Il tema della settimana, alla base della “turbolenza” sui mercati, è il Coronavirus che, partito dalla città cinese di Wuhan (11 milioni di abitanti) si sta estendendo ad altri paesi compresi Europa e Stati Uniti.
Il parallelo con le pandemie precedenti (vedi Sars che nel 2002/2003 causò la morte di oltre 800 persone con un tasso di mortalità del 10%) è immediato, così come le stime di un eventuale impatto sulla crescita economica.
Questa volta le autorità cinesi hanno immediatamente informato il WHO (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), trasmettendo la mappa del DNA del virus (nel 2002 attesero circa 4 mesi) e il vaccino potrebbe essere pronto in tre mesi ma, ovviamente, non vi è alcuna certezza e, sebbene Pechino abbia praticamente “bloccato” dieci città e impedito gli spostamenti a più di 30 milioni di cinesi, la coincidenza con i festeggiamenti per il Capodanno cinese rende la gestione più complicata.
Le autorità locali hanno deciso di estendere la Lunar New Holidays fino al 2 febbraio (quindi, forse, il mercato riaprirà il 3 febbraio) e di tenere le scuole chiuse fino al 17 febbraio e le aziende fino al 9 febbraio.
La temporanea paralisi dell’economia cinese avrà un impatto sulla crescita del PIL, che alcuni economisti stimano in circa un punto percentuale nel primo trimestre. Lo stesso IMF ha individuato nel Corona Virus uno dei non pochi rischi di downside dell’economia per questo anno.
A proposito di IMF, dall’aggiornamento dell’outlook emerge che la crescita mondiale è stimata salire, nel 2020, al 3.3% dal 2.9% del 2019. I rischi di rallentamento legati alla guerra commerciale si sono significativamente ridotti ma non sono totalmente scomparsi. La stima di crescita dell’Italia per il 2020 è di 0.5%, da 0.2% del 2019, ma permane la raccomandazione di migliorare la produttività e fare scendere il debito.
Da Davos sono uscite indiscrezioni su possibili accordi tra USA e UE in merito agli scambi commerciali: Trump e Ursula Von der Leyen si sono dichiarati d’accordo sul fatto che i due paesi devono lavorare assieme per affrontare le sfide globali, le scorrette pratiche commerciali cinesi, le telecomunicazioni e il tema energetico.
Non sono mancati i soliti attacchi, oltre che da parte di Trump, questa volta anche da parte di Kudlow (consigliere economico di Trump), alla politica della Fed che, dopo avere alzato i tassi troppo in fretta è accusata di averli poi abbassati troppo lentamente ed è ora invitata a continuare a tagliarli.
In tema di banche centrali la prima che si è riunita in settimana è stata quella giapponese: la BOJ, come atteso, ha mantenuto invariata la politica monetaria e rivisto leggermente al rialzo le stime di crescita economica alla luce anche dei minori rischi in seguito all’accordo commerciale fra Cina e Stati Uniti. L’obiettivo rimane sempre quello di riportare l’inflazione al suo target.
Nessuna modifica neanche da parte della BCE, che conferma l’attuale atteggiamento finché che non si raggiungerà l’obiettivo di inflazione del 2%: pertanto, gli acquisti di titoli continueranno e termineranno solo poco prima di un eventuale rialzo dei tassi.
Christine Lagarde ha annunciato che, tra novembre e dicembre, verrà rivista la strategia di politica monetaria, per la prima volta dal 2003, dato che le economie dell’Eurozona sono state investite da profondi cambiamenti strutturali. Le sfide, ora, per un banchiere centrale vanno dal calo della crescita potenziale al rallentamento della produttività, all’invecchiamento demografico alla minaccia della sostenibilità ambientale etc. Le dinamiche inflazionistiche sono, quindi, diverse rispetto al passato e devono essere affrontate diversamente.
Intanto, il fondo pensione della BCE ha già cominciato ad investire in green bond e, all’interno del comitato, si sta valutando se introdurli anche nel CSPP (corporate sector purchase program).
Le altre principali banche centrali riunitesi in settimana non hanno apportato modifiche alla politica monetaria: la Bank of Canada ha mantenuto i tassi invariati a 1.75%, ritenendoli appropriati ma rimanendo aperta ad eventuali tagli qualora la situazione macro dovesse peggiorare. Stesso messaggio da parte della Banca norvegese che ha lasciato i tassi a 1.50%.
In UK il governo ha incassato la prima sconfitta in parlamento (per la prima volta dalle elezioni di dicembre), in un voto sulla protezione dei diritti dei cittadini UE in Gran Bretagna dopo la Brexit ma, alla fine della settimana, la Regina ha dato il suo assenso e la proposta relativa alla Brexit è diventata ufficialmente legge.
Buona notizia per i titoli governativi di Atene dopo che Fitch ha portato il rating sulla Grecia da BB- a BB (due gradini sotto l’investment grade) e rivisto l’outlook da stabile a positivo. Le motivazioni risiedono nella permanenza del debito a livelli sostenibili grazie alla crescita e alla prudenza di bilancio.
