto la migliore performance degli ultimi 40 anni, la prima settimana di settembre si è conclusa con una decisa correzione dei mercati azionari scatenata proprio dal settore che ne aveva fatto da traino ovvero la tecnologia americana.

Non ci sono particolari catalyst che giustifichino il movimento se non un principio di rotazione settoriale innescata da prese di profitto sui titoli che avevano meglio performato nell’ultimo periodo e diventati improvvisamente protagonisti negativi (vedi Apple e Tesla). Il Nasdaq 100, dopo avere raggiunto un nuovo massimo, ha quindi perso circa sette punti in due soli giorni. Il peso rilevante della tecnologia nell’S&P500 ha trascinato al ribasso anche l’indice globale.

Segnaliamo che Tesla, dopo lo stock split che le ha fatto guadagnare il 70% dall’annuncio dell’11 agosto e il 12% il giorno dell’evento, ha corretto sulla comunicazione relativa all’aumento di capitale di 5 miliardi che intende fare e della riduzione della posizione di un grosso investitore internazionale.

Mentre proseguono a passo spedito le ricerche di un nuovo vaccino contro il Cov-Sars2 il virologo Anthony Fauci, famoso per i ricorrenti “screzi” con il presidente Trump, ha dichiarato che qualora i risultati delle sperimentazioni dovessero risultare inequivocabilmente positivi, la FDA (Food and Drug Administration) avrebbe il potere (e dovere) di interrompere i test per organizzare una campagna vaccinale su larga scala. Questa buona notizia compensa i timori di una seconda ondata legata alla riapertura delle scuole e alle maggiori attività al chiuso nella stagione autunnale/invernale.

Sul fronte macro sono buoni i dati PMI europei: il dato finale di agosto per il comparto manifatturiero rimane stabile a 51.7 con una buona performance dell’Italia (53.1 da 51.9); il dato relativo al comparo dei servizi sale a 50.5 grazie al contributo della Germania. Negli Stati Uniti in salita l’ISM manifatturiero che passa da 54.2 a 56 con una componente “new orders” (quindi più forward looking) a 67.6 da 61.5.

Buoni anche i dati sul mercato del lavoro americano che vede il tasso di disoccupazione (di agosto) scendere oltre le aspettative degli analisti: 8.4% vs attese di 9.8% e dato di luglio pari a 10.2%

Dal Beige Book della Fed (elaborato ogni sei settimane sulla base delle informazioni raccolte nei 12 distretti della banca centrale) viene la conferma di un’attività economica che cresce “ad un ritmo modesto” e che non ha ancora recuperato i livelli pre-covid.  Sia sul fronte dell’attività manifatturiera che dei servizi e consumi qualcosa si sta muovendo nella giusta direzione ma le incertezze e i rischi legati alla pandemia rimangono.

Il corona virus è riuscito a mandare anche l’Australia in recessione dopo 30 anni di espansione economica: il Pil del secondo trimestre è sceso del 7% rispetto al -0.3% del primo trimestre dell’’anno.

La Francia, in settimana, ha annunciato l’atteso piano di rilancio da cento miliardi al quale l’Unione Europea contribuirà per 40 miliardi. Per non rendere più difficile la ripresa non sono previste nuove imposte ma il governo stima di rientrare dal maggiore indebitamento pubblico a partire dal 2025 attraverso l’impatto positivo sulla crescita delle nuove misure. I pilastri sui quali si baserà il piano riguardano la transizione ecologica (attraverso il rinnovamento energetico), la maggiore competitività del paese (attraverso riduzione delle imposte sulla produzione, finanziamenti alle imprese e sussidi per la rilocalizzazione delle industrie) e la coesione sociale (attraverso investimenti sulla sanità, sui giovani e sulla formazione).

