Analisi dei mercati del 01.03.2021

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Il mercato americano è stato parecchio volatile durante la settimana a causa, principalmente, dell’innalzamento dei redimenti governativi (soprattutto a lungo termine) legato alle maggiori prospettive di crescita e, quindi, alle crescenti aspettative di inflazione; questo elemento spinge gli investitori verso prese di profitto sui titoli/settori più “tirati” in termini di performance (vedi Nasdaq e titoli legati allo “stay at home” business) e rotazioni settoriali a favore di ciò che beneficia di una maggiore crescita (commodities e settori ciclici) o di tassi di interesse più alti (settore finanziario). Il mercato europeo, invece, soffre sia il più lento ritmo della campagna vaccinale (siamo circa al 5% contro il 30% di UK e il 15% degli Stati Uniti) che allontana, rispetto alle altre aree geografiche, l’uscita dalla crisi, sia il generalizzato rialzo dei rendimenti che rende il bilancio più pesante.

Avevamo preannunciato che la settimana sarebbe stata caratterizzata da parecchi interventi di esponenti delle banche centrali e così è stato, più o meno ogni giorno sono uscite dichiarazioni che in alcuni casi sono riuscite a calmare i mercati, in altre meno.

Già lunedì abbiamo avuto la Lagarde che, affermando che la ECB sta attentamente monitorando i rendimenti obbligazionari nominali a lungo termine, è riuscita ad invertire, nella giornata, l’andamento del mercato dei governativi ridando un minimo di slancio anche all’azionario. La banca centrale europea intende mantenere favorevoli le condizioni di finanziamento soprattutto perché, spesso, i tassi a lungo termine sono alla base dei mutui alle famiglie e dei prestiti alle imprese. Tra le parole della Lagarde si poteva leggere la disponibilità a intervenire rafforzando il programma di acquisti (PEPP) per frenare eventuali incrementi incontrollati dei rendimenti.  

Giovedì è stato il capo economista della BCE Philip Lane ad intervenire dichiarando espressamente che l’istituto centrale utilizzerà la flessibilità di cui è dotato per gestire gli acquisti di obbligazioni al fine di prevenire un restringimento, non desiderato, delle condizioni finanziarie.

Nei giorni successivi sono intervenuti altri esponenti della Fed a confermare che, prima di intervenire in senso restrittivo sulla politica monetaria, il mercato del lavoro americano dovrà tornare al livello di pieno impiego.

È evidente come il ruolo delle banche centrali sia di mantenere sotto controllo la curva dei rendimenti (Yield Curve Control) per rendere più semplice il lavoro alla politica fiscale.

A proposito di politica fiscale, negli Stati Uniti, la commissione finanza della Camera ha approvato il pacchetto fiscale da 1.900 miliardi che poi è stato approvato dalla Camera.

In Italia il Tesoro si sta preparando per l’emissione del primo BTP green (atteso entro marzo e riservato ad investitori istituzionali), con probabile scadenza di dieci anni, che ha l’obiettivo di finanziare spese relative alle fonti di energia rinnovabili, al risparmio energetico, ai trasporti a basse emissioni e all’economia circolare e i prodotti riciclabili. Secondo il regolamento le spese finanziabili saranno quelle dell’anno di emissione, di quello successivo e dei tre precedenti. Quindi, su 35 miliardi stimati, una buona fetta sarà riconducibile a spese sostenute fra il 2018 e il 2020 e in parte a quelle che si sosterranno nel 2021. Il 2022 non è stato considerato perché dovrebbe già beneficiare dei fondi del Recovery Plan.

L’FDA (l’autorità di controllo sui farmaci americana) ha dichiarato che non sono necessari tempi e sperimentazioni lunghe per adattare i vaccini esistenti alle nuove varianti. Quindi, nel caso si renda necessario, gli eventuali richiami verranno fatti senza particolari problematiche.

Sempre l’FDA ha finalmente dichiarato che il vaccino di Johnson&Johnson (che prevede la singola somministrazione) è considerato sicuro ed efficace e presto sarà approvato per l’utilizzo di emergenza.

Buono il movimento della sterlina inglese che rimane sempre il barometro per le tensioni in UK: durante il periodo dell’incertezza totale su Brexit e quindi sul destino dell’economia britannica scivolava ad ogni cattiva notizia, ora beneficia dell’andamento veloce delle vaccinazioni che porterà presto (si spera) ad una ripresa economica consistente.

Un po’ di turbolenza sul Bovespa (indice azionario brasiliano) in seguito alla decisione del presidente Bolsonaro di sostituire l’ad di Petrobras con un generale di sua conoscenza ma senza competenze in campo petrolifero. Le azioni di Petrobras sono scese del 20% e anche il real (la divisa brasiliana) ne ha risentito come tutto il mercato in generale.

È bastato che Elon Musk dichiarasse che le quotazioni del bitcoin fossero un po’ “alte” per causare una brusca reazione intraday della criptovaluta nella giornata di lunedì. Ovviamente, visto il consistente investimento che Tesla ha fatto sui bitcoin il movimento si è riversato anche sui titoli della casa automobilistica. Qualcuno parlava di una bolla che investe in una bolla, sicuramente quello che è vero è che la volatilità di Tesla (che già non era bassa) in questo modo sale.

Il bitcoin, inoltre, continua ad essere preso di mira dai policy maker: il segretario al Tesoro americano Janet Yellen continua a definire il bitcoin un asset “altamente speculativo” ed “estremamente inefficiente” e sottolinea la necessita di una maggiore regolamentazione. Ovvio, comunque, che sia politici che esponenti delle banche centrali non vedano di buon occhio le criptovalute in quanto non riescono a controllarne i movimenti e le dinamiche. Evidente, però, che è in corso un processo che sembra quasi diventato irreversibile per le dimensioni che sta assumendo e per i sempre maggiori attori coinvolti.

QUESTA SETTIMANA

Siamo ancora in un periodo in cui le notizie sulla pandemia sono importanti anche perché denotano forti differenze geografiche: ci sono alcuni paesi, più avanti nelle vaccinazioni, che stanno cominciando a riaprire le loro economie per tornare verso una sorta di normalità (tipo US e UK) mentre altri sono ancora costretti ad adottare forme di lockdown più o meno circoscritto (soprattutto in area Euro). Questa condizione potrebbe portare ad una differenza sempre più marcata fra l’andamento economico delle diverse aree con conseguenze anche sui mercati finanziari.

Il Senato americano sarà chiamato ad esprimersi sul programma di Biden in merito al pacchetto fiscale da 1.900 miliardi di dollari: il punto critico è quello relativo all’innalzamento del salario minimo che vede contrari i Repubblicani e non necessariamente tutti i Democratici a favore. Importante (e probabile) che siano garantiti gli assegni ai cittadini (1.400 dollari a chi ha redditi inferiori ai 75.000) soprattutto in vista della scadenza dei sussidi alla disoccupazione il 14 marzo.

In settimana verranno pubblicati i dati di fiducia delle imprese PMI e ISM (negli Stati Uniti) relativi al mese di febbraio: le attese sono per dati sostanzialmente stabili ma che potrebbero confermare, soprattutto in Eurozona, una maggiore debolezza del comparto dei servizi. Negli Stati Uniti, inoltre, il report mensile sul mercato del lavoro aiuterà a valutarne le dinamiche.

Giovedì 4 è previsto il consueto appuntamento mensile dell’OPEC+ per eventualmente ricalibrare l’offerta di petrolio: potrebbe essere deciso di ridurre un po’ i tagli programmati e quindi aumentare la produzione per fare fronte ad una maggiore domanda.

Venerdì 5, in Cina, prenderà il via la sessione annuale del National People’s Congress che probabilmente sarà più breve rispetto alle consuete due settimane considerato il rischio sanitario.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Il pacchetto fiscale che sta per essere approvato dal Congresso americano sappiamo che è enorme e dovrebbe garantire una crescita dal pil intorno a 6%/7% (lo sostiene anche lo stesso Powell). Ricollegandoci a quanto scritto la scorsa volta (“too much of a good thing”) il rischio è, quindi, che paradossalmente ci sia troppa crescita che non è ancora pienamente prezzata dai mercati obbligazionari. Effettivamente il livello attuale del Treasury è ritenuto dagli analisti abbastanza incongruente con le prospettive di crescita economica e di inflazione, segno che il QE della Fed svolge ancora discretamente il suo lavoro.

Qualora il repricing avvenisse in modo graduale e fosse legato alla consapevolezza di una sempre più vicina e sostenibile ripresa economica allora non sarebbe particolarmente preoccupante né destabilizzante. Lo diventerebbe, invece, nel caso in cui il mercato arrivasse a pensare che la Fed stia commettendo un errore di policy oppure in caso di salita fuori controllo dell’inflazione. In questo ultimo caso le banche centrali sarebbero in serie difficoltà.

L’inflazione, quindi, è l’elemento estremamente delicato e a cui prestare maggiore attenzione in questo periodo. Possiamo ragionevolmente ritenere che fino a certi livelli (intorno al 3%, tenendo conto del concetto di “simmetria” ribadito dalle banche centrali) può creare volatilità ma è tollerabile dalle asset class quali l’azionario e le materie prime, oltre certi livelli, soprattutto se ci arriva velocemente, rischia di essere un po’ uno shock e causare un repentino aumento dei rendimenti e una forte correzione azionaria.

Spesso citiamo gli indicatori di volatilità azionari VIX e VSTOXX, ma vale la pena cominciare a guardare anche quello obbligazionario MOVE che esprime la volatilità implicita nelle opzioni sul Treasury (titolo di stato statunitense) cha da qualche tempo sta dando segnali di tensione (per dare un’idea viaggiava nel range 40-50 da novembre e nell’ultima settimana si è spostato sopra i 60).

Che l’economia si stia avviando verso una normalizzazione dell’attività economica lo vediamo anche dalle quotazioni del rame (ai massimi degli ultimi dieci anni). Tempo fa avevamo ricordato come questo metallo fosse chiamato il “dr Copper” in quanto è considerato un indicatore dello stato di salute dell’economia. Il ruolo da padrone lo gioca la Cina, ovviamente, che sorpreso tutti per il timing e l’entità degli acquisti. Volendo poi essere sofisticati, per il piacere dei più esperti, diciamo che la curva dei contratti futures sul rame si trova in “backwardation”: ovvero i prezzi dei contratti più vicini sono più alti di quelli dei contratti più a lungo termine, segno che c’è una carenza di offerta (rispetto al picco della domanda) che potrebbe essere legata agli stop alla produzione dovuti ai lockdown. Tante volte abbiamo citato proprio questo elemento come fattore di rischio per la c.d. inflazione “cattiva”.

Un corretto (e auspicabile) scenario economico da qua a fine anno vedrebbe la concatenazione dei seguenti elementi: vaccinazioni à calo dei contagi à riapertura dell’economia à ripresa economica à ripresa dell’inflazione.

I governi dovrebbero contribuire a far partire il volano della crescita, attraverso la spesa pubblica, finché le economie non sono al sicuro nella fase della ripresa.

Le banche centrali dovrebbero finanziare i governi e garantire con i programmi di acquisto (QE) il mantenimento di condizioni finanziarie agevoli. Importanti saranno le riunioni di BCE e FED rispettivamente il 7 e 17 marzo dove, soprattutto per la BCE, si capirà se prevale l’impostazione di chi vuole controllare i tassi nominali (ad es. Lane) o quelli reali (ad es. Schnabel) e un’eventuale estensione del programma PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme). Questo punto è estremamente delicato e importante per i mercati (ne abbiamo avuto una conferma la settimana scorsa) che richiedono che l’inevitabile pressione al rialzo dei rendimenti governativi sia sapientemente controllata dall’azione delle banche centrali.

In questo modo i mercati potrebbero proseguire la loro strada: quelli azionari beneficiare della crescita economica e della ripresa degli utili (che aiuterebbe a calmierare i multipli), quelli obbligazionari tornare gradualmente ad avere rendimenti più consoni allo stato dell’economia (quindi più alti) e più interessanti per gli investitori.

Magari, un giorno, si riuscirà anche a tornare a costruire portafogli bilanciati con la componente obbligazionaria che svolge il ruolo che dovrebbe avere da libro di testo e la componente azionaria che offre l’opportunità di un rendimento maggiore.

Nel frattempo, però, i mercati che non sono mai lucidi e graduali nei movimenti, potrebbero essere soggetti a movimenti irrazionali e violenti, andando in “overshooting” per effetto dello spostamento di enormi flussi conseguenti ai posizionamenti troppo allineati e simili tra gli investitori. Bisogna farsene una ragione e mantenere, come sempre consigliamo, i nervi saldi e una chiara strategia in mente!

Le linee di gestione hanno risentito della volatilità presente sui mercati e dell’aumento dei rendimenti dei governativi, ed hanno fatto registrare una performance negativa nell’ultima settimana.

Analisi dei mercati del 20.07.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Prosegue il rialzo dei mercati azionari anche nella settimana che si è appena conclusa (MSCI World +1.5%). La differenza rispetto alle scorse è che questa volta il rialzo è stato guidato non dai titoli tecnologici americani (Nasdaq -1.76%), ma dai paesi e settori che erano rimasti più indietro: settore bancario europeo (Eurostoxx Banks +2.3%), small cap americane (Russell2000 +3.56%) e Italia (FtseMib +3.3%). Le aspettative circa un buon esito dei negoziati UE hanno portato ad un leggero restringimento dello spread BTP-Bund, sceso a 169bps, e ad un discreto apprezzamento dell’euro rispetto alle principali valute.

Il Consiglio Europeo, in riunione da venerdì per definire il pacchetto di misure a sostegno dell’economia dell’eurozona post pandemia (il c.d. Next Generation EU), durante gli incontri del week-end non ha prodotto alcun risultato. Il presidente Charles Michel, nel tentativo di avvicinare le richieste, aveva proposto una leggera modifica nel rapporto sussidi/prestiti: la proposta originaria prevedeva 500 miliardi di sussidi e 250 miliardi di prestiti, la modifica di Michel portava la quota di sussidi a 450 e di prestiti a 300 ma sembra che, neanche così, i paesi “frugali” (ai quali si è unita anche la Finlandia) capeggiati dal premier olandese Mark Rutte siano soddisfatti dato che non intendono concedere sussidi oltre i 390 miliardi e addirittura vorrebbero ridurre il pacchetto a 700 miliardi.

Sul fronte della pandemia se da un lato continuano a peggiorare i dati sui contagi, specialmente in alcuni paesi, è anche vero che si fanno progressi sulla ricerca del vaccino: l’americana Moderna, ad esempio, ritiene che il suo vaccino, che si basa sostanzialmente su un innalzamento del numero di anticorpi, sembra stia dando ottimi risultati e il 27 luglio entrerà nella fase finale dei test clinici, la cosiddetta fase 3, che coinvolgerà 30.000 persone e che vedrà la conclusione a ottobre. Teniamo conto del fatto che l’aumento degli anticorpi più provocare effetti collaterali e questo è il fattore che più spaventa la gente che, forse, non correrà in massa a farsi vaccinare fintanto che non ci saranno maggiori certezze su tutti gli effetti. Anche AstraZeneca, collaborando con l’Università di Oxford, sembra a buon punto e potrebbe avviare la produzione di massa già a settembre. E’ importante che tante aziende siano coinvolte nello sviluppo del vaccino per garantire un’adeguata numerosità delle dosi disponibili.

La reporting season americana è partita abbastanza bene: con il 10% delle società dell’S&P500 che ha pubblicato i numeri del secondo trimestre la discesa degli utili si attesta a -19%, meglio delle attese degli analisti di circa il 17%. Le banche, fra le prime a riportare, hanno beneficiato dell’ottimo andamento dell’attività di trading ma sono state penalizzate dall’attività tipica bancaria a causa dei maggiori accantonamenti sui crediti che raggiungono i livelli del 2008 (segnale, forse, di scarso ottimismo sul futuro). Mentre Citigroup, JPM, Wells Fargo e BofA hanno una tipologia di business più orientata ai consumatori e al ramo commerciale (quindi più tipicamente bancaria) ed hanno, di conseguenza, sofferto dei default di qualche cliente e degli accantonamenti precauzionali, Goldman Sachs e Morgan Stanley (più investment banks) hanno battuto le previsioni degli analisti grazie all’intensa attività di trading che ha caratterizzato il periodo del lockdown. Bank of America, ad esempio, la seconda banca più grande degli Stati Uniti, è risultata estremamente sensibile all’andamento dell’economia e ha riportato un crollo di utili pari al 52%; per contro Morgan Stanley ha visto utili in aumento del 45% grazie alla divisione trading (soprattutto obbligazionario). Anche da questo punto di vista si nota il distaccamento di Wall Street (indici sui massimi e banche esposte che ben riportano) rispetto a Main Street (economia reale che soffre la recessione e banche commerciali, di conseguenza, in crisi).

Anche J&J pur riportando meglio delle attese ha visto i ricavi ridursi dell’11% e gli utili del 35%.

