Analisi dei mercati del 16.03.2020

Quello che avevamo individuato come l’evento principale della settimana è stato a dir poco devastante: alla già difficile situazione sui mercati si è aggiunta una banca centrale europea poco reattiva e, soprattutto, delle dichiarazioni particolarmente infelici della governatrice Christine Lagarde. Piazza Affari ha registrato la peggiore chiusura della sua storia e gli indicatori di volatilità sono saliti ai livelli della crisi finanziaria globale, per non parlare poi del movimento sui BTP e conseguente allargamento dello spread verso la Germania. Wall Street era scesa più del 7% solo una volta dal 1987, durante la crisi finanziaria del 2008.

Cosa è avvenuto esattamente?

Non sono stati tagliati i tassi sui depositi come il mercato si attendeva, ma questa è la cosa meno grave. Come dicevano si sarebbe dovuto modificare il sistema di “tiering” per tutelare le banche e lo spazio di manovra sarebbe stato comunque veramente limitato.

È stato aumentato il programma di acquisto titoli (QE) per 120 miliardi fino a fine anno e questo ha deluso il mercato che si attendeva almeno 20 miliardi in più al mese (così sarebbero 15).

È stato annunciato un nuovo TLTRO di ammontare illimitato fino a giugno, a tassi agevolati (fino a 25bps sotto il tasso sui depositi) e questo va bene.

La capital key resterà in vigore ma con flessibilità.

Il mercato non ha reagito bene al mancato bazooka che invece ci si sarebbe aspettati, ma la cosa che ha decisamente non apprezzato è stata la frase della Lagarde, durante la Q&A session, circa il fatto che non è compito della BCE ridurre lo spread e lei non ha intenzione di replicare il “whatever it takes” del suo predecessore. La Lagarde poi ha cercato, in altra sede, di rimediare dicendo che è impegnata a evitare qualsiasi frammentazione in un momento difficile per la zona euro, aggiungendo che l’allargamento degli spread legato al corona virus compromette la trasmissione della politica monetaria, ma ormai il danno era fatto.

Sono piovute critiche da tutte le parti, pure dal presidente Mattarella, e nessuno è stato in grado di giustificare le sue parole.

La sera stessa la Fed è intervenuta sui mercati con un finanziamento di 1500 miliardi di dollari a breve termine giusto per fare notare la diversa incisività.

La mattina seguente la PBOC (banca centrale cinese) ha tagliato il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche di 50- 100 a partire dal 16 marzo. Verranno rilasciati circa 550 miliardi di renminbi di liquidità a lungo termine per il sistema bancario.

Mercoledì la Bank of England, a sorpresa, ha tagliato i tassi di 50bps portandoli a 0.25% e ha annunciato una serie di misure per aiutare famiglie e imprese ad affrontare l’emergenza stanziando circa 30 miliardi di sterline.

Dopo avere tagliato i tassi al minimo storico anche l’Australia stanzia oltre 11 miliardi di dollari per cercare di fermare il virus che sta innescando la recessione.

Il tutto ha svegliato dal torpore anche la Germania: Scholz (ministro delle finanze) ha prima dichiarato che potrebbero implementare programmi di stimolo se necessario poi ha prontamente aggiunto che verrà aumentato il debito e non porrà limiti ai programmi di credito per le imprese. La cancelliera Merkel si aspetta che sarà contagiato il 70% della popolazione. L’attuale crisi viene considerata ancora più eccezionale di quella del 2008.

A questo si è aggiunta l’Unione Europea che ha di fatto autorizzato lo stimolo fiscale attivando le clausole di crisi: il limite del 3% di rapporto deficit/pil è temporaneamente sospeso.

La presidente della Commissione Europea Von der Leyen ha dichiarato che Bruxelles è pronta a varare un fondo di investimento da 25 miliardi di euro con uno sblocco immediato di 7.5 miliardi.

Atteso in US pacchetto di stimoli fiscali con, fra le altre misure, un taglio della tassazione sul lavoro, tipo taglio delle tasse per l’intero 2020.

QUESTA SETTIMA

Domenica sera alle 22 (ora nostra) la Fed ha dato avvio ad un intervento coordinato da parte delle banche centrali intervenendo, nuovamente, con una mossa a sorpresa (prima quindi la riunione ufficiale di questa settimana) tagliando i tassi di 100 bps portandoli nel range 0% – 0.25% e annunciando un pacchetto di stimoli legati alla ripresa del QE da 700 miliardi di dollari (500 miliardi per acquistare Treasury e 200 miliardi di MBS (mortgage-backed securities). Azzerati i requisiti di riserva obbligatoria per le banche.

Questa mattina anche la Bank of Japan è intervenuta prima del meeting ufficiale, annunciando di volere acquistare il doppio degli asset rischiosi (come gli ETF) da 6 a 12 trn di yen, commercial papers per sostenere i prestiti commerciali a breve termine e corporate bond fino a fine settembre. Ha, inoltre, dichiarando che sono possibili ulteriori tagli ai tassi già negativi.

La Bank of New Zealand ha tagliato i tassi di 75 bps ai minimi storici (0.25%) in un meeting di emergenza. La Bank of Australia, che aveva tagliato la settimana scorsa, ha immesso più liquidità nel sistema.

