Analisi dei mercati del 28.01.2020

Il tema della settimana, alla base della “turbolenza” sui mercati, è il Coronavirus che, partito dalla città cinese di Wuhan (11 milioni di abitanti) si sta estendendo ad altri paesi compresi Europa e Stati Uniti.

Il parallelo con le pandemie precedenti (vedi Sars che nel 2002/2003 causò la morte di oltre 800 persone con un tasso di mortalità del 10%) è immediato, così come le stime di un eventuale impatto sulla crescita economica.

Questa volta le autorità cinesi hanno immediatamente informato il WHO (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), trasmettendo la mappa del DNA del virus (nel 2002 attesero circa 4 mesi) e il vaccino potrebbe essere pronto in tre mesi ma, ovviamente, non vi è alcuna certezza e, sebbene Pechino abbia praticamente “bloccato” dieci città e impedito gli spostamenti a più di 30 milioni di cinesi, la coincidenza con i festeggiamenti per il Capodanno cinese rende la gestione più complicata.

Le autorità locali hanno deciso di estendere la Lunar New Holidays fino al 2 febbraio (quindi, forse, il mercato riaprirà il 3 febbraio) e di tenere le scuole chiuse fino al 17 febbraio e le aziende fino al 9 febbraio.

La temporanea paralisi dell’economia cinese avrà un impatto sulla crescita del PIL, che alcuni economisti stimano in circa un punto percentuale nel primo trimestre. Lo stesso IMF ha individuato nel Corona Virus uno dei non pochi rischi di downside dell’economia per questo anno.

A proposito di IMF, dall’aggiornamento dell’outlook emerge che la crescita mondiale è stimata salire, nel 2020, al 3.3% dal 2.9% del 2019. I rischi di rallentamento legati alla guerra commerciale si sono significativamente ridotti ma non sono totalmente scomparsi. La stima di crescita dell’Italia per il 2020 è di 0.5%, da 0.2% del 2019, ma permane la raccomandazione di migliorare la produttività e fare scendere il debito.

Da Davos sono uscite indiscrezioni su possibili accordi tra USA e UE in merito agli scambi commerciali: Trump e Ursula Von der Leyen si sono dichiarati d’accordo sul fatto che i due paesi devono lavorare assieme per affrontare le sfide globali, le scorrette pratiche commerciali cinesi, le telecomunicazioni e il tema energetico.

Non sono mancati i soliti attacchi, oltre che da parte di Trump, questa volta anche da parte di Kudlow (consigliere economico di Trump), alla politica della Fed che, dopo avere alzato i tassi troppo in fretta è accusata di averli poi abbassati troppo lentamente ed è ora invitata a continuare a tagliarli.

In tema di banche centrali la prima che si è riunita in settimana è stata quella giapponese: la BOJ, come atteso, ha mantenuto invariata la politica monetaria e rivisto leggermente al rialzo le stime di crescita economica alla luce anche dei minori rischi in seguito all’accordo commerciale fra Cina e Stati Uniti. L’obiettivo rimane sempre quello di riportare l’inflazione al suo target.

Nessuna modifica neanche da parte della BCE, che conferma l’attuale atteggiamento finché che non si raggiungerà l’obiettivo di inflazione del 2%: pertanto, gli acquisti di titoli continueranno e termineranno solo poco prima di un eventuale rialzo dei tassi.

Christine Lagarde ha annunciato che, tra novembre e dicembre, verrà rivista la strategia di politica monetaria, per la prima volta dal 2003, dato che le economie dell’Eurozona sono state investite da profondi cambiamenti strutturali. Le sfide, ora, per un banchiere centrale vanno dal calo della crescita potenziale al rallentamento della produttività, all’invecchiamento demografico alla minaccia della sostenibilità ambientale etc. Le dinamiche inflazionistiche sono, quindi, diverse rispetto al passato e devono essere affrontate diversamente.

Intanto, il fondo pensione della BCE ha già cominciato ad investire in green bond e, all’interno del comitato, si sta valutando se introdurli anche nel CSPP (corporate sector purchase program).