Fra i dati macroeconomici principali segnaliamo in Cina numeri, nel complesso, buoni anche se con ampi spazi di miglioramento:

  • GDP secondo trimestre: +11.50% trimestre/trimestre, meglio delle attese (+9.6%) e con una crescita che si attesta a 3.2% anno/anno (dopo il -6.8% del trimestre precedente);
  • produzione industriale di giugno: in miglioramento a +4.8% anno/anno dal +4.4% di maggio;
  • vendite al dettaglio di giugno: ancora negative a -1.8% (rispetto ad attese di +0.5%).

A sorpresa, dopo un CdA straordinario venerdì sera, IntesaSanPaolo ha alzato l’offerta per UBI aggiungendo 0.57 euro in cash per ogni azione (per un totale di 652 milioni in più). Dopo che anche l’Antitrust ha dato il via libera all’operazione l’AD Messina, al termine di una serie di negoziazioni con gli azionisti principali (che chiedevano 1 euro in più cash), ha deciso di aumentare l’appeal dell’offerta in modo da ottenere il 66.7% delle adesioni che consentirebbe una fusione senza troppi problemi. Il premio, rispetto ai prezzi del 14 febbraio quando è stata lanciata l’operazione, passa dal 28% al 44.7%. Nei prossimi giorni si riunirà il CdA di Ubi per valutare la nuova offerta (ricordiamo che la vecchia era stata respinta in quanto si riteneva sottovalutasse Ubi di circa 1.1 miliardi di euro).

Per rispettare quanto richiesto dall’Antitrust entro sei mesi ISP dovrà vendere 532 sportelli ex Ubi a Bper e, qualora non dovesse riuscirci, avrà altri sei mesi di tempo per affidarsi ad un intermediario indipendente. Dovesse l’operazione passare con almeno il 2/3 del capitale (66.67%) Ubi non potrebbe sollevare contestazioni alla vendita del ramo d’azienda e sarebbe tutto più semplice.

Le fondazioni CR Cuneo e Banca del Monte di Lombardia hanno già dichiarato che intendono aderire all’offerta con il loro 10%. Considerando anche Cattolica e il Sindacato azionisti di Ubi, si arriverebbe ad un’adesione superiore al 20%. I fondi hanno in mano circa il 40% delle azioni e dovrebbero accettare lo scambio di azioni dopo il rilancio. Sembra quindi facilmente raggiungibile la quota del 50% ma adesso il traguardo è diventato i 2/3 del capitale per la convocazione di un’assemblea straordinaria che approvi la fusione. Ricordiamo che c’è tempo fino al 28 luglio per aderire.

Sul tema ASPI viene meno la minacciata revoca della concessione autostradale ad Atlantia ma si apre invece lo scenario di un aumento di capitale che consentirà a CDP di entrare nella compagine azionaria con una quota del 33% andando, di fatto, a diluire Atlantia (quindi la famiglia Benetton). Si parla di un investimento di CDP fra i 3 e i 4 miliardi di euro con una valutazione implicita di ASPI fra 6 e 8 miliardi (secondo gli analisti di Banca Imi dovrebbe invece valere circa 11 miliardi). La quota di Atlantia scenderebbe sotto il 10% di ASPI ma non dimentichiamo che Atlantia ha in pancia, tra le tante partecipazioni, anche Abertis (che gestisce all’estero il triplo della rete di ASPI) e Telepass (per la quale è attesa la quotazione).

Dalla riunione dei produttori di petrolio è emerso che l’OPEC+ intende aumentare di 1 milione di barili al giorno la produzione a partire dal mese di agosto. I tagli che erano stati fissati a 9.6 milioni di barili la scorsa primavera dovrebbero quindi scendere anche se meno di quanto si ipotizzava nei giorni precedenti all’accordo.

QUESTA SETTIMANA

La principale variabile da monitorare continua ad essere la diffusione della pandemia e quindi i dati sui contagi in quanto il rischio principale per l’economia, ed i mercati, è una seconda ondata (considerato che alcuni stati non sono ancora usciti dalla prima) che metterebbe a serio rischio la debolissima ripresa che si intravede dai dati macro anticipatori.

Negli Stati Uniti, inoltre, l’incapacità di mettere sotto controllo il virus avrebbe una ripercussione negativa sui sondaggi elettorali a sfavore di Trump. Nessun presidente uscente riesce ad essere riconfermato se il paese sta attraversando una recessione e per quanto Trump addossi la colpa alla Cina (e talvolta alla Fed) gli americani gli attribuiranno la responsabilità della gestione inefficiente della pandemia in US.

Lunedì 20 luglio alle ore 16 proseguirà il vertice tra i leader UE per trovare un accordo sul Recovery Fund, in caso contrario potrebbe essere preso un altro mese di tempo. Secondo Christine Lagarde un piano di emergenza ambizioso è preferibile ad un accordo a tutti i costi in tempi rapidi. Sul tavolo ci sono circa 1800 miliardi (di cui 750 per il Recovery Fund) e sarebbe una cifra assolutamente eccezionale e ritenuta indispensabile per una crisi così profonda. L’Olanda vorrebbe entrare nel merito delle politiche di riforma dei paesi UE ma, soprattutto Italia e Spagna, ritengono la richiesta inaccettabile.

La reporting season vedrà protagoniste società pari al 24% dell’S&P500 (per il mercato US) e al 17% dello Stoxx600 (per il mercato europeo). Fra le società che riporteranno i dati del secondo trimestre segnaliamo martedì UBS e mercoledì Tesla.

Giovedì 23 in US verrà pubblicato il dato settimanale sulle richieste di sussidi di disoccupazione (jobless claims), le attese sono per 1.280.000 di richieste da 1.3 milioni della settimana precedente. Gradualmente il dato si sta riducendo: per avere un’idea, dopo essere stato per anni in un intorno di 200.000 richieste alla settimana, a inizio aprile, con il lockdown, è esploso a quasi 6.9 milioni di richieste, adesso sta lentamente ridimensionandosi.

La settimana vedrà la pubblicazione dei dati preliminari PMI per le varie regioni e relativi al mese di luglio: ci si attende una continuazione della ripresa. Negli Stati Uniti le stime portano i numeri sopra la soglia del 50 (punto di demarcazione fra espansione e contrazione economica) sia per il comparto manifatturiero che per quello dei servizi; stessa cosa in Eurozona dove però il dato per il comparto manifatturiero, a causa della Germania, è in ripresa ma rimane inferiore al 50.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Come anche Jamie Dimon (CEO e chairman di JPM) fa notare, la recessione è molto particolare e l’azione di contenimento e stimolo di Fed e Governo sono state in grado per ora di tamponarne gli effetti che quindi non si sono visti nell’immediato. Il rischio è che se questo non dovesse bastare oltre ad avere un enorme danno nel settore privato avremmo anche una voragine in quello pubblico. Da qui l’aspettativa dei mercati di un intervento sempre presente e massiccio almeno fintanto che non si è sicuri di essere definitivamente fuori dalla crisi.

L’importante ruolo delle banche centrali nel recente rally dei mercati, sia obbligazionari che azionari, è sottolineato anche in un interessante articolo del Il sole 24 ore uscito in settimana. Invece di parlare di bolla (il cui scoppio è temuto da tutti) si dovrebbe parlare di “inflazione finanziaria”: la prima di solito segue un percorso classico (aspettativa di rialzi à contagio/avidità di chi non vuole perdere l’occasione à testardaggine di chi nega che si tratti di una bolla à scoppio della bolla quando sorgono i primi dubbi sulla sostenibilità dei prezzi) ma non prevede come principale attore le banche centrali. Queste ultime di solito non partecipano alla formazione di bolle ma ne causano lo scoppio. Chi invece di solito crea le bolle sono il cosiddetto “parco buoi”. Ma, lasciando per un attimo da parte il mercato azionario, siamo sicuri che il parco buoi abbia partecipato al rally di quello obbligazionario? Siamo sicuri che la gente stia comprando il bund con il rendimento negativo?

Quello che qualcuno definisce bolla ma che l’articolo ritiene si debba considerare inflazione finanziaria deriva dalla liquidità iniettata nel sistema dalle banche centrali. (Le banche centrali acquistano bond (inflazionandone il valore) e immettono nel sistema della liquidità che cerca un parcheggio remunerativo: i bond (soprattutto governativi) sono quasi ai massimi storici (con conseguenti rendimenti ai minimi), le materie prime (vicine ai minimi dagli ultimi 20 anni) sono estremamente legate al ciclo economico ancora debole e così entrano in gioco le azioni che beneficiano ancora della mancanza di alternative (ricordiamoci dell’acronimo coniato l’anno scorso, TINA – There is no alternative). Fintanto che le banche centrali rimarranno impegnate nel sistema (e come detto sopra lo faranno ancora a lungo) i mercati dovrebbero rimanere supportati sia sul lato obbligazionario (con rendimenti minimi) sia su quello azionario (con rendimenti maggiori potenzialmente ma anche più volatili).

La buona performance della maggior parte delle asset class ha consentito alle nostre linee di gestione di guadagnare anche questa settimana. L’unica a soffrire, andando a consolidare una performance comunque molto buona, è la linea Chornos per la maggiore esposizione al mercato americano (soprattutto tech) e al dollaro.

Analisi dei mercati del 22.06.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

La settimana è iniziata positivamente e poi si è gradualmente assestata concludendosi con un rialzo intorno al 2% per l’indice MSCI World. Positivi sia il segmento obbligazionario corporate che i governativi della periferia europea che hanno visto stringere gli spread rispetto al bund. In deciso rialzo del prezzo del petrolio che guadagna circa 3 dollari.

La forza dei mercati, ancora una volta, è stata determinata dalle notizie positive provenienti dagli Stati Uniti sia sul fronte fiscale che su quello monetario e che si confermano essere di forte supporto sia per l’economia che per i mercati:

  • lunedì sera l’amministrazione americana ha annunciato un ingente piano di espansione fiscale, da mille miliardi di dollari, basato su infrastrutture (sia tradizionali che moderne come il 5G ad esempio). Lo stimolo complessivo arriverebbe, considerato tutti i programmi, al 20% del Pil americano. Consideriamo che a fine luglio in US scadono i meccanismi di supporto (tipo i sussidi alla disoccupazione) e non è certo che l’amministrazione americana li riconfermi (attenzione all’impatto sui consumi), il piano infrastrutturale, per quanto non immediato ma con impatto spalmato nel tempo, diventa un importante tassello nella politica fiscale;
  • sempre lunedì la Fed ha annunciato l’ampliamento del programma di acquisto di bond includendo pure quelli delle singole aziende, finora si era limitata agli ETF. Il programma dovrebbe assorbire fino a 250 miliardi di dollari di obbligazioni societarie. Ha inoltre varato le linee guida del programma “Main Street Lending” dando la possibilità alle imprese in difficoltà (ma che erano in buone condizioni finanziarie prima della crisi) di accedere a finanziamenti vantaggiosi: si tratta di prestiti per 600 miliardi ad aziende con un numero di dipendenti fino a 15mila e con cinque miliardi all’anno di entrate.

In una audizione, prima davanti al Senato e poi alla Camera, Jerome Powell ha dichiarato che i rischi e l’incertezza rimangono significativi e che l’economia americana potrebbe trovarsi ad affrontare danni importanti di lungo termine in assenza di risposte adeguate, a causa sia dell’aumento della disoccupazione che degli inevitabili fallimenti delle piccole imprese. Per questo motivo gli interventi dei prossimi anni saranno caratterizzati da uno stimolo eccezionale e la Fed “terrà il piede sull’acceleratore” finché la crisi non sarà passata. Più la crisi si protrae, più sarà grande il potenziale di un impatto di lungo termine derivante da perdite permanenti del posto di lavoro e chiusure di business, in grado di aumentare le diseguaglianze sociali

Le tre banche centrali che si sono riunite in settimana hanno lasciato invariati i tassi ma ampliato il supporto monetario:

  • la BOJ non ha modificato la propria politica monetaria (tassi fermi a -0.10%) ma ha aumentato il valore del pacchetto a favore delle imprese in difficolta da 700 miliardi a mille miliardi di dollari. L’incertezza è considerata da parte dei membri della banca centrale ancora elevata quindi la BOJ è pronto a fornire ulteriori stimoli;
  • la BOE ha mantenuto il tasso di interesse a 0.1%, deludendo chi si aspettava un taglio o addirittura tassi negativi, ma ha incrementato il programma di acquisto di bond a 745 miliardi (+100 miliardi rispetto a prima) riducendone però la frequenza e lasciando intendere che il programma potrebbe esaurirsi per fine anno. Il governatore Bailey considera diminuito “sostanzialmente” lo stress sui mercati ma rimane disponibile ad ulteriori interventi qualora la situazione dovesse peggiorare;
  • anche la Swiss National Bank ha mantenuto i tassi invariati a -0.75%. Il franco svizzero è considerato parecchio forte, soprattutto per un’economia vista in contrazione del 6% questo anno, e quindi la SNB è propensa per intervenire sul mercato FX in modo deciso.

Sostanzialmente in linea con le attese del consigliere esecutivo BCE Isabel Schnabel, il risultato dell’asta TLTRO3 che consente alle banche di ottenere fondi ad un tasso di -1% a tre anni (conveniente anche per la Germania che ha l’intera curva negativa). Le 742 banche, che avevano rimborsato finanziamenti meno convenienti, hanno aderito con una domanda parti a 1.31 trilioni di euro (attesi 1.4). Si stima che l’aumento netto di liquidità sia pari a 548.5 miliardi di euro. Fra le banche italiane segnaliamo ISP che partecipa all’asta con una domanda di 35.8 miliardi che portano il totale a 70.9 miliardi e Unicredit che richiede il quantitativo massimo di 94.3 miliardi.

In settimana sono stati pubblicati dati macro importanti per gli Stati Uniti:

  • le vendite al dettaglio per il mese di maggio sono state molto forti e pari al doppio del consenso: +17% mese/mese (vs attese per +8.4% e un dato precedente rivisto a -14.7%) grazie ad un’impennata nella vendita di auto (che pesano il 41% del dato aggregato), ma anche depurando il dato da questo elemento il rialzo è stato molto forte, segno che anche le altre componenti hanno contribuito notevolmente;
  • un po’ più debole rispetto alle attese, ma comunque nella giusta direzione, la produzione industriale: +1.4% mese/mese rispetto a +3% e dato precedente rivisto a -12.5%).

Rispetto agli stessi dati cinesi, usciti lunedì e commentati la settimana scorsa, è curioso come la ripresa delle due principali economie risulti invertita nelle componenti: più basata su attività industriale in Cina e più su consumi privati negli Stati Uniti. Da questo punto di vista avrebbe senso il programma di Trump sulle infrastrutture per stimolare l’attività industriale. E’ anche vero, però, che per giugno negli Stati Uniti potremmo assistere ad una ripresa più forte della produzione industriale legata, soprattutto, al settore automobilistico.

Per quanto riguarda il Recovery Plan europeo secondo la cancelliera Angela Merkel nel mese di luglio verrà raggiunto un accordo e in autunno ci potrebbe essere l’implementazione. Dalla riunione del Consiglio Europeo non sono giunte grandi notizie se non che i c.d “Frugal Four” potrebbero prendere in considerazione l’ipotesi di sussidi (quindi finanziamenti a fondo perduto) ma solo se finalizzati a delle riforme e non direttamente ai consumi.

La ripresa dei contagi nel mondo rimane uno dei fattori ai quali il mercato presta più attenzione. A tal riguardo segnaliamo che è salito il livello di rischio (allerta II) in Cina dove una ripresa dei contagi ha portato alla chiusura di diversi quartieri di Pechino, alla chiusura delle scuole ed è stato ristabilito il distanziamento sociale. Continua a preoccupare l’aumento dei casi in alcuni stati americani che si associa ad un aumento anche delle ospedalizzazioni: gli stati coinvolti sono principalmente al sud e sono California, Florida, Arizona, Texas e Alabama.

Sebbene ci sia un’evidente e ovvia relazione tra rimozione dei lockdown e ripresa dei contagi, a meno di una situazione che sfugga totalmente dal controllo (speriamo improbabile), un nuovo blocco totale possiamo escluderlo. A supportare la tesi esposta la settimana scorsa, ovvero che comunque le cure contro il virus sono notevolmente migliorate, la notizia che secondo l’Università di Oxford il Desametasone, un antinfiammatorio steroideo, è in grado di ridurre di un terzo la mortalità dei malati che sono sottoposti a ventilazione assistita. Un consorzio pubblico-privato europeo ha giudicato efficace, nei casi di Covid moderati/lievi, il Raloxifene, ovvero un farmaco commercializzato ed utilizzato contro l’osteoporosi.

Per quanto riguarda la Brexit, Johnson sostiene che l’accordo potrebbe essere raggiunto a luglio, anche se la scadenza iniziale era giugno, per un’uscita definitiva a fine anno. E’ attesa un’accelerazione dei negoziati per avvicinare posizioni ancora distanti.

Alle tensioni geopolitiche tra Cina e Stati Uniti si sono aggiunte, in settimana, altre due situazioni critiche che però non sembrano essere degenerate. La prima è fra le due Coree, con Pyongyang che ha distrutto la palazzina delle trattative nella DMZ (zona demilitarilizzata al confine) e ha intenzione di inviare i soldati lungo il confine. La seconda è fra Cina e India, sul cui confine uno scontro fra le truppe ha provocato qualche morto, ma sembra che le parti si siano già accordate per risolvere il prima possibile.

