Analisi dei mercati del 01.03.2021

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Il mercato americano è stato parecchio volatile durante la settimana a causa, principalmente, dell’innalzamento dei redimenti governativi (soprattutto a lungo termine) legato alle maggiori prospettive di crescita e, quindi, alle crescenti aspettative di inflazione; questo elemento spinge gli investitori verso prese di profitto sui titoli/settori più “tirati” in termini di performance (vedi Nasdaq e titoli legati allo “stay at home” business) e rotazioni settoriali a favore di ciò che beneficia di una maggiore crescita (commodities e settori ciclici) o di tassi di interesse più alti (settore finanziario). Il mercato europeo, invece, soffre sia il più lento ritmo della campagna vaccinale (siamo circa al 5% contro il 30% di UK e il 15% degli Stati Uniti) che allontana, rispetto alle altre aree geografiche, l’uscita dalla crisi, sia il generalizzato rialzo dei rendimenti che rende il bilancio più pesante.

Avevamo preannunciato che la settimana sarebbe stata caratterizzata da parecchi interventi di esponenti delle banche centrali e così è stato, più o meno ogni giorno sono uscite dichiarazioni che in alcuni casi sono riuscite a calmare i mercati, in altre meno.

Già lunedì abbiamo avuto la Lagarde che, affermando che la ECB sta attentamente monitorando i rendimenti obbligazionari nominali a lungo termine, è riuscita ad invertire, nella giornata, l’andamento del mercato dei governativi ridando un minimo di slancio anche all’azionario. La banca centrale europea intende mantenere favorevoli le condizioni di finanziamento soprattutto perché, spesso, i tassi a lungo termine sono alla base dei mutui alle famiglie e dei prestiti alle imprese. Tra le parole della Lagarde si poteva leggere la disponibilità a intervenire rafforzando il programma di acquisti (PEPP) per frenare eventuali incrementi incontrollati dei rendimenti.  

Giovedì è stato il capo economista della BCE Philip Lane ad intervenire dichiarando espressamente che l’istituto centrale utilizzerà la flessibilità di cui è dotato per gestire gli acquisti di obbligazioni al fine di prevenire un restringimento, non desiderato, delle condizioni finanziarie.

Nei giorni successivi sono intervenuti altri esponenti della Fed a confermare che, prima di intervenire in senso restrittivo sulla politica monetaria, il mercato del lavoro americano dovrà tornare al livello di pieno impiego.

È evidente come il ruolo delle banche centrali sia di mantenere sotto controllo la curva dei rendimenti (Yield Curve Control) per rendere più semplice il lavoro alla politica fiscale.

A proposito di politica fiscale, negli Stati Uniti, la commissione finanza della Camera ha approvato il pacchetto fiscale da 1.900 miliardi che poi è stato approvato dalla Camera.

In Italia il Tesoro si sta preparando per l’emissione del primo BTP green (atteso entro marzo e riservato ad investitori istituzionali), con probabile scadenza di dieci anni, che ha l’obiettivo di finanziare spese relative alle fonti di energia rinnovabili, al risparmio energetico, ai trasporti a basse emissioni e all’economia circolare e i prodotti riciclabili. Secondo il regolamento le spese finanziabili saranno quelle dell’anno di emissione, di quello successivo e dei tre precedenti. Quindi, su 35 miliardi stimati, una buona fetta sarà riconducibile a spese sostenute fra il 2018 e il 2020 e in parte a quelle che si sosterranno nel 2021. Il 2022 non è stato considerato perché dovrebbe già beneficiare dei fondi del Recovery Plan.

L’FDA (l’autorità di controllo sui farmaci americana) ha dichiarato che non sono necessari tempi e sperimentazioni lunghe per adattare i vaccini esistenti alle nuove varianti. Quindi, nel caso si renda necessario, gli eventuali richiami verranno fatti senza particolari problematiche.

Sempre l’FDA ha finalmente dichiarato che il vaccino di Johnson&Johnson (che prevede la singola somministrazione) è considerato sicuro ed efficace e presto sarà approvato per l’utilizzo di emergenza.

Buono il movimento della sterlina inglese che rimane sempre il barometro per le tensioni in UK: durante il periodo dell’incertezza totale su Brexit e quindi sul destino dell’economia britannica scivolava ad ogni cattiva notizia, ora beneficia dell’andamento veloce delle vaccinazioni che porterà presto (si spera) ad una ripresa economica consistente.