La PBOC ha nuovamente iniettato liquidità nel sistema, l’equivalente di 14 miliardi di dollari.

È evidente un intervento coordinato tra le banche centrali per offrire finanziamenti in dollari.

In Europa si continua a cercare di rimediare alla gaffe della Lagarde: Fabio Panetta, membro del board della BCE, ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera che forti aumenti ingiustificati degli spread saranno contrastati con forza e la Banca Centrale è pronta ad ampliare il programma di acquisto dei titoli per fronteggiare le cadute del Covid19.
Oggi si terrà un vertice tra i ministri finanziari della zona euro in attesa dell’Ecofin di domani.

Questa settimana gli occhi saranno, come sempre, puntati su due aspetti:

1. I dati relativi alla diffusione del corona-virus per poter sperare di avere una stima di quando la pandemia supererà il picco e l’attività si avvierà verso la normalità;

2. Le misure a supporto dei vari governi, ora necessarie più che mai, sia per tentare di compensare il danno economico sia per evitare ulteriore panico.

Nel panico generale che sta invadendo i mercati (e non solo) diventa sempre più complesso mantenere la lucidità e aggrapparsi a considerazioni logiche e razionali senza rischiare di essere accusati di confondere la luce, che si cerca di vedere in fondo al tunnel, con il treno che ci sta venendo incontro!

Ma proviamoci comunque.

Il virus si sta chiaramente propagando da est a ovest e per questo motivo è utile analizzare quanto fatto da chi ci è passato per prendere esempio e poter fare ipotesi. Nei paesi asiatici, Cina in primis ma anche altri come Corea del Sud e Singapore, ad esempio, i governi sono intervenuti pesantemente paralizzando l’attività economica e i dati sembrano confermare un rallentamento dell’epidemia. In Cina, ad esempio, il picco della crisi sanitaria (misurata in termini di contagi dall’OMS) è stato raggiunto a metà febbraio quindi circa un mese dopo il blocco delle attività (avvenuto quasi in concomitanza con il capodanno cinese di fine gennaio). I dati macroeconomici, ovviamente, stanno uscendo male, ma gli interventi a sostegno sia di natura fiscale che monetaria hanno consentito al mercato di recuperare dai minimi (solo recentemente, anche in misura minore, gli indici locali si sono fatti contagiare dall’andamento di quelli globali).

Adesso in Cina stiamo rivedendo una ripresa dell’attività economica. La stessa Apple venerdì 13 ha annunciato la chiusura di tutti i negozi al di fuori del territorio cinese. Quelli in Cina stanno gradualmente riaprendo. Il governo è pronto a rimuovere le misure di contenimento del virus introdotte riaprendo scuole e attività produttive. Sempre Apple ha annunciato che il prossimo iPhone 5G probabilmente verrà annunciato con un mese di ritardo a causa dei problemi sulla catena di fornitura.

Così come Apple può essere presa in riferimento fra le aziende globali, in Europa l’Italia può essere considerata il cosiddetto “canary in the coal mine”: come sta reagendo l’Italia alla crisi sanitaria, i risultati che otterrà, faranno capire quanto tempo occorrerà agli altri paesi e gli impatti economici che si dovranno affrontare.

Si paragona spesso l’attuale crisi a quella del 2008 tuttavia, al di là degli impatti sugli indici azionari la principale differenza, ad oggi, è la tipologia della crisi. Nel 2008 era legata allo scoppio di una bolla (quella dei mutui sub-prime), attualmente è una crisi prima legata ad un blocco prima dell’offerta poi della domanda per ragioni di pandemia.

Reagire ad una crisi finanziaria è una cosa, reagire ad una crisi sanitaria è diverso e forse più complesso e soprattutto non ci sono modelli passati da seguire.

Quello che ora è importante è che l’attuale crisi non si trasformi in crisi finanziaria. Gli interventi delle banche centrali, soprattutto a partire da quello del week-end della Fed, hanno lo scopo di scongiurare che questo avvenga.

Ovviamente interventi così a sorpresa creano confusione e smarrimento fra gli investitori che ritengono che forse c’è ancora qualcosa che il mercato non sa ma di sicuro vanno nella giusta direzione.

Quello che serve ora è un intervento pesante, forte e deciso anche in ambito fiscale. Magari anche esagerato. Qualcuno ritiene esagerato il provvedimento italiano sulla chiusura totale di quasi ogni attività. Senza entrare nel merito della bontà o meno della decisione possiamo dire due cose: forse la decisione è stata presa in ritardo ma se applicata seriamente dovrebbe dare i suoi frutti in due settimane perché è decisamente drastica, quasi troppo per molti. Quasi troppo perché l’impatto sull’attività reale si sentirà eccome. Ma dovendo evitare l’intasamento del sistema sanitario si è deciso di andare giù pesantemente.

Esattamente come è stato fatto in ambito sanitario occorre andare pesante anche sull’intervento di supporto economico anche rischiando di esagerare. Ed è proprio questo che sta mancando e il mercato lo sente.