Le altre principali banche centrali riunitesi in settimana non hanno apportato modifiche alla politica monetaria: la Bank of Canada ha mantenuto i tassi invariati a 1.75%, ritenendoli appropriati ma rimanendo aperta ad eventuali tagli qualora la situazione macro dovesse peggiorare. Stesso messaggio da parte della Banca norvegese che ha lasciato i tassi a 1.50%.

In UK il governo ha incassato la prima sconfitta in parlamento (per la prima volta dalle elezioni di dicembre), in un voto sulla protezione dei diritti dei cittadini UE in Gran Bretagna dopo la Brexit ma, alla fine della settimana, la Regina ha dato il suo assenso e la proposta relativa alla Brexit è diventata ufficialmente legge.

Buona notizia per i titoli governativi di Atene dopo che Fitch ha portato il rating sulla Grecia da BB- a BB (due gradini sotto l’investment grade) e rivisto l’outlook da stabile a positivo. Le motivazioni risiedono nella permanenza del debito a livelli sostenibili grazie alla crescita e alla prudenza di bilancio.

In Germania è stato pubblicato lo ZEW: meglio delle attese in entrambe le componenti, ma ricordiamoci che si tratta di una survey fra investitori professionali spesso influenzati dall’andamento dei mercati.

Source: Bloomberg

Le tanto attese elezioni in Emilia Romagna hanno decretato la vittoria del PD e, quindi, aiutato la coalizione di governo scongiurando elezioni anticipate. Immediata la reazione sui BTP che questa mattina riducono parecchio lo spread rispetto al Bund.

Source: Bloomberg

QUESTA SETTIMANA

Inizia, fra i timori scatenati dal Corona Virus, la prima settimana del nuovo anno cinese: secondo l’oroscopo sarà l’anno del Topo. I festeggiamenti sono stati ridotti, se non cancellati, causa epidemia ma il periodo di vacanza verrà protratto oltre la data prevista del 30 gennaio (probabilmente fino al 2 febbraio) con le borse locali conseguentemente chiuse.

Questa mattina l’IFO tedesco ha leggermente deluso le aspettative sia nella componente “expectations” che in quella “current assessment”. Sebbene il dato, in apparenza, metta in discussione la ripresa della principale economia europea, analizzando le componenti emerge che la parte manifatturiera mostra segnali di miglioramento (deludenti, invece, il settore delle costruzioni e dei servizi) lasciando ben sperare per una future ripresa complessiva dell’economia.

Mercoledì 29 gennaio è prevista la comunicazione della Fed (la Banca Centrale Americana) in merito alla politica monetaria. Non ci si attendono modifiche del tasso sui Fed Funds (attualmente 1.5%-1.75%) e dovrebbe essere confermato il proseguimento della fase di pausa.

Giovedì sarà la BOE (Bank of England) a comunicare la propria decisione: la probabilità di taglio dei tassi è scesa intorno al 60% quindi non c’è assolutamente certezza sull’esito della riunione. Si tratta dell’ultima riunione presieduta da Carney.

Venerdì 31 gennaio la Gran Bretagna lascerà definitivamente la UE, più di tre anni dopo il fatidico referendum. Inizieranno, poi, gli undici mesi entro i quali si dovranno definire bene gli accordi e le relazioni future. Non sarà banale sostituire l’attuale legislazione, fatta di centinaia di norme in diversi settori chiave e il rischio è di arrivare ad intese parziali o addirittura ad un mancato accordo che farebbe riaffiorare il rischio di una non-deal Brexit.

In settimana verranno pubblicate le stime sui dati di crescita del PIL per il quarto trimestre del 2019 per Eurozona e Stati Uniti.

La reporting season americana, nella settimana più ricca di risultati (38% della capitalizzazione di mercato dell’S&P500 pari a circa 145 società), vedrà fra i protagonisti i giganti del tech: Apple, Facebook e Amazon.

Il Cigno Verde si è sostituito al Cigno Nero, come principale fonte di rischio per i mercati, da quando la BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali – l’organizzazione internazionale nata con lo scopo di promuovere la cooperazione tra le banche centrali) ha dichiarato che il cambiamento climatico potrebbe essere alla base della prossima crisi finanziaria.

