Analisi dei mercati del 25.02.2020

Le notizie circa la diffusione del COVID19 (coronavirus) continuano ad essere al centro dell’attenzione dei media.

I continui cambiamenti nelle metodologie di calcolo rendono parecchio incerti i numeri finali in Cina e questo tende ad infastidire i mercati. Inoltre, si sono aggiunti nuovi casi a Hong Kong, in Giappone, in Corea, in Iran e anche in Italia! Il tasso di mortalità rimane basso ma la velocità di diffusione fa abbastanza preoccupare.

C’è poi il sospetto che nei paesi che apparentemente sono indenni il reale motivo sia la mancanza di diagnosi. Facile quindi generare il panico fra la gente e sui mercati.

In settimana, alle varie guidance negative di diverse società, si è aggiunto il warning di Apple: poiché l’attività in Cina si sta normalizzando più lentamente delle attese, la produzione di iPhone potrebbe essere temporaneamente limitata e questo impatterà sugli obiettivi di fatturato del trimestre in corso. Inoltre, la domanda dei prodotti di Cupertino è stata impattata dalla chiusura dei negozi sul territorio cinese e dal minore afflusso di clienti. L’effetto dovrebbe essere, comunque, circoscritto al trimestre in corso e recuperato in quello successivo e questa considerazione ha limitato, nell’immediato, l’impatto negativo in Borsa.

La Cina prosegue nelle misure monetarie espansive tagliando, come atteso, di 0.1% (a 4.05%) sia il prime rate a un anno che quello a 5 anni (a 4.75%) con l’obiettivo di aiutare la liquidità del sistema bancario per i finanziamenti alle imprese. La Banca centrale ribadisce che la politica monetaria si manterrà flessibile e appropriata implementando nuove misure per controbilanciare gli effetti del virus.

Notevole calo delle vendite di auto in Cina (-90% a gennaio), il governo di Pechino interviene incentivando l’acquisto di auto elettriche.

Il presidente Xi, che aveva ribadito la capacità della Cina di raggiungere gli obiettivi economici prefissati, ammette, in un secondo momento, che ci potrebbe essere qualche problema.

Altro argomento di cui si è parecchio discusso in settimana in Italia è stato il “risiko bancario”: lunedì sera IntesaSanPaolo ha annunciato il lancio di un’OPS (Offerta pubblica di Scambio) su UBI per un valore di 4.9 miliardi di euro. Si tratta del deal più grosso in Europa dalla crisi finanziaria. Non si dovrebbe trattare di un’operazione ostile (così dicono i vertici di Intesa) ma neanche concordata, dato che è stata lanciata poche ore dopo che UBI aveva annunciato il proprio piano industriale! UBI viene valutata circa 0.5 il book value (ISP tratta a 0.9 circa).

L’autorità di vigilanza della BCE si era già espressa a favore di eventuali attività di M&A in ambito bancario dove ritiene ci siano “troppe banche”.

Le condizioni offerte da Intesa prevedono lo scambio di 10 azioni UBI contro 17 di ISP con un premio implicito del 28% rispetto alla chiusura precedente (al quale le quotazioni si sono subito adeguate).

Intesa, nella manovra, è stata agevolata da Unipol e Bper: quest’ultima (della quale Unipol possiede il 20%) comprerà tra 400 e 500 filiali di Ubi (facendo così contento l’antitrust) tramite un aumento di capitale di un miliardo che Unipol stessa è pronta a sottoscrivere. Il gruppo assicurativo modenese, inoltre, rileverà le attività settoriali di Ubi.

La reazione di UBI, soprattutto del patto di sindacato che aggrega circa il 18% del capitale (il cosiddetto “Car” che comprende fondazioni e privati tra i quali Bosatelli di Gewiss, Radici di RadiciGroup e Bombassei di Brembo), non è stata favorevole, ritenendo l’offerta non adeguata.

Lunedì si riuniranno gli altri due importanti patti di sindacato che controllano rispettivamente l’8.6% (famiglie come i Camadini, Lucchini, Folonari, Bazoli) e l’1.6% (Patto dei mille). Poi, però, il risultato finale dipenderà da quanto decideranno fondi e investitori istituzionali.