Il mercato ha confermato, durante la settimana scorsa, che reagisce in modo spropositato a notizie o dichiarazioni di esponenti governativi e non. Ovviamente è facile, ex post, dire che avremmo potuto evitare perdite, anche importanti, uscendo alle prime avvisaglie delle crisi ma questo avrebbe avuto come precondizione la conoscenza in anticipo di eventi e dichiarazioni che erano evidentemente imprevedibili. Muoversi in base alle percezioni o paure non sempre, allargando l’orizzonte temporale, è risultata una strategia vincente.

Adesso avendo completamente perso di vista i fondamentali sui quali si riescono a fare poche assunzioni la gente si affida all’analisi tecnica, all’individuazione di livelli di possibili supporti. Questo dimostra quanto si navighi a vista e quanto sia facile sbagliare e farsi male.

Analisi dei mercati del 25.02.2020

Le notizie circa la diffusione del COVID19 (coronavirus) continuano ad essere al centro dell’attenzione dei media.

I continui cambiamenti nelle metodologie di calcolo rendono parecchio incerti i numeri finali in Cina e questo tende ad infastidire i mercati. Inoltre, si sono aggiunti nuovi casi a Hong Kong, in Giappone, in Corea, in Iran e anche in Italia! Il tasso di mortalità rimane basso ma la velocità di diffusione fa abbastanza preoccupare.

C’è poi il sospetto che nei paesi che apparentemente sono indenni il reale motivo sia la mancanza di diagnosi. Facile quindi generare il panico fra la gente e sui mercati.

In settimana, alle varie guidance negative di diverse società, si è aggiunto il warning di Apple: poiché l’attività in Cina si sta normalizzando più lentamente delle attese, la produzione di iPhone potrebbe essere temporaneamente limitata e questo impatterà sugli obiettivi di fatturato del trimestre in corso. Inoltre, la domanda dei prodotti di Cupertino è stata impattata dalla chiusura dei negozi sul territorio cinese e dal minore afflusso di clienti. L’effetto dovrebbe essere, comunque, circoscritto al trimestre in corso e recuperato in quello successivo e questa considerazione ha limitato, nell’immediato, l’impatto negativo in Borsa.

La Cina prosegue nelle misure monetarie espansive tagliando, come atteso, di 0.1% (a 4.05%) sia il prime rate a un anno che quello a 5 anni (a 4.75%) con l’obiettivo di aiutare la liquidità del sistema bancario per i finanziamenti alle imprese. La Banca centrale ribadisce che la politica monetaria si manterrà flessibile e appropriata implementando nuove misure per controbilanciare gli effetti del virus.

Notevole calo delle vendite di auto in Cina (-90% a gennaio), il governo di Pechino interviene incentivando l’acquisto di auto elettriche.

Il presidente Xi, che aveva ribadito la capacità della Cina di raggiungere gli obiettivi economici prefissati, ammette, in un secondo momento, che ci potrebbe essere qualche problema.

Altro argomento di cui si è parecchio discusso in settimana in Italia è stato il “risiko bancario”: lunedì sera IntesaSanPaolo ha annunciato il lancio di un’OPS (Offerta pubblica di Scambio) su UBI per un valore di 4.9 miliardi di euro. Si tratta del deal più grosso in Europa dalla crisi finanziaria. Non si dovrebbe trattare di un’operazione ostile (così dicono i vertici di Intesa) ma neanche concordata, dato che è stata lanciata poche ore dopo che UBI aveva annunciato il proprio piano industriale! UBI viene valutata circa 0.5 il book value (ISP tratta a 0.9 circa).

L’autorità di vigilanza della BCE si era già espressa a favore di eventuali attività di M&A in ambito bancario dove ritiene ci siano “troppe banche”.

Le condizioni offerte da Intesa prevedono lo scambio di 10 azioni UBI contro 17 di ISP con un premio implicito del 28% rispetto alla chiusura precedente (al quale le quotazioni si sono subito adeguate).

Intesa, nella manovra, è stata agevolata da Unipol e Bper: quest’ultima (della quale Unipol possiede il 20%) comprerà tra 400 e 500 filiali di Ubi (facendo così contento l’antitrust) tramite un aumento di capitale di un miliardo che Unipol stessa è pronta a sottoscrivere. Il gruppo assicurativo modenese, inoltre, rileverà le attività settoriali di Ubi.

La reazione di UBI, soprattutto del patto di sindacato che aggrega circa il 18% del capitale (il cosiddetto “Car” che comprende fondazioni e privati tra i quali Bosatelli di Gewiss, Radici di RadiciGroup e Bombassei di Brembo), non è stata favorevole, ritenendo l’offerta non adeguata.

Lunedì si riuniranno gli altri due importanti patti di sindacato che controllano rispettivamente l’8.6% (famiglie come i Camadini, Lucchini, Folonari, Bazoli) e l’1.6% (Patto dei mille). Poi, però, il risultato finale dipenderà da quanto decideranno fondi e investitori istituzionali.

Se da un lato ISP dichiara di non avere intenzione di alzare il prezzo offerto, dall’altra UBI sta esaminando piani di fusione alternativi che potrebbero riguardare anche l’acquisizione di Monte dei Paschi. La banca senese (in attesa di completare il risanamento) è destinata ad uscire dall’orbita pubblica (attualmente il Tesoro ha il 68% della banca) entro il 2021 per entrare in un gruppo più grande e solido.