Si tratta di un ulteriore monito, rivolto alle banche centrali, affinché queste svolgano un ruolo di stimolo e coordinamento (fra le loro politiche dei governi e le iniziative private), al fine di evitare di non essere più in grado di assicurare la stabilità finanziaria e dei prezzi e di essere costrette ad intervenire, acquistando su larga scala asset svalutati, per salvare il sistema finanziario.

Un interessante articolo de Il sole 24 ore sul tema, individua due possibili approcci per le Banche Centrali: quello “macroeconomico”, che considera il rischio climatico per l’impatto che può avere sull’economia e, in quanto tale, non cambia la funzione di reazione della BCE, oppure quello “microeconomico” che, invece, fa rientrare il rischio climatico nella funzione di reazione della BCE, modificandone o integrandone gli obiettivi, oppure definendo addirittura gli strumenti (es. i titoli che possono essere acquistati).

Ovviamente il primo approccio è più facilmente accettabile, siano i banchieri “falchi” o “colombe”, mentre il secondo è avverso ai “falchi” in quanto legato ad un maggiore effetto distorsivo sull’economia e sui mercati da parte della Banca Centrale.

Nella riforma della strategia della BCE si presume che Christine Lagarde cercherà di assecondare la linea verde della Commissione Europea: per ottenere un aumento degli investimenti “green” in Europa, occorre che qualcuno acquisti le obbligazioni i cui proventi sono ad essi destinati e la BCE, ovviamente, è la prima candidata essendo il maggiore detentore di titoli pubblici e privati del continente.

Esiste però un problema di “size” dato che il mercato dei green bond è ancora piccolo: di circa 750 miliardi di euro nel mondo, un terzo è denominato in euro e di questi circa la metà sono già sottoscritti da fondi di investimento a lungo termine.

Utilizzando solo il 5% dell’APP (programma di acquisto di asset della BCE) si prosciugherebbe l’intero mercato dei green bond europeo. E’ essenziale, quindi, che il mercato cresca e che si incentivino le aziende a dedicare parte del bilancio a investimenti che scommettano sul futuro verde del continente.

Analisi dei mercati del 23.09.2019

La settimana è stata dominata dal newsflow circa le decisioni delle varie banche centrali.


Partiamo da quella americana: la Fed ha tagliato, come atteso, i tassi di 25 bps a 1.75%-2%. A differenza della BCE, il messaggio della Fed non è risultato così forte. Anche andando ad analizzare i “dots”, ovvero le previsioni dei singoli membri circa il posizionamento dei tassi in futuro, emerge solo un possibile altro taglio entro fine anno e molta dispersione per il periodo successivo. Otto membri si attendono dei tagli mentre 7 dei rialzi. Il mercato dei futures sui Fed Fund sconta, invece, uno o due tagli anche nel 2020. Powell ha sottolineato che sebbene l’economia americana sia solida, il taglio dei tassi è giustificato da debolezza negli investimenti e tensioni commerciali. Per questo motivo, ancora in ambito “insurance cuts”, altri nuovi e più profondi tagli non sono certi ma la Banca Centrale rimane pronta ad intervenire in caso di necessità. Non sono mancate, ovviamente, le critiche da parte di Trump che continua a giudicare inadeguata la politica monetaria americana.

Anche la BOJ ha rispettato le attese, lasciando i tassi invariati e confermando l’obiettivo di riportare verso lo 0% il tasso decennale dei JGB ma ha anche aggiunto che, in caso di peggioramento del quadro generale, è sempre pronta ad utilizzare misure addizionali e che vorrebbe ottenere una curva più inclinata. In questo caso, a differenza della FED, emerge una maggiore propensione ad agire.

Tassi invariati, 0.75%, anche da parte della Bank of England, che si dichiara pronta ad agire qualora le incertezze relative alla Brexit dovessero persistere. Stesso discorso ha fatto la Banca Centrale Svizzera, tassi invariati a -0.75%, che ha tagliato le stime di crescita lasciando intendere che i tassi potranno ulteriormente scendere. Anche la banca svizzera, come la BCE, ha introdotto un sistema di tiering per ridurre il peso dei tassi negativi sulle banche.