Torna sul tema dei BTP perpetui il presidente della Consob Paolo Savona durante la relazione annuale al mercato: la proposta, per scongiurare una patrimoniale e ridurre la dipendenza dai capitali esteri, riguarda l’emissione di obbligazioni irredimibili, con cedola fissa (massimo 2% come il target di inflazione della BCE) esentasse. Sarebbero tipo i “bot di guerra” utilizzati questa volta per finanziare una ricostruzione non post bellica ma post Covid.

QUESTA SETTIMANA

Non sono previsti particolari eventi questa settimana che possano essere considerati forti market mover. L’elemento che viene costantemente monitorato continua ad essere l’andamento dei contagi considerato che sempre più paesi stanno rimuovendo le limitazioni alle attività e il social distancing: la situazione più preoccupante rimane quella dell’America Latina, di India e Russia. In US da monitorare attentamente l’andamento dei contagi negli stati del sud dove, tra le altre cose, Apple ha chiuso in via preventiva alcuni negozi. In Europa le maggiori difficoltà si riscontrano in Svezia mentre in Germania c’è qualche preoccupazione per un focolaio in un mattatoio. L’Organizzazione mondiale della sanità ha rilasciato le nuove linee guida che prevedono non più un doppio tampone ma solo tre giorni senza sintomi per essere considerati fuori pericolo.

Fra I dati macro-economici più interessanti in uscita in settimana segnaliamo:

  • PMI (fiducia delle imprese) preliminari per giugno in US: atteso forte rimbalzo del comparto manifatturiero (da 39.8 a 50.8) e servizi (da 37.5 a 48); stessi dati in uscita anche per l’Eurozona, dove è atteso un rimbalzo per il comparto manifatturiero da 39.4 a 45 e per i servizi da 30.5 a 41.5, e in Giappone.
  • IFO tedesco (indice di fiducia delle aziende) atteso in rialzo in tutte le componenti: expectations da 80.1 a 87 e current assessment da 78.9 a 84.
  • Personal income e personal spending in US per maggio. Mentre il primo è atteso in ribasso del 6% il secondo dovrebbe rimbalzare da -13.6% a +8.8% (sulla scia anche del dato già pubblicato delle vendite al dettaglio).

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

La settimana scorsa avevamo parlato dell’evidenza circa il fatto che l’ultima parte del rally sia stato trainato dagli investitori retail. A tale proposito un interessante articolo de Il sole 24 ore uscito in settimana sottolinea, come anche noi avevamo fatto, che la tipologia di investitore in oggetto non guarda i bilanci e non segue, quindi, i fondamentali ma acquista soprattutto i titoli più noti sulla base della volatilità e delle opportunità tattiche che questa crea, contribuendo in tal modo al fenomeno dello “scollamento” tra main street e wall street. Consideriamo, infatti, che il Nasdaq ha raggiunto nuovi massimi e superato il livello di 10.000 grazie ai big del tech che rappresentano il 40% dell’indice e che sono stati i titoli preferiti dei retail perché più famosi: curioso come i consistenti acquisti degli ultimi tempi abbiano portato la somma delle capitalizzazioni di Apple, Amazon, Google, Facebook, Microsoft, Netflix e Nvidia a superare i 6 mila miliardi di euro ovvero più del Pil di Germania e Italia assieme. Oltre a questi titoli, a conferma dell’atteggiamento da scommettitore, i retail si sono concentrati anche su titoli di società quasi fallite come, ad esempio, Hertz che dal minimo di 50 centesimi a cui era arrivata dopo avere portato i libri in tribunale, ha toccato anche i 5 dollari. Interessante come a fronte di questo movimento la società ha chiesto e ottenuto dal giudice fallimentare l’autorizzazione per procedere ad un aumento di capitale di un miliardo di dollari (il debito è pari a 17 miliardi).

L’articolo aggiunge, inoltre, che i soldi investiti (per i retail americani) sono probabilmente quelli dell’”helicopter money” che l’amministrazione americana ha distribuito per contrastare gli effetti del corona virus, ovvero i famosi 1200 dollari a testa, e i 600 dollari al mese del sussidio di disoccupazione.

Se ne ricava un’immagine di “scommessa” più che di “investimento” che risulta pericolosa soprattutto a luglio quando, come indicato sopra, scadono parecchi ammortizzatori sociali e inizia la reporting season.

A livello geografico qualche analista fa, correttamente, notare come lo sconto al quale l’Europa ha sempre trattato, rispetto agli Stati Uniti, e legato al cosiddetto ERP (Equity Risk Premium, ovvero la differenza fra l’inverso del Price/Earnings – il rendimento azionario, e il tasso dei titoli di stato a 10 anni), possa essere destinato ad assorbirsi qualora, grazie alla BCE e al Recovery Fund, il rischio di spaccatura dell’Eurozona si azzeri. Attualmente l’ERP europeo è del 9% mentre storicamente si attestava intorno al 5% come per Wall Street. L’eventuale compressione di tale “premio” porterebbe ad un’espansione del multiplo di 15/20% che per l’Europa rappresenta il principale driver di performance del mercato (più della crescita degli utili).

L’importanza del Recovery Plan europeo è enfatizzato anche dal CIO di Blackrock che lo definisce un “game changer” per l’Eurozona, quel cambio di marcia che potrebbe consentire un’inversione della preferenza geografica di consenso (USA>Europa) che porterebbe al re-rating di cui sopra anche alla luce dell’avvicinarsi della scadenza elettorale americana di novembre (con Biden che sta guadagnando consensi).

Buona la performance di tutte le nostre linee di gestione. Ovviamente quelle con maggiore componente azionaria hanno maggiormente beneficiato del buon andamento dei mercati.

Analisi dei mercati del 27.04.2020

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

La settimana è stata inaugurata da un movimento del petrolio che non si era mai visto e che ha creato un po’ di destabilizzazione sul mercato: i futures sul petrolio WTI con scadenza maggio, sono andati per la prima volta in territorio negativo arrivando a raggiungere -40 dollari nella serata di lunedì. Da quando il New York Mercantile Exchange (Nymex) ha lanciato i contratti future sul WTI, nel marzo 1983, non si era mai verificato nulla di simile.

La motivazione tecnica del movimento violento risiede nel fatto che i futures (ovvero strumenti derivati, contratti a termine, utilizzati per copertura/speculazione sia dagli operatori che dagli investitori) sul WTI (il petrolio americano estratto in Texas) prevedono la consegna fisica dei barili di petrolio una volta arrivati a scadenza. Consideriamo che un future ha come sottostante 1000 barili di petrolio. Se a scadenza non si ha la possibilità di ritirare i barili (perché non si ha spazio o perché si stava semplicemente speculando) l’unica cosa che si può fare è vendere il future ed è proprio questo che ha portato il prezzo in negativo. Si è avverato quanto avevamo indicato, citando un articolo de Il sole 24 ore, qualche settimana fa: esauriti gli spazi di stoccaggio, gli operatori sono disposti a pagare pur di non avere la consegna fisica del petrolio.

La giustificazione principale del movimento è quindi legata alla speculazione così come al proliferare di strumenti tipo ETC per scommettere sull’andamento del prezzo del petrolio, primo fra tutti il “United States Oil Fund – USO” americano che controlla un quarto delle posizioni aperte sul WTI (vedi articolo girato la settimana scorsa). Per avere un’idea dell’entità si stima che nel mese di marzo gli scambi siano stati pari a circa due milioni di barili al giorno, il 70% in più rispetto all’anno precedente. Se consideriamo che ogni contratto ha come sottostante 1000 barili, ogni giorno sono scambiati circa due trilioni di barili, circa 400 volta la produzione fisica del Texas!

La dimostrazione che la speculazione e gli aspetti tecnici hanno contribuito in gran parte al movimento è dimostrata dal fatto che il prezzo del Brent (il petrolio estratto in nord Europa e i cui derivati consentono il regolamento “cash” e non solo fisico) non è crollato nella stessa misura ma si è mantenuto intorno ai 20 dollari al barile.

Ricordiamo che quando la curva è in “contango” (ovvero il prezzo è più alto sulle scadenze più lontane) per effetto, in questo caso, degli alti costi di stoccaggio (attualmente intorno a 8 dollari al barile al mese) gli strumenti che si basano su futures devono “rollare” le posizioni (ovvero vendere il contratto in scadenza e comprare quello o quelli successivi) e subiscono una perdita vendendo ad un prezzo più basso di quello a cui comprano.  Quando queste operazioni sono massicce l’effetto viene esasperato e gli strumenti che ne pagano più le conseguenze sono gli ETC a leva: se, ad esempio, il prezzo del petrolio scendesse del 30% (passando da 20 dollari a 14) un ETC leva tre moltiplicherebbe per tre la performance giornaliera arrivando a perdere il 90% del suo valore, cioè quasi azzerando l’investimento (spesso l’ETC viene poi liquidato annullando qualunque possibilità di recupero).

Ovviamente ci sono anche motivazioni fondamentali che spiegano il calo del prezzo del petrolio: la domanda, che viaggiava in un intorno di 100 milioni di barili al giorno, è di fatto paralizzata (dopo essere crollata del 30%) dal lockdown e quindi neanche un prezzo incredibilmente basso riesce a stimolarla (ricordiamoci che circa il 50% domanda è legata al trasporto automobilistico e circa 20% a quello aereo). Occorre necessariamente fare ripartire l’economia perché ci sia un minimo di ripresa della domanda (che comunque difficilmente tornerà a livelli pre-crisi in tempi brevi).

Occorre, quindi, agire sull’offerta: ci vorrebbe un taglio più intenso della produzione (i tagli decisi nell’ultimo Opec partono da maggio) che dai dati non sembra stia scendendo (anzi ad aprile è vicina ai massimi storici). Da quando gli USA sono entrati nel settore con lo shale oil il controllo dell’offerta è andato in tilt (libero mercato in US vs oligopolio dell’Opec+) tant’è che gli Stati Uniti hanno raddoppiato la produzione nel giro di cinque anni arrivando a produrre circa 13 milioni di barili al giorno (shale oil ha break-even price di 30 dollari per i produttori che non hanno ancora ammortizzato gli investimenti, per gli altri è più basso).

Trump minaccia di introdurre tariffe sulle importazioni di petrolio ma queste rischierebbero di essere poco efficaci per alzare prezzi (anzi) ma avrebbero semplicemente un effetto redistributivo: positivo per produttori domestici americani ma con il costo pagato da paesi emergenti.

Il basso prezzo del WTI mette in difficoltà alcuni produttori americani di petrolio e gli effetti li vediamo sui prezzi delle obbligazioni High Yield del settore oil che in certi casi riflettono già una situazione di default.

L’attenzione degli investitori rimane sempre concentrata sulle misure governative a supporto dell’economia e anche questa settimana gli Stati Uniti si sono distinti dall’Europa (in positivo).

Il Congresso americano ha approvato un pacchetto aggiuntivo pari a 480 miliardi di dollari a favore di piccole e medie imprese, ospedali e test sui virus. Questa ulteriore misura porta la risposta alla crisi alla cifra di 3000 miliardi di dollari. Qualche delusione invece dall’Unione Europea i cui leader, durante il vertice di giovedì, hanno confermato il pacchetto di 540 miliardi: 100 miliardi per il “Sure” (una sorta di cassa integrazione europea), 240 miliardi per il MES (il “fondo salvastati”) e 200 miliardi tramite la BEI.

Hanno, inoltre, deciso di istituire un “Recovery fund” sul quale dovranno essere elaborate, da parte della Commissione Europea, le proposte entro il primo giugno. I dettagli potrebbero essere resi noti tra parecchio tempo dato che rimangono forti le divisioni fra chi chiede finanziamenti a fondo perduto (Italia e Spagna) e chi ritiene debbano essere dati sotto forma di prestiti (blocco nordico).  La size dovrebbe essere di un trilione (non due come atteso) finanziato da bond emessi dalla CE e legato al budget 2021-2027. La delusione deriva proprio dalla mancanza di dettagli (finanziamenti fondo perduto o prestiti?), da una minore size rispetto alle attese e dal timing dell’implementazione.

La Lagarde, in una lettera a un membro del Parlamento Europeo, afferma che potrebbe essere illegale, per la BCE, acquisire direttamente dai governi il debito e, quindi, la Banca Centrale resterà acquirente solo sul mercato secondario. Intervenendo all’apertura del summit ha avvertito che esistono pesanti rischi di severa contrazione, anche nell’ordine del 15% pertanto è importante un supporto massiccio di politica fiscale.

La BCE mercoledì ha deciso che accetterà i c.d. “fallen angels”, ovvero i titoli Investment Grade che a causa degli effetti della crisi vengono downgradati a high yield, come collaterale per evitare una crisi del credito nella zona euro. I bond ammessi dovevano essere almeno BBB- alla data del 7 aprile e non dovranno, comunque, avere un rating inferiore a BB. Verranno ammessi come collaterale fino a settembre 2021. Dovesse essere downgradato il debito italiano, questo verrà comunque accettato come collaterale (magari con haircut più alti) e acquistato fino a settembre 2021.

Chi temeva un possibile downgrade dell’Italia è stato rassicurato venerdì sera quando S&P si è pronunciata sul rating sovrano lasciandolo invariato (BBB e outlook negativo) ma sottolineando che è, ovviamente, atteso un peggioramento dei rapporti deficit/Pil e debito/Pil. L’economia italiana è considerata ricca e diversificata e la posizione netta dell’Italia sull’estero consente di bilanciare in parte il peso dell’alto debito pubblico, tuttavia una revisione negativa del rating sarà possibile se l’Italia non porterà il debito su un sentiero di discesa nei prossimi tre anni o se si deterioreranno le condizioni di credito. L’8 maggio si pronunceranno DBRS (rating BBB outlook stabile) e Moody’s che, pur avendo posto il rating all’ultimo gradino dell’investment grade (Baa3 e outlook stabile) ha, di recente, pubblicato una nota tranquillizzante.

L’agenzia Fitch invece si è espressa sul settore bancario affermando che il 95% delle banche dell’Europa occidentale saranno in difficoltà nel 2020 e saranno possibili downgrade. Le motivazioni risiedono nell’incertezza legata alla durata della crisi e all’efficacia delle misure prese dai governi e dalle varie istituzioni per supportare le aziende. Fra le banche italiane solo Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi e Mediobanca hanno mantenuto la view precedente.

All’inizio della settimana c’è stata un po’ di tensione sullo spread. Consideriamo che i titoli di stato italiani sono fra i più liquidi in circolazione e ciò li rende più soggetti alla speculazione legata, questa volta, all’incertezza circa l’esito del consiglio europeo di giovedì.

Inoltre, il Tesoro ha collocato un BTP 5 anni (scadenza 1 luglio 2025) e riaperto il BTP 30 anni (scadenza 1 settembre 2050): le richieste degli investitori hanno superato i 110 miliardi di euro complessivi per un’offerta di 16 miliardi (sufficienti a coprire i 15 miliardi dei BTP Italia in scadenza il 23 aprile) ma i tassi sono stati più alti. La BCE ha continuato ad offrire sostegno al mercato (acquistati 20 miliardi la settimana precedente nell’ambito del programma PEPP) riportando lo spread intorno a 220bps.

Con il DEF il Governo italiano porta l’obiettivo deficit/Pil nel 2020 al 10.4% e al 5.7% nel 2021 per effetto dell’eliminazione delle clausole di salvaguardia Iva. Il debito passa al 155.7% nel 2020 e al 152.7% nel 2021 con un Pil tendenziale del -8% per quest’anno e +4.7% il prossimo.

Fra i dati macroeconomici pubblicati in settimana sottolineiamo i PMI (indici di fiducia delle imprese) preliminari di aprile: in Europa i numeri usciti sono parecchio deludenti soprattutto per la parte servizi (da 26.4 a 11.7 vs attese di 22.8) che ha portato il dato aggregato a 13.5 da 29.7. Decisamente più vicini al consenso anche se in calo quelli americani.

Coca Cola riporta bene e batte le stime ma come ormai quasi tutte le società annulla le guidance per il resto dell’anno evidenziando che quindi la visibilità è decisamente limitata.

Qualche dato sulla reporting season: in US, con circa il 20% delle società dell’S&P500 che ha riportato, l’utile risulta in calo del 18% circa (a causa soprattutto del settore finanziario) mentre, in Europa, con il 17% delle società europee il 25% delle società dell’Eurostoxx600, l’utile è in calo del 16% ma dobbiamo considerare una diversa composizione settoriale in quanto in Europa il grosso del settore finanziario deve ancora riportare.

La settimana si è conclusa con una correzione per l’azionario (MSCI World -1.4%), soprattutto europeo (Eurostoxx50 -2.7%), e per il segmento High Yield americano. Poco significative le variazioni sul mercato dei cambi. Commodity in forte correzione (CRY -9%) a causa del crollo del prezzo del petrolio (WTI -32%) mentre l’oro guadagna terreno mantenendosi sopra i 1700 dollari/oncia (+2.12%).

