Analisi dei mercati del 27.04.2020

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

La settimana è stata inaugurata da un movimento del petrolio che non si era mai visto e che ha creato un po’ di destabilizzazione sul mercato: i futures sul petrolio WTI con scadenza maggio, sono andati per la prima volta in territorio negativo arrivando a raggiungere -40 dollari nella serata di lunedì. Da quando il New York Mercantile Exchange (Nymex) ha lanciato i contratti future sul WTI, nel marzo 1983, non si era mai verificato nulla di simile.

La motivazione tecnica del movimento violento risiede nel fatto che i futures (ovvero strumenti derivati, contratti a termine, utilizzati per copertura/speculazione sia dagli operatori che dagli investitori) sul WTI (il petrolio americano estratto in Texas) prevedono la consegna fisica dei barili di petrolio una volta arrivati a scadenza. Consideriamo che un future ha come sottostante 1000 barili di petrolio. Se a scadenza non si ha la possibilità di ritirare i barili (perché non si ha spazio o perché si stava semplicemente speculando) l’unica cosa che si può fare è vendere il future ed è proprio questo che ha portato il prezzo in negativo. Si è avverato quanto avevamo indicato, citando un articolo de Il sole 24 ore, qualche settimana fa: esauriti gli spazi di stoccaggio, gli operatori sono disposti a pagare pur di non avere la consegna fisica del petrolio.

La giustificazione principale del movimento è quindi legata alla speculazione così come al proliferare di strumenti tipo ETC per scommettere sull’andamento del prezzo del petrolio, primo fra tutti il “United States Oil Fund – USO” americano che controlla un quarto delle posizioni aperte sul WTI (vedi articolo girato la settimana scorsa). Per avere un’idea dell’entità si stima che nel mese di marzo gli scambi siano stati pari a circa due milioni di barili al giorno, il 70% in più rispetto all’anno precedente. Se consideriamo che ogni contratto ha come sottostante 1000 barili, ogni giorno sono scambiati circa due trilioni di barili, circa 400 volta la produzione fisica del Texas!

La dimostrazione che la speculazione e gli aspetti tecnici hanno contribuito in gran parte al movimento è dimostrata dal fatto che il prezzo del Brent (il petrolio estratto in nord Europa e i cui derivati consentono il regolamento “cash” e non solo fisico) non è crollato nella stessa misura ma si è mantenuto intorno ai 20 dollari al barile.

Ricordiamo che quando la curva è in “contango” (ovvero il prezzo è più alto sulle scadenze più lontane) per effetto, in questo caso, degli alti costi di stoccaggio (attualmente intorno a 8 dollari al barile al mese) gli strumenti che si basano su futures devono “rollare” le posizioni (ovvero vendere il contratto in scadenza e comprare quello o quelli successivi) e subiscono una perdita vendendo ad un prezzo più basso di quello a cui comprano.  Quando queste operazioni sono massicce l’effetto viene esasperato e gli strumenti che ne pagano più le conseguenze sono gli ETC a leva: se, ad esempio, il prezzo del petrolio scendesse del 30% (passando da 20 dollari a 14) un ETC leva tre moltiplicherebbe per tre la performance giornaliera arrivando a perdere il 90% del suo valore, cioè quasi azzerando l’investimento (spesso l’ETC viene poi liquidato annullando qualunque possibilità di recupero).

Ovviamente ci sono anche motivazioni fondamentali che spiegano il calo del prezzo del petrolio: la domanda, che viaggiava in un intorno di 100 milioni di barili al giorno, è di fatto paralizzata (dopo essere crollata del 30%) dal lockdown e quindi neanche un prezzo incredibilmente basso riesce a stimolarla (ricordiamoci che circa il 50% domanda è legata al trasporto automobilistico e circa 20% a quello aereo). Occorre necessariamente fare ripartire l’economia perché ci sia un minimo di ripresa della domanda (che comunque difficilmente tornerà a livelli pre-crisi in tempi brevi).

Occorre, quindi, agire sull’offerta: ci vorrebbe un taglio più intenso della produzione (i tagli decisi nell’ultimo Opec partono da maggio) che dai dati non sembra stia scendendo (anzi ad aprile è vicina ai massimi storici). Da quando gli USA sono entrati nel settore con lo shale oil il controllo dell’offerta è andato in tilt (libero mercato in US vs oligopolio dell’Opec+) tant’è che gli Stati Uniti hanno raddoppiato la produzione nel giro di cinque anni arrivando a produrre circa 13 milioni di barili al giorno (shale oil ha break-even price di 30 dollari per i produttori che non hanno ancora ammortizzato gli investimenti, per gli altri è più basso).