In settimana il cambio EUR/USD è salito sopra la soglia di 1.20 per la prima volta da maggio 2018. Determinante per il movimento il cambio di policy della Fed che ha confermato un differenziale di tassi fra Europa e Stati Uniti non più a favore di quest’ultimo. La maggiore offerta di moneta e il QE della Fed, insieme all’atteso maggiore deficit fiscale per gli Stati Uniti sono alla base della debolezza del biglietto verde. Il rientro dal livello di 1.20 è avvenuto grazie al commento del capo economista della BCE Lane che ha dichiarato che, sebbene l’istituto europeo non abbia nel suo mandato l’obiettivo del cambio, il cross EUR/USD a questi livelli non aiuta l’economia. Inoltre, la pubblicazione dei dati deludenti sull’inflazione dell’area Euro hanno alimentato le aspettative di un ulteriore intervento di stimolo da parte della BCE.

Tornano le emissioni di green bond: questa settimana Mediobanca debutta nel mondo “green” emettendo un bond da 500 milioni di euro (durata sette anni, cedola 1%, spread di 135bps sopra il tasso midswap) per finanziare progetti green e il mercato ha accolto decisamente bene l’offerta con ordini pari a 3.5 miliardi di cui l’80% dall’estero. Anche il governo tedesco ha dato mandato di vendere un titolo decennale per finanziare progetti ambientali, emissione per 6.5 miliardi e richieste per 33 miliardi a fronte di un rendimento pari a -0.463% (quindi negativo!). Un’altra emissione è prevista nel quarto trimestre con un totale per l’anno di circa 11 miliardi di euro. Il Tesoro italiano dovrebbe emettere BTP green in autunno. L’interesse per le emissioni green è evidente e ricordiamoci che è stata scatenata dall’intenzione della BCE di acquistarli e pure il fondo pensione della BCE lo ha già fatto. Inoltre, il Recovery Fund da 750 miliardi potrà destinare risorse anche a investimenti legati a tecnologie e infrastrutture più green che aiutino il continente a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 come programmato.

Si torna a parlare della casa di gestione H20 con il comunicato relativo alla sospensione di otto fondi per circa quattro settimane per “incertezze sulla valorizzazione” di titoli non quotati e legati al finanziere tedesco Lars Windhorst. Mentre l’autorità di controllo dei mercati finanziari francesi aveva chiesto la sospensione di tre fondi, H2O ha deciso di procedere per otto fondi dichiarando che si tratta di una misura provvisoria per un tempo (quattro settimane) che permetterà alla società di gestione di separare gli asset incriminati e trasferirli in un nuovo fondo.

QUESTA SETTIMANA

Oggi, lunedì, il mercato americano è chiuso per “Labor day”.

L’evento principale della settimana lo avremo giovedì 10 settembre con la prima riunione della BCE dopo la pausa estiva. Non sono attese variazioni all’attuale politica monetaria ma ci sarà parecchia attenzione sulle nuove previsioni di crescita e inflazione che la BCE renderà note. Da queste potranno emergere gli orientamenti della banca centrale e i prossimi step che intraprenderà anche, e soprattutto, alla luce del cambio di strategia della Fed. Sottolineiamo che un apprezzamento dell’euro conseguente alle decisioni della Fed potrebbe impattare sull’inflazione e rendere più complesso il raggiungimento del target stabilito dalla banca centrale.

Fra i dati macro previsti in settimana segnaliamo quelli sul Pil del secondo trimestre (finale) per l’eurozona (atteso -15% anno/anno) e i dati di inflazione (al consumo e alla produzione) negli Stati Uniti riferiti al mese di agosto.

In UK riprendono i negoziati sulla Brexit. Il premier britannico Johnson intende fissare per il 15 ottobre la deadline per un accordo oltre la quale, in caso contrario, si prenderà atto dell’impossibilità di trovare punti in comune e ognuno “andrà avanti per proprio conto”. La sterlina diventerà il barometro della situazione.

Questa settimana il Congresso americano dovrà finalizzare i dettagli della legge sulla spesa in quanto il 30 settembre termineranno i finanziamenti in essere e occorre scongiurare il rischio “shutdown”, ovvero il blocco delle attività amministrative che si ha quando non viene approvata la legge di bilancio per il finanziamento delle attività amministrative.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Il cambio di strategia della Fed, che mette l’obiettivo di inflazione a servizio di quello della piena occupazione, dovrebbe avere aperto la strada ad un nuovo periodo di reflazione finanziaria durante il quale tutte le banche centrali, a meno che non vogliano vedere la propria moneta rivalutarsi nei confronti della divisa americana, dovranno mantenere a lungo tassi bassi. Abbiamo avuto la conferma di questo potenziale atteggiamento dalle dichiarazioni di Lane (capo-economista BCE) e di Saunders (membro del board della BOE) e vedremo, in settimana, se e come la BCE affronterà il tema. Questo, ripetiamo, rimane il principale elemento a favore dei mercati finanziari.