Se da un lato ISP dichiara di non avere intenzione di alzare il prezzo offerto, dall’altra UBI sta esaminando piani di fusione alternativi che potrebbero riguardare anche l’acquisizione di Monte dei Paschi. La banca senese (in attesa di completare il risanamento) è destinata ad uscire dall’orbita pubblica (attualmente il Tesoro ha il 68% della banca) entro il 2021 per entrare in un gruppo più grande e solido.

Fra gli analisti, quelli di Intermonte si sono immediatamente schierati negativamente consigliando agli azionisti di UBI di rifiutare l’offerta, mentre il Financial Times, nella Lex Column, conclude dicendo che Intasa farebbe una buona operazione mentre UBI non dovrebbe avere troppa fretta di vendere.

Ovviamente sono partite subito speculazioni su possibili altre fusioni in ambito bancario: l’AD di Unicredit, Jean Pierre Mustier, ha prontamente ribadito di non avere alcun interesse a fare fusioni e acquisizioni, mentre quello di Banco BPM Giuseppe Castagna intende concentrarsi sul piano strategico che verrà presentato il 3 marzo in quanto la banca, già reduce da un’importante fusione, sarebbe intenzionata a proseguire da sola.

In US è entrato pesantemente in campagna elettorale Michael Bloomberg e tutti sono in attesa del Super Tuesday del 3 marzo (quando si voterà in 10 stati): l’ex sindaco di NY dichiara che in caso di elezione alla Casa Bianca, imporrà una tassa su tutte le transazioni finanziarie (inizialmente lo 0.02% dell’importo della transazione, poi forse lo 0.1%), porrà dei limiti alla velocità per il trading ad alta frequenza e un irrigidimento della normativa bancaria dato che il sistema finanziario, attualmente, non sta funzionando come dovrebbe.

Dai verbali della Fed pubblicati in settimana si trova conferma dell’intenzione di lasciare invariati i tassi ai livelli attuali ancora per diversi anni. L’inflazione potrà salire anche sopra il 2% senza scatenare una rincorsa al rialzo dei tassi ribadendo il concetto di simmetria nel target di inflazione.

La pubblicazione dello ZEW tedesco ha sorpreso negativamente in entrambe le componenti. Ricordiamo, però, si tratta di una survey agli operatori finanziari.

Grande attesa per i dati PMI in uscita venerdì scorso: in Eurozona, la revisione positiva dei dati di febbraio stupisce gli analisti che si attendevano dati in peggioramento. Male i PMI giapponesi, come era lecito attendersi, e non particolarmente belli quelli americani soprattutto perché si sono visti rallentamenti anche sulla parte relativa ai servizi.

La settimana si chiude con un generalizzato calo dei mercati azionari. La fase di risk-off ha portato beneficio ai governativi, con una riduzione dei rendimenti soprattutto in US, e al segmento obbligazionario in aggregato.

Fra i beni rifugio bene l’oro e il franco svizzero. Non ha funzionato, invece, come hedge lo yen giapponese probabilmente a causa della particolare congiuntura economica che sta attraversando il Giappone (molto deboli i dati sul GDP e vicinanza fisica ed economica con la Cina e il virus).

QUESTA SETTIMANA

La settimana è iniziata con un panico generalizzato sui mercati vista la veloce diffusione del virus al di fuori dei confini cinesi.

Ovviamente è lecito attendersi una notevole volatilità in funzione delle notizie che verranno pubblicate dai media.

Il Comitato permanente dell’assemblea nazionale del Popolo Cinese ha deciso di posticipare il meeting annuale, previsto per il 5 marzo, a causa, del corona virus. Non si è ancora decisa una nuova data. La situazione di crisi che attualmente sta attraversando la Cina è considerata la più complessa da quando il Partito Comunista è salito al potere 70 anni fa.

Negli Stati Uniti avremo la seconda stima dei dati sul PIL del quarto trimestre 2019.

In Europa, ieri mattina, sono stati pubblicati i dati di fiducia IFO per il mese di ottobre in miglioramento rispetto alle stime e ai dati precedenti la parte “Business climate” e “Expectations”; in miglioramento ma inferiori al mese precedente quelli relativi a “current assessment”.