Fra gli analisti, quelli di Intermonte si sono immediatamente schierati negativamente consigliando agli azionisti di UBI di rifiutare l’offerta, mentre il Financial Times, nella Lex Column, conclude dicendo che Intasa farebbe una buona operazione mentre UBI non dovrebbe avere troppa fretta di vendere.

Ovviamente sono partite subito speculazioni su possibili altre fusioni in ambito bancario: l’AD di Unicredit, Jean Pierre Mustier, ha prontamente ribadito di non avere alcun interesse a fare fusioni e acquisizioni, mentre quello di Banco BPM Giuseppe Castagna intende concentrarsi sul piano strategico che verrà presentato il 3 marzo in quanto la banca, già reduce da un’importante fusione, sarebbe intenzionata a proseguire da sola.

In US è entrato pesantemente in campagna elettorale Michael Bloomberg e tutti sono in attesa del Super Tuesday del 3 marzo (quando si voterà in 10 stati): l’ex sindaco di NY dichiara che in caso di elezione alla Casa Bianca, imporrà una tassa su tutte le transazioni finanziarie (inizialmente lo 0.02% dell’importo della transazione, poi forse lo 0.1%), porrà dei limiti alla velocità per il trading ad alta frequenza e un irrigidimento della normativa bancaria dato che il sistema finanziario, attualmente, non sta funzionando come dovrebbe.

Dai verbali della Fed pubblicati in settimana si trova conferma dell’intenzione di lasciare invariati i tassi ai livelli attuali ancora per diversi anni. L’inflazione potrà salire anche sopra il 2% senza scatenare una rincorsa al rialzo dei tassi ribadendo il concetto di simmetria nel target di inflazione.

La pubblicazione dello ZEW tedesco ha sorpreso negativamente in entrambe le componenti. Ricordiamo, però, si tratta di una survey agli operatori finanziari.

Grande attesa per i dati PMI in uscita venerdì scorso: in Eurozona, la revisione positiva dei dati di febbraio stupisce gli analisti che si attendevano dati in peggioramento. Male i PMI giapponesi, come era lecito attendersi, e non particolarmente belli quelli americani soprattutto perché si sono visti rallentamenti anche sulla parte relativa ai servizi.

La settimana si chiude con un generalizzato calo dei mercati azionari. La fase di risk-off ha portato beneficio ai governativi, con una riduzione dei rendimenti soprattutto in US, e al segmento obbligazionario in aggregato.

Fra i beni rifugio bene l’oro e il franco svizzero. Non ha funzionato, invece, come hedge lo yen giapponese probabilmente a causa della particolare congiuntura economica che sta attraversando il Giappone (molto deboli i dati sul GDP e vicinanza fisica ed economica con la Cina e il virus).

QUESTA SETTIMANA

La settimana è iniziata con un panico generalizzato sui mercati vista la veloce diffusione del virus al di fuori dei confini cinesi.

Ovviamente è lecito attendersi una notevole volatilità in funzione delle notizie che verranno pubblicate dai media.

Il Comitato permanente dell’assemblea nazionale del Popolo Cinese ha deciso di posticipare il meeting annuale, previsto per il 5 marzo, a causa, del corona virus. Non si è ancora decisa una nuova data. La situazione di crisi che attualmente sta attraversando la Cina è considerata la più complessa da quando il Partito Comunista è salito al potere 70 anni fa.

Negli Stati Uniti avremo la seconda stima dei dati sul PIL del quarto trimestre 2019.

In Europa, ieri mattina, sono stati pubblicati i dati di fiducia IFO per il mese di ottobre in miglioramento rispetto alle stime e ai dati precedenti la parte “Business climate” e “Expectations”; in miglioramento ma inferiori al mese precedente quelli relativi a “current assessment”.

In Eurozona verranno pubblicati i dati di inflazione CPI preliminari per il mese di febbraio.

L’inizio del 2020 è stato decisamente positivo per i mercati sulla scia di quello che è stato il 2019. Le motivazioni le abbiamo discusse più volte in questa sede e rimangono valide.

Quello che attualmente stiamo vivendo viene definito, da molti, come il “cigno nero” che tanti temevano potesse rovinare la festa. E’ facile, quindi, cadere in tentazione e vendere per prendere profitto, posizionarsi in maniera cauta e osservare gli eventi stando alla finestra nell’attesa di rientrare quando tutto si calma.

Vendere ha senso solo se poi si è in grado di rientrare in un momento di panico ancora maggiore. Se e quando tutto si calmerà i mercati potrebbero essersi già posizionati.

I media, come sempre, tendono ad esasperare le notizie negative e i mercati reagiscono così all’incertezza: non sapendo stimare l’impatto degli eventi su dati macroeconomici e sugli utili aziendali ipotizzano, in via precauzionale, il peggio e lo fattorizzano nei modelli. Si crea un effetto “snowball” e tutto scende tranne i cosiddetti beni rifugio.

Se la crisi, come si ipotizzava fino a poco fa, soprattutto in Cina, rimanesse circoscritta ad un trimestre allora potremmo lecitamente attenderci un rimbalzo nel secondo trimestre con effetti materiali nella seconda metà dell’anno. Il fatto che il virus si stia diffondendo velocemente fa mettere in dubbio le tempistiche e crea ulteriore incertezza.