In Germania è stato pubblicato lo ZEW: meglio delle attese in entrambe le componenti, ma ricordiamoci che si tratta di una survey fra investitori professionali spesso influenzati dall’andamento dei mercati.
Le tanto attese elezioni in Emilia Romagna hanno decretato la vittoria del PD e, quindi, aiutato la coalizione di governo scongiurando elezioni anticipate. Immediata la reazione sui BTP che questa mattina riducono parecchio lo spread rispetto al Bund.
QUESTA SETTIMANA
Inizia, fra i timori scatenati dal Corona Virus, la prima settimana del nuovo anno cinese: secondo l’oroscopo sarà l’anno del Topo. I festeggiamenti sono stati ridotti, se non cancellati, causa epidemia ma il periodo di vacanza verrà protratto oltre la data prevista del 30 gennaio (probabilmente fino al 2 febbraio) con le borse locali conseguentemente chiuse.
Questa mattina l’IFO tedesco ha leggermente deluso le aspettative sia nella componente “expectations” che in quella “current assessment”. Sebbene il dato, in apparenza, metta in discussione la ripresa della principale economia europea, analizzando le componenti emerge che la parte manifatturiera mostra segnali di miglioramento (deludenti, invece, il settore delle costruzioni e dei servizi) lasciando ben sperare per una future ripresa complessiva dell’economia.
Mercoledì 29 gennaio è prevista la comunicazione della Fed (la Banca Centrale Americana) in merito alla politica monetaria. Non ci si attendono modifiche del tasso sui Fed Funds (attualmente 1.5%-1.75%) e dovrebbe essere confermato il proseguimento della fase di pausa.
Giovedì sarà la BOE (Bank of England) a comunicare la propria decisione: la probabilità di taglio dei tassi è scesa intorno al 60% quindi non c’è assolutamente certezza sull’esito della riunione. Si tratta dell’ultima riunione presieduta da Carney.
Venerdì 31 gennaio la Gran Bretagna lascerà definitivamente la UE, più di tre anni dopo il fatidico referendum. Inizieranno, poi, gli undici mesi entro i quali si dovranno definire bene gli accordi e le relazioni future. Non sarà banale sostituire l’attuale legislazione, fatta di centinaia di norme in diversi settori chiave e il rischio è di arrivare ad intese parziali o addirittura ad un mancato accordo che farebbe riaffiorare il rischio di una non-deal Brexit.
In settimana verranno pubblicate le stime sui dati di crescita del PIL per il quarto trimestre del 2019 per Eurozona e Stati Uniti.
La reporting season americana, nella settimana più ricca di risultati (38% della capitalizzazione di mercato dell’S&P500 pari a circa 145 società), vedrà fra i protagonisti i giganti del tech: Apple, Facebook e Amazon.
Il Cigno Verde si è sostituito al Cigno Nero, come principale fonte di rischio per i mercati, da quando la BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali – l’organizzazione internazionale nata con lo scopo di promuovere la cooperazione tra le banche centrali) ha dichiarato che il cambiamento climatico potrebbe essere alla base della prossima crisi finanziaria.
Si tratta di un ulteriore monito, rivolto alle banche centrali, affinché queste svolgano un ruolo di stimolo e coordinamento (fra le loro politiche dei governi e le iniziative private), al fine di evitare di non essere più in grado di assicurare la stabilità finanziaria e dei prezzi e di essere costrette ad intervenire, acquistando su larga scala asset svalutati, per salvare il sistema finanziario.
Un interessante articolo de Il sole 24 ore sul tema, individua due possibili approcci per le Banche Centrali: quello “macroeconomico”, che considera il rischio climatico per l’impatto che può avere sull’economia e, in quanto tale, non cambia la funzione di reazione della BCE, oppure quello “microeconomico” che, invece, fa rientrare il rischio climatico nella funzione di reazione della BCE, modificandone o integrandone gli obiettivi, oppure definendo addirittura gli strumenti (es. i titoli che possono essere acquistati).
Ovviamente il primo approccio è più facilmente accettabile, siano i banchieri “falchi” o “colombe”, mentre il secondo è avverso ai “falchi” in quanto legato ad un maggiore effetto distorsivo sull’economia e sui mercati da parte della Banca Centrale.
Nella riforma della strategia della BCE si presume che Christine Lagarde cercherà di assecondare la linea verde della Commissione Europea: per ottenere un aumento degli investimenti “green” in Europa, occorre che qualcuno acquisti le obbligazioni i cui proventi sono ad essi destinati e la BCE, ovviamente, è la prima candidata essendo il maggiore detentore di titoli pubblici e privati del continente.
Esiste però un problema di “size” dato che il mercato dei green bond è ancora piccolo: di circa 750 miliardi di euro nel mondo, un terzo è denominato in euro e di questi circa la metà sono già sottoscritti da fondi di investimento a lungo termine.
Utilizzando solo il 5% dell’APP (programma di acquisto di asset della BCE) si prosciugherebbe l’intero mercato dei green bond europeo. E’ essenziale, quindi, che il mercato cresca e che si incentivino le aziende a dedicare parte del bilancio a investimenti che scommettano sul futuro verde del continente.