Ovviamente, come abbiamo visto la scorsa settimana e come abbiamo più volte sottolineato in passato, il percorso dei mercati non è quasi mai lineare, ci sono inevitabili stop&go legati a prese di profitto su temi che hanno fatto particolarmente bene (vedi tech) o brutali riallineamenti alla realtà; si tratta di momenti caratterizzati da un incremento della volatilità che può dare occasioni di realizzo o di acquisto a seconda della posizione di partenza e della propria visione.

A proposito di volatilità, ricordiamo che le elezioni americane del 3 novembre sono, ad oggi, l’elemento di incertezza più noto e, non a caso, la curva del Vix (indicatore di volatilità dell’S&P500) segna un massimo in prossimità di ottobre (36 vs un valore ad oggi di 30) per poi riscendere gradualmente a livelli sotto quelli attuali.

L’altro tema che guida il mercato, ribadiamo, sono le aspettative di uno o più vaccini prodotti e disponibili su larga scala magari entro la fine dell’anno (quindi prima delle tempistiche normali): questa attesa porta gli investitori a prezzare una maggiore crescita che si può riflettere sia su un “irripidimento” della curva dei rendimenti (con quelli a lunga scadenza in salita) sia su una rotazione settoriale a favore dei settori più penalizzati e finanziata da prese di profitto su quelli che sono più saliti, come avvenuto nella settimana che si è appena conclusa.

Il consueto sondaggio di Bank of America (che spesso è più da intendere come le intenzioni future che il reale posizionamento degli investitori) vede un aumento del peso dell’Europa nei portafogli a scapito degli Stati Uniti il che significa non necessariamente che Wall Street sia vista in discesa ma solo che la potenzialità dei mercati Europei (che esprimono anche una composizione settoriale più ciclica) sono maggiori. Per la maggior parte degli intervistati è iniziata una nuova fase rialzista dei mercati che sarà accompagnata da un aumento degli utili legato all’uscita dell’economia dalla recessione.

Questa positività che emerge dalla survey non vuole dire che il mercato sia privo di rischi. Gli investitori ne sono consapevoli e infatti le posizioni in opzioni sono aumentate così come la protezione acquistata attraverso i contratti sulla volatilità (Vix).

Le nostre linee di gestione con componente azionaria hanno, ovviamente, sofferto la fase correttiva dei mercati ad eccezione della linea ITA che recupera circa 3 punti percentuali grazie al titolo Tiscali che è salito parecchio (61% in un solo giorno) dopo la firma del memorandum of understanding con Tim per definire l’accordo sullo sviluppo della banda ultralarga. Si è, pertanto, deciso di prendere profitto vendendo la posizione con un utile del 160% circa dai prezzi di carico.

Analisi dei mercati del 27.07.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

La settimana era iniziata con una buona intonazione grazie alle aspettative, poi confermate, circa il raggiungimento di un accordo sul Recovery Fund: il Dax era quasi riuscito ad azzerare le perdite del 2020 e il rendimento del BTP a 10 anni era sceso sotto l’1%. Gli ultimi giorni, poi, un inasprimento delle tensioni fra Cina e Stati Uniti ha invertito la tendenza dei mercati azionari che poi hanno chiuso la settimana leggermente negativi nel complesso ma con una sottoperformance dell’Europa e della tecnologia americana. Forte il movimento dell’euro che si è rafforzato contro le principali valute, soprattutto verso dollaro con il cambio EUR/USD che, dopo avere rotto la resistenza a 1.15 si è portato deciso sopra 1.16. Positivi i mercati obbligazionari sia a spread che governativi.