L’unica Banca in controtendenza è quella norvegese, che ha alzato i tassi per la quarta volta in un anno portandoli all’1.5%, livello più alto degli ultimi 5 anni, con l’obiettivo di raffreddare l’economia. Quest’ultima, infatti, è sostenuta dagli investimenti petroliferi, da una moneta debole e una politica economica espansiva del governo, in quanto la Norvegia, grazie alle entrate derivanti dal settore energetico, dispone del fondo sovrano più grande del mondo.

Source: Bloomberg

Un po’ di preoccupazione fra qualche operatore è stata destata, nel mercato monetario, dall’impennata dei tassi pronti contro termine overnight che sono arrivati quasi al 10% e che hanno richiesto tre iniezioni di liquidità. Un Repo da 53 miliardi e due da 75, da parte della FED per riportarli ai livelli in linea con i Fed Funds. La causa scatenante sembra si possa attribuire al concatenarsi di due elementi: eccesso di emissioni di Treasury e contestuale pagamento delle imposte per conto delle società che hanno drenato liquidità in dollari. I parallelismi con la crisi del 2008 non sono ovviamente mancati, anche se le circostanze sono evidentemente diverse. Nel 2008 la liquidità non circolava perché c’era sfiducia da parte delle banche e questo rappresentava un rischio sistemico, ora invece il motivo è da ricercarsi nella riduzione del bilancio della Fed e nella politica fiscale espansiva che richiede grandi emissioni di titoli di stato.

Certo in un mondo “inondato” di liquidità sentire che mancano i dollari necessari per fare funzionare il sistema interbancario americano fa impressione. A tale proposito in sede di FOMC si è discusso della possibile ripresa di acquisti di Treasury, una sorta di QE “light”, al fine di mantenere stabili le riserve bancarie. Nel frattempo, la Fed è pronta a fare aste giornaliere per iniettare liquidità fino al 10 ottobre. Vuole evitare che il mercato si innervosisca.

L’azione accomodante delle banche centrali sta incentivando sempre più aziende a collocare obbligazioni per approfittare dei tassi bassi, in certi casi in sostituzione di bond che vengono richiamati. E’ il caso, ad esempio, di Generali che ha annunciato l’emissione sia del suo primo green bond subordinato Tier2 a tasso fisso con scadenza 2030 e il contestuale riacquisto di 3 obbligazioni per circa un miliardo. Si ottiene il duplice obiettivo di abbassare il costo del finanziamento ricalibrando la scadenza.

Le banche italiane, che nel 2018 non hanno quasi emesso bond, viste le tensioni fra Roma e Bruxelles, stanno recuperando: Unicredit ha collocato un’obbligazione subordinata Tier2 per 1.25 miliardi con cedola 2% (240bps sopra mid- swap, livello più basso dal 2011) a dieci anni con call dopo cinque. Si tratta della terza emissione da gennaio che ha permesso alla banca di superare il target del piano di finanziamento per il 2019 e avviato il pre-funding per il 2020.

Banca Intesa ha invece guardato al mercato americano emettendo un bond senior preferred per due miliardi di dollari, prima emissione da gennaio 2018. Anche in questo caso, come per Generali, l’operazione va vista insieme al buyback, fatto a febbraio per analogo ammontare, in quanto consente di abbassare il costo del funding.

Anche Monte dei Paschi è tornata sul mercato con un prestito obbligazionario, senior preferred, coupon 3.625%, di 500 milioni che è stato ben visto dagli investitori.

Il tema dei green bond sembra essere sempre più diffuso: anche Enel ha di recente cavalcato l’onda lanciando un bond da 1.5 miliardi di dollari legato al raggiungimento di obiettivi di sostenibilità. La domanda è stata elevata soprattutto perché sempre più investitori seguono criteri ESG nella selezione e perché tali strumenti sembrano essere più stabili. Da inizio anno le emissioni “green” sono state 10 per un controvalore di 4.25 miliardi, più del doppio del 2018.