Un po’ di turbolenza sul Bovespa (indice azionario brasiliano) in seguito alla decisione del presidente Bolsonaro di sostituire l’ad di Petrobras con un generale di sua conoscenza ma senza competenze in campo petrolifero. Le azioni di Petrobras sono scese del 20% e anche il real (la divisa brasiliana) ne ha risentito come tutto il mercato in generale.

È bastato che Elon Musk dichiarasse che le quotazioni del bitcoin fossero un po’ “alte” per causare una brusca reazione intraday della criptovaluta nella giornata di lunedì. Ovviamente, visto il consistente investimento che Tesla ha fatto sui bitcoin il movimento si è riversato anche sui titoli della casa automobilistica. Qualcuno parlava di una bolla che investe in una bolla, sicuramente quello che è vero è che la volatilità di Tesla (che già non era bassa) in questo modo sale.

Il bitcoin, inoltre, continua ad essere preso di mira dai policy maker: il segretario al Tesoro americano Janet Yellen continua a definire il bitcoin un asset “altamente speculativo” ed “estremamente inefficiente” e sottolinea la necessita di una maggiore regolamentazione. Ovvio, comunque, che sia politici che esponenti delle banche centrali non vedano di buon occhio le criptovalute in quanto non riescono a controllarne i movimenti e le dinamiche. Evidente, però, che è in corso un processo che sembra quasi diventato irreversibile per le dimensioni che sta assumendo e per i sempre maggiori attori coinvolti.

QUESTA SETTIMANA

Siamo ancora in un periodo in cui le notizie sulla pandemia sono importanti anche perché denotano forti differenze geografiche: ci sono alcuni paesi, più avanti nelle vaccinazioni, che stanno cominciando a riaprire le loro economie per tornare verso una sorta di normalità (tipo US e UK) mentre altri sono ancora costretti ad adottare forme di lockdown più o meno circoscritto (soprattutto in area Euro). Questa condizione potrebbe portare ad una differenza sempre più marcata fra l’andamento economico delle diverse aree con conseguenze anche sui mercati finanziari.

Il Senato americano sarà chiamato ad esprimersi sul programma di Biden in merito al pacchetto fiscale da 1.900 miliardi di dollari: il punto critico è quello relativo all’innalzamento del salario minimo che vede contrari i Repubblicani e non necessariamente tutti i Democratici a favore. Importante (e probabile) che siano garantiti gli assegni ai cittadini (1.400 dollari a chi ha redditi inferiori ai 75.000) soprattutto in vista della scadenza dei sussidi alla disoccupazione il 14 marzo.

In settimana verranno pubblicati i dati di fiducia delle imprese PMI e ISM (negli Stati Uniti) relativi al mese di febbraio: le attese sono per dati sostanzialmente stabili ma che potrebbero confermare, soprattutto in Eurozona, una maggiore debolezza del comparto dei servizi. Negli Stati Uniti, inoltre, il report mensile sul mercato del lavoro aiuterà a valutarne le dinamiche.

Giovedì 4 è previsto il consueto appuntamento mensile dell’OPEC+ per eventualmente ricalibrare l’offerta di petrolio: potrebbe essere deciso di ridurre un po’ i tagli programmati e quindi aumentare la produzione per fare fronte ad una maggiore domanda.

Venerdì 5, in Cina, prenderà il via la sessione annuale del National People’s Congress che probabilmente sarà più breve rispetto alle consuete due settimane considerato il rischio sanitario.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Il pacchetto fiscale che sta per essere approvato dal Congresso americano sappiamo che è enorme e dovrebbe garantire una crescita dal pil intorno a 6%/7% (lo sostiene anche lo stesso Powell). Ricollegandoci a quanto scritto la scorsa volta (“too much of a good thing”) il rischio è, quindi, che paradossalmente ci sia troppa crescita che non è ancora pienamente prezzata dai mercati obbligazionari. Effettivamente il livello attuale del Treasury è ritenuto dagli analisti abbastanza incongruente con le prospettive di crescita economica e di inflazione, segno che il QE della Fed svolge ancora discretamente il suo lavoro.

