Analisi dei mercati del 3.02.2020

Anche questa settimana gli elementi di volatilità sui mercati non sono stati strettamente attinenti alla sfera economico- finanziaria: al centro dell’attenzione degli investitori rimane il Corona Virus e il conseguente bilancio delle vittime e contagiati. Il WHO (o OMS – Organizzazione mondiale della sanità) ha aggiornato quotidianamente il numero delle vittime e, a fine settimana, ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria mondiale. Per ora il tasso di mortalità si attesta al 2% (sotto il 10% della Sars nel 2002/2003) ma la velocità di diffusione è abbastanza alta. Vediamo come si attesterà il numero nei prossimi giorni quando dovrebbe essere atteso il picco.

Un economista del governo cinese ha stimato che un’ulteriore diffusione del virus potrebbe impattare sul GDP del primo trimestre, portandone la crescita sotto il 5% ma, in tal caso, la Banca Centrale sarà pronta ad intervenire con misure a sostegno così come la politica fiscale potrebbe intervenire portando il rapporto deficit/pil sopra il 3% per supportare l’economia.

Passando agli eventi più “finanziari”, in settimana si è riunita la Banca Centrale americana: come atteso, la Fed non ha modificato i tassi di interesse, che rimangono nel corridoio 1.50%-1.75%, ritenendo che è necessaria una significativa rivalutazione dell’outlook economico affinché si possa modificare la politica monetaria. Un “aggiustamento tecnico” è stato fatto sul reverse repo rate, passato da 1.45% a 1.50%, e sul tasso di remunerazione delle riserve, passato da 1.55% a 1.60%, ovvero 10 bps sopra il tasso ufficiale, ma solo per migliorare il funzionamento dell’interbancario. Il mercato del lavoro è considerato robusto e l’inflazione ancora bassa ma ai rischi si è aggiunto anche l’elemento di incertezza del Corona Virus.

Il PIL americano, secondo la stima preliminare del quarto trimestre 2019, è pari a 2.1%, superiore alle attese del 2%. Le componenti consumi e investimenti hanno leggermente deluso, mentre è risultato positivo il contributo della componente net-export, grazie ad una riduzione delle importazioni, e della componente relativa alla spesa pubblica. Delude molto il dato sull’inflazione, rappresentato dal PCE deflator, 0.3% vs 1.3% atteso. Nel complesso quindi un dato di stima della crescita economica non eccezionale. Ma si tratta di una stima destinata a subire, spesso, revisioni.

Souce: Bloomberg

La Bank of England non ha tagliato i tassi, con decisione presa con sette membri a favore e due contrari, ma si dichiara pronta ad intervenire qualora l’espansione fiscale, annunciata dal governo, non si rivelasse sufficiente a sostenere l’economia post Brexit. Positiva la reazione della sterlina che si è rafforzata nei confronti dell’euro.

La Gran Bretagna venerdì 31 gennaio ha ufficialmente lasciato l’Unione Europea dopo averne fatto parte per 47 anni. Non tutti hanno festeggiato questo giorno dato che il paese è ancora spaccato in due come ai tempi del referendum che ha decretato la Brexit nel 2016: due terzi degli scozzesi erano e sono ancora contrari all’uscita dalla UE e chiedono un nuovo referendum. Come segno di dissenso sul Parlamento scozzese rimarrà la bandiera UE.

Per quanto riguarda il petrolio, il cui prezzo ha corretto di circa 10 dollari dal picco di inizio gennaio, l’OPEC ha dichiarato che intende estendere gli attuali tagli alla produzione fino a giugno con la possibilità di incrementarli qualora ciò sia reso necessario dal contesto macroeconomico (considerato l’impatto dell’attività manifatturiera in stallo da gennaio).

Deludenti i dati sul PIL dell’Eurozona: +0.1% trimestre/trimestre, atteso +0.2%, e +1% anno/anno, atteso +1.1%: particolarmente brutto il dato dell’Italia la cui economia rallenta di -0.3% trimestre/trimestre, attese per crescita di +0.1%. E’, ancora una volta, evidente la divergenza di crescita rispetto agli Stati Uniti.

Souce: Bloomberg

Nonostante il deludente dato sul Pil italiano, la performance del BTP è stata ottima: in settimana il rendimento del decennale è sceso di circa 30 bps e lo spread verso bund si è attestato a 136 bps. I governativi italiani prezzano un minore rischio politico per l’Italia e la generale discesa dei rendimenti obbligazionari tende a portare maggiore domanda laddove il rendimento è un po’ più consistente.

In tema di reporting season segnaliamo gli ottimi i risultati di Apple: il gigante americano ha superato le stime sia in termini di EPS (utili per azione) che di ricavi, annunciando il pagamento di un dividendo di 0.77$ per azione da pagarsi il 13 febbraio 2020.