Teniamo conto, però, dei potenziali effetti positivi che una situazione di estrema crisi come l’attuale potrebbe scatenare: tutti, dalla BCE all’OCSE, ribadiscono la necessità di organizzare uno stimolo fiscale a livello globale dato che, dovesse protrarsi troppo a lungo la situazione di emergenza, con il livello di tassi così bassi le banche centrali potrebbero fare ben poco. Meglio che ci si prepari ad uno stimolo fiscale possibilmente concertato.

In Cina sappiamo che le autorità sono molto determinate su questo punto, chissà che in Europa non avvenga lo stesso. Il livello dei mercati azionari non era assolutamente coerente con un livello debole di attività economica che si protrae a lungo: è quindi necessario o che la pandemia si ridimensioni in modo da non paralizzare ulteriormente l’attività economica oppure che i governi intervengano a sostegno con misure controcicliche. Solo in questo modo i livelli raggiunti dai mercati (pre-attuale correzione) potrebbero essere giustificati da aspettative positive sulla ripresa.

Analisi dei mercati del 3.02.2020

Anche questa settimana gli elementi di volatilità sui mercati non sono stati strettamente attinenti alla sfera economico- finanziaria: al centro dell’attenzione degli investitori rimane il Corona Virus e il conseguente bilancio delle vittime e contagiati. Il WHO (o OMS – Organizzazione mondiale della sanità) ha aggiornato quotidianamente il numero delle vittime e, a fine settimana, ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria mondiale. Per ora il tasso di mortalità si attesta al 2% (sotto il 10% della Sars nel 2002/2003) ma la velocità di diffusione è abbastanza alta. Vediamo come si attesterà il numero nei prossimi giorni quando dovrebbe essere atteso il picco.

Un economista del governo cinese ha stimato che un’ulteriore diffusione del virus potrebbe impattare sul GDP del primo trimestre, portandone la crescita sotto il 5% ma, in tal caso, la Banca Centrale sarà pronta ad intervenire con misure a sostegno così come la politica fiscale potrebbe intervenire portando il rapporto deficit/pil sopra il 3% per supportare l’economia.

Passando agli eventi più “finanziari”, in settimana si è riunita la Banca Centrale americana: come atteso, la Fed non ha modificato i tassi di interesse, che rimangono nel corridoio 1.50%-1.75%, ritenendo che è necessaria una significativa rivalutazione dell’outlook economico affinché si possa modificare la politica monetaria. Un “aggiustamento tecnico” è stato fatto sul reverse repo rate, passato da 1.45% a 1.50%, e sul tasso di remunerazione delle riserve, passato da 1.55% a 1.60%, ovvero 10 bps sopra il tasso ufficiale, ma solo per migliorare il funzionamento dell’interbancario. Il mercato del lavoro è considerato robusto e l’inflazione ancora bassa ma ai rischi si è aggiunto anche l’elemento di incertezza del Corona Virus.

Il PIL americano, secondo la stima preliminare del quarto trimestre 2019, è pari a 2.1%, superiore alle attese del 2%. Le componenti consumi e investimenti hanno leggermente deluso, mentre è risultato positivo il contributo della componente net-export, grazie ad una riduzione delle importazioni, e della componente relativa alla spesa pubblica. Delude molto il dato sull’inflazione, rappresentato dal PCE deflator, 0.3% vs 1.3% atteso. Nel complesso quindi un dato di stima della crescita economica non eccezionale. Ma si tratta di una stima destinata a subire, spesso, revisioni.

Souce: Bloomberg

La Bank of England non ha tagliato i tassi, con decisione presa con sette membri a favore e due contrari, ma si dichiara pronta ad intervenire qualora l’espansione fiscale, annunciata dal governo, non si rivelasse sufficiente a sostenere l’economia post Brexit. Positiva la reazione della sterlina che si è rafforzata nei confronti dell’euro.

La Gran Bretagna venerdì 31 gennaio ha ufficialmente lasciato l’Unione Europea dopo averne fatto parte per 47 anni. Non tutti hanno festeggiato questo giorno dato che il paese è ancora spaccato in due come ai tempi del referendum che ha decretato la Brexit nel 2016: due terzi degli scozzesi erano e sono ancora contrari all’uscita dalla UE e chiedono un nuovo referendum. Come segno di dissenso sul Parlamento scozzese rimarrà la bandiera UE.

Per quanto riguarda il petrolio, il cui prezzo ha corretto di circa 10 dollari dal picco di inizio gennaio, l’OPEC ha dichiarato che intende estendere gli attuali tagli alla produzione fino a giugno con la possibilità di incrementarli qualora ciò sia reso necessario dal contesto macroeconomico (considerato l’impatto dell’attività manifatturiera in stallo da gennaio).

Deludenti i dati sul PIL dell’Eurozona: +0.1% trimestre/trimestre, atteso +0.2%, e +1% anno/anno, atteso +1.1%: particolarmente brutto il dato dell’Italia la cui economia rallenta di -0.3% trimestre/trimestre, attese per crescita di +0.1%. E’, ancora una volta, evidente la divergenza di crescita rispetto agli Stati Uniti.