Qualora il repricing avvenisse in modo graduale e fosse legato alla consapevolezza di una sempre più vicina e sostenibile ripresa economica allora non sarebbe particolarmente preoccupante né destabilizzante. Lo diventerebbe, invece, nel caso in cui il mercato arrivasse a pensare che la Fed stia commettendo un errore di policy oppure in caso di salita fuori controllo dell’inflazione. In questo ultimo caso le banche centrali sarebbero in serie difficoltà.

L’inflazione, quindi, è l’elemento estremamente delicato e a cui prestare maggiore attenzione in questo periodo. Possiamo ragionevolmente ritenere che fino a certi livelli (intorno al 3%, tenendo conto del concetto di “simmetria” ribadito dalle banche centrali) può creare volatilità ma è tollerabile dalle asset class quali l’azionario e le materie prime, oltre certi livelli, soprattutto se ci arriva velocemente, rischia di essere un po’ uno shock e causare un repentino aumento dei rendimenti e una forte correzione azionaria.

Spesso citiamo gli indicatori di volatilità azionari VIX e VSTOXX, ma vale la pena cominciare a guardare anche quello obbligazionario MOVE che esprime la volatilità implicita nelle opzioni sul Treasury (titolo di stato statunitense) cha da qualche tempo sta dando segnali di tensione (per dare un’idea viaggiava nel range 40-50 da novembre e nell’ultima settimana si è spostato sopra i 60).

Che l’economia si stia avviando verso una normalizzazione dell’attività economica lo vediamo anche dalle quotazioni del rame (ai massimi degli ultimi dieci anni). Tempo fa avevamo ricordato come questo metallo fosse chiamato il “dr Copper” in quanto è considerato un indicatore dello stato di salute dell’economia. Il ruolo da padrone lo gioca la Cina, ovviamente, che sorpreso tutti per il timing e l’entità degli acquisti. Volendo poi essere sofisticati, per il piacere dei più esperti, diciamo che la curva dei contratti futures sul rame si trova in “backwardation”: ovvero i prezzi dei contratti più vicini sono più alti di quelli dei contratti più a lungo termine, segno che c’è una carenza di offerta (rispetto al picco della domanda) che potrebbe essere legata agli stop alla produzione dovuti ai lockdown. Tante volte abbiamo citato proprio questo elemento come fattore di rischio per la c.d. inflazione “cattiva”.

Un corretto (e auspicabile) scenario economico da qua a fine anno vedrebbe la concatenazione dei seguenti elementi: vaccinazioni à calo dei contagi à riapertura dell’economia à ripresa economica à ripresa dell’inflazione.

I governi dovrebbero contribuire a far partire il volano della crescita, attraverso la spesa pubblica, finché le economie non sono al sicuro nella fase della ripresa.

Le banche centrali dovrebbero finanziare i governi e garantire con i programmi di acquisto (QE) il mantenimento di condizioni finanziarie agevoli. Importanti saranno le riunioni di BCE e FED rispettivamente il 7 e 17 marzo dove, soprattutto per la BCE, si capirà se prevale l’impostazione di chi vuole controllare i tassi nominali (ad es. Lane) o quelli reali (ad es. Schnabel) e un’eventuale estensione del programma PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme). Questo punto è estremamente delicato e importante per i mercati (ne abbiamo avuto una conferma la settimana scorsa) che richiedono che l’inevitabile pressione al rialzo dei rendimenti governativi sia sapientemente controllata dall’azione delle banche centrali.

In questo modo i mercati potrebbero proseguire la loro strada: quelli azionari beneficiare della crescita economica e della ripresa degli utili (che aiuterebbe a calmierare i multipli), quelli obbligazionari tornare gradualmente ad avere rendimenti più consoni allo stato dell’economia (quindi più alti) e più interessanti per gli investitori.

Magari, un giorno, si riuscirà anche a tornare a costruire portafogli bilanciati con la componente obbligazionaria che svolge il ruolo che dovrebbe avere da libro di testo e la componente azionaria che offre l’opportunità di un rendimento maggiore.

Nel frattempo, però, i mercati che non sono mai lucidi e graduali nei movimenti, potrebbero essere soggetti a movimenti irrazionali e violenti, andando in “overshooting” per effetto dello spostamento di enormi flussi conseguenti ai posizionamenti troppo allineati e simili tra gli investitori. Bisogna farsene una ragione e mantenere, come sempre consigliamo, i nervi saldi e una chiara strategia in mente!