QUESTA SETTIMANA

La settimana delle banche centrali è stata inaugurata dal meeting della BOJ: la banca centrale giapponese ha mantenuto, come atteso, i tassi invariati a -0.10% ma la cosa più importante, e che i mercati si auspicavano, è stata la rimozione dei limiti precedenti (80 trillion yen all’anno, pari a 742 miliardi di dollari) agli acquisti di bond governativi (al fine di mantenere allo 0% il rendimento del JGB a 10 anni) e l’innalzamento del limite agli acquisti di corporate (la BOJ potrà detenere fino a 20 trillion yen, pari a 186 billion USD, in corporate debt  rispetto ai 7.4 precedenti).

Altrettanto importante la proposta da parte del governo di un extra budget per l’economia pari a 25.690 miliardi di yen (240 miliardi di dollari) che comprende la distribuzione di 100.000 yen a ciascun residente (circa 930 dollari).

Mercoledì 29 l’appuntamento sarà con la Fed FOMC: non sono attese variazioni dei tassi attualmente fissati nel range 0%-0.25%.

Giovedì 30 aprile si riunirà la ECB: è probabile che, come ha già fatto la Fed, deciderà di includere le obbligazioni High Yield nel programma di QE dopo averli ammessi come collaterale. Qualcuno si attende una nuova asta TLTRO a tassi agevolati per facilitare il finanziamento delle imprese e un incremento del PEPP (attualmente 750 miliardi).

La settimana vedrà anche la pubblicazione dei dati su GDP del primo trimestre: per US è atteso -3.9% (in declino per la prima volta in 6 anni e con il più forte calo dal 1940), mentre per l’Eurozona le stime sono per un calo di 3.4% (con l’Italia a -5.2%).

In Cina si riunirà lo Standing Committee del Parlamento, in ritardo rispetto ai programmi a causa di covid19.

Il primo maggio, festa in molti paesi, cominceranno ad allentarsi le misure restrittive imposte dalla gestione della pandemia. Negli Stati Uniti saranno i singoli governatori a decidere per il proprio stato.

Il primo maggio, festa in molti paesi, cominceranno ad allentarsi le misure restrittive imposte dalla gestione della pandemia. Negli Stati Uniti saranno i singoli governatori a decidere per il proprio stato.

Sempre il primo maggio entreranno in vigore i tagli alla produzione di petrolio decisi dall’OPEC+ ad aprile (9.7 milioni di barili al giorno).

Prosegue la reporting season in US e in Europa. Riporteranno i risultati circa 200 aziende dell’S&P500 tra le quali segnaliamo Amazon, Twitter, Facebook, Microsoft, Apple, Alphabet, nel tech, ma anche GE, Boeing, 3M negli industrial e Ford, Tesla, Harley Davidson industrial, McDonalds fra i consumer.

CONSIDERAZIONI FINALI

Le preoccupazioni di questo periodo sono, ovviamente, di due tipi: sanitario (si monitora la curva dei contagi) ed economico, sia micro (si monitora l’impatto del lockdown sulle aziende) che macro (sui conti dei paesi più colpiti e più indebitati).

Per quanto riguarda il primo aspetto sarà essenziale che al graduale rilascio delle restrizioni non segua un’impennata dei contagi che porti ad un nuovo lockdown o ad un nuovo intasamento del sistema sanitario.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, dal punto di vista micro-economico, sempre più aziende segnalano la necessita di tornare ad operare altrimenti i danni dello stop diventeranno irreversibili. Il presidente di Brembo, in un’intervista, ha dichiarato che se l’attività produttiva non riprende velocemente, se quindi l’Italia non si aggancia subito alla locomotiva tedesca, il futuro delle aziende italiane sarà a rischio. Le aziende che fanno parte di catene produttive internazionali rischiano di farsi scavalcare e sostituire da concorrenti esteri se non saranno in grado di garantire le forniture. Per non parlare di settori definitivamente danneggiati e che andranno incontro a maggiori costi e minori ricavi come quello turistico e della ristorazione.

Tante imprese si trovano in crisi di liquidità. A tal proposito, su Il sole 24 ore è stato pubblicato un articolo che suggerisce, come soluzione all’aumento dell’indebitamento delle imprese italiane costrette a finanziarsi per ottenere iniezioni di liquidità, di convertire buona parte di questi debiti in capitale di rischio. Si dovrebbe costituire un fondo sottoscritto da Cassa Depositi e Prestiti e magari da istituzioni finanziarie (come ad esempio le fondazioni o i fondi pensione) in grado di acquistare i prestiti convertibili derivanti dalla trasformazione dei debiti bancari. La dimensione dovrebbe essere di 20-25 miliardi e destinato alle imprese di dimensione minima non inferiore a 25 milioni di fatturato e massima 5 miliardi, con 50 addetti. Per le aziende più piccole si dovrebbe pensare a prestiti trasformati in contribuiti a fondo perduto. In questo modo si potrebbe rimettere in moto la nostra economia.

Per quanto riguarda, infine, il punto di vista macro-economico sappiamo bene che gli impatti sui bilanci nazionali degli interventi a supporto dell’economia saranno consistenti. La stessa agenzia Moody’s ritiene che l’affidabilità creditizia dell’Italia, ad esempio, dipende da un piano di bilancio credibile dopo lo shock legato all’epidemia. E’, quindi, indispensabile pensare subito a come intervenire soprattutto qualora dall’Europa non arrivino tempestivamente e nella giusta misura e forma i fondi necessari.

Sempre su Il sole 24 ore, un articolo un po’ provocatorio, suggerisce di sfruttare la ricchezza delle famiglie: gli Stati si dovrebbero finanziare fuori mercato attraverso obbligazioni retai inalienabili ma con possibilità di rimborso anticipato “on-demand” a condizioni certe. Ogni banca centrale nazionale (ad es. la Banca d’Italia) dovrebbe rilevare dal governo la quota di titoli retail rimborsata anticipatamente e si indebiterebbe con la BCE per acquistare quelli emessi, facendosi così carico del rischio di perdite. Se non si trovasse un accordo a livello europeo ogni singolo stato (l’Italia ad esempio) potrebbe emettere obbligazioni con durata da 6 mesi a 3 anni riservate ai retail. Sarebbero obbligazioni non vendibili, con conseguenti rendimenti vantaggiosi, ma rimborsabili anticipatamente (con delle penali ovviamente in modo da incentivare la detenzione fino a scadenza). Si calcola che, a fine 2018, la ricchezza finanziaria netta degli italiani sia stata di circa 3.300 miliardi di euro, di cui il 42% rappresentato da monete e depositi. Se si ipotizzasse di intercettarne il 10% si riuscirebbe a coprire il 50/75% del fabbisogno causato da Covid19 evitando di ricorrere a patrimoniali o a poco interessanti prestiti perpetui a tasso basso. Food for thought.

In leggero calo i rendimenti delle nostre linee di gestione. L’esposizione all’oro e alle valute diverse dall’euro hanno consentito di limitare le perdite.

Analisi dei mercati del 23.03.2020

Durante il meeting straordinario del G7 di lunedì 16 è emersa la volontà di fare tutto il necessario per affrontare, in modo coordinato, la lotta al virus adottando misure di politica monetaria, ma soprattutto fiscale, per arginare l’emergenza e favorire la ripresa economica futura.

E così è stato fatto: durante la settimana si sono susseguiti interventi e dichiarazioni volte a cercare di arginare gli effetti economici negativi del corona-virus.

A sorpresa, la sera del 18, la BCE si è riunita in un meeting di emergenza e ha deliberato un programma di acquisto titoli (PEPP – Pandemic Emergency Purchase Programme) di 750 miliardi di euro portando gli acquisti programmati per questo anno a 1.100 miliardi. Sommando tutti i vari interventi la quantità di euro a disposizione delle BCE dovrebbe essere sufficiente a coprire i piani programmati di emissione dei singoli governi. Si stima che la cifra messa a disposizione sia circa il 5%/6% del GDP europeo, livelli simili a quanto stanno mettendo a disposizione gli Stati Uniti.

Gli acquisti di titoli del debito pubblico e privato dureranno almeno fino alla fine del 2020, termineranno solo quando la crisi legata alla pandemia sarà finita. Il programma comprenderà tutte le attività ammissibili (debito pubblico e corporate bond) e sarà esteso anche ai commercial paper, ovvero a quegli strumenti simili a cambiali a fronte dei quali le aziende ricevono denaro dalle banche per le esigenze di tesoreria di breve periodo. Il debito pubblico greco, finora escluso per merito di credito, sarà incluso.

Se comprare più corporate bond o titoli di stato è lasciato alla discrezione della BCE ma, per ora, le capital key rules (ovvero quanto acquistare di ogni stato in funzione di determinati parametri prestabiliti relativi alla partecipazione al capitale della BCE dei veri paesi) devono essere rispettate. Non è stata modificata, per ora, neanche la regola che pone al 33% il limite di detenzione del debito di ogni singolo stato.

La dichiarazione “tempi straordinari richiedono azioni straordinarie” si avvicina al “whatever it takes” di Mario Draghi.

Christine Lagarde ha, quindi, cercato di rimediare ai danni fatti aggiungendo che non ci sono limiti all’impegno della BCE per l’euro e che l’istituto è determinato ad usare il potenziale degli strumenti a disposizione nell’ambito del mandato. Significativo che anche Isabel Schnabel, membro tedesco del board (si ricorda che i tedeschi non si erano ancora pronunciati per correggere le parole della Lagarde di settimana scorsa), ha confermato che la BCE è pronta a fare tutto ciò che rientra nel mandato per contrastare la turbolenza dei mercati assicurando la trasmissione della politica monetaria. La decisione della BCE, tuttavia, non è stata presa all’unanimità.

Lagarde ha aggiunto che i lockdown imposti dai vari governi potrebbero causare un calo del Pil pari al 5% quest’anno per la zona euro.

A proposito di revisioni delle stime sulla crescita del GDP, tutti si apprestano a tagliare i numeri per i veri Paesi. Anche per la Cina, si parla di una crescita ad un livello mai visto dalla Rivoluzione Culturale del 1976. Il governo cinese si sta apprestando ad abbassare il target di crescita dal 6% indicato a dicembre al 5%. La Cina sappiamo che sta gradualmente riprendendo l’attività produttiva (si parla di 70% rispetto ai livelli pre-crisi) e sta intervenendo con stimoli fiscali che porteranno il budget deficit al 3.5% sul GDP ma finché non si riprenderà l’attività economica nel mondo difficilmente riuscirà ad arrivare a pieno regime.

Morgan Stanley chiama la recessione per il 2020 con un rimbalzo nel 2021.

IMF rivede il GDP dell’Italia a -0.6% per il 2020.

Un indicatore macro uscito in settimana, e abbastanza significativo perché preliminare di marzo, è l’IFO tedesco, indice di fiducia che raggiunge quasi i livelli del 2008.

Si è parlato più volte di chiusura dei mercati finanziari, per ora lo hanno fatto solo le Filippine per due giorni (!). Secondo il presidente di Borsa Spa, Raffaele Jarusalmi, se ci fosse una decisione a livello mondiale si potrebbe fare, ma a livello nazionale viene difficile. Anche perché occorre considerare le maggiori distorsioni che si rischierebbero di creare permettendo di operare solo su alcuni mercati. Secondo il presidente della borsa di New York si rischierebbe di aumentare l’ansia nel mercato. Quindi, per ora, su questo tema non sembra ci sia la volontà di intervenire.

In Italia Consob ha sospeso lo short selling (vendite allo scoperto) su tutte le quotate di piazza Affari e ha intenzione di mantenerlo per 90 giorni, altri paesi in Europa hanno seguito l’esempio o ci stanno pensando. Inoltre, è stato sospesa ogni forma speculativa ribassista anche effettuata attraverso derivati o altri strumenti finanziari (Etf compresi) a meno che non si tratti di posizioni a copertura (quindi non speculative).

Nel mondo il sistema bancario sta cercando continuamente di fornire liquidità all’economia. In Italia la Banca d’Italia sta intervenendo tramite il sistema europeo delle banche centrali (SECB) per assicurare condizioni ordinate negli scambi in modo da garantire la liquidità al sistema produttivo, consentire estensioni delle linee di credito e fornire capitale circolante alle aziende.

Il rafforzamento del dollaro a cui abbiamo assistito anche questa settimana è legato all’incredibile domanda di divisa americana richiesta dal sistema bancario per fare fronte alle linee di credito delle aziende.

A tal proposito, in US le otto principali banche, rappresentative del sistema finanziario, a cominciare da JPM, BofA e Citigroup hanno deciso di sospendere i buyback (acquisti di azioni proprie varati lo scorso giugno per un totale di 119 miliardi, da eseguire nell’arco dei quattro trimestri successivi) con l’obiettivo di preservare risorse e averle a disposizione per clienti e consumatori. Questa decisione dovrebbe liberare nell’immediato, tra la fine del primo trimestre e il secondo, circa 38 miliardi. Nessuna sospensione invece per i dividendi. Con i capitali a disposizione si potrebbero assorbire le perdite sui prestiti in sofferenza o rispondere a maggiori utilizzi di linee di credito da parte delle imprese in difficoltà per la sospensione del business.

La Fed ha, inoltre, cominciato ad utilizzare tutte le armi a disposizione per proteggere la liquidità e consentire il corretto funzionamento del settore bancario. Grazie alle garanzie del Tesoro pari a 10 miliardi ha riaperto una facility di emergenza per l’acquisto di commercial papers, ovvero strumenti di debito a breve (mercato che vale circa 1.100 miliardi), questo dovrebbe alleggerire le richieste alle banche. La necessità di immettere liquidità nel sistema continua imperterrita.

Venerdì la Fed ha inoltre annunciato un intervento coordinato fra le banche centrali di rafforzamento delle swap line.

Altre banche centrali sono intervenute in settimana:

  • la RBA (Banca centrale australiana) ha convocato un meeting di emergenza tagliando i tassi di 0.25bps (secondo taglio in un mese) e portandoli al minimo storico di 0.25%. Ha, poi, fissato il target di 0,25% per il tasso a tre anni impegnandosi a raggiungerlo tramite acquisti sul mercato secondario;
  • la Bank of England ha tagliato nuovamente i tassi a 0.1% (-15bps) e annunciato un programma di QE da 645 miliardi di sterline;
  • la Banca centrale norvegese ha tagliato i tassi di 75bps da 1% a 0.25%;
  • Bank of Thailand ha tagliato I tassi da 1% a 0.75%;
  • l’unica che si è mossa in controtendenza è la banca danese che ha alzato i tassi da -0.75% a -0.60% nel tentativo di frenare la discesa della valuta.

Passando agli interventi governativi e fiscali ci sono stati parecchi annunci in settimana:

  • la Svizzera ha annunciato un piano di supporto economico di 32 miliardi di franchi;
  • la Germania ha annunciato uno stimolo extra budget di almeno 100 miliardi di euro;
  • Trump, intanto, ha in programma un intervento pari a 1.2 trilioni di dollari con un progetto di “helicopter money” simile a quello adottato da Hong Kong (e commentato nelle settimane scorse): nel programma è inclusa la proposta di dare assegni da 1000 dollari ai cittadini americani (per un totale di 500 miliardi);
  • il decreto “Cura Italia” va nella direzione dell’”helicopter money” ma deve essere ancora perfezionato nelle modalità e negli ammontari.

Passando alle materie prime segnaliamo che il prezzo del petrolio continua a fare nuovi minimi relativi, siamo ai livelli visti 18 anni fa! A fronte di consumi che si riducono (per il blocco delle attività economiche) non si riduce l’offerta. Il petrolio che si estrae ma non si vende deve essere conservato e le capacità di stoccaggio stanno avvicinandosi all’esaurimento con costi che salgono.

Anche i noli delle navi di stoccaggio stanno aumentando, per questo motivo qualcuno si è azzardato a parlare di “prezzi negativi” anche per l’oro nero, quando le società dovranno pagare per liberarsene. Ma siamo veramente a scenari estremi.

Perché si inverta la tendenza, in generale, sulle materie prime è necessaria una ripresa dei consumi (e quindi la fine della pandemia) oppure, per il petrolio, un taglio alla produzione volontario. L’Iraq sta cercando di ricomporre l’Opec+ ma per ora senza successo. Altra ipotesi riguarda i produttori di shale oil in US che, a causa delle difficoltà finanziarie, potrebbero vedersi costretti a tagliare.

Il forte apprezzamento del dollaro, verso quasi tutte le altre valute lo notiamo nella performance del Dollar Index (paniere di valute con pesi ponderati per gli scambi commerciali) che in settimana guadagna più del 4%. Il maggiore guadagno si ha verso la sterlina, crollata ai minimi dal 1985, a causa sia del grosso deficit delle partite correnti del Regno Unito sia della difficoltà a raggiungere un accordo commerciale con la UE. Le valute emergenti soffrono, invece, di un deflusso di capitali (superiori a quelli del 2008) che si verifica, solitamente, quando ci sono tensioni finanziarie alle quali si aggiungono, ora, prezzi delle materie prime al ribasso e tagli dei tassi da parte dei paesi emergenti.