Souce: Bloomberg

Nonostante il deludente dato sul Pil italiano, la performance del BTP è stata ottima: in settimana il rendimento del decennale è sceso di circa 30 bps e lo spread verso bund si è attestato a 136 bps. I governativi italiani prezzano un minore rischio politico per l’Italia e la generale discesa dei rendimenti obbligazionari tende a portare maggiore domanda laddove il rendimento è un po’ più consistente.

In tema di reporting season segnaliamo gli ottimi i risultati di Apple: il gigante americano ha superato le stime sia in termini di EPS (utili per azione) che di ricavi, annunciando il pagamento di un dividendo di 0.77$ per azione da pagarsi il 13 febbraio 2020.

Ha colpito positivamente il fatto che le guidance per l’anno prossimo siano state alzate sia in termini di range di ricavi che di gross margin. Il range di ricavi, oltre ad essere stato alzato, è stato anche ampliato per tenere conto delle maggiori incertezze anche legate al corona virus. La società ha comunque dichiarato che ha dei fornitori sostitutivi nel caso si bloccassero quelli cinesi.

Buoni risultati anche per Microsoft, che riporta numeri superiori alle attese degli analisti, e per Tesla, che sorprende gli analisti sia sul fatturato sia sugli utili sia sul cashflow. Entrambi i titoli, soprattutto Tesla, sono stati premiati dagli investitori con variazioni di prezzo molto positive. Penalizzata dai risultati, invece, Facebook, che riporta nuovi utenti ai minimi storici e costi in aumento.

In aggregato, con il 45% delle società dell’S&P che ha riportato i risultati, la crescita dei ricavi è pari a 1.3% e quella degli utili a 0.3%, entrambe superiori alle attese degli analisti.

La settimana si è conclusa, quindi, con una decisa correzione dei mercati azionari che hanno azzerato le performance da inizio anno. Solo il Nasdaq risulta ancora positivo. Il clima di avversione al rischio ha portato beneficio al comparto obbligazionario governativo, e in parte al corporate investment grade, mentre ha un po’ sofferto il segmento degli high yield.

QUESTA SETTIMANA

I mercati cinesi locali hanno riaperto dopo la pausa per il Capodanno: l’indice azionario aggregato CSI300, che comprende le borse di Shanghai e Shenzhen, ha chiuso con una discesa di circa 7.9%. La Banca Centrale è intervenuta immediatamente con iniezioni di liquidità pari a 1200 miliardi di yua (circa 170 miliardi di dollari) sia attraverso operazioni di reverse repo (maggiore intervento dal 2004) che tagliando i relativi tassi. L’intervento è decisamente massiccio e le autorità sono determinate a dare il massimo supporto. Il cambio Renminbi vs Dollaro si è riportato velocemente sopra la soglia di 7 (livello che era stato superato, al ribasso, in occasione della firma dell’accordo come segnale di distensione dei rapporti commerciali) riallineandosi a quanto il mercato off-shore già segnalava la settimana scorsa.

La UE Inizia ufficialmente le contrattazioni per la Brexit: il mandato è affidato a Michel Barnier. Secondo un sondaggio di Schroders il 52% degli intervistati ritiene che si arriverà ad un’estensione delle trattative oltre la fine del 2020 in uno scenario definito “limbo Brexit”. Nei prossimi undici mesi non cambierà nulla per la libertà di circolazione di persone, beni, capitali e servizi.

Durante la settimana verranno pubblicati, per diversi paesi, i dati finali degli indici di fiducia delle imprese PMI e ISM (per gli Stati Uniti) relativi al mese di gennaio.

Martedì si riunirà la Banca centrale australiana: nessuna variazione attesa al tasso overnight di riferimento pari a 0.75%: il mercato attualmente attribuisce ad un taglio di 0.25% una probabilità del 17%.

La settimana si chiude con i consueti dati mensili sul mercato del lavoro americano: atteso un tasso di disoccupazione stabile a 3.5%, un leggero aumento dei salari orari e del numero di nuovi occupati.

Per ora il Corona Virus sembra essere un facile catalyst di correzione e derisking, in un mercato che aspettava un motivo per allontanarsi un po’ dai massimi raggiunti. I media, che amplificano l’effetto panico, ovviamente, aiutano ad incrementare la volatilità sul mercato. Se facciamo il paragone con il 2002/2003 quando c’è stato il virus della Sars, questa volta la reazione delle autorità è stata decisamente più imponente e intensa e questo, da un lato, fa ben sperare sulla risoluzione della pandemia, dall’altro, fa temere ai più pessimisti che la situazione sia ben peggiore di quanto trapela dalle comunicazioni ufficiali.

Ovviamente non possiamo sapere ora che cosa succederà, possiamo solo tentare di stimare l’impatto sull’economia, in primis quella cinese. Il peso dell’economia cinese sulla crescita globale è alto e il nervosismo degli investitori risiede nel fatto che questo anno ci si aspettava proprio da quell’area il principale contributo alla crescita mondiale.

La reazione dei mercati è alquanto schizofrenica ma ci sta: si è in bilico fra la tentazione di sfruttare ogni correzione per entrare sull’unico mercato che offre potenzialmente un rendimento (ricordiamoci di TINA e FOMO – Fear of missing out) e il timore che la situazione precipiti e l’impatto sull’economia, e conseguentemente sui mercati, sia superiore e spropositato.