Trump minaccia di introdurre tariffe sulle importazioni di petrolio ma queste rischierebbero di essere poco efficaci per alzare prezzi (anzi) ma avrebbero semplicemente un effetto redistributivo: positivo per produttori domestici americani ma con il costo pagato da paesi emergenti.

Il basso prezzo del WTI mette in difficoltà alcuni produttori americani di petrolio e gli effetti li vediamo sui prezzi delle obbligazioni High Yield del settore oil che in certi casi riflettono già una situazione di default.

L’attenzione degli investitori rimane sempre concentrata sulle misure governative a supporto dell’economia e anche questa settimana gli Stati Uniti si sono distinti dall’Europa (in positivo).

Il Congresso americano ha approvato un pacchetto aggiuntivo pari a 480 miliardi di dollari a favore di piccole e medie imprese, ospedali e test sui virus. Questa ulteriore misura porta la risposta alla crisi alla cifra di 3000 miliardi di dollari. Qualche delusione invece dall’Unione Europea i cui leader, durante il vertice di giovedì, hanno confermato il pacchetto di 540 miliardi: 100 miliardi per il “Sure” (una sorta di cassa integrazione europea), 240 miliardi per il MES (il “fondo salvastati”) e 200 miliardi tramite la BEI.

Hanno, inoltre, deciso di istituire un “Recovery fund” sul quale dovranno essere elaborate, da parte della Commissione Europea, le proposte entro il primo giugno. I dettagli potrebbero essere resi noti tra parecchio tempo dato che rimangono forti le divisioni fra chi chiede finanziamenti a fondo perduto (Italia e Spagna) e chi ritiene debbano essere dati sotto forma di prestiti (blocco nordico).  La size dovrebbe essere di un trilione (non due come atteso) finanziato da bond emessi dalla CE e legato al budget 2021-2027. La delusione deriva proprio dalla mancanza di dettagli (finanziamenti fondo perduto o prestiti?), da una minore size rispetto alle attese e dal timing dell’implementazione.

La Lagarde, in una lettera a un membro del Parlamento Europeo, afferma che potrebbe essere illegale, per la BCE, acquisire direttamente dai governi il debito e, quindi, la Banca Centrale resterà acquirente solo sul mercato secondario. Intervenendo all’apertura del summit ha avvertito che esistono pesanti rischi di severa contrazione, anche nell’ordine del 15% pertanto è importante un supporto massiccio di politica fiscale.

La BCE mercoledì ha deciso che accetterà i c.d. “fallen angels”, ovvero i titoli Investment Grade che a causa degli effetti della crisi vengono downgradati a high yield, come collaterale per evitare una crisi del credito nella zona euro. I bond ammessi dovevano essere almeno BBB- alla data del 7 aprile e non dovranno, comunque, avere un rating inferiore a BB. Verranno ammessi come collaterale fino a settembre 2021. Dovesse essere downgradato il debito italiano, questo verrà comunque accettato come collaterale (magari con haircut più alti) e acquistato fino a settembre 2021.

Chi temeva un possibile downgrade dell’Italia è stato rassicurato venerdì sera quando S&P si è pronunciata sul rating sovrano lasciandolo invariato (BBB e outlook negativo) ma sottolineando che è, ovviamente, atteso un peggioramento dei rapporti deficit/Pil e debito/Pil. L’economia italiana è considerata ricca e diversificata e la posizione netta dell’Italia sull’estero consente di bilanciare in parte il peso dell’alto debito pubblico, tuttavia una revisione negativa del rating sarà possibile se l’Italia non porterà il debito su un sentiero di discesa nei prossimi tre anni o se si deterioreranno le condizioni di credito. L’8 maggio si pronunceranno DBRS (rating BBB outlook stabile) e Moody’s che, pur avendo posto il rating all’ultimo gradino dell’investment grade (Baa3 e outlook stabile) ha, di recente, pubblicato una nota tranquillizzante.

L’agenzia Fitch invece si è espressa sul settore bancario affermando che il 95% delle banche dell’Europa occidentale saranno in difficoltà nel 2020 e saranno possibili downgrade. Le motivazioni risiedono nell’incertezza legata alla durata della crisi e all’efficacia delle misure prese dai governi e dalle varie istituzioni per supportare le aziende. Fra le banche italiane solo Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi e Mediobanca hanno mantenuto la view precedente.