Nella notte fra lunedì e martedì si è arrivati finalmente ad un accordo sul Recovery Fund (o Next Generation EU): la determinazione di Francia e Germania è stata fondamentale nel raggiungere un compromesso nel summit più lungo di sempre (quattro giorni invece di due): la dimensione rimane sempre di 750 miliardi di euro ma cambia la composizione, come avevamo anticipato la settimana scorsa si è deciso per 390 miliardi di sussidi (invece di 500) e 360 miliardi di prestiti (invece di 250). Modificandosi la composizione, si incrementa l’allocazione complessiva per alcuni paesi (es. Italia che otterrebbe il 28% dei fondi complessivi, 81 miliardi di sussidi e 127 di prestiti) dato che i paesi che emettono a tassi molto bassi (come la Germania) non hanno incentivo ad accedere ai loans che, quindi, aumentano per gli altri.

Il meccanismo di sorveglianza su come vengono utilizzati i fondi è da capire meglio ma dovrebbe essere in capo alla Commissione anche se i piani di ripresa saranno approvati a maggioranza qualificata dal Consiglio Europeo su proposta della Commissione. I singoli paesi non possono mettere veti ma solo chiedere l’intervento del Consiglio per bloccare l’esborso nel caso si ritenga che questo porti ad una deviazione risetto agli obiettivi prestabiliti, il cosiddetto “freno di emergenza”, tanto voluto dai paesi nordici. Le erogazioni saranno, quindi, in tranche e condizionate allo stato di avanzamento dei lavori. I paesi “frugali” ottengono che i “rebates” (rimborsi/sconti sul contributo al bilancio) rimangano e che per loro vengano aumentati (ovvero salga lo sconto).

L’aspetto positivo è che la commissione UE emetterà obbligazioni (quindi debito comune), per ottenere le risorse necessarie, anche se ogni paese rimarrà responsabile per la sua quota (mentre in ipotetici Eurobond ognuno è responsabile per tutto), resta comunque un intervento nella giusta direzione. L’intervento è pari a più del 5% del GDP eurozona.

Al fondo si andranno poi ad aggiungere altre risorse stanziate nel bilancio pluriennale 2021-27 per un totale di 1074 miliardi (leggermente meno dei 1100 miliardi proposti inizialmente dalla Commissione). Il finanziamento arriverà da nuove fonti tipo la tassa europea sulla plastica (dal 2021) e quella sulle emissioni inquinanti e sul digitale che dovrebbero entrare in vigore entro la fine del 2022.

Ora il pacchetto, dopo essere approvato dal Parlamento UE, dovrà passare dai singoli parlamenti nazionali per diventare definitivo tuttavia, sebbene in Olanda a causa della frammentazione del governo e delle elezioni l’anno prossimo ci potrebbero essere degli ostacoli, la sua approvazione dovrebbe essere quasi sicura. I singoli paesi poi dovranno predisporre dei piani di spesa per il triennio in linea con le direttive. Il piano sarà effettivo all’inizio del 2021.

Il 30% dei finanziamenti dovrà essere destinato a progetti “green” al fine di raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica (azzeramento delle emissioni nette di gas) entro il 2050. Una parte consistente sarà poi destinata alle infrastrutture, soprattutto digitali. I vari paesi dovranno ovviamente presentare dei piani di spesa coerenti con questi obiettivi e la Commissione li valuterà entro due mesi.

Per l’Italia, al di là della maggiore quota di prestiti e leggermente minore quota di sussidi, quello che conta è che i fondi del Recovery Fund potrebbero sostituire una spesa in conto capitale che avrebbe dovuto essere finanziata con l’emissione di titoli di stato a tassi ben più altri. Inoltre, le spese sostenute da febbraio per contrastare la crisi potranno rientrare sotto il cappello comunitario (ovviamente se in linea con il programma) e aiutare i saldi di finanza pubblica del 2020.

Questo fattore ha consentito al rendimento dei BTP di scendere (quindi al prezzo di salire) anche sotto l’1%, livello che non si vedeva da febbraio.