Le linee di gestione hanno risentito della volatilità presente sui mercati e dell’aumento dei rendimenti dei governativi, ed hanno fatto registrare una performance negativa nell’ultima settimana.

Analisi dei mercati del 30.11.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Prosegue il rialzo dei mercati azionari che, in aggregato (Msci World), guadagnano il 2.4% nella settimana. Alcuni indici hanno raggiunto livelli record: il Dow Jones (l’indice americano esistente dal 1928) tocca il livello simbolico di 30.000 e il Nikkey (indice giapponese esistente dal 1949) porta a casa il mese migliore dal 1987. Poco variati gli indici obbligazionari con i governativi che vedono una leggera contrazione dei rendimenti. Fra le commodities segnaliamo l’ottima performance del petrolio (+7%) mentre corregge l’oro coerentemente con la fase di risk-on.

Il mercato ha particolarmente apprezzato sia le notizie provenienti dalla politica americana che il continuo progresso sul tema dei vaccini.

Sul primo tema, sebbene Trump abbia dichiarato che riconoscerà Biden come presidente solo quando il collegio elettorale (dei c.d. “grandi elettori” che si riuniranno il 14 dicembre) certificherà la sua vittoria, la responsabile dei servizi generali annuncia che si può iniziare finalmente il passaggio di consegne tra i due, sbloccando, quindi, i fondi necessari per gestire la transizione. Intanto Biden procede con la selezione dei componenti del suo team che potranno così interagire con i ministri attuali per avere aggiornamenti sui dicasteri: ai mercati è decisamente piaciuta la scelta della ex-governatrice della Fed Janet Yellen al Tesoro nota per la sua “dovishness” e propensione a sostenere l’economia in sintonia con la Fed attuale. La Yellen, che è stata già la prima donna alla guida della Fed, sarebbe anche la prima donna a capo del Tesoro da 231 anni.

Per quanto riguarda i vaccini, a inizio dicembre è attesa l’approvazione da parte di FDA (Food and Drug Administration) ed EMA (European Medicines Agency), le due autorità regolatorie rispettivamente per US ed Europa, del vaccino di Pfizer/BioNTech e di Moderna (quest’ultima ha inviato la richiesta questa mattina). Il vaccino di Astrazeneca, diverso per tecnologia da quello di Pfizer e Moderna, dai risultati preliminari mostra un’efficacia media del 70%, che sale al 90% se la somministrazione viene fatta in due fasi (prima mezza dose e dopo una intera), e garantisce risultati positivi senza gravi effetti collaterali. Giovedì, sempre Astrazeneca, annuncia che verrà eseguito un nuovo test completo per arrivare a risultati più certi ma precisa che questo non impatterà sulle tempistiche. Anche in Cina Sinopharm ha richiesto al regolatore cinese l’autorizzazione a commercializzare il suo vaccino che, tra l’altro, era stato già utilizzato “per emergenza” su parecchie persone (motivo per cui, si ipotizza, la Cina non ha di fatto avuto una seconda ondata).

Segnali di distensione anche nei rapporti fra Cina e Stati Uniti: il presidente cinese Xi Jinping avrebbe intenzione di richiedere agli Stati Uniti di unirsi ad una sorta di TPP 2 (Trans Pacific Partnership), l’accordo dal quale Trump si era sfilato ma che era stato siglato da Obama (del quale Biden era vicepresidente).

In settimana sono stati pubblicati i verbali delle riunioni di Fed e BCE. Dai primi emerge che il board della banca centrale americana sta studiando come modificare il programma di acquisto titoli sia in termini di durata sia in termini di come impattare sulla “pendenza” della curva: si ipotizza infatti un maggiore impegno sulla parte più lunga della curva. Da quelli della BCE è arrivata la conferma che la situazione richiede un intervento coordinato tra politica fiscale e monetario e che sia TLTRO che PEPP saranno gli strumenti principali da utilizzare.