All’inizio della settimana c’è stata un po’ di tensione sullo spread. Consideriamo che i titoli di stato italiani sono fra i più liquidi in circolazione e ciò li rende più soggetti alla speculazione legata, questa volta, all’incertezza circa l’esito del consiglio europeo di giovedì.

Inoltre, il Tesoro ha collocato un BTP 5 anni (scadenza 1 luglio 2025) e riaperto il BTP 30 anni (scadenza 1 settembre 2050): le richieste degli investitori hanno superato i 110 miliardi di euro complessivi per un’offerta di 16 miliardi (sufficienti a coprire i 15 miliardi dei BTP Italia in scadenza il 23 aprile) ma i tassi sono stati più alti. La BCE ha continuato ad offrire sostegno al mercato (acquistati 20 miliardi la settimana precedente nell’ambito del programma PEPP) riportando lo spread intorno a 220bps.

Con il DEF il Governo italiano porta l’obiettivo deficit/Pil nel 2020 al 10.4% e al 5.7% nel 2021 per effetto dell’eliminazione delle clausole di salvaguardia Iva. Il debito passa al 155.7% nel 2020 e al 152.7% nel 2021 con un Pil tendenziale del -8% per quest’anno e +4.7% il prossimo.

Fra i dati macroeconomici pubblicati in settimana sottolineiamo i PMI (indici di fiducia delle imprese) preliminari di aprile: in Europa i numeri usciti sono parecchio deludenti soprattutto per la parte servizi (da 26.4 a 11.7 vs attese di 22.8) che ha portato il dato aggregato a 13.5 da 29.7. Decisamente più vicini al consenso anche se in calo quelli americani.

Coca Cola riporta bene e batte le stime ma come ormai quasi tutte le società annulla le guidance per il resto dell’anno evidenziando che quindi la visibilità è decisamente limitata.

Qualche dato sulla reporting season: in US, con circa il 20% delle società dell’S&P500 che ha riportato, l’utile risulta in calo del 18% circa (a causa soprattutto del settore finanziario) mentre, in Europa, con il 17% delle società europee il 25% delle società dell’Eurostoxx600, l’utile è in calo del 16% ma dobbiamo considerare una diversa composizione settoriale in quanto in Europa il grosso del settore finanziario deve ancora riportare.

La settimana si è conclusa con una correzione per l’azionario (MSCI World -1.4%), soprattutto europeo (Eurostoxx50 -2.7%), e per il segmento High Yield americano. Poco significative le variazioni sul mercato dei cambi. Commodity in forte correzione (CRY -9%) a causa del crollo del prezzo del petrolio (WTI -32%) mentre l’oro guadagna terreno mantenendosi sopra i 1700 dollari/oncia (+2.12%).

QUESTA SETTIMANA

La settimana delle banche centrali è stata inaugurata dal meeting della BOJ: la banca centrale giapponese ha mantenuto, come atteso, i tassi invariati a -0.10% ma la cosa più importante, e che i mercati si auspicavano, è stata la rimozione dei limiti precedenti (80 trillion yen all’anno, pari a 742 miliardi di dollari) agli acquisti di bond governativi (al fine di mantenere allo 0% il rendimento del JGB a 10 anni) e l’innalzamento del limite agli acquisti di corporate (la BOJ potrà detenere fino a 20 trillion yen, pari a 186 billion USD, in corporate debt  rispetto ai 7.4 precedenti).

Altrettanto importante la proposta da parte del governo di un extra budget per l’economia pari a 25.690 miliardi di yen (240 miliardi di dollari) che comprende la distribuzione di 100.000 yen a ciascun residente (circa 930 dollari).

Mercoledì 29 l’appuntamento sarà con la Fed FOMC: non sono attese variazioni dei tassi attualmente fissati nel range 0%-0.25%.

Giovedì 30 aprile si riunirà la ECB: è probabile che, come ha già fatto la Fed, deciderà di includere le obbligazioni High Yield nel programma di QE dopo averli ammessi come collaterale. Qualcuno si attende una nuova asta TLTRO a tassi agevolati per facilitare il finanziamento delle imprese e un incremento del PEPP (attualmente 750 miliardi).