La festa sui mercati è stata interrotta quando le tensioni fra Cina e Stati Uniti hanno preso il sopravvento: sulla base di accuse di spionaggio (presunto attacco hacker), mercoledì Washington ha imposto la chiusura del consolato cinese a Huston in Texas, dando solo 72 ore di preavviso e minacciando di chiudere altre sedi diplomatiche. La Cina ha risposto alla provocazione lanciata unilateralmente dagli USA prima minacciando azioni legittime e necessarie quali la chiusura, ad esempio, del consolato americano a Wuhan e poi, venerdì, intimando all’ambasciata Usa di chiudere il consolato di Chengdu (capoluogo del Sichuan) nel sudovest del paese.

Si torna a parlare di Brexit dopo che il capo negoziatore britannico David Frost ha ammesso che entro fine luglio non si riuscirà ad arriverà ad un accordo, ma si auspica che si ottenga qualcosa per settembre. Il caponegoziatore per la UE Barnier rimane più scettico anche per settembre ritenendo che l’intesa è ancora lontana in quanto ci sono distanze significative che, se non si riescono a colmare, creano un oggettivo rischio di no-deal. I colloqui informali riprenderanno a Londra il 17 agosto.

Negli Stati Uniti il dato sui sussidi alla disoccupazione (jobless claims) ha leggermente deluso le aspettative uscendo più alto della settimana precedente (1.416 milioni vs 1.3) e interrompendo, quindi, la sequenza di ribassi in atto da aprile dopo che le richieste avevano raggiunto il livello massimo di 6.9 milioni.

I dati di fiducia delle imprese PMI per il mese di luglio hanno confermato il sentiero di ripresa in atto, più marcato in Europa rispetto agli Stati Uniti:

  • Eurozona: PMI composite arriva a 54.8 da 48.5 con entrambe le componenti in miglioramento (PMI manifatturiero 51.1 da 47.4, servizi 55.1 da 48.3). La scomposizione geografica disponibile solo per Francia e Germania evidenzia un miglioramento marcato in entrambi i paesi;
  • US: PMI composite 50 da 47.9 con entrambe le componenti leggermente in rialzo ma meno di quanto il mercato si attendeva (PMI manifatturiero 51.3 vs attese di 52 e PMI servizi 49.6 vs attese di 51).

Nelle scorse settimane abbiamo parlato del forte movimento del prezzo dell’oro che anche questa settimana è salito superando i 1900 dollari/oncia per la prima volta dal 2011. Oggi poniamo l’attenzione sull’argento: dai minimi di marzo è salito di oltre il 90% raggiungendo i 23 dollari/oncia ovvero i massimi dal 2013. Fondamentalmente i driver sono gli stessi (bassi tassi e rischio di inflazione) e storicamente l’argento si è sempre mosso con un lag temporale rispetto al metallo giallo. Esattamente come è successo per l’oro, è salita parecchio l’esposizione sia degli hedge fund sia dei normali investitori che utilizzano gli ETF come strumento per prendere posizione (675 milioni di dollari di flussi netti solo sull’ETF di iShares Silver Trust). L’argento beneficia anche di un utilizzo a livello industriale (52% rispetto al 10% dell’oro) dato che viene utilizzato nei pannelli solari e, soprattutto, nelle reti 5G ad esempio.

Buoni i risultati di Tesla che riporta dopo la chiusura e in after market segna un rimbalzo del 5% annullato il giorno successivo a causa della generale correzione del mercato. Riportando il quarto trimestre consecutivo di profitti può essere presa in considerazione ai fini dell’inclusione nell’indice S&P500 (i criteri sono: la società deve essere basata in US, quotata su NYSE/Nasdaq/Cboe, avere una capitalizzazione superiore a 8.2 miliardi di dollari e riportare quattro consecutivi trimestri di profitti secondo i principi contabili GAAP).

In settimana la svizzera UBS ha riportato i risultati del secondo trimestre: l’utile si è attestato a 1.2 miliardi (in calo dell’11% ma superiore alle attese degli analisti) e il merito va alla divisione trading (come per le banche d’affari americane) e wealth management. Le perdite su crediti hanno raggiunto i 272 milioni di dollari (erano 12 milioni l’anno scorso) ma, sia le attività di amministrazione patrimoniale, che quelle di asset management e investment banking, sono riuscite a contenerne i danni. Per quanto riguarda la solidità patrimoniale, con un Cet1 del 13.3% si conferma sopra la soglia minima stabilita dal regolatore. Per la seconda metà dell’anno l’AD Ermotti si aspetta ancora perdite su crediti ma meno del primo trimestre e spera di riuscire a distribuire dividendi o fare buyback.