Dalla lettura dei PMI preliminari per il mese di novembre usciti in settimana è emersa una certa dicotomia fra Eurozona e Stati Uniti con la prima in calo sul dato aggregato (45.1 da 50) a causa soprattutto, come atteso, della componente legata ai servizi (41.3 da 46.9) e della debacle francese (dato aggregato da 47.5 a 39.9), mentre gli Stati Uniti offrono un quadro decisamente diverso con il dato composite che passa da 56.3 a 57.9 grazie sia alla componente servizi (57.7 da 56.9) che alla manifattura (56.7 da 53.4). Anche l’IFO tedesco mostra un leggero calo (da 92.7 a 90.7) soprattutto nella componente delle aspettative.

In settimana due elementi confermano la forza dell’economia cinese: il dato sui profitti industriali per il mese di ottobre è uscito in crescita del 28.2% (vs 10.1% precedente) al livello più altro dal 2011; i risultati di Tiffany sono usciti migliori delle attese e in crescita grazie proprio al mercato cinese.

Deutsche Boerse ha annunciato una modifica alla composizione dell’indice azionario tedesco Dax: i titoli passeranno da 30 a 40 a partire da settembre 2021 con l’obiettivo di aumentare la diversificazione. Si punta anche a migliorare la qualità (soprattutto dopo lo scandalo di Wirecard) imponendo, come criterio di inclusione, la presenza di un ebitda (margine operativo lordo, ovvero l’utile al quale sono risommate le tasse, gli ammortamenti e il deprezzamento e le spese per interessi) positivo nei recenti bilanci e, come requisito di mantenimento, la pubblicazione di rapporti finanziari annuali certificati e dichiarazioni trimestrali.

Finalmente in Europa, dopo le tante pressioni arrivate, si comincia a parlare di rimozione del divieto alla distribuzione dei dividendi da parte delle banche nel 2021. Ne ha accennato il vicepresidente del consiglio di sorveglianza della BCE, Yves Mersch, dichiarando che mantenere la sospensione al pagamento dei dividendi oltre la fine di questo anno diventerebbe difficile da giustificare, sia da un punto di vista giuridico che in relazione a quanto altri paesi (vedi UK) decideranno di fare. Ovviamente la distribuzione degli eventuali dividendi sospesi dovrà avvenire in modo “cauto” e solo in caso di bilanci solidi di banche in grado di valutare anche in chiave prospettica la situazione patrimoniale. La decisione finale verrà presa solo dopo che la BCE pubblicherà le sue previsioni macro il 10 dicembre.

Il risiko bancario ogni settimana riserva qualche novità: lunedì scorso Crédit Agricole Italia (controllata da Crédit Agricole per il 75.6%) ha lanciato un’OPA da 737 milioni di euro su Creval interamente cash (per questo è previsto un aumento di capitale per garantire il mantenimento di adeguati ratio patrimoniali). Il titolo reagisce alla notizia con un +23% superando così il prezzo dell’offerta (10.5 euro per azione) che aveva un premio del 21.4% rispetto al prezzo di chiusura di venerdì e del 54% rispetto alla media ponderata degli ultimi sei mesi. L’offerta corrisponde ad una valutazione in termini di Price/Tangible Book Value pari a 0.4x e permette quindi di incassare un badwill significativo (pari a circa un miliardo). L’obiettivo di Crédit Agricole, che aveva già una partecipazione del 9.8% in Creval, è di arrivare al delisting, alla fusione e all’integrazione nella prima parte del 2022, che diventerebbe possibile qualora aderisse il 66.7% degli azionisti (Algebris, il fondo di Davide Serra, si è già impegnata a vendere il suo 5.4%). Nascerebbe così il sesto gruppo bancario italiano con più di 1.200 filiali. L’OPA è dichiarata amichevole da parte di Crédit Agricole, tuttavia, non essendo stata concordata, ci potrebbe essere la richiesta di un rilancio da parte del CdA di Creval (come successe nell’acquisizione di UBI da parte di IntesaSanPaolo che, però, era carta contro carta inizialmente); il fondo inglese Petrus Advisers ha già dichiarato l’offerta inadeguata ritenendo superiore a 14 euro per azione il valore equo, pertanto suggerisce di non aderire. Crédit Agricole, ricordiamo, aveva cercato di arrivare ad un’intesa con BancoBPM ma il nulla di fatto e, successivamente, le voci di una possibile fusione tra BPER e BancoBPM ne hanno modificato il target. A questo punto sul tavolo rimarrebbe solo Unicredit per risolvere la questione del Monte dei Paschi.