La settimana vedrà anche la pubblicazione dei dati su GDP del primo trimestre: per US è atteso -3.9% (in declino per la prima volta in 6 anni e con il più forte calo dal 1940), mentre per l’Eurozona le stime sono per un calo di 3.4% (con l’Italia a -5.2%).

In Cina si riunirà lo Standing Committee del Parlamento, in ritardo rispetto ai programmi a causa di covid19.

Il primo maggio, festa in molti paesi, cominceranno ad allentarsi le misure restrittive imposte dalla gestione della pandemia. Negli Stati Uniti saranno i singoli governatori a decidere per il proprio stato.

Il primo maggio, festa in molti paesi, cominceranno ad allentarsi le misure restrittive imposte dalla gestione della pandemia. Negli Stati Uniti saranno i singoli governatori a decidere per il proprio stato.

Sempre il primo maggio entreranno in vigore i tagli alla produzione di petrolio decisi dall’OPEC+ ad aprile (9.7 milioni di barili al giorno).

Prosegue la reporting season in US e in Europa. Riporteranno i risultati circa 200 aziende dell’S&P500 tra le quali segnaliamo Amazon, Twitter, Facebook, Microsoft, Apple, Alphabet, nel tech, ma anche GE, Boeing, 3M negli industrial e Ford, Tesla, Harley Davidson industrial, McDonalds fra i consumer.

CONSIDERAZIONI FINALI

Le preoccupazioni di questo periodo sono, ovviamente, di due tipi: sanitario (si monitora la curva dei contagi) ed economico, sia micro (si monitora l’impatto del lockdown sulle aziende) che macro (sui conti dei paesi più colpiti e più indebitati).

Per quanto riguarda il primo aspetto sarà essenziale che al graduale rilascio delle restrizioni non segua un’impennata dei contagi che porti ad un nuovo lockdown o ad un nuovo intasamento del sistema sanitario.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, dal punto di vista micro-economico, sempre più aziende segnalano la necessita di tornare ad operare altrimenti i danni dello stop diventeranno irreversibili. Il presidente di Brembo, in un’intervista, ha dichiarato che se l’attività produttiva non riprende velocemente, se quindi l’Italia non si aggancia subito alla locomotiva tedesca, il futuro delle aziende italiane sarà a rischio. Le aziende che fanno parte di catene produttive internazionali rischiano di farsi scavalcare e sostituire da concorrenti esteri se non saranno in grado di garantire le forniture. Per non parlare di settori definitivamente danneggiati e che andranno incontro a maggiori costi e minori ricavi come quello turistico e della ristorazione.

Tante imprese si trovano in crisi di liquidità. A tal proposito, su Il sole 24 ore è stato pubblicato un articolo che suggerisce, come soluzione all’aumento dell’indebitamento delle imprese italiane costrette a finanziarsi per ottenere iniezioni di liquidità, di convertire buona parte di questi debiti in capitale di rischio. Si dovrebbe costituire un fondo sottoscritto da Cassa Depositi e Prestiti e magari da istituzioni finanziarie (come ad esempio le fondazioni o i fondi pensione) in grado di acquistare i prestiti convertibili derivanti dalla trasformazione dei debiti bancari. La dimensione dovrebbe essere di 20-25 miliardi e destinato alle imprese di dimensione minima non inferiore a 25 milioni di fatturato e massima 5 miliardi, con 50 addetti. Per le aziende più piccole si dovrebbe pensare a prestiti trasformati in contribuiti a fondo perduto. In questo modo si potrebbe rimettere in moto la nostra economia.

Per quanto riguarda, infine, il punto di vista macro-economico sappiamo bene che gli impatti sui bilanci nazionali degli interventi a supporto dell’economia saranno consistenti. La stessa agenzia Moody’s ritiene che l’affidabilità creditizia dell’Italia, ad esempio, dipende da un piano di bilancio credibile dopo lo shock legato all’epidemia. E’, quindi, indispensabile pensare subito a come intervenire soprattutto qualora dall’Europa non arrivino tempestivamente e nella giusta misura e forma i fondi necessari.

Sempre su Il sole 24 ore, un articolo un po’ provocatorio, suggerisce di sfruttare la ricchezza delle famiglie: gli Stati si dovrebbero finanziare fuori mercato attraverso obbligazioni retai inalienabili ma con possibilità di rimborso anticipato “on-demand” a condizioni certe. Ogni banca centrale nazionale (ad es. la Banca d’Italia) dovrebbe rilevare