Forte movimento, durante la settimana, anche per il comparto obbligazionario governativo con un forte incremento dei rendimenti a metà settimana poi rientrato grazie agli interventi delle banche centrali.

Per quanto riguarda l’Italia e i BTP le forti tensioni hanno portato il decennale a raggiungere il 3% per poi rientrare abbastanza velocemente (attualmente siamo a 1.6%) grazie agli interventi della Banca d’Italia e alle dichiarazioni della BCE. Lo spread verso Bund ha toccato i 280 punti per poi ritracciare agli attuali 199.

L’arrivo prepotente del virus negli Stati Uniti e le conseguenti misure restrittive alla circolazione e all’attività economica hanno portato ad una violenta correzione degli indici azionari americani.

La settimana chiude con un bilancio pesante: indici azionari in ribasso complessivamente del 12% (solo Giappone e Svizzera sono rimasti positivi), obbligazionari a spread negativi complessivamente del 9% circa (peggio il segmento high yield) e governativi parecchio altalenanti.

QUESTA SETTIMANA

La settimana ha visto un’esplosione degli indicatori di volatilità che ha riguardato tutte le asset class: Vix e Vstoxx (relativi a S&P500 ed Eurostoxx) stazionano intorno a 70, quindi ai livelli della crisi del 2008; idem per la volatilità delle obbligazioni (MOVE) vicina ai livelli del 2008; anche le valute hanno visto un aumento della volatilità che si avvicina a quelli della Global Financial Crisis.

Di questa mattina la notizia che la Fed è disposta a fare qualunque cosa per supportare l’economia annunciando di fatto un QE senza limiti diventando un prestatore di ultima istanza su tutto. Saranno acquistati Treasury e titoli legati ai mutui (MBS – mortgage backed securitys) rispettivamente per 375 miliardi e 250 solo questa settimana. Forte determinazione nel fornire liquidità nel sistema senza limiti.

Settimana cruciale per le statistiche sui contagi Covid19: una curva che si appiattisce, evidenziando minori contagi/deceduti, lascerebbe ben sperare sulla bontà degli interventi di restrizione/limitazione all’attività economica e alla circolazione delle persone. Come più volte sottolineato occorre che si intraveda nei paesi “leading” (come lo è l’Italia che il 9 marzo ha quasi chiuso completamente il paese) un andamento positivo della crisi sanitaria che permetta di ipotizzarne una data di fine.

Martedì si riuniranno in video-conference i ministri degli esteri dei G7, il meeting era originariamente previsto per il 25 marzo ma poi è stato cancellato per il corona virus. Giovedì i leader dell’Unione Europea si riuniranno in video-conference per un summit di due giorni. C’è molta attenzione sugli interventi governativi a supporto dell’economia per evitare una recessione prolungata.

In settimana verranno pubblicati i dati di fiducia dei direttori di acquisto delle imprese (PMI) nei vari paesi relativi al mese di marzo: si tratta dei dati preliminari che incorporeranno l’impatto dell’epidemia. Per l’Eurozona le attese sono per dati composite pari a 38.8 (da 51.6 di febbraio), per gli USA siamo intorno a 43 (da 49.6 precedente), per UK le stime sono per un dato pari a 45 (da 53). Come riferimento vale la pena ricordare che in Cina i PMI di febbraio, che incorporavano la prima ondata dell’epidemia, erano crollati da 51.8 a 26.5.

Giovedì si riunirà la Bank of England che deciderà come agire dopo due tagli dei tassi di emergenza. Attualmente i tassi sono allo 0.1%.

Sforziamoci di continuare ad analizzare la situazione in base ai tre aspetti indicati negli scorsi commenti:

  • crisi sanitaria: gli interventi per frenare la diffusione del virus stanno andando, chi più chi meno, nella direzione di un lockdown che limita la circolazione delle persone e ferma qualunque attività ritenuta non essenziale. Importante come alcune aziende siano stata chiamate a riconvertire la produzione verso beni necessari per affrontare la crisi sanitaria; importante un rientro nel numero dei contagi;
  • crisi economica: questa settimana vedremo qualche dato macroeconomico, ma sembra evidente che per lo meno una recessione tecnica (due trimestri di crescita negativa del Pil) la avremo con un secondo trimestre pesantemente negativo. L’individuazione della fine della crisi sanitaria aiuterebbe a calcolare dei numeri attendibili sul reale impatto economico;
  • è, ormai, evidente che le banche centrali stanno facendo e faranno quanto necessario per fornire liquidità al sistema;
  • anche i vari governi si stanno muovendo in tal senso in modo tale da attenuare le conseguenze di un virus che oltre ai danni “umani” sta provocando parecchi danni economici;
  • crisi mercati: il movimento ribassista che abbiamo visto è forte ma decidere il timing di ingresso è difficile a causa dell’elevata volatilità. Si può ipotizzare che il picco dei contagi corrisponda al bottom dei mercati ma solo a fronte di politiche fiscali appropriate, soprattutto in Europa;
  • generalmente, in 12 mesi, discese di questo tipo sono opportunità di acquisto e infatti diverse case, a fronte di stime macroeconomiche negative, cercano di dare ottimismo agli investitori;
  • Kairos, in settimana, ha fatto circolare un messaggio positivo dicendo che stanno acquistando asset rischiosi perché, sia in caso di meltdown (scenario catastrofico) sia in caso di ripresa delle economie grazie ad interventi di supporto monetari e fiscali, gli attuali livelli degli indici azionari risultano estremamente interessanti prezzando picchi di stress che dovrebbero, comunque, garantire una certa protezione dato che in parecchi casi le azioni hanno prezzi inferiori al valore intrinseco;
  • un interessante report di strategia di Morgan Stanley sottolinea che, tipicamente, una recessione segnala la fine, e non l’inizio, di un bear market. Ciò che stiamo vivendo è abbastanza unico ma cercando di trarre lezioni dal passato a questi livelli ha senso accumulare un po’ soprattutto asset di qualità.

Ripetiamo che la volatilità ha raggiunto livelli visti nella crisi finanziaria del 2008 e, come giustamente anche il Wall Street Journal fa notare, la volatilità è un input di parecchi programmi e algoritmi che portano a vendite sul mercato che alimentano ulteriormente la volatilità. Alcuni fondi gestiti a VAR o con limiti di volatilità, o gli stessi risk parity, sono costretti in taluni casi a vendere, in altri non possono ancora comprare. Fondamentale quindi che i vari indicatori di volatilità rientrino per bloccare questo tipo di vendite forzate.

Occorre evitare che l’attuale crisi si trasformi in crisi finanziaria.

Negli Stati Uniti, dove il problema è evidentemente maggiore e riguarda il mercato interbancario, la Fed sta cercando di intervenire con ogni strumento a disposizione.

In Europa il tema è soprattutto legato agli spread: In settimana la BCE ha finalmente iniziato ad attingere più seriamente al suo arsenale. Ad oggi rimarrebbero ancora da utilizzare l’OMT e il MES ma, attenzione, perché per attivare quest’ultimo, a meno che non vengano rimosse le condizionalità, si rischia di perdere la sovranità del proprio debito per poi essere costretti a ristrutturarlo e questo non è esattamente ciò che serve al mercato italiano.

Ricordiamo che, infatti, un paese può beneficiare dell’OMT (Outright Monetary Transactions), ovvero l’acquisto di titoli di stato di paesi sotto pressione per importi praticamente illimitati da parte della BCE, se riceve un prestito dal fondo salvastati (MES); dovrebbe poi concordare un programma che potrebbe comportare misure restrittive e vincolanti difficilmente accettabili dall’opinione pubblica.

Quello che servirebbe per evitare problemi e crisi finanziarie in futuro riguarda il sostegno dell’economia europea attraverso emissioni di debito comune (eurobond o “coronanbond”, come si dice adesso) che finanziano i vari deficit locali senza impattare sugli spread. Se ne sta parlando sempre di più, speriamo che alle parole seguano dei fatti.

In Italia il calo dei listini sta mettendo in evidenzia il rischio che alcune aziende di qualità possano essere svendute. In generale crisi e tracolli rendono degli asset di qualità appetibili per il prezzo a cui arrivano a trattare; come successe anche dopo la Global Financial Crisis del 2008 quando aziende cinesi e giapponesi, ad esempio, acquisirono aziende americane ed europee.

Questo mese abbiamo assistito all’OPA su Molmed (azienda italiana specializzate nelle biotecnologie) da parte di una società giapponese…

La reazione immediata è la tendenza a volere nazionalizzare le aziende. Chiamiamoli aiuti di stato o no sta di fatto che lo stato si impegna per tenere in casa aziende considerate strategicamente importanti.

In Italia si sta pensando di considerare strategiche tutte le aziende quotate a Piazza Affari e di introdurre una Golden Power più forte (non solo nel settore energetico ma anche di banche e assicurazioni) che permetta a Cassa Depositi e Prestiti, a Invitalia e Poste di “costruire una diga di difesa dell’interesse nazionale”.

Infine, al di là delle teorie complottiste o meno, se proprio vogliamo paragonare la situazione che stiamo vivendo ad una guerra (che qualcuno definisce batteriologica…) bisogna ricordarsi che, di solito, dopo la guerra ci sono periodi di forte ripresa dell’attività economica e si crea una maggiore coesione fra le persone. Bisogna assolutamente puntare su questo e le autorità europee devono tenerlo in considerazione perché creare, in questo momento, coesione è indispensabile altrimenti si rischia di ottenere esattamente l’effetto opposto con conseguenze devastanti per l’Eurozona.

Analisi dei mercati del 16.03.2020

Quello che avevamo individuato come l’evento principale della settimana è stato a dir poco devastante: alla già difficile situazione sui mercati si è aggiunta una banca centrale europea poco reattiva e, soprattutto, delle dichiarazioni particolarmente infelici della governatrice Christine Lagarde. Piazza Affari ha registrato la peggiore chiusura della sua storia e gli indicatori di volatilità sono saliti ai livelli della crisi finanziaria globale, per non parlare poi del movimento sui BTP e conseguente allargamento dello spread verso la Germania. Wall Street era scesa più del 7% solo una volta dal 1987, durante la crisi finanziaria del 2008.

Cosa è avvenuto esattamente?

Non sono stati tagliati i tassi sui depositi come il mercato si attendeva, ma questa è la cosa meno grave. Come dicevano si sarebbe dovuto modificare il sistema di “tiering” per tutelare le banche e lo spazio di manovra sarebbe stato comunque veramente limitato.

È stato aumentato il programma di acquisto titoli (QE) per 120 miliardi fino a fine anno e questo ha deluso il mercato che si attendeva almeno 20 miliardi in più al mese (così sarebbero 15).

È stato annunciato un nuovo TLTRO di ammontare illimitato fino a giugno, a tassi agevolati (fino a 25bps sotto il tasso sui depositi) e questo va bene.

La capital key resterà in vigore ma con flessibilità.

Il mercato non ha reagito bene al mancato bazooka che invece ci si sarebbe aspettati, ma la cosa che ha decisamente non apprezzato è stata la frase della Lagarde, durante la Q&A session, circa il fatto che non è compito della BCE ridurre lo spread e lei non ha intenzione di replicare il “whatever it takes” del suo predecessore. La Lagarde poi ha cercato, in altra sede, di rimediare dicendo che è impegnata a evitare qualsiasi frammentazione in un momento difficile per la zona euro, aggiungendo che l’allargamento degli spread legato al corona virus compromette la trasmissione della politica monetaria, ma ormai il danno era fatto.

Sono piovute critiche da tutte le parti, pure dal presidente Mattarella, e nessuno è stato in grado di giustificare le sue parole.

La sera stessa la Fed è intervenuta sui mercati con un finanziamento di 1500 miliardi di dollari a breve termine giusto per fare notare la diversa incisività.

La mattina seguente la PBOC (banca centrale cinese) ha tagliato il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche di 50- 100 a partire dal 16 marzo. Verranno rilasciati circa 550 miliardi di renminbi di liquidità a lungo termine per il sistema bancario.

Mercoledì la Bank of England, a sorpresa, ha tagliato i tassi di 50bps portandoli a 0.25% e ha annunciato una serie di misure per aiutare famiglie e imprese ad affrontare l’emergenza stanziando circa 30 miliardi di sterline.

Dopo avere tagliato i tassi al minimo storico anche l’Australia stanzia oltre 11 miliardi di dollari per cercare di fermare il virus che sta innescando la recessione.

Il tutto ha svegliato dal torpore anche la Germania: Scholz (ministro delle finanze) ha prima dichiarato che potrebbero implementare programmi di stimolo se necessario poi ha prontamente aggiunto che verrà aumentato il debito e non porrà limiti ai programmi di credito per le imprese. La cancelliera Merkel si aspetta che sarà contagiato il 70% della popolazione. L’attuale crisi viene considerata ancora più eccezionale di quella del 2008.

A questo si è aggiunta l’Unione Europea che ha di fatto autorizzato lo stimolo fiscale attivando le clausole di crisi: il limite del 3% di rapporto deficit/pil è temporaneamente sospeso.

La presidente della Commissione Europea Von der Leyen ha dichiarato che Bruxelles è pronta a varare un fondo di investimento da 25 miliardi di euro con uno sblocco immediato di 7.5 miliardi.

Atteso in US pacchetto di stimoli fiscali con, fra le altre misure, un taglio della tassazione sul lavoro, tipo taglio delle tasse per l’intero 2020.

QUESTA SETTIMA

Domenica sera alle 22 (ora nostra) la Fed ha dato avvio ad un intervento coordinato da parte delle banche centrali intervenendo, nuovamente, con una mossa a sorpresa (prima quindi la riunione ufficiale di questa settimana) tagliando i tassi di 100 bps portandoli nel range 0% – 0.25% e annunciando un pacchetto di stimoli legati alla ripresa del QE da 700 miliardi di dollari (500 miliardi per acquistare Treasury e 200 miliardi di MBS (mortgage-backed securities). Azzerati i requisiti di riserva obbligatoria per le banche.

Questa mattina anche la Bank of Japan è intervenuta prima del meeting ufficiale, annunciando di volere acquistare il doppio degli asset rischiosi (come gli ETF) da 6 a 12 trn di yen, commercial papers per sostenere i prestiti commerciali a breve termine e corporate bond fino a fine settembre. Ha, inoltre, dichiarando che sono possibili ulteriori tagli ai tassi già negativi.

La Bank of New Zealand ha tagliato i tassi di 75 bps ai minimi storici (0.25%) in un meeting di emergenza. La Bank of Australia, che aveva tagliato la settimana scorsa, ha immesso più liquidità nel sistema.

La PBOC ha nuovamente iniettato liquidità nel sistema, l’equivalente di 14 miliardi di dollari.

È evidente un intervento coordinato tra le banche centrali per offrire finanziamenti in dollari.

In Europa si continua a cercare di rimediare alla gaffe della Lagarde: Fabio Panetta, membro del board della BCE, ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera che forti aumenti ingiustificati degli spread saranno contrastati con forza e la Banca Centrale è pronta ad ampliare il programma di acquisto dei titoli per fronteggiare le cadute del Covid19.
Oggi si terrà un vertice tra i ministri finanziari della zona euro in attesa dell’Ecofin di domani.

Questa settimana gli occhi saranno, come sempre, puntati su due aspetti:

1. I dati relativi alla diffusione del corona-virus per poter sperare di avere una stima di quando la pandemia supererà il picco e l’attività si avvierà verso la normalità;

2. Le misure a supporto dei vari governi, ora necessarie più che mai, sia per tentare di compensare il danno economico sia per evitare ulteriore panico.

Nel panico generale che sta invadendo i mercati (e non solo) diventa sempre più complesso mantenere la lucidità e aggrapparsi a considerazioni logiche e razionali senza rischiare di essere accusati di confondere la luce, che si cerca di vedere in fondo al tunnel, con il treno che ci sta venendo incontro!

Ma proviamoci comunque.

Il virus si sta chiaramente propagando da est a ovest e per questo motivo è utile analizzare quanto fatto da chi ci è passato per prendere esempio e poter fare ipotesi. Nei paesi asiatici, Cina in primis ma anche altri come Corea del Sud e Singapore, ad esempio, i governi sono intervenuti pesantemente paralizzando l’attività economica e i dati sembrano confermare un rallentamento dell’epidemia. In Cina, ad esempio, il picco della crisi sanitaria (misurata in termini di contagi dall’OMS) è stato raggiunto a metà febbraio quindi circa un mese dopo il blocco delle attività (avvenuto quasi in concomitanza con il capodanno cinese di fine gennaio). I dati macroeconomici, ovviamente, stanno uscendo male, ma gli interventi a sostegno sia di natura fiscale che monetaria hanno consentito al mercato di recuperare dai minimi (solo recentemente, anche in misura minore, gli indici locali si sono fatti contagiare dall’andamento di quelli globali).