Ha colpito positivamente il fatto che le guidance per l’anno prossimo siano state alzate sia in termini di range di ricavi che di gross margin. Il range di ricavi, oltre ad essere stato alzato, è stato anche ampliato per tenere conto delle maggiori incertezze anche legate al corona virus. La società ha comunque dichiarato che ha dei fornitori sostitutivi nel caso si bloccassero quelli cinesi.

Buoni risultati anche per Microsoft, che riporta numeri superiori alle attese degli analisti, e per Tesla, che sorprende gli analisti sia sul fatturato sia sugli utili sia sul cashflow. Entrambi i titoli, soprattutto Tesla, sono stati premiati dagli investitori con variazioni di prezzo molto positive. Penalizzata dai risultati, invece, Facebook, che riporta nuovi utenti ai minimi storici e costi in aumento.

In aggregato, con il 45% delle società dell’S&P che ha riportato i risultati, la crescita dei ricavi è pari a 1.3% e quella degli utili a 0.3%, entrambe superiori alle attese degli analisti.

La settimana si è conclusa, quindi, con una decisa correzione dei mercati azionari che hanno azzerato le performance da inizio anno. Solo il Nasdaq risulta ancora positivo. Il clima di avversione al rischio ha portato beneficio al comparto obbligazionario governativo, e in parte al corporate investment grade, mentre ha un po’ sofferto il segmento degli high yield.

QUESTA SETTIMANA

I mercati cinesi locali hanno riaperto dopo la pausa per il Capodanno: l’indice azionario aggregato CSI300, che comprende le borse di Shanghai e Shenzhen, ha chiuso con una discesa di circa 7.9%. La Banca Centrale è intervenuta immediatamente con iniezioni di liquidità pari a 1200 miliardi di yua (circa 170 miliardi di dollari) sia attraverso operazioni di reverse repo (maggiore intervento dal 2004) che tagliando i relativi tassi. L’intervento è decisamente massiccio e le autorità sono determinate a dare il massimo supporto. Il cambio Renminbi vs Dollaro si è riportato velocemente sopra la soglia di 7 (livello che era stato superato, al ribasso, in occasione della firma dell’accordo come segnale di distensione dei rapporti commerciali) riallineandosi a quanto il mercato off-shore già segnalava la settimana scorsa.

La UE Inizia ufficialmente le contrattazioni per la Brexit: il mandato è affidato a Michel Barnier. Secondo un sondaggio di Schroders il 52% degli intervistati ritiene che si arriverà ad un’estensione delle trattative oltre la fine del 2020 in uno scenario definito “limbo Brexit”. Nei prossimi undici mesi non cambierà nulla per la libertà di circolazione di persone, beni, capitali e servizi.

Durante la settimana verranno pubblicati, per diversi paesi, i dati finali degli indici di fiducia delle imprese PMI e ISM (per gli Stati Uniti) relativi al mese di gennaio.

Martedì si riunirà la Banca centrale australiana: nessuna variazione attesa al tasso overnight di riferimento pari a 0.75%: il mercato attualmente attribuisce ad un taglio di 0.25% una probabilità del 17%.

La settimana si chiude con i consueti dati mensili sul mercato del lavoro americano: atteso un tasso di disoccupazione stabile a 3.5%, un leggero aumento dei salari orari e del numero di nuovi occupati.

Per ora il Corona Virus sembra essere un facile catalyst di correzione e derisking, in un mercato che aspettava un motivo per allontanarsi un po’ dai massimi raggiunti. I media, che amplificano l’effetto panico, ovviamente, aiutano ad incrementare la volatilità sul mercato. Se facciamo il paragone con il 2002/2003 quando c’è stato il virus della Sars, questa volta la reazione delle autorità è stata decisamente più imponente e intensa e questo, da un lato, fa ben sperare sulla risoluzione della pandemia, dall’altro, fa temere ai più pessimisti che la situazione sia ben peggiore di quanto trapela dalle comunicazioni ufficiali.

Ovviamente non possiamo sapere ora che cosa succederà, possiamo solo tentare di stimare l’impatto sull’economia, in primis quella cinese. Il peso dell’economia cinese sulla crescita globale è alto e il nervosismo degli investitori risiede nel fatto che questo anno ci si aspettava proprio da quell’area il principale contributo alla crescita mondiale.

La reazione dei mercati è alquanto schizofrenica ma ci sta: si è in bilico fra la tentazione di sfruttare ogni correzione per entrare sull’unico mercato che offre potenzialmente un rendimento (ricordiamoci di TINA e FOMO – Fear of missing out) e il timore che la situazione precipiti e l’impatto sull’economia, e conseguentemente sui mercati, sia superiore e spropositato.