Analisi dei mercati del 28.01.2020

Il tema della settimana, alla base della “turbolenza” sui mercati, è il Coronavirus che, partito dalla città cinese di Wuhan (11 milioni di abitanti) si sta estendendo ad altri paesi compresi Europa e Stati Uniti.

Il parallelo con le pandemie precedenti (vedi Sars che nel 2002/2003 causò la morte di oltre 800 persone con un tasso di mortalità del 10%) è immediato, così come le stime di un eventuale impatto sulla crescita economica.

Questa volta le autorità cinesi hanno immediatamente informato il WHO (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), trasmettendo la mappa del DNA del virus (nel 2002 attesero circa 4 mesi) e il vaccino potrebbe essere pronto in tre mesi ma, ovviamente, non vi è alcuna certezza e, sebbene Pechino abbia praticamente “bloccato” dieci città e impedito gli spostamenti a più di 30 milioni di cinesi, la coincidenza con i festeggiamenti per il Capodanno cinese rende la gestione più complicata.

Le autorità locali hanno deciso di estendere la Lunar New Holidays fino al 2 febbraio (quindi, forse, il mercato riaprirà il 3 febbraio) e di tenere le scuole chiuse fino al 17 febbraio e le aziende fino al 9 febbraio.

La temporanea paralisi dell’economia cinese avrà un impatto sulla crescita del PIL, che alcuni economisti stimano in circa un punto percentuale nel primo trimestre. Lo stesso IMF ha individuato nel Corona Virus uno dei non pochi rischi di downside dell’economia per questo anno.

A proposito di IMF, dall’aggiornamento dell’outlook emerge che la crescita mondiale è stimata salire, nel 2020, al 3.3% dal 2.9% del 2019. I rischi di rallentamento legati alla guerra commerciale si sono significativamente ridotti ma non sono totalmente scomparsi. La stima di crescita dell’Italia per il 2020 è di 0.5%, da 0.2% del 2019, ma permane la raccomandazione di migliorare la produttività e fare scendere il debito.

Da Davos sono uscite indiscrezioni su possibili accordi tra USA e UE in merito agli scambi commerciali: Trump e Ursula Von der Leyen si sono dichiarati d’accordo sul fatto che i due paesi devono lavorare assieme per affrontare le sfide globali, le scorrette pratiche commerciali cinesi, le telecomunicazioni e il tema energetico.

Non sono mancati i soliti attacchi, oltre che da parte di Trump, questa volta anche da parte di Kudlow (consigliere economico di Trump), alla politica della Fed che, dopo avere alzato i tassi troppo in fretta è accusata di averli poi abbassati troppo lentamente ed è ora invitata a continuare a tagliarli.

In tema di banche centrali la prima che si è riunita in settimana è stata quella giapponese: la BOJ, come atteso, ha mantenuto invariata la politica monetaria e rivisto leggermente al rialzo le stime di crescita economica alla luce anche dei minori rischi in seguito all’accordo commerciale fra Cina e Stati Uniti. L’obiettivo rimane sempre quello di riportare l’inflazione al suo target.

Nessuna modifica neanche da parte della BCE, che conferma l’attuale atteggiamento finché che non si raggiungerà l’obiettivo di inflazione del 2%: pertanto, gli acquisti di titoli continueranno e termineranno solo poco prima di un eventuale rialzo dei tassi.

Christine Lagarde ha annunciato che, tra novembre e dicembre, verrà rivista la strategia di politica monetaria, per la prima volta dal 2003, dato che le economie dell’Eurozona sono state investite da profondi cambiamenti strutturali. Le sfide, ora, per un banchiere centrale vanno dal calo della crescita potenziale al rallentamento della produttività, all’invecchiamento demografico alla minaccia della sostenibilità ambientale etc. Le dinamiche inflazionistiche sono, quindi, diverse rispetto al passato e devono essere affrontate diversamente.

Intanto, il fondo pensione della BCE ha già cominciato ad investire in green bond e, all’interno del comitato, si sta valutando se introdurli anche nel CSPP (corporate sector purchase program).

Le altre principali banche centrali riunitesi in settimana non hanno apportato modifiche alla politica monetaria: la Bank of Canada ha mantenuto i tassi invariati a 1.75%, ritenendoli appropriati ma rimanendo aperta ad eventuali tagli qualora la situazione macro dovesse peggiorare. Stesso messaggio da parte della Banca norvegese che ha lasciato i tassi a 1.50%.

In UK il governo ha incassato la prima sconfitta in parlamento (per la prima volta dalle elezioni di dicembre), in un voto sulla protezione dei diritti dei cittadini UE in Gran Bretagna dopo la Brexit ma, alla fine della settimana, la Regina ha dato il suo assenso e la proposta relativa alla Brexit è diventata ufficialmente legge.

Buona notizia per i titoli governativi di Atene dopo che Fitch ha portato il rating sulla Grecia da BB- a BB (due gradini sotto l’investment grade) e rivisto l’outlook da stabile a positivo. Le motivazioni risiedono nella permanenza del debito a livelli sostenibili grazie alla crescita e alla prudenza di bilancio.