Sul tema dei dividendi bancari in settimana è uscita una notizia circa l’intenzione della BCE di chiedere alle banche di mantenere la sospensione dei pagamenti (decisa a marzo) fino alla fine dell’anno (quindi oltre la scadenza di ottobre precedentemente fissata). Le posizioni non sono tutte allineate e si ipotizza anche di esonerare le banche più piccole o di consentire la remunerazione dei soci in azioni in modo da preservare comunque il capitale. Il presidente della vigilanza, Andrea Enria, ha garantito che entro fine luglio e comunque prima delle trimestrali, arriverà la raccomandazione definitiva.

Per quanto riguarda la fusione UBI-ISP (che, con l’aggiunta della quota cash, è diventata OPAS- offerta pubblica di acquisto e scambio) le adesioni sono arrivate al 32.6% del capitale, ma si parla di propensione superiore al 60% (secondo le proiezioni di ISP addirittura 70%). Il Patto dei Mille, che detiene l’1.6% delle azioni con soci in prevalenza bergamaschi, ha ritirato il “no” all’offerta e lasciato libera scelta agli aderenti. Rimane da capire la posizione del patto di sindacato dei soci industriali Car (20% del capitale) e del fondo Parvus (7.9% del capitale). Si ipotizza che parecchi investitori potrebbero avere venduto sul mercato le azioni che sarebbero andate in mano ad arbitraggisti che sfruttano i movimenti di prezzo di ISP e UBI per fare continuamente movimenti e trarre vantaggio dai disallineamenti.

Il Cda di Ubi, che ha nuovamente bocciato l’offerta in quanto non ancora in grado di riconoscere il valore della banca, ribadisce che, qualora non venisse raggiunta la maggioranza qualificata dei 2/3 del capitale (66.7%) Intesa non potrà vendere i 532 Ubi sportelli a Bper (un terzo del totale) dato che Ubi resterà una realtà autonoma e il suo board deciderà sull’ipotetica vendita del ramo d’azienda. Diventa evidente che, poiché la vendita degli sportelli è necessaria per l’autorità antitrust, il raggiungimento del 66.7% di adesioni è importante per poter portare effettuare la fusione. In caso contrario ISP sarà costretta a cedere i suoi sportelli.

L’agenzia di rating Moody’s ha posto in revisione il rating di MPS per un possibile miglioramento del giudizio sul merito di credito dopo che l’istituto di Siena ha ceduto crediti deteriorati ad AMCO per 8.1 miliardi di euro.

QUESTA SETTIMANA

In questo periodo, ovviamente, tema centrale rimane sempre l’evoluzione dei contagi nella speranza che si arrivi ad un contenimento nei paesi che ancora sono parecchio esposti. Gli sviluppi sui rapporti fra Cina e Stati Uniti sono ritornati prepotentemente sulla scena e quindi andranno monitorati con attenzione.

Mercoledì 29 si riunirà la Fed: i tassi rimarranno probabilmente invariati nel range 0%-0.25%. La Banca Centrale dovrebbe ribadire la volontà di mantenere la politica espansiva a sostegno di una ripresa che dipende sia dall’andamento della pandemia che dal possibile nuovo stimolo fiscale. La forward guidance potrebbe venire rafforzata legandola al raggiungimento dell’obiettivo di inflazione del 2% (simmetrico, quindi anche superabile verso l’alto) e magari si potrebbe parlare di introduzione del controllo della curva dei rendimenti.

Sempre negli Stati Uniti è atteso il rinnovo delle misure di sostegno fiscale in scadenza (tra luglio e dicembre) e magari un nuovo pacchetto fiscale che diventa necessario per il sostegno dei consumi (importante il rinnovo dei sussidi alla disoccupazione). Entro la metà di agosto ci si aspetta qualcosa, per ora si parla di manovra di 1-1.5 trilioni di dollari che porterebbe il totale degli interventi oltre il 20% del Pil pre-crisi.