In Eurozona verranno pubblicati i dati di inflazione CPI preliminari per il mese di febbraio.

L’inizio del 2020 è stato decisamente positivo per i mercati sulla scia di quello che è stato il 2019. Le motivazioni le abbiamo discusse più volte in questa sede e rimangono valide.

Quello che attualmente stiamo vivendo viene definito, da molti, come il “cigno nero” che tanti temevano potesse rovinare la festa. E’ facile, quindi, cadere in tentazione e vendere per prendere profitto, posizionarsi in maniera cauta e osservare gli eventi stando alla finestra nell’attesa di rientrare quando tutto si calma.

Vendere ha senso solo se poi si è in grado di rientrare in un momento di panico ancora maggiore. Se e quando tutto si calmerà i mercati potrebbero essersi già posizionati.

I media, come sempre, tendono ad esasperare le notizie negative e i mercati reagiscono così all’incertezza: non sapendo stimare l’impatto degli eventi su dati macroeconomici e sugli utili aziendali ipotizzano, in via precauzionale, il peggio e lo fattorizzano nei modelli. Si crea un effetto “snowball” e tutto scende tranne i cosiddetti beni rifugio.

Se la crisi, come si ipotizzava fino a poco fa, soprattutto in Cina, rimanesse circoscritta ad un trimestre allora potremmo lecitamente attenderci un rimbalzo nel secondo trimestre con effetti materiali nella seconda metà dell’anno. Il fatto che il virus si stia diffondendo velocemente fa mettere in dubbio le tempistiche e crea ulteriore incertezza.

Teniamo conto, però, dei potenziali effetti positivi che una situazione di estrema crisi come l’attuale potrebbe scatenare: tutti, dalla BCE all’OCSE, ribadiscono la necessità di organizzare uno stimolo fiscale a livello globale dato che, dovesse protrarsi troppo a lungo la situazione di emergenza, con il livello di tassi così bassi le banche centrali potrebbero fare ben poco. Meglio che ci si prepari ad uno stimolo fiscale possibilmente concertato.

In Cina sappiamo che le autorità sono molto determinate su questo punto, chissà che in Europa non avvenga lo stesso. Il livello dei mercati azionari non era assolutamente coerente con un livello debole di attività economica che si protrae a lungo: è quindi necessario o che la pandemia si ridimensioni in modo da non paralizzare ulteriormente l’attività economica oppure che i governi intervengano a sostegno con misure controcicliche. Solo in questo modo i livelli raggiunti dai mercati (pre-attuale correzione) potrebbero essere giustificati da aspettative positive sulla ripresa.

Analisi dei mercati del 06.11.2019

Ancora una settimana positiva, soprattutto per i mercati azionari grazie alle buone notizie circa i negoziati fra Cina e Stati Uniti ma anche grazie alla reporting season americana che sorprende le aspettative degli analisti.

Riguardo al primo punto siamo molto vicini alla Fase 1 dell’accordo.

Nonostante i disordini in Cile abbiano portato alla cancellazione del meeting APEC, durante il quale USA e Cina avrebbero dovuto incontrarsi per la firma, e nonostante la Cina metta in dubbio la possibilità di raggiungere un accordo di lungo periodo con Trump, a causa di una certa diffidenza sulla controparte soprattutto riguardo alla cancellazione totale di tutti i dazi, il presidente americano riporta ottimismo dichiarando che verrà trovata un’altra location per la firma (la Cina sembra abbia proposto Macao) e che comunque l’accordo di primo livello smarcherà circa il 60% delle questioni.

Secondo Reuters la Cina avrebbe, tra l’altro, intenzione di togliere il divieto all’importazione di pollami dagli Stati Uniti come primo passo verso un accordo (l’importazione di polli è stata vietata nel 2015 a causa dell’influenza aviaria). Intanto l’agenzia del commercio americana (USTR) valuta se estendere la sospensione dei dazi, in scadenza a fine mese, su 34 miliardi di dollari di beni cinesi. Quindi l’aumento pre-natalizio delle tariffe potrebbe essere nuovamente posticipato al 2020.

Certo i dubbi su una Fase 2 dell’accordo rimangono ma i mercati hanno letto positivamente la notizia.