Analisi dei mercati del 14.01.2020

La potenziale crisi in Iran non sembra avere turbato particolarmente gli investitori, alla cui tranquillità hanno contribuito le dichiarazioni della Casa Bianca e del ministro degli Affari Esteri iraniano sull’intenzione di non volere proseguire nelle operazioni militari.

Per ora delle 13 rappresaglie minacciate dall’Iran ne abbiamo vista solo una, ovvero un attacco alle basi americane in Iraq che, tuttavia, non ha causato nessuna vittima. L’amministrazione Trump ha imposto nuove sanzioni contro l’Iran, che colpiranno le esportazioni di acciaio, alluminio, rame e ferro, e ha dichiarato, in un discorso alla nazione, che non permetterà mai all’Iran, fintanto che sarà Presidente degli Stati Uniti, di avere armi nucleari. Le Borse sembrano non abbiano intravisto particolari rischi e, alcune, si sono riportate usi massimi storici.

Il prezzo del petrolio (WTI), dopo avere toccato i 65 dollari al barile in occasione dell’attacco americano, ha ritracciato per riposizionarsi intorno ai livelli medi dell’ultimo anno.

Source: Bloomberg

Sul tema Brexit, sia la presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, che la presidente della BCE, Christine Lagarde, ritengono che non sarà facile ridiscutere di tutti i punti dell’accordo entro la fine dell’anno. La sterlina risente di queste dichiarazioni e di quelle di Carney, che sembra essere pronto ad un ulteriore allentamento monetario.

Sul fronte macro, in Europa è positivo il dato relativo alla manifattura tedesca, che nel mese di novembre è salito dell’1.1%, più delle aspettative degli analisti (+0.7%). Si tratta di un altro timido segnale di una possibile inversione di tendenza per il settore manifatturiero tedesco, che potrebbe, se confermato da altri dati, avere impatti positivi sul resto dell’Europa e soprattutto sull’Italia, che ha come principale partner commerciale proprio la Germania. Anche i dati di Francia e Spagna lasciano ben sperare sulla ripresa manifatturiera.

I dati sul mercato del lavoro americano usciti venerdì, seppur leggermente inferiori alle aspettative nella componente “nuovi occupati non agricoli”, confermano una situazione di solidità con il tasso di disoccupazione fermo al 3.5%, livello più basso degli ultimi 50 anni, e senza particolari pressioni salariali.

In calo lo spread BTP-Bund grazie alla percezione di un minore rischio di elezioni anticipate in Italia.

Riguardo alla Banca Popolare di Bari è previsto entro la prima metà di aprile il piano industriale e l’indicazione precisa del fabbisogno finanziario, alla luce dell’alleggerimento dei 1.2 miliardi di NPL, non-performing loans, ancora presenti nei conti della banca. A giugno si terrà l’assemblea degli azionisti con la trasformazione in società per azioni, ritenuta “necessaria e fondamentale” secondo Mediocredito e la Banca d’Italia.

Sul listino italiano, in settimana, si è fatta notare MPS per il +20% di rialzo del titolo, dopo che Moody’s ha rivisto l’outlook e alcuni rating: per la prima volta dopo 7 anni il giudizio complessivo sul merito di credito è passato da Caa1 a B3 e l’outlook è passato a positivo da negativo. Le motivazioni dell’upgrade sono da ricercarsi nei miglioramenti nella qualità delle attività della banca: il rapporto sofferenze/attivi è passato da 18% a 12.50%, grazie allo smaltimento di 3.8 miliardi di euro di crediti deteriorati. Certo la media italiana è intorno all’8% e quella europea al 3% ma l’agenzia di rating ha voluto premiare il percorso intrapreso dall’istituto senese.

Source: Bloomberg

La settimana si è conclusa con performance positive per gli asset rischiosi: l’azionario globale, indice MSCI World, ha guadagnato circa lo 0.8%, con punte di 2% per Nasdaq e DAX.

Bene, anche se in misura minore, l’obbligazionario a spread. Il leggero rialzo dei rendimenti ha penalizzato l’obbligazionario governativo e il corporate investment grade.

Tornano vicini ai minimi gli indicatori di volatilità e si rafforza lo yen. Delle valute “rifugio” solo il Franco Svizzero non beneficia della fase di risk-off e si porta ai massimi dal 2017. Si mantiene su livelli alti la quotazione dell’oro, sopra 1500 dollari/oncia, livello superato il giorno dell’attacco americano. Il metallo giallo è sempre più oggetto di discussione e commenti da parte della comunità finanziaria. Come indicato la scorsa settimana, beneficia dei tassi bassi, non avendo carry, e dei flussi delle banche centrali. Inoltre, tende a proteggere i portafogli dagli “spike” di volatilità che si teme possano essere frequenti questo anno. Ne abbiamo avuto un assaggio proprio all’inizio dell’anno e con le elezioni presidenziali americane di novembre potremo averne altri.