Adesso in Cina stiamo rivedendo una ripresa dell’attività economica. La stessa Apple venerdì 13 ha annunciato la chiusura di tutti i negozi al di fuori del territorio cinese. Quelli in Cina stanno gradualmente riaprendo. Il governo è pronto a rimuovere le misure di contenimento del virus introdotte riaprendo scuole e attività produttive. Sempre Apple ha annunciato che il prossimo iPhone 5G probabilmente verrà annunciato con un mese di ritardo a causa dei problemi sulla catena di fornitura.

Così come Apple può essere presa in riferimento fra le aziende globali, in Europa l’Italia può essere considerata il cosiddetto “canary in the coal mine”: come sta reagendo l’Italia alla crisi sanitaria, i risultati che otterrà, faranno capire quanto tempo occorrerà agli altri paesi e gli impatti economici che si dovranno affrontare.

Si paragona spesso l’attuale crisi a quella del 2008 tuttavia, al di là degli impatti sugli indici azionari la principale differenza, ad oggi, è la tipologia della crisi. Nel 2008 era legata allo scoppio di una bolla (quella dei mutui sub-prime), attualmente è una crisi prima legata ad un blocco prima dell’offerta poi della domanda per ragioni di pandemia.

Reagire ad una crisi finanziaria è una cosa, reagire ad una crisi sanitaria è diverso e forse più complesso e soprattutto non ci sono modelli passati da seguire.

Quello che ora è importante è che l’attuale crisi non si trasformi in crisi finanziaria. Gli interventi delle banche centrali, soprattutto a partire da quello del week-end della Fed, hanno lo scopo di scongiurare che questo avvenga.

Ovviamente interventi così a sorpresa creano confusione e smarrimento fra gli investitori che ritengono che forse c’è ancora qualcosa che il mercato non sa ma di sicuro vanno nella giusta direzione.

Quello che serve ora è un intervento pesante, forte e deciso anche in ambito fiscale. Magari anche esagerato. Qualcuno ritiene esagerato il provvedimento italiano sulla chiusura totale di quasi ogni attività. Senza entrare nel merito della bontà o meno della decisione possiamo dire due cose: forse la decisione è stata presa in ritardo ma se applicata seriamente dovrebbe dare i suoi frutti in due settimane perché è decisamente drastica, quasi troppo per molti. Quasi troppo perché l’impatto sull’attività reale si sentirà eccome. Ma dovendo evitare l’intasamento del sistema sanitario si è deciso di andare giù pesantemente.

Esattamente come è stato fatto in ambito sanitario occorre andare pesante anche sull’intervento di supporto economico anche rischiando di esagerare. Ed è proprio questo che sta mancando e il mercato lo sente.

Il mercato ha confermato, durante la settimana scorsa, che reagisce in modo spropositato a notizie o dichiarazioni di esponenti governativi e non. Ovviamente è facile, ex post, dire che avremmo potuto evitare perdite, anche importanti, uscendo alle prime avvisaglie delle crisi ma questo avrebbe avuto come precondizione la conoscenza in anticipo di eventi e dichiarazioni che erano evidentemente imprevedibili. Muoversi in base alle percezioni o paure non sempre, allargando l’orizzonte temporale, è risultata una strategia vincente.

Adesso avendo completamente perso di vista i fondamentali sui quali si riescono a fare poche assunzioni la gente si affida all’analisi tecnica, all’individuazione di livelli di possibili supporti. Questo dimostra quanto si navighi a vista e quanto sia facile sbagliare e farsi male.

Analisi dei mercati del 10.03.2020

Le misure sempre più stringenti che stanno prendendo i vari paesi e il diffondersi del virus ormai ovunque (con le ovvie incertezze sui reali numeri, soprattutto negli Stati Uniti) hanno caratterizzato una settimana che si è chiusa ancora negativamente per alcuni mercati e leggermente positivamente per Wall Street. La volatilità è stata notevole infatti a giorni molto positivi si sono alternati giorni molto negativi.

Ancora “flight to quality” verso governativi “core”, tipicamente Germania e USA, che hanno portato i rispettivi rendimenti ai minimi storici.

Sul piano valutario segnaliamo un forte calo del dollaro americano (giustificato da un differenziale di tassi che tende a muoversi verso una direzione che agevola l’indebolimento della valuta americana) e della Sterlina (per le difficoltà sulle negoziazioni con la UE, e in parte, per un maggiore spazio di manovra da parte della Bank of England). Mentre si rafforza il Franco Svizzero come valuta rifugio. Nell’ambito dei risk-off trades, oltre al Franco Svizzero, è tornato a funzionare l’oro che si è riportato vicino i 1700 dollari/oncia.

La prima banca centrale ad aver agito in settimana è stata quella australiana (RBA) che ha tagliato i tassi di interesse anticipando un possibile intervento coordinato delle banche centrali del G7. Si tratta del quarto taglio in meno di un anno che porta il tasso a 0.50%, livello minimo storico.

Ma la mossa che ha suscitato scalpore, perché decisa fuori dai meeting ufficiali, è avvenuta martedì quando il FOMC si è riunito in una sessione straordinaria e ha votato, all’unanimità, per un taglio di 50 bps dei tassi, che passano così a 1% – 1.25%. Dopo un’iniziale reazione positiva da parte del mercato quello che ha lasciato perplessi gli investitori è stata la decisione di procedere al taglio prima del meeting ufficiale del 17-18 marzo. Le motivazioni indicate da Powell durante la conferenza stampa riguardano i rischi che il corona virus pone per le prospettive dell’economia. La Fed interviene infra- meeting (ovvero fra due sedute di politica monetaria) solo in casi di particolare emergenza (l’ultima volta è stato nel 2008 durante la crisi finanziaria globale). I rendimenti governativi hanno subito prezzato una possibile azione coordinata da parte delle banche centrali scendendo considerevolmente ovunque.

Nel 1998, in occasione della crisi LTCM, la Fed ha prontamente neutralizzato il taglio “di emergenza” qualche mese dopo, adesso invece il mercato si aspetta che l’easing prosegua come durante la Global Financial Crisis del 2008. Attualmente i futures sui Fed Funds prezzano circa 3 tagli da 25bps (0.75%) durante il meeting del 18 marzo con un tasso implicito di 0.31%!

Questa convinzione deriva dal fatto che si ipotizza che la Fed abbia dei contatti, soprattutto attraverso le banche regionali, che le consentono di ottenere informazioni sul reale stato dell’economia prima del mercato.

La mattina successiva anche l’autorità monetaria di Hong Kong è intervenuta con un taglio di uguale misura (per mantenere il peg HKD/USD in piedi dal 1984) che ha portato i tassi all’1.50%.

Mercoledì è toccato alla Bank of Canada: anche in questo caso taglio di 50bps a 1.25% e disponibilità ad intervenire ulteriormente qualora si rivelasse necessario.

Secondo Reuters la BCE sta studiando delle misure volte a fornire liquidità alle imprese colpite dalle ripercussioni economiche del Covid19.

Nella riunione G7 convocata martedì i paesi membri hanno ribadito l’impegno a intraprendere ogni iniziativa per salvaguardare l’economia globale.

Negli Stati Uniti hanno approvato un pacchetto fiscale da 7.8 miliardi di dollari pari allo 0.2% del Pil di un trimestre.

Il governo italiano intende chiedere al Parlamento di alzare il target sul rapporto deficit/Pil per il 2020 dal 2.2% al 2.4% per tenere conto delle misure a sostegno della crescita pari a 7.5 miliardi (dai 3.6 miliardi previsti inizialmente). Approvazione questa settimana. Bruxelles valuterà la richiesta di flessibilità sulle regole di bilancio avanzata dall’Italia.

Fra le misure a sostegno il ministro dello Sviluppo economico Patuanelli fa rientrare il potenziamento dell’ecobonus con detrazioni anche fino al 100% per interventi volti a migliorare l’efficienza energetica;

si parla di nuova rottamazione nel settore automobilistico e di interventi alle infrastrutture per la diffusione delle auto elettriche, taglio Ires e taglio del lavoro agendo sugli oneri previdenziali.

Intanto negli Stati Uniti durante il “Super Tuesday”, l’appuntamento chiave durante il quale in 14 stati americani si decide quale sarà lo sfidante di Trump alle elezioni del 3 novembre, Joe Biden ha conquistato nove stati mentre Barnie Sanders ha conquistato il più importante ovvero la California. Joe Biden (ex vice di Obama) è, fra i candidati democratici, il preferito dal mercato in quanto esponente dell’ala moderata del partito a differenza di Sanders che ha un programma socialista decisamente troppo radicale per i mercati. Intanto Michael Bloomberg, non uscendo bene dal Super Tuesday, ha deciso di ritirarsi e fare l’endorsement a Joe Biden.

I dati sui PMI in Europa non sono stati brutti, ma avendo condotto la survey prima del peggioramento delle notizie negative, l’interpretazione è che non siano molto significativi.

Stessa considerazione per il mercato del lavoro americano: disoccupazione scesa marginalmente da 3.6% a 3.5%, molto buoni i dati sui nuovi occupati, inflazione salariale stabile. Ma si tratta di dati riferiti al mese di febbraio che quindi non incorporano assolutamente i recenti eventi.

Riguardo alla questione Intesa UBI, mentre si aspetta di capire quanti soci si allineeranno alle posizioni dei vari patti di sindacato, vale la pena ricordare che qualora l’adesione fosse superiore al 50% consentirebbe ad ISP di avere il controllo di Ubi ma non la facoltà di incorporarla e di realizzare eventuali operazioni che richiedano un particolare quorum deliberativo.

La gestione non sarebbe quindi facile. Per ora il fronte di chi si oppone all’offerta è arrivato a pesare il 19% del totale.

Sempre in ambito bancario italiano in settimana la terza banca ovvero BancoBPM ha illustrato il piano industriale quadriennale (invece dei classici tre anni) promettendo agli azionisti un payout ratio di 40% con obiettivi ambiziosi sia di redditività (7.2%) che di crescita attraverso la specializzazione dei servizi per la clientela private e imprese e il wealth management (in coordinamento con Banca Aletti).

QUESTA SETTIMANA

Il sentiment del mercato, messo già a dura prova dalle misure restrittive imposte dal governo italiano nel week-end, ieri mattina è stato minato dalla notizia di un non accordo fra Russia e Arabia Saudita che ha fatto crollare il prezzo del petrolio del 34% questa mattina, il WTI è passato dalla chiusura di venerdì pari a 41$ circa al minimo di questa mattina intorno a 28$ con le ovvie ripercussioni sui titoli del settore energetico.

Si tratta di uno shock lato offerta che non ha precedenti che porta il prezzo del petrolio al livello inferiore a quello raggiunto durante la crisi del 2008 e poco distante dalla crisi del 2015. Certo l’impatto sulle aziende del settore, già messe a dura prova da una domanda che si è ridotta per la paralisi del sistema produttivo, non è positivo ma, se cerchiamo di vedere l’impatto sull’economia in generale, forse riusciamo a vederne l’aspetto positivo. In una situazione estremamente critica per la domanda e che fa parlare di recessione globale una discesa del petrolio di 20 dollari circa è migliore di una salita di pari misura che avrebbe provocato un’inflazione da offerta con il rischio di una stagflazione dell’economia difficilmente affrontabile.

Guardando alla settimana che abbiamo davanti possiamo dire che l’evento più importante lo avremo giovedì 12 marzo con la BCE: il mercato fino a settimana scorsa si attendeva 10 bps di taglio del tasso sui depositi e un incremento degli acquisti mensili di bond di circa 20 miliardi di euro.

Adesso ci si aspetta un “bazooka” che possa dare un segnale forte. Importante, per non penalizzare troppo le banche, che si alzi il limite relativo alla non applicazione dei tassi negativi dall’attuale 6 volte la riserva obbligatoria (si parla di 10 volte). Ci si attende una modifica delle capital key per quanto riguarda il QE e un’estensione della TLTRO, soprattutto per le aziende medio piccole più impattate dal rischio di liquidità.

In Germania si discuterà delle possibili misure di stimolo a fronte del corona virus.
Anche se i dati macroeconomici in uscita nel mondo sono da considerarsi (soprattutto quelli backward looking) poco significativi in questo periodo segnaliamo che in Cina dovrebbero essere pubblicati quelli relativi alla bilancia commerciale, i dati sull’inflazione e quelli sugli aggregati monetari: anche negli Stati Uniti verranno pubblicati i dati sull’inflazione mentre In Eurozona verrà pubblicato il dato finale sul GDP dell’ultimo trimestre del 2019.

Le considerazioni da fare oggi sono parecchio complesse: dall’Italia sembra tutto complicato e avere una visione negativa è più facile che averne una positiva.

Però dobbiamo cercare di ragionare diversamente e in modo più “asettico”.

Dopo la settimana peggiore dalla crisi finanziaria del 2008 a Wall Street, lunedì scorso, abbiamo assistito alla migliore seduta dal 2008 (Nasdaq). Il mercato è chiaramente schizofrenico e in preda al newsflow. Ricordiamo che gli algoritmi e gli investimenti passivi muovono attualmente gran parte del mercato e tendono ad esasperare i movimenti. Inoltre, il mercato azionario, per la sua maggiore liquidità, tende ad essere preso di mira prima. Lo stesso indicatore di volatilità, il VIX, oggi fa fatica a fare prezzo per le continue interruzioni del mercato (essendo legato alle opzioni su S&P) per cui chi lo utilizzava, attraverso contratti futures (tipicamente i trader) per hedgiare le posizioni non ha uno strumento disponibile e agisce vendendo ciò che riesce a scambiare, generalmente le azioni. Attualmente si attesta intorno al valore di 60, superiore a quello raggiunto nelle crisi precedenti e inferiore solo al valore di 90 raggiunto nel picco della crisi finanziaria del 2008. Segnala, pertanto, un livello di panico parecchio alto che talvolta, magari non nell’immediato, segnala anche i punti di minimo del mercato.

Il tema della scorsa settimana era seguente: il taglio della Fed è un palliativo? Ha senso in una situazione di crisi non generata da crisi di liquidità intervenire con manovre monetarie tanto forti? Non è che ci si brucia le munizioni e non si avranno più armi quando la crisi intaccherà veramente il mondo reale? Ha indotto il panico il taglio inaspettato infra- meeting? Queste erano le domande che gli investitori si ponevano. Adesso, con il progredire dei dati sulla situazione sanitaria, si sta prezzando un quadro macro molto brutto che necessita di interventi massicci di politica monetaria e fiscale.

Quando in passato abbiamo parlato di possibili cause di interruzione del ciclo economico citavamo errori di policy o eventi esogeni. Quello attuale è chiaramente un evento esogeno, il “cigno nero” imprevedibile ma potenzialmente distruttivo.

Rimaniamo dell’idea che se la crisi rimane confinata temporalmente a questo trimestre con strascichi nel secondo allora possiamo ipotizzare due trimestri di crescita negativa e quindi quello che si chiama “recessione tecnica”. La recessione fondamentale, invece, dovrebbe essere provocata da eccessi sul mercato (es. i mutui subprime che hanno causato la Global Financial Crisis del 2008) e avrebbe durata maggiore e potrebbe essere correttamente affrontata con stimoli monetari.

Come avverte l’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) l’epidemia può essere contenuta solo con una risposta concertata di tutti i governi.

Se prendiamo come esempio la situazione cinese, prescindendo dalle teorie complottistiche e facendo un atto di fede (come ovunque, del resto) sulla bontà delle statistiche notiamo due cose: 1) le misure severe di blocco totale imposte (in modo molto rigoroso) dalle autorità hanno permesso al virus di rimanere confinato essenzialmente nella provincia di Wuhan (al di fuori i numeri sono molto minori) e di ridurre gradualmente l’intensità tanto che sembra che l’OMS ha abbassato il livello di gravità dell’epidemia in Cina; 2) il mercato azionario, a settimana scorsa, aveva totalmente recuperato le perdite, vuoi per gli acquisti del governo, vuoi per le politiche monetaria, ma soprattutto fiscali espansive segno che gli investitori hanno avuto fede nelle capacità di Pechino di sostenere i costi della crisi e della ripresa. Cosa che andrebbe fatta anche in Europa.

In questi giorni si leggono le opinioni più disparate: il problema è che, come scrivevamo la settimana scorsa, tutto si basa su quanto devastante è, e potrà essere, questo virus, quindi sul primo degli elementi che avevamo individuato, ovvero quello sanitario. Quanto tempo richiederà il contenimento del virus, ma soprattutto, quanto reggeranno le strutture sanitarie prima di arrivare al collasso non lo sa nessuno, possiamo fare tutte le ipotesi che vogliamo ma valgono tutte allo stesso modo. Per cui dire che tutto crollerà perché l’attività economica si paralizzerà a lungo e andremo in recessione o dire che tutto si risolverà presto perché tutto sommato “è poco più di un’influenza” ha esattamente la stessa valenza, è come tirare la monetina.

Nessuno può con certezza dire quanto la crisi andrà avanti ma si possono solo fare congetture più o meno realistiche. È a questa estrema incertezza che i mercati (che alla fine sono guidati da investitori) reagiscono nel peggior modo possibile, con schizofrenia e panico.