In Germania è stato pubblicato lo ZEW: meglio delle attese in entrambe le componenti, ma ricordiamoci che si tratta di una survey fra investitori professionali spesso influenzati dall’andamento dei mercati.

Source: Bloomberg

Le tanto attese elezioni in Emilia Romagna hanno decretato la vittoria del PD e, quindi, aiutato la coalizione di governo scongiurando elezioni anticipate. Immediata la reazione sui BTP che questa mattina riducono parecchio lo spread rispetto al Bund.

Source: Bloomberg

QUESTA SETTIMANA

Inizia, fra i timori scatenati dal Corona Virus, la prima settimana del nuovo anno cinese: secondo l’oroscopo sarà l’anno del Topo. I festeggiamenti sono stati ridotti, se non cancellati, causa epidemia ma il periodo di vacanza verrà protratto oltre la data prevista del 30 gennaio (probabilmente fino al 2 febbraio) con le borse locali conseguentemente chiuse.

Questa mattina l’IFO tedesco ha leggermente deluso le aspettative sia nella componente “expectations” che in quella “current assessment”. Sebbene il dato, in apparenza, metta in discussione la ripresa della principale economia europea, analizzando le componenti emerge che la parte manifatturiera mostra segnali di miglioramento (deludenti, invece, il settore delle costruzioni e dei servizi) lasciando ben sperare per una future ripresa complessiva dell’economia.

Mercoledì 29 gennaio è prevista la comunicazione della Fed (la Banca Centrale Americana) in merito alla politica monetaria. Non ci si attendono modifiche del tasso sui Fed Funds (attualmente 1.5%-1.75%) e dovrebbe essere confermato il proseguimento della fase di pausa.

Giovedì sarà la BOE (Bank of England) a comunicare la propria decisione: la probabilità di taglio dei tassi è scesa intorno al 60% quindi non c’è assolutamente certezza sull’esito della riunione. Si tratta dell’ultima riunione presieduta da Carney.

Venerdì 31 gennaio la Gran Bretagna lascerà definitivamente la UE, più di tre anni dopo il fatidico referendum. Inizieranno, poi, gli undici mesi entro i quali si dovranno definire bene gli accordi e le relazioni future. Non sarà banale sostituire l’attuale legislazione, fatta di centinaia di norme in diversi settori chiave e il rischio è di arrivare ad intese parziali o addirittura ad un mancato accordo che farebbe riaffiorare il rischio di una non-deal Brexit.

In settimana verranno pubblicate le stime sui dati di crescita del PIL per il quarto trimestre del 2019 per Eurozona e Stati Uniti.

La reporting season americana, nella settimana più ricca di risultati (38% della capitalizzazione di mercato dell’S&P500 pari a circa 145 società), vedrà fra i protagonisti i giganti del tech: Apple, Facebook e Amazon.

Il Cigno Verde si è sostituito al Cigno Nero, come principale fonte di rischio per i mercati, da quando la BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali – l’organizzazione internazionale nata con lo scopo di promuovere la cooperazione tra le banche centrali) ha dichiarato che il cambiamento climatico potrebbe essere alla base della prossima crisi finanziaria.

Si tratta di un ulteriore monito, rivolto alle banche centrali, affinché queste svolgano un ruolo di stimolo e coordinamento (fra le loro politiche dei governi e le iniziative private), al fine di evitare di non essere più in grado di assicurare la stabilità finanziaria e dei prezzi e di essere costrette ad intervenire, acquistando su larga scala asset svalutati, per salvare il sistema finanziario.

Un interessante articolo de Il sole 24 ore sul tema, individua due possibili approcci per le Banche Centrali: quello “macroeconomico”, che considera il rischio climatico per l’impatto che può avere sull’economia e, in quanto tale, non cambia la funzione di reazione della BCE, oppure quello “microeconomico” che, invece, fa rientrare il rischio climatico nella funzione di reazione della BCE, modificandone o integrandone gli obiettivi, oppure definendo addirittura gli strumenti (es. i titoli che possono essere acquistati).

Ovviamente il primo approccio è più facilmente accettabile, siano i banchieri “falchi” o “colombe”, mentre il secondo è avverso ai “falchi” in quanto legato ad un maggiore effetto distorsivo sull’economia e sui mercati da parte della Banca Centrale.

Nella riforma della strategia della BCE si presume che Christine Lagarde cercherà di assecondare la linea verde della Commissione Europea: per ottenere un aumento degli investimenti “green” in Europa, occorre che qualcuno acquisti le obbligazioni i cui proventi sono ad essi destinati e la BCE, ovviamente, è la prima candidata essendo il maggiore detentore di titoli pubblici e privati del continente.

Esiste però un problema di “size” dato che il mercato dei green bond è ancora piccolo: di circa 750 miliardi di euro nel mondo, un terzo è denominato in euro e di questi circa la metà sono già sottoscritti da fondi di investimento a lungo termine.

Utilizzando solo il 5% dell’APP (programma di acquisto di asset della BCE) si prosciugherebbe l’intero mercato dei green bond europeo. E’ essenziale, quindi, che il mercato cresca e che si incentivino le aziende a dedicare parte del bilancio a investimenti che scommettano sul futuro verde del continente.