Le banche europee hanno cominciato a fare richiesta dei fondi messi a disposizione tramite il nuovo TLTRO3: nell’ultimo meeting BCE sono state rese più favorevoli le condizioni di rifinanziamento estendendole a tre anni, invece di due, e azzerando lo spread che si sarebbe dovuto pagare sul tasso sui depositi. Dai primi dati sembra che la partecipazione sia stata inferiore alle aspettative, 3.4 miliardi di euro a fronte di attese fra i 20 e i 100, ma probabilmente il motivo è opportunistico e una maggiore richiesta emergerà intorno a dicembre. Per partecipare a questa asta, le banche avrebbero dovuto fare richiesta prima di conoscere i nuovi termini fissati dalla BCE e quindi non sarebbe stato molto sensato.

Per quanto riguarda il petrolio il prezzo è tornato in area 58 dollari, dal picco di 63: in base alla prime analisi, Aramco ha stimato che occorreranno due o tre settimane per ripristinare il grosso della produzione, circa il 70%. Il tema delicato rimane quello geopolitico, dato che Stati Uniti e Arabia Saudita sono concordi nel ritenere l’Iran responsabile degli attacchi.

Source: Bloomberg

Sul tema Brexit nessun passo avanti dopo l’incontro tra premier Johnson e Juncker, il punto critico rimane quello del backstop relativo al confine tra le due Irlande. Alcune fonti parlano di Brexit posticipata fino a gennaio 2021. Secondo il presidente dell’Unione Europea, il finlandese Antti Rinne, il premier britannico deve presentare una proposta scritta sulla Brexit entro fine settembre. Johnson, invece, ritiene che il vertice dell’Unione Europea del prossimo 17 ottobre sarà il momento e il luogo giusto per trovare un accordo per un divorzio consensuale ma che è comunque pronto ad affrontare anche una no-deal Brexit.

In Europa è stato pubblicato lo ZEW tedesco che ha mostrato un peggioramento della situazione attuale ma un miglioramento delle aspettative.

Sul fronte commerciale gli Stati Uniti hanno raggiunto un parziale accordo con il Giappone che consente di evitare l’imposizione di dazi sulle auto.

In Spagna il Partito Socialista di Podemos non riesce a formare un governo, il Re Felipe ne prende atto e indice nuove elezioni per il 10 novembre. La “resilienza” dell’economia spagnola è stata alla base del giudizio di Standard&Poor’s che ha alzato il merito di credito da A-/A-2 a A/A-1 con outlook stabile.

La settimana nel complesso si è chiusa con un leggero ritracciamento degli indici azionari, soprattutto americani. Il comparto obbligazionario governativo ha visto una riduzione dei rendimenti (soprattutto americani) che è andata a beneficio delle obbligazioni a spread. L’euro si è indebolito contro quasi tutte le valute.

QUESTA SETTIMANA

Questa mattina in Europa sono stati pubblicati i dati sui PMI preliminari: l’ulteriore debolezza per quelli manifatturieri, dato per Eurozona da 47 a 45.6, e un inizio di debolezza per quelli relativi ai servizi, 52 da 53.5, portano il dato aggregato vicino alla soglia di demarcazione tra espansione e contrazione, siamo a 50.4. Il dato tedesco è particolarmente brutto e, oltre a non lasciare ben sperare sulla ripresa della manifattura tedesca, trascina al ribasso anche la fiducia sui servizi.

I dati sui PMI verranno resi pubblici anche per gli Stati Uniti. Giovedì vedremo anche la terza stima del dato sulla crescita del GDP del secondo trimestre, atteso a 2%, e venerdì i dati su inflazione e ordini durevoli e spese personali che aiuteranno a valutare la tenuta dell’economia americana.

Source: Bloomberg

Sul fronte geopolitico, all’assemblea ONU di questa settimana si incontreranno anche Stati Uniti ed Iran.

Il newsflow in merito alla questione Brexit rimane il driver principale della sterlina. Oggi la Corte Suprema dovrebbe rendere nota la data in cui emetterà la sentenza sulla legittimità o meno della sospensione del parlamento.

L’attenzione rimane sempre puntata sui negoziati tra Cina e Stati Uniti: se da un lato gli Stati Uniti hanno, nei giorni scorsi, sospeso i dazi su 400 beni di importazioni cinesi, la cattiva notizia è la cancellazione di una visita da parte di una delegazione cinese. Situazione sempre molto fluida.