Quello che sappiamo è che le banche centrali hanno e continueranno ad agire fornendo liquidità ai mercati e i governi, in modo più o meno coordinato e più o meno organizzato, agiranno con misure a supporto dell’economia.

Sarà sufficiente? Di sicuro un po’ gli effetti negativi verranno attenuati. Se poi la situazione critica sanitaria, anche in virtù delle drastiche misure prese, dovesse rientrare l’effetto positivo sarà di avere finalmente smosso una politica fiscale che si era bloccata, soprattutto in Europa.

Spesso si dice che dalle crisi nascono le opportunità: nella situazione che stiamo vivendo attualmente dobbiamo cercare di capire che il corona virus ha sicuramente dato una bella “shakerata” al sistema, si sono scardinati e si stanno scardinando modi di pensare che altrimenti non sarebbero mai cambiati (ad esempio le aziende si sono dovute attrezzare per lo smart working, anche quelle che meno ci credevano). Come tutte le cose passerà, come tutte le crisi verrà superata anche questa. Le modalità ci sono, gli esempi da seguire ci sono. Poi quando tutto sarà risolto il mondo magari un po’ sarà cambiato, ci sarà più consapevolezza di certi problemi e di certe criticità del sistema.

Intanto incrociamo le dita e speriamo che l’allarme sanitario rientri in modo da poterci presto girare indietro e notare, ancora una volta, che il momento di maggior panico è coinciso con il punto di minimo dei mercati e che le economie sono, in virtù delle misure di stimolo intraprese, su un sentiero di crescita più solido del precedente.

Analisi dei mercati del 3.03.2020

Settimana a dir poco drammatica sui mercati quella che si è appena conclusa: pesanti i ribassi degli indici azionari e degli obbligazionari a spread, soprattutto high yield ed emergenti. Il “flight to quality” premia i governativi tedeschi e americani, mentre la periferia dell’Europa (soprattutto l’Italia a causa del Covid19) vede spread in allargamento. Guardando ai flussi si sta assistendo, già da qualche settimana, ad un’uscita dal segmento High Yield e conseguente ingresso su quello IG e le performance lo riflettono.

Il pessimismo degli investitori ha ovviamente contagiato anche le commodity con il petrolio arrivato a toccare i 44$ al barile (WTI) e, cosa strana, pure l’oro che, dopo avere superato i 1650 dollari/oncia, venerdì ha ritracciato del 3.6% sorprendendo tutti quelli che lo consideravano un bene rifugio. Le motivazioni di questa discesa sono da ricercarsi nelle vendite forzate dai “margin call” scattati sui risky assets (soprattutto azioni) che hanno costretto a liquidare anche parte delle posizioni costruite sul metallo giallo.

La discesa violenta dei mercati azionari è stata ovviamente causata dalle notizie sul Covid19 riguardo il vertiginoso aumento dei contagi al di fuori del territorio cinese: ad oggi i casi sono quasi 90.000 con circa 3.000 deceduti e 45.000 ricoverati. Impressionante come l’Italia sia balzata al terzo posto in termini di contagi (dopo Cina e Corea del Sud) e al quarto in termini di deceduti (superata dall’Iran).

Lasciando stare le considerazioni sulle metodologie di calcolo e sulla determinazione dei diversi paesi nel prendere atto del problema, quello che condiziona e disorienta i mercati è la velocità di diffusione del virus e l’eventuale non capacità dei sistemi sanitari di stare dietro al problema. Qualcuno teme che i casi possano essere superiori a quelli dichiarati.

Cercando di vedere qualcosa di positivo in quanto sta accadendo, la scorsa settimana avevamo scritto che fra i potenziali effetti di una grave crisi, come quella che potrebbe diventare l’attuale, c’era lo sblocco mentale dei governi (soprattutto dell’eurozona) circa l’applicazione di stimoli fiscali espansivi.

Ad Hong Kong il governo sta pensando sia ad un taglio delle tasse che ad una sorta di “helicopter money” dando 10.000 HKD (circa 1.200 USD) ad ogni persona adulta residente in modo permanente della città. Il pacchetto di manovre di stimolo porterà il deficit fiscale al livello record di 4.8% sul Pil.

Nello stesso giorno in Germania ha annunciato che sta valutando di sospendere, almeno temporaneamente, il limite costituzionale al debito pubblico: mossa che porterebbe uno stimolo di bilancio all’Economia tedesca e dell’eurozona che la BCE richiede da tempo (non a caso Christine Lagarde ha accolto positivamente la notizia).

Infine, il vicepresidente dell’esecutivo europeo Dombrovskis ha ribadito che esiste già una clausola nel Patto di Stabilità prevista per far fronte a tutti i tipi di emergenze e quella relativa al coronavirus rientrerebbe a pieno titolo.

Certo la manovra di Hong Kong è decisamente più incisiva delle notizie provenienti dall’Europa, ma se qualcosa si muove già è buono.

Mentre il ministro Gualtieri ritiene che l’impatto sul Pil del coronavirus sarà limitato, l’agenzia di rating DBRS ritiene la stima del governo troppo ambiziosa e che l’Italia (con la crescita del Pil più debole in Europa) potrebbe risentire, in modo significativo, dell’impatto dell’emergenza sanitaria e tutto dipenderà dalle misure che il Governo metterà in campo.

Tornando al tema del risiko bancario, dopo che il patto Car (Comitato Azionisti di Riferimento che raccoglie il 17.7% del capitale) ha espresso la propria negatività circa l’offerta di Intesa anche il comitato direttivo del Patto dei Mille (che raccoglie l’1.6% del capitale rappresentato da investitori prevalentemente bergamaschi) ha deciso di respingere l’offerta ritenendo il concambio inadeguato rispetto alle prospettive reddituali della banca (offerta inferiore di 1.5-2 miliardi di euro rispetto al valore presunto che dovrebbe avere).

Più della metà delle azioni di UBI Banca è in mano a grandi asset manager e investitori istituzionali sia italiani che esteri. Saranno loro che decideranno le sorti della banca decidendo se avvicinarsi alla posizione dei patti e quindi ritenendo poco congrua l’offerta di Intesa Sanpaolo. Con i due terzi dei voti in assemblea favorevoli la fusione sarebbe automatica. Cattolica aderisce al piano.

Le notizie circa la diffusione del Covid19 continueranno ad essere al centro dell’attenzione degli investitori e saranno una continua fonte di volatilità.

Ieri e questa mattina in Cina sono stati pubblicati i dati PMI di febbraio: veramente notevole la contrazione, oltre le attese, che forse non incorporavano quanto sta succedendo. Il dato aggregato calcolato dall’istituto nazionale è passato da 53 a 28.9 mentre quello calcolato dalla privata Caixin è sceso da 51.1 a 40.3. Si tratta di un crollo che supera anche quanto avvenuto nel 2008. Sono partite le revisioni delle stime di crescita: GS ha indicato 2.5% anno/anno mentre BNP indica addirittura 0.5% anno/anno.

I mercati asiatici aprono comunque positivamente la settimana sulla fiducia che le pesanti misure a sostegno dell’economia attuate dalla PBOC e dal governo daranno i loro frutti.

Questa mattina l’OECD ha pubblicato l’Interim Economic Outlook aggiornando le stime di crescita globali: ci si attende una crescita che potrebbe precipitare ai livelli minimi dell’ultimo decennio a causa del Covid19, ritenuto il pericolo più grande dalla crisi finanziaria del 2008. La crescita globale è stimata scendere da 2.9% a 2.4% (livello più debole dal 2009). Per l’Italia atteso un Pil fermo.

Martedì la campagna elettorale in US si animerà in occasione del “Super Tuesday” quando si voterà in 12 stati per la scelta dell’antagonista democratico di Donald Trump alle prossime elezioni di novembre. Il coronavirus sta mettendo decisamente in secondo piano il tema elettorale americano che invece non dovrebbe assolutamente essere sottovalutato.

Mercoledì e giovedì a Vienna si riuniranno OPEC e OPEC+ per valutare come intervenire sulla produzione di petrolio, e quindi lato offerta, a fronte di una domanda che subisce l’impatto negativo del coronavirus: l’Arabia Saudita premerà per un ulteriore taglio della produzione.

QUESTA SETTIMANA

Intanto in Europa proseguono le negoziazioni tra Unione Europea e UK per la formulazione di un accordo. Boris Johnson ha minacciato di ritirarsi dalle negoziazioni qualora non si arrivasse ad una bozza di possibile accordo entro giugno.

In settimana verranno pubblicati i dati PMI e ISM in US per il mese di febbraio e l’Importante sarà vedere se terranno il livello di 50 che separa l’espansione dalla contrazione. Il dato ISM precedente era di 50.9 e le attese sono per 50.5, per quanto riguarda il comparto manifatturiero mentre quello dei servizi dovrebbe passare da 55.5 a 55.

Sempre negli Stati Uniti venerdì verrà pubblicato il report sul mercato del lavoro relativo al mese di febbraio: atteso tasso di disoccupazione stabile a 3.6% e aumento di salari di 3%.

Anche in Europa è prevista la pubblicazione dei dati PMI di febbraio. Vale la stessa considerazione fatta per gli USA: importante la tenuta del livello di 50 per il dato aggregato.

Martedì si riunirà la Reserve Bank of Australia: attesi tassi stabili a 0.75% anche se il mercato prezza con una probabilità del 15% un taglio di 25bps.

Estremamente difficile capire come posizionarsi con i portafogli, se è meglio stare alla finestra o se (e quando) approfittare della debolezza evitando il cosiddetto “catching the falling knife”.

Quello che in generale si legge in questo periodo sono le statistiche sui casi precedenti di epidemie e conseguenti correzioni dei mercati che, più o meno lunghe, sono state nell’ordine del 10-15%.

Sappiamo che le banche centrali, a maggior ragione ora, sono estremamente disponibili a mantenere condizioni monetarie accomodanti e, se c’è spazio, a renderle ancora più accomodanti. La Fed potrebbe tagliare anche nella prossima riunione del 18 marzo. Abbiamo visto, la scorsa settimana, che qualche intervento governativo a sostegno si comincia a intravedere (HK con una sorta di “helicopter money”, la Germania con una maggiore disponibilità a spendere). Tutti elementi estremamente positivi se destinati a proseguire, soprattutto in Europa, dove c’è una maggiore resistenza in tal senso.

È, però, fondamentale che la paralisi dell’attività produttiva non duri troppo a lungo. Si creerebbe un problema dal lato dell’offerta difficilmente affrontabile con politiche monetarie e/o fiscali.

Cercando di razionalizzare al massimo quanto sta succedendo, penso che dovremmo mantenere separati i ragionamenti in ambito sanitario, dalle conseguenze economiche e dalle reazioni sui mercati. Ovviamente sono tutti concatenati ma il “timing” e l’entità della reazione fanno la differenza.

Sul piano sanitario, non essendo esperti della materia, possiamo solo leggere e documentarci. Oltre a seguire l’evoluzione del numero di casi e del tasso di mortalità (variabili, per definizione, disponibili ex post) si deve cercare di essere lucidi e, in qualche modo, prendere una posizione. Sicuramente siamo di fronte a qualcosa di più di una semplice influenza, soprattutto per la velocità nella diffusione. Le autorità è giusto che cerchino di tutelare la parte della popolazione più vulnerabile (anziani e soggetti con patologie gravi), soprattutto in funzione della capacità delle strutture ospedaliere, cercando di limitare al massimo la diffusione.

C’è da dire, però, che il tasso di mortalità è basso e possiamo ipotizzare (e soprattutto sperare) che la situazione si risolva, o forse è meglio dire che il picco si superi, nel prossimo mese, magari con la fine della stagione fredda.

Sul piano economico è evidente, e le stime dell’OCSE di oggi lo confermano, che ci sarà un impatto notevole sui dati macroeconomici in uscita nei prossimi mesi, soprattutto quelli riferiti al primo trimestre (ne abbiamo avuto un assaggio oggi con i pessimi dati sui PMI cinesi). Qualora la situazione sanitaria non peggiori ulteriormente, tale impatto potrebbe essere limitato alla prima parte dell’anno (primo trimestre molto brutto, secondo meno) con una ripresa nella seconda parte dell’anno. Tutto dipende dalla durata delle misure a tutela della salute dei cittadini intraprese nelle zone più impattate (Cina ed Europa soprattutto) e dalla conseguente paralisi del sistema produttivo e della domanda.

Infine, viene il piano relativo ai mercati: le borse tendono prima a prezzare il peggio poi, analizzando bene la situazione e avendo maggiore visibilità sul futuro, si ricalibrano su livelli più coerenti con gli effettivi impatti.

Se guardiamo alla performance dei mercati dai massimi di metà febbraio notiamo che la correzione dell’MSCI World è nell’ordine del 13% per quasi tutti i mercati quindi in media con le correzioni precedenti post epidemie. Sul piano valutativo (anche se bisogna capire quanto gli analisti hanno rivisto le stime) i multipli si sono decisamente ridimensionati e qualcuno considera i livelli attuali coerenti con una crescita nulla dei profitti per il 2020 delle aziende americane (giusto per avere un’idea di quanto i mercati prezzano).

I mercati locali cinesi (vedi indice CSI300) hanno corretto prima degli altri (a metà gennaio) ed ora sono quasi tornati ai livelli pre-crisi, segno che il passaggio del picco (stimato) e gli interventi a supporto, sia monetari che fiscali, sono stati utili e ben accolti dagli investitori.

A questo punto viene da chiedersi se è il caso di approfittare della correzione per entrare sui mercati azionari globali o aspettare migliori punti di ingresso.

Negli ultimi Comitati Investimento di SCM Sim, tenutisi prima della diffusione del virus fuori dai confini cinesi, l’idea era di incrementare la componente azionaria dei portafogli (attualmente sottopeso) su eventuali marcate correzioni.

Quella a cui stiamo assistendo può essere considerata tale pertanto stiamo valutando quando entrare e in che misura. Solo ex-post è possibile identificare il punto di minimo dei mercati, quindi nessuno ha la presunzione di farlo. Si può solo cercare di ragionare e gestire con razionalità i portafogli andando ad accumulare quando si ritiene di essere in un intorno di un bottom.

Analisi dei mercati del 25.02.2020

Le notizie circa la diffusione del COVID19 (coronavirus) continuano ad essere al centro dell’attenzione dei media.

I continui cambiamenti nelle metodologie di calcolo rendono parecchio incerti i numeri finali in Cina e questo tende ad infastidire i mercati. Inoltre, si sono aggiunti nuovi casi a Hong Kong, in Giappone, in Corea, in Iran e anche in Italia! Il tasso di mortalità rimane basso ma la velocità di diffusione fa abbastanza preoccupare.

C’è poi il sospetto che nei paesi che apparentemente sono indenni il reale motivo sia la mancanza di diagnosi. Facile quindi generare il panico fra la gente e sui mercati.

In settimana, alle varie guidance negative di diverse società, si è aggiunto il warning di Apple: poiché l’attività in Cina si sta normalizzando più lentamente delle attese, la produzione di iPhone potrebbe essere temporaneamente limitata e questo impatterà sugli obiettivi di fatturato del trimestre in corso. Inoltre, la domanda dei prodotti di Cupertino è stata impattata dalla chiusura dei negozi sul territorio cinese e dal minore afflusso di clienti. L’effetto dovrebbe essere, comunque, circoscritto al trimestre in corso e recuperato in quello successivo e questa considerazione ha limitato, nell’immediato, l’impatto negativo in Borsa.

La Cina prosegue nelle misure monetarie espansive tagliando, come atteso, di 0.1% (a 4.05%) sia il prime rate a un anno che quello a 5 anni (a 4.75%) con l’obiettivo di aiutare la liquidità del sistema bancario per i finanziamenti alle imprese. La Banca centrale ribadisce che la politica monetaria si manterrà flessibile e appropriata implementando nuove misure per controbilanciare gli effetti del virus.

Notevole calo delle vendite di auto in Cina (-90% a gennaio), il governo di Pechino interviene incentivando l’acquisto di auto elettriche.

Il presidente Xi, che aveva ribadito la capacità della Cina di raggiungere gli obiettivi economici prefissati, ammette, in un secondo momento, che ci potrebbe essere qualche problema.

Altro argomento di cui si è parecchio discusso in settimana in Italia è stato il “risiko bancario”: lunedì sera IntesaSanPaolo ha annunciato il lancio di un’OPS (Offerta pubblica di Scambio) su UBI per un valore di 4.9 miliardi di euro. Si tratta del deal più grosso in Europa dalla crisi finanziaria. Non si dovrebbe trattare di un’operazione ostile (così dicono i vertici di Intesa) ma neanche concordata, dato che è stata lanciata poche ore dopo che UBI aveva annunciato il proprio piano industriale! UBI viene valutata circa 0.5 il book value (ISP tratta a 0.9 circa).

L’autorità di vigilanza della BCE si era già espressa a favore di eventuali attività di M&A in ambito bancario dove ritiene ci siano “troppe banche”.

Le condizioni offerte da Intesa prevedono lo scambio di 10 azioni UBI contro 17 di ISP con un premio implicito del 28% rispetto alla chiusura precedente (al quale le quotazioni si sono subito adeguate).