Fra le società che riporteranno i risultati del secondo trimestre segnaliamo; Amazon, Apple, Facebook e Alphabet (Google) buona parte delle società appartenenti al settore automobilistico (FCA, Audi, Ford, VW, GM…).

Oggi (lunedì) è stato pubblicato l’indice IFO tedesco salito in tutte le componenti: business climate passa a 90.5 da 86.3 (superiore alle aspettative), expectations passa a 97 da 91.6 (superiore alle aspettative) e current assessment arriva a 84.5 da 81.3 (in linea con le aspettative).

Fra gli altri dati che usciranno in settimana segnaliamo il Pil US per il secondo trimestre (giovedì), i dati settimanali sul mercato del lavoro americano (giovedì), Pil secondo trimestre per l’eurozona (venerdì).

Martedì 28 luglio si chiuderà l’OPS di ISP su UBI. Dopo tale data gli scenari saranno i seguenti: a) sotto il 50% di adesione l’operazione non va a buon fine (Ubi e ISP rimangono due banche separate e magari Ubi diventerà l’aggregatore di un terzo polo bancario); b) sopra il 50% (ma sotto il 67%) di adesione chi accetta lo scambio ottiene azioni ISP più il cash (0.57 euro per azione), chi non lo accetta si tiene le azioni UBI che rimarranno quotate ma probabilmente saranno meno liquide e senza il diritto al dividendo più alto offerto da ISP; c) oltre il 67% si procede alla fusione vera e propria, chi non ha aderito vedrà convertite le proprie azioni ma non otterrà il premio cash.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Sappiamo bene quali sono i driver a supporto dell’investimento azionario in una fase come questa. Siamo anche ben consapevoli che i mercati possono muoversi in una fase laterale pur rimanendo fondamentalmente ben supportati.

A ciò aggiungiamo che il periodo estivo, per la tipica minore liquidità, può essere caratterizzato da una maggiore volatilità in quanto bastano volumi ridotti per muovere i prezzi.

Un assaggio lo abbiamo avuto la scorsa settimana con il ritorno dei timori geopolitici. Consideriamo che con l’avvicinarsi delle elezioni politiche di novembre è facile che per contrastare sondaggi, magari non di supporto, il gioco di Trump torni ad essere quello di cercare di fare fronte comune contro il “nemico” rappresentato dalla Cina.

Per quanto riguarda l’Europa, invece, qualcuno ha paragonato la nascita del Recovery Fund al famoso “whatever it takes”, le parole di Mario Draghi pronunciate nel pieno della crisi sul debito sovrano europeo nel 2012 che posero fine alla crisi degli spread. Il motivo risiede nella maggiore credibilità del disegno dell’Unione Europea. Ovviamente il focus ora si sposterà su come le risorse saranno utilizzate e l’Italia deve sforzarsi di approfittare di questa occasione irripetibile. 

Come indicato all’inizio del commento il piano apre la strada all’utilizzo futuro di strumenti fiscali comuni a livello europeo. Questo fattore, unito ai fondamentali relativamente migliori dell’Europa e alla migliore risposta alla pandemia rendono molti investitori ottimisti sul futuro del continente europeo rispetto agli Stati Uniti.

Quindi mentre sugli Stati Uniti c’è parecchia incertezza, l’Europa ha l’occasione della vita per dare una svolta alla propria economia con un impatto positivo sui mercati finanziari, speriamo non la sprechi questa volta!

La correzione dei mercati azionari ha penalizzato soprattutto le linee azionarie pure: la linea ITA, inoltre, soffre ancora per la generale diminuzione della liquidità del particolare segmento in cui investe (small cap italiane), la linea Chronos ha risentito della correzione della tecnologia americana e della debolezza del dollaro. Le altre linee bilanciate hanno affrontato decisamente meglio la correzione grazie anche al contributo dell’oro. Le linee obbligazionarie hanno beneficiato del buon andamento del comparto bond.