Per agevolare e incentivare le aggregazioni bancarie, come caldeggiato dalla BCE, l’Italia utilizza gli incentivi fiscali: le banche che saranno oggetto di attività di M&A potranno trasformare le attività fiscali differite (Dta – Deferred Tax Assets) derivanti dalle svalutazioni sui crediti in crediti fiscali, della più piccola delle società che si fondono, per un ammontare non superiore al 2% degli attivi (il Movimento 5 stelle ha presentato un emendamento per porre 500 milioni come tetto massimo). Abbiamo accennato a questo aspetto nelle scorse settimane come tentativo del Governo di risolvere la questione BMPS (in questo caso il beneficio sarebbe pari a due miliardi) ma è valido per tutte le fusioni ed è evidente che ne stanno approfittando in molti. Nel caso specifico di Crédit Agricole – Creval circa 1/3 dei 737 milioni tornerebbero grazie a questo incentivo.

Molto forte la performance del Bitcoin che in settimana ha toccato i livelli massimi raggiunti nel 2017 (pari a 19.500) per poi crollare improvvisamente giovedì (-10%) sulla diffusione di voci secondo le quali il segretario del Tesoro americano Mnuchin avrebbe intenzione di regolamentare la criptovaluta costringendo le varie borse che sono sotto la giurisdizione americana a venderlo/comprarlo solo per portafogli che rispettano le norme KYC, ovvero con possessori identificabili. Verrebbe meno, quindi, uno dei punti di forza delle criptovalute e cioè l’anonimato: infatti, la maggiore parte dei bitcoin si trova su portafogli anonimi e fra questi abbiamo quelli definiti “whale” (balena) che hanno almeno 1000 bitcoin (pari a circa 18 milioni di dollari) che, se smontati, potrebbero uscire da Coinbase (la borsa dei bitcoin americana) provocando un brusco ridimensionamento del valore. Neanche spostarsi sarebbe facile dato che l’altra grossa borsa mondiale Okex, attiva anche sui derivati, è basata a Malta e fra i proprietari, cinesi, figura tale Xu sotto indagine da parte della polizia cinese.

QUESTA SETTIMANA

Questa mattina sono usciti in rialzo i dati di fiducia delle imprese in Cina per il mese di novembre: si tratta di quelli calcolati dall’agenzia statale ed evidenziano una crescita sia nel settore manifatturiero (52.1 da 51.4) che in quello dei servizi (56.4 da 56.2) entrambi superiori alle attese.

In settimana, sempre in Cina, verranno pubblicati anche quelli dell’agenzia privata Caixin. In Eurozona avremo il dato PMI finale (atteso in leggero rallentamento coerentemente con i numeri preliminari della scorsa settimana) e negli Stati Uniti l’ISM. Vedremo se si confermerà la dicotomia fra economia europea e americana

Oggi e domani è previsto il meeting Opec+: sia Russia che Arabia Saudita sembrano essere favorevoli ad una posticipazione da tre a sei mesi dell’incremento della produzione (pari a due milioni di barili al giorno) che era stato deciso per Gennaio 2021 al fine di evitare un aumento dell’offerta che potrebbe non essere assorbito dall’attuale domanda. Bisogna considerare che le tensioni all’interno dell’OPEC stanno aumentando ed emerge sempre di più una divergenza di opinioni con gli Emirati Arabi che si ipotizza possano essere prossimi ad uscire dall’organizzazione.

Il Segretario di stato americano Mnuchin e il Presidente della Fed Powell testimonieranno davanti alla commissione finanza del Senato in merito al “Cares Act” ovvero il programma di stimoli partito a marzo per far fronte alla crisi generata dalla pandemia.

Venerdì verranno pubblicati i dati sul mercato del lavoro americano riferiti al mese di novembre: le attese sono per un leggero rallentamento dei nuovi occupati e un tasso di disoccupazione stabile a 6.8%. Ricordiamo che questi dati sono importanti per avere il polso dell’economia americana la cui ripresa è strettamente legata ai consumi.