Intesa, nella manovra, è stata agevolata da Unipol e Bper: quest’ultima (della quale Unipol possiede il 20%) comprerà tra 400 e 500 filiali di Ubi (facendo così contento l’antitrust) tramite un aumento di capitale di un miliardo che Unipol stessa è pronta a sottoscrivere. Il gruppo assicurativo modenese, inoltre, rileverà le attività settoriali di Ubi.

La reazione di UBI, soprattutto del patto di sindacato che aggrega circa il 18% del capitale (il cosiddetto “Car” che comprende fondazioni e privati tra i quali Bosatelli di Gewiss, Radici di RadiciGroup e Bombassei di Brembo), non è stata favorevole, ritenendo l’offerta non adeguata.

Lunedì si riuniranno gli altri due importanti patti di sindacato che controllano rispettivamente l’8.6% (famiglie come i Camadini, Lucchini, Folonari, Bazoli) e l’1.6% (Patto dei mille). Poi, però, il risultato finale dipenderà da quanto decideranno fondi e investitori istituzionali.

Se da un lato ISP dichiara di non avere intenzione di alzare il prezzo offerto, dall’altra UBI sta esaminando piani di fusione alternativi che potrebbero riguardare anche l’acquisizione di Monte dei Paschi. La banca senese (in attesa di completare il risanamento) è destinata ad uscire dall’orbita pubblica (attualmente il Tesoro ha il 68% della banca) entro il 2021 per entrare in un gruppo più grande e solido.

Fra gli analisti, quelli di Intermonte si sono immediatamente schierati negativamente consigliando agli azionisti di UBI di rifiutare l’offerta, mentre il Financial Times, nella Lex Column, conclude dicendo che Intasa farebbe una buona operazione mentre UBI non dovrebbe avere troppa fretta di vendere.

Ovviamente sono partite subito speculazioni su possibili altre fusioni in ambito bancario: l’AD di Unicredit, Jean Pierre Mustier, ha prontamente ribadito di non avere alcun interesse a fare fusioni e acquisizioni, mentre quello di Banco BPM Giuseppe Castagna intende concentrarsi sul piano strategico che verrà presentato il 3 marzo in quanto la banca, già reduce da un’importante fusione, sarebbe intenzionata a proseguire da sola.

In US è entrato pesantemente in campagna elettorale Michael Bloomberg e tutti sono in attesa del Super Tuesday del 3 marzo (quando si voterà in 10 stati): l’ex sindaco di NY dichiara che in caso di elezione alla Casa Bianca, imporrà una tassa su tutte le transazioni finanziarie (inizialmente lo 0.02% dell’importo della transazione, poi forse lo 0.1%), porrà dei limiti alla velocità per il trading ad alta frequenza e un irrigidimento della normativa bancaria dato che il sistema finanziario, attualmente, non sta funzionando come dovrebbe.

Dai verbali della Fed pubblicati in settimana si trova conferma dell’intenzione di lasciare invariati i tassi ai livelli attuali ancora per diversi anni. L’inflazione potrà salire anche sopra il 2% senza scatenare una rincorsa al rialzo dei tassi ribadendo il concetto di simmetria nel target di inflazione.

La pubblicazione dello ZEW tedesco ha sorpreso negativamente in entrambe le componenti. Ricordiamo, però, si tratta di una survey agli operatori finanziari.

Grande attesa per i dati PMI in uscita venerdì scorso: in Eurozona, la revisione positiva dei dati di febbraio stupisce gli analisti che si attendevano dati in peggioramento. Male i PMI giapponesi, come era lecito attendersi, e non particolarmente belli quelli americani soprattutto perché si sono visti rallentamenti anche sulla parte relativa ai servizi.

La settimana si chiude con un generalizzato calo dei mercati azionari. La fase di risk-off ha portato beneficio ai governativi, con una riduzione dei rendimenti soprattutto in US, e al segmento obbligazionario in aggregato.

Fra i beni rifugio bene l’oro e il franco svizzero. Non ha funzionato, invece, come hedge lo yen giapponese probabilmente a causa della particolare congiuntura economica che sta attraversando il Giappone (molto deboli i dati sul GDP e vicinanza fisica ed economica con la Cina e il virus).

QUESTA SETTIMANA

La settimana è iniziata con un panico generalizzato sui mercati vista la veloce diffusione del virus al di fuori dei confini cinesi.

Ovviamente è lecito attendersi una notevole volatilità in funzione delle notizie che verranno pubblicate dai media.

Il Comitato permanente dell’assemblea nazionale del Popolo Cinese ha deciso di posticipare il meeting annuale, previsto per il 5 marzo, a causa, del corona virus. Non si è ancora decisa una nuova data. La situazione di crisi che attualmente sta attraversando la Cina è considerata la più complessa da quando il Partito Comunista è salito al potere 70 anni fa.

Negli Stati Uniti avremo la seconda stima dei dati sul PIL del quarto trimestre 2019.

In Europa, ieri mattina, sono stati pubblicati i dati di fiducia IFO per il mese di ottobre in miglioramento rispetto alle stime e ai dati precedenti la parte “Business climate” e “Expectations”; in miglioramento ma inferiori al mese precedente quelli relativi a “current assessment”.

In Eurozona verranno pubblicati i dati di inflazione CPI preliminari per il mese di febbraio.

L’inizio del 2020 è stato decisamente positivo per i mercati sulla scia di quello che è stato il 2019. Le motivazioni le abbiamo discusse più volte in questa sede e rimangono valide.

Quello che attualmente stiamo vivendo viene definito, da molti, come il “cigno nero” che tanti temevano potesse rovinare la festa. E’ facile, quindi, cadere in tentazione e vendere per prendere profitto, posizionarsi in maniera cauta e osservare gli eventi stando alla finestra nell’attesa di rientrare quando tutto si calma.

Vendere ha senso solo se poi si è in grado di rientrare in un momento di panico ancora maggiore. Se e quando tutto si calmerà i mercati potrebbero essersi già posizionati.

I media, come sempre, tendono ad esasperare le notizie negative e i mercati reagiscono così all’incertezza: non sapendo stimare l’impatto degli eventi su dati macroeconomici e sugli utili aziendali ipotizzano, in via precauzionale, il peggio e lo fattorizzano nei modelli. Si crea un effetto “snowball” e tutto scende tranne i cosiddetti beni rifugio.

Se la crisi, come si ipotizzava fino a poco fa, soprattutto in Cina, rimanesse circoscritta ad un trimestre allora potremmo lecitamente attenderci un rimbalzo nel secondo trimestre con effetti materiali nella seconda metà dell’anno. Il fatto che il virus si stia diffondendo velocemente fa mettere in dubbio le tempistiche e crea ulteriore incertezza.

Teniamo conto, però, dei potenziali effetti positivi che una situazione di estrema crisi come l’attuale potrebbe scatenare: tutti, dalla BCE all’OCSE, ribadiscono la necessità di organizzare uno stimolo fiscale a livello globale dato che, dovesse protrarsi troppo a lungo la situazione di emergenza, con il livello di tassi così bassi le banche centrali potrebbero fare ben poco. Meglio che ci si prepari ad uno stimolo fiscale possibilmente concertato.

In Cina sappiamo che le autorità sono molto determinate su questo punto, chissà che in Europa non avvenga lo stesso. Il livello dei mercati azionari non era assolutamente coerente con un livello debole di attività economica che si protrae a lungo: è quindi necessario o che la pandemia si ridimensioni in modo da non paralizzare ulteriormente l’attività economica oppure che i governi intervengano a sostegno con misure controcicliche. Solo in questo modo i livelli raggiunti dai mercati (pre-attuale correzione) potrebbero essere giustificati da aspettative positive sulla ripresa.

Analisi dei mercati del 18.02.2020

Ottimo andamento dei mercati azionari, durante le ultime due settimane, nonostante i continui aggiornamenti sugli sviluppi del coronavirus e l’aumento del numero di vittime e contagiati.

La Fed, e in generale le banche centrali, monitorano costantemente i potenziali effetti economici della pandemia cinese e si dichiarano disponibili a intervenire, se necessario; di conseguenza, gli investitori ritengono lecito attendersi tassi di interesse ancorati, per parecchio tempo, a bassi livelli.

Inoltre, negli Stati Uniti, chiusosi il tema dell’impeachment di Trump (bocciato dal Senato), sembra che la popolarità dell’attuale presidente sia in ripresa e che i principali antagonisti (soprattutto quelli più estremi) non siano così forti nei sondaggi.

Tutto ciò ha consentito ai mercati azionari (soprattutto nei settori più “growth”) di performare decisamente bene. Anche il segmento più “equity-like” dell’obbligazionario, ovvero gli high yield, ha beneficiato del buon sentiment mentre, in ambito governativo, i rendimenti sono rimasti complessivamente stabili. Segnaliamo la continua compressione dei rendimenti dei governativi italiani e greci (il decennale greco è sceso sotto l’1%) segno che gli investitori continuano ad investire dove rimane un minimo rendimento positivo.

In ambito valutario l’euro si è indebolito rispetto alle principali valute, soprattutto verso US dollar e valute emergenti, a causa sia dei flussi a favore del mercato azionario e obbligazionario americano (considerati più sicuri in caso di scenari avversi), sia perché l’euro è sempre più considerato una funding currency.

La Cina, oltre alle misure di politica monetarie messe in campo, aggiunge il taglio dei dazi su 75 miliardi di dollari di prodotti americani a partire dal 14 febbraio.

Intanto l’agenzia Moody’s ha rivisto al ribasso le stime di crescita per la Cina per questo anno da 5.7% a 5.2%.

All’ormai famoso coronavirus è stato assegnato un nome: Covid19 (ovvero CO-corona, VI-virus, D-desease “malattia”, 19- anno). La Cina ha modificato la metodologia di calcolo degli infettati/deceduti (che ora include anche i casi di pazienti negativi al test ma con sintomi di sofferenza polmonare) ma il mercato sembra focalizzarsi sulla stabilità del tasso di mortalità (2%) e sulle misure a sostegno adottate dalla Banca Centrale e dal Governo cinese. L’incertezza, inoltre, mantiene ferme le altre banche centrali e i mercati festeggiano nonostante i diversi warning che arrivano da vari settori fra i quali quello del lusso, dell’auto e del turismo. Finché non si vedrà la fine della pandemia è difficile fare stime e previsioni sull’impatto economico e sugli utili aziendali: per ora, l’ipotesi di base è di un picco dell’epidemia nel primo trimestre con ricadute limitate a livello mondiale.

Positivi i dati finali di gennaio di fiducia delle imprese: il dato aggregato di Eurozona sale marginalmente a 47.9 (da 47.8) ma sorprende in positivo la componente italiana (48.9 da 46.2). In miglioramento anche il PMI US (da 51.7 a 51.9) ma soprattutto l’ISM manufacturing che si riporta in fase di espansione a 50.9 (da 47.8).

In Germania è stato pubblicato il PIL per il quarto trimestre (0%) che ha evidenziato una situazione di stagnazione causata dal debole contributo di investimenti e consumi, esattamente come per il PIL dell’Eurozona che, nella seconda stima, cresce al ritmo di 0.9% anno/anno (0.1% trimestre/trimestre).

La Banca Centrale Australiana ha mantenuto, come atteso, i tassi stabili ai minimi storici (0.75%) dichiarando che dovranno restare bassi per un lungo periodo al fine di raggiungere la piena occupazione e il target di inflazione. Nonostante le buone stime di crescita dell’economia (2.75%-3%) le prospettive per il 2020 rimangono caute a causa degli impatti degli incendi boschivi e del coronavirus. Da notare che le survey sono state condotte dopo l’attacco americano in Iran di inizio gennaio ma prima della diffusione del coronavirus.

Ottima la performance a Wall Street di Tesla che dopo essere salita per i buoni risultati riportati ha continuato la sua ascesa grazie alle dichiarazioni di un fornitore (Panasonic sostiene di essere in grado di stare al passo con l’espansione della produzione di tesla) e all’upgrade del giudizio di un analista (Ark Invest ha portato il target price a 7000$ per azione per il 2024). La performance del titolo ha portato l’AD Elon Musk (che ne possiede il 20%) a salire nella classifica degli uomini più ricchi al mondo passando dalla posizione 35 alla 22.

Molto bene il settore bancario europeo grazie ai risultati riportati: molto buoni e superiori alle attese quelli di Intesa Sanpaolo, confermato il payout ratio di 80% che si traduce in un dividend yield dell’8%, fra i più alti tra le banche europee. Si tratta dei risultati migliori dal 2007, con il 46% dell’utile legato al wealth management. Durante la presentazione l’AD Messina ha espresso un giudizio ottimista sulla situazione italiana sostenendo che “i fondamentali sono solidi e le aziende redditizie, meglio capitalizzate rispetto a prima della crisi e ben posizionate per beneficiare della possibile ripresa”.

Anche Mediobanca pubblica utili in crescita grazie, soprattutto, al risparmio gestito e al credito al consumo. Anche in questo caso l’AD Alberto Nagel si mostra fiducioso sulla restante parte dell’anno.

Banco BPM ha chiuso il 2019 con un utile, dopo la perdita del 2018, e ha quindi staccato il suo primo dividendo dalla fusione del 2017 grazie al rafforzamento della posizione patrimoniale. Unipol rilascia risultati superiori alle attese e annuncia un forte aumento del dividendo.

Con questi numeri è facile giustificare l’ottima performance dell’Eurostoxx Bank che guadagna il 10% in due settimane.

QUESTA SETTIMANA

Questa mattina il dato preliminare sul GDP giapponese per il quarto trimestre ha sorpreso, in negativo, le aspettative: il dato trimestre/trimestre è uscito in calo dell’1.6% che si trasforma in un -6.3% se annualizzato (le attese erano per – 3.7%). Si tratta del calo più rapido da sei anni e che vede sia nel tifone che ha interessato il Giappone a fine 2019 che nell’aumento della consumption tax le cause principali.

Martedì verrà pubblicato lo ZEW tedesco atteso in leggero peggioramento sia nella componente “expectations” che in quella “current situation”. Questo indicatore, insieme ai vari dati preliminari di fiducia delle imprese (PMI), in pubblicazione venerdì per US, Eurozona e UK consentiranno di avere una prima idea degli impatti del corona virus su sentiment e outlook per l’attività economica.

In settimana verranno pubblicate le minute del FOMC (riunione della Federal Reserve) del 28-29 gennaio nelle quali si potranno leggere i dettagli della discussione soprattutto riguardo alle aspettative di inflazione e alla crescita economica americana. Ricordiamo che in settimana Jerome Powell, durante una testimonianza, ha dichiarato di essere ottimista in merito alla crescita americana. Anche la ECB pubblicherà le minute dell’ultimo incontro (del 23 gennaio) e sarà interessante valutare eventuali discussioni relative a modifiche della policy della banca centrale sul suo obiettivo di stabilità dei prezzi.

Giovedì in Cina è atteso un taglio del tasso di riferimento sui prestiti.
Sempre giovedì, in Europa, è previsto un summit straordinario per discutere del bilancio comunitario 2021—2027.

La reazione dei mercati al proseguire dell’epidemia e allo stop forzato di buona parte dell’economia cinese comincia a fare parlare di “moral hazard”: i mercati contano sul fatto che gli interventi a sostegno, sia di tipo monetario che fiscale, saranno massici e questo è, per ora, sufficiente a rinvigorire la fiducia degli investitori. Nessuno vuole perdersi il rally che ci potrebbe essere dopo il termine dell’epidemia e così gli indici azionari continuano a raggiungere nuovi massimi.

Il presidente cinese Xi ribadisce che gli stimoli saranno sufficienti per raggiungere gli obiettivi di crescita prefissati e tutte le banche centrali sono pronte ad intervenire nel caso la situazione dovesse peggiorare ulteriormente. La criticità del momento potrebbe anche accelerare, in Europa, l’implementazione dello stimolo fiscale tanto atteso.

Come abbiamo già detto, nessuno, per ora, è in grado di stimare gli impatti della pandemia sull’economia dei diversi paesi e, quindi, sugli utili. Le aziende si limitano ad indicare che ci sarà un impatto sul primo trimestre (ovvio) ma quantificarlo è ancora difficile. Quando verranno resi noti questi numeri si potrà capire quando sostenibili saranno i livelli raggiunti dai mercati. Alla luce dei nuovi eventuali utili stimati si valuteranno i conseguenti multipli a cui tratteranno i vari indici.

Se da un lato Warren Buffet vede nell’attuale situazione una grossa bolla (e, infatti, il livello di cash del fondo Berkshire Hathaway è su livelli molto alti) dall’altro rimangono validi i soliti due acronimi che abbiamo più volte citato ovvero TINA (There is no alternative) e FOMO (Fear of missing out).

Difficile dire chi ha ragione (il mercato o investitori come Buffet?), probabilmente dipende tutto dall’orizzonte temporale e dalle aspettative di rendimento che si hanno in mente. Di sicuro, come ha fatto notare qualcuno, i mercati stanno prezzando gli stimoli monetari e fiscali (necessari per sostenere l’economia in caso di rallentamento), prima ancora del rallentamento stesso!