Per quanto riguarda la reporting season americana, con il 72% delle società (che rappresentano circa l’80% della market cap) che hanno pubblicato il risultato per il terzo trimestre del 2019, la crescita degli utili è, nel complesso, nulla. La buona notizia è che gli analisti si aspettavano una contrazione dei profitti nell’ordine di circa il 5% quindi la “sorpresa” è stata positiva e il mercato l’ha premiata.

In settimana si sono riunite un po’ di banche centrali: Fed, Bank of Japan e Bank of Canada.

La Fed ha, come atteso, tagliato i tassi di 25bps portandoli nel range 1.50%-1.75%. La decisione è stata presa a maggioranza e dal comunicato è scomparsa la frase secondo cui la Fed “agirà in modo appropriato per sostenere l’espansione economica”. Durante la conferenza stampa il presidente Powell ha confermato che l’orientamento di politica economica rimarrà verosimilmente appropriato finché l’economia manterrà una crescita moderata, un mercato del lavoro forte e un’inflazione vicina al target del 2%. Si conferma, quindi, quanto abbiamo scritto nell’ultimo commento, ovvero un’attitudine “data driven” della Fed.

Source: Bloomberg

Gli acquisti dei titoli proseguiranno fino alla metà del 2020 mentre la forward guidance non verrà più utilizzata. Eventuali rialzi dei tassi ci saranno solo quando l’inflazione salirà in modo sostanziale.

Riguardo alle tensioni sull’interbancario, la Fed sta indagando sui motivi che limitano le banche dal rimettere in circolazione la liquidità in eccesso; non è quindi emersa una soluzione strutturale del problema.

La BOJ ha lasciato, come atteso, i tassi invariati (a -0.10%) segnalando che potrebbe tagliarli nel prossimo futuro qualora l’economia dovesse indebolirsi ulteriormente. Il target per il rendimento del decennale nipponico è stato confermato intorno allo zero. Il programma di acquisto titoli è confermato al ritmo di 80.000 miliardi di yen all’anno ma la forward guidance è stata modificata in senso più accomodante indicando che la Banca Centrale è pronta ad un nuovo allentamento monetario se necessario.

Anche la Bank of Canada ha mantenuto i tassi invariati ma confermando la disponibilità a tagliarli nei prossimi mesi qualora l’economia lo richieda.

Per quanto riguarda i dati macro pubblicati in settimana segnaliamo i seguenti:

  • I PMI cinesi sono usciti misti: quelli calcolati dall’agenzia statale (relativi soprattutto alle grandi imprese, principalmente pubbliche) mostrano cali superiori alle attese mentre quelli calcolati da Caixin (agenzia privata la cui survey ha come focus aziende più piccole e non pubbliche) sono in miglioramento e superiori alle stime.
  • Hong Kong entra ufficialmente in recessione tecnica dopo la pubblicazione del dato sul Pil per il terzo trimestre a -2.9% anno/anno (verso attese di -0.3%).
  • Il Pil US per il terzo trimestre (+1.9%) è uscito in calo rispetto al dato precedente (+2%) ma meglio delle aspettative (+1.6%) soprattutto grazie ai consumi (+2.9%) che, seppure in calo, hanno sorpreso in positivo e, rappresentando il 70% dell’economia, sono ancora il principale motore di crescita.
  • I consumi sono sostenuti da un solido mercato del lavoro i cui dati, usciti venerdì 1° novembre, risultano molto positivi: i nuovi occupati crescono più delle aspettative, il tasso di disoccupazione rimane stabile a 3.6% e non c’è pressione salariale.
  • Pil in Eurozona relativi al terzo trimestre: il dato aggregato passa da +1.2% a +1.1% (in linea con le aspettative) ma a livello geografico sorprende positivamente quello italiano (+0.3% da un precedente +0.1% e attese per +0.2%) grazie alla domanda interna.
Source: Bloomberg

Infine, qualche aggiornamento sulla Brexit: il Parlamento britannico ha deliberato che il 12 dicembre si terranno le elezioni. Dopo che la proposta di Boris Johnson è stata bocciata lunedì sera, il premier ha presentato una mozione di revoca della legge del 2011 ottenendo, quindi, di fare passare la proposta con una maggioranza semplice (e non più qualificata).