I negoziatori europei si sono spostati a Londra per riprendere i negoziati sulla Brexit: il punto critico, adesso, sembra essere quello relativo alla pesca, ovvero l’accesso dei pescherecci europei alla futura zona economica esclusivamente britannica. All’interno della UE, infatti, i pescherecci hanno accesso libero alle acque degli altri ad eccezione delle 12 miglia marine dalla costa. Con l’uscita della Gran Bretagna dalla UE, ogni anno si dovrebbero negoziare le quote riservate ai pescherecci dell’Unione Europea entro 200 miglia marine, come fa attualmente la Norvegia. La UE vorrebbe il mantenimento dello stato attuale.

In Italia c’è un po’ di movimento in Unicredit: nel week-end è stato convocato un CdA straordinario dal quale, però, non è ancora emerso nulla. Il tema sembra essere la posizione di Mustier contraria ad ipotesi di aggregazioni. Vedremo in settimana.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

In questa sede abbiamo più volte discusso di quanto l’incertezza pesi sui mercati frenandone il potenziale di crescita. La conferma la stiamo avendo in questo periodo con l’incertezza politica americana che sembra venire sempre meno con Trump che avvia il passaggio di consegne e con i vaccini che avvicinano il momento in cui si riuscirà ad arginare e controllare il problema sanitario.

Ricordiamoci che quest’anno il ciclo economico ha subito una brusca frenata con l’arrivo improvviso del corona virus e con il fatto che le economie sono state messe in una sorta di coma farmacologico facendole entrare in recessione. Non si è trattato, quindi, di una recessione derivante dallo scoppio di bolle legate a degli eccessi sul mercato ma da uno stop forzato e necessario per motivi sanitari. Man mano che i rischi sanitari vengono meno è ovvio che l’economia può riprendere il suo percorso, anche se, probabilmente, un po’ “riadattato” al nuovo modo di vivere e lavorare. I mercati in modo più o meno “lineare” si adattano al nuovo scenario.

Un tema che è stato molto dibattuto nell’ultimo periodo riguarda la possibilità che le cripto-currencies soppiantino l’oro come bene rifugio: attualmente, infatti, il Bitcoin si trova in prossimità dei nuovi massimi mentre l’oro viaggia in prossimità del supporto di 1.800 dollari/oncia come se ci fosse in atto un travaso dal vecchio al nuovo bene rifugio.

Bisogna, tuttavia, considerare che le dinamiche sottostanti ai due asset sono un po’ diverse esattamente come lo è la volatilità.

Diciamo che i due asset hanno delle caratteristiche similari: si può, infatti, ritenere che l’offerta sia limitata per entrambe (si parla di “minatori” sia per oro che per i bitcoin) e che entrambe, non avendo “carry” (ovvero non originando alcun rendimento periodico), tendono a salire quando i tassi reali scendono, ovvero quando anche le alternative tipicamente obbligazionarie hanno rendimenti bassi se non nulli o addirittura negativi. Il punto sull’offerta limitata è molto importante nell’attuale contesto in cui le banche centrali fanno a gara a chi stampa più moneta: infatti la legge della domanda e dell’offerta fa sì che all’aumentare della prima il prezzo salga se l’offerta è rigida.

Le differenze principali, invece, sono rappresentate essenzialmente dai driver della domanda: per l’oro la domanda fisica proviene soprattutto da paesi quali l’India e la Cina e quindi esiste un fattore stagionale che crea degli alti e bassi nella domanda (la stagione dei matrimoni in India e il capodanno cinese, che l’anno prossimo cadrà il 12 febbraio) mentre per il bitcoin, essendo comunque una “valuta” relativamente nuova beneficia degli annunci di chi decide di accettarla come mezzo di pagamento (vedi Paypal con l’annuncio di ottobre a valere dal 2021 per consumatori americani) ma risente anche della probabile volontà di regolamentazione da parte delle autorità.

Si tratta sicuramente di un tema interessante e da monitorare.

Ancora in crescita le nostre linee di gestione: quelle azionarie, soprattutto, continuano a beneficiare del buon andamento delle borse. Il contributo delle commodities è stato neutrale dato che le prese di profitto sull’oro sono state controbilanciate dalla salita delle materie prime più cicliche.

Ottimo il contributo della nostra Sicav SCM Stable Return che, nel mese di novembre, ha avuto una performance di +5.16%. Il fondo ha beneficiato della rotazione tra titoli “growth” e “value” e della conseguente performance dei settori industrials e finanziario, innescata dai progressi sui vaccini contro il corona virus.