QUESTA SETTIMANA

Mercoledì 15 gennaio a Washington è prevista la firma della Fase Uno dell’accordo fra Cina e Stati Uniti, che dovrebbe prevedere la riduzione dei dazi americani imposti a settembre dal 15% al 7.5%, su 120 miliardi di merci, e un’ulteriore estensione del congelamento di quelli che erano previsti per dicembre 2019, su circa 150 miliardi di merci, pari al 25%, mentre la Cina dovrebbe aumentare le importazioni di prodotti agricoli americani per circa 40 miliardi all’anno. Ha suscitato qualche pensiero l’annuncio che alla firma dell’accordo non sarà presente il Presidente cinese ma il Vice-Premier. Negli Stati Uniti inizia la reporting season, come sempre, le prime società a riportare i risultati del quarto trimestre 2019 saranno le banche. Martedì 14 toccherà a JPM e Citigroup, mercoledì avremo BofA e Goldman Sachs. In totale riporterà l’8% delle società dell’S&P 500.

In UK la House of Lord sarà chiamata a votare l’accordo sulla Brexit. Nonostante una generale opposizione alla Brexit non ci si aspettano sorprese e l’accordo dovrebbe passare.

Sempre in UK i dati in uscita questa settimana saranno importanti per valutare l’eventuale azione delle Bank of England e il relativo impatto sulla sterlina, dato che Carney ha prospettato un novo possibile allentamento monetario qualora l’economia domestica non mostrasse segnali di ripresa.

Mercoledì verrà pubblicato il Beige Book della Fed, che dovrebbe confermare il buono stato di salute degli Stati Uniti.

Sempre mercoledì vedremo il dato sulla produzione industriale di novembre in Eurozona (dato aggregato), che dovrebbe confermare una ripresa congiunturale dopo il calo di ottobre.

Infine, venerdì 17 avremo modo di testare lo stato dell’economia cinese, con la pubblicazione dei dati sul GDP del 4 trimestre 2019, atteso stabile al 6%, la produzione industriale di dicembre e le vendite al dettaglio.

In Italia potremmo avere chiarezza su uno dei temi politici del momento: il referendum confermativo sulla riforma costituzionale circa il taglio del numero dei parlamentari e uno abrogativo relativo alla legge elettorale (nella parte proporzionale).

JPM stima che nel 2020 le emissioni nette di titoli di stato dell’Eurozona dovrebbero scendere ai minimi dal 2008 in calo del 4% rispetto al 2019. La maggior parte delle emissioni, circa il 60%, sarà concentrato nel primo semestre e rallenterà notevolmente nella seconda parte dell’anno. Se da un lato questo fattore segnala che i governi sembrano volere approfittare dei tassi ancora bassi in vista di possibili turbolenze sul fine anno, all’avvicinarsi delle presidenziali americane, dall’altro rappresenta un elemento di sostegno ai bond governativi, che non dovrebbero vedere un’eccessiva salita dei rendimenti.

Si calcola che la scarsità di titoli di Stato in Eurozona, conseguenza del QE lanciato da Mario Draghi e confermato da Christine Lagarde, potrà arrivare a coprire quasi tutte le emissioni di debito pubblico. Con i rendimenti bassi diventano più attraenti i titoli dei paesi periferici più indebitati e quindi con rendimenti maggiori.

Sappiamo inoltre che i tassi non verranno alzati da parte delle banche centrali, neanche in caso di ri-accelerazione dell’economia o di ripresa dell’inflazione. Infatti sia la PBOC, banca centrale cinese, che la Fed sono tornate ad ampliare il loro bilancio a ritmi elevati. Se guardiamo gli indicatori relativi alle Financial Conditions, ovvero le misure che sintetizzano la disponibilità e il costo del credito per dare un’idea dello stress finanziario del sistema, possiamo notare che sono positive per tutte le principali economie e spesso si avvicinano ai livelli massimi del 2014.

Con queste premesse il 2020 potrebbe essere un proseguimento del 2019; è vero che siamo al dodicesimo anno di ciclo economico ma ricordiamo, per l’ennesima volta, che un ciclo economico non muore di vecchiaia ma di shock esogeni o errori di politica monetaria. A dimostrazione di ciò basta guardare al ciclo economico australiano: GDP positivo, quindi nessuna recessione, da ben 28 anni!!!

Source: Bloomberg

Ancora molto buone le performance delle linee con maggiore componente azionaria.