A questo punto spetta alla Regina sciogliere le Camere 25 giorni prima rispetto al giorno delle elezioni, quindi il Governo resterà in carica fino al 7 novembre. In caso di vittoria alle elezioni Johnson si ripresenterà in Parlamento con un nuovo accordo.

A livello settoriale, in Europa, segnaliamo un po’ di fermento nel settore auto con la notizia di una possibile fusione tra la francese PSA Group e FCA NV che creerebbe un potente rivale di Volkswagen e il quarto gruppo automobilistico mondiale; inoltre, sembra che le negoziazioni con gli americani stiano procedendo bene e il temuto rialzo dei dazi potrebbe essere rimandato. Soffre, invece, il settore bancario dopo la pubblicazione dei risultati di Banco Santander (a causa di pesanti oneri straordinari) e di Deutsche Bank.

QUESTA SETTIMANA

Anche questa settimana avremo la pubblicazione di una serie di dati macro utili per testare lo stato del ciclo economico: in area Euro verranno pubblicati i PMI manifatturieri e relativi ai servizi; negli Stati Uniti l’ISM non manifatturiero e i PMI servizi e composite e in Cina i Caixin services PMI.

Fra le Banche centrali, si riunirà la Reserve Bank of Australia (attesi tassi invariati a 0.75%) e giovedì 7 novembre sarà la volta della Bank of England (attesi tassi invariati a 0.75%), rilevante alla luce dei recenti sviluppi sulla Brexit: uno studio inglese, infatti, quantifica in circa 70 miliardi all’anno, la perdita per l’economia britannica in caso di uscita dall’Unione Europea (circa 3.5% del Pil) su un orizzonte di dieci anni.

L’OPEC, riunito a Vienna, pubblicherà il World Oil Outlook.

Questa settimana riporteranno i dati trimestrali parecchie società italiane tra le quali segnaliamo le banche (Intesa Sanpaolo, Banco BPM, Banca Monte dei Paschi di Siena, Unicredit e UBI tra le principali), Poste Italiane, Assicurazioni Generali e Ferrari.

POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Come abbiamo spesso commentato il posizionamento degli investitori talvolta è sproporzionato rispetto al reale stato dell’economia. La conseguenza di un posizionamento troppo sbilanciato sono i flussi che si generano quando tutti gli investitori decidono di ricalibrare l’asset allocation. Un esempio di riposizionamento lo stiamo vedendo in queste settimane anche se da alcune survey sembra che la negatività dei portafogli sia ancora elevata.

Cosa ha determinato il riposizionamento? Sicuramente la percezione di un miglioramento nelle trattative USA-Cina, in quella, cioè, che rappresenta la principale incognita per gli investitori e per l’economia, poi la constatazione che, per ora, gli utili aziendali tengono e, infine, per quanto riguarda soprattutto gli Stati Uniti, una conferma del buono stato dell’economia e la notizia di un possibile sgravio fiscale per le famiglie americane a partire dal 2020.

Abbiamo, quindi, almeno per gli Stati Uniti, una banca centrale accomodante (anche se “data dependent”), una politica fiscale probabilmente ancora espansiva e un’economia che tiene discretamente bene. Non deve, quindi, sorprendere che il mercato azionario abbia raggiunto nuovi massimi.

In Europa gli ingredienti sono un po’ diversi: la politica monetaria è sì molto accomodante ma con le armi un po’ spuntate e l’economia non è sicuramente in buono stato. Nonostante ciò la performance, pur non ai massimi assoluti, da inizio anno è di poco inferiore a quella americana. Sicuramente la mancanza di alternativa, lato obbligazionario, ha svolto un discreto ruolo. Ulteriore upside potrebbe derivare dall’elemento mancante rispetto agli stati Uniti, ovvero la politica fiscale espansiva. A tal proposito, in settimana, anche la presidente entrante della BCE ha dichiarato che i paesi della zona euro con un avanzo di bilancio (vedi Germania) dovrebbero fare di più per spingere la crescita, dimostrando di essere perfettamente allineata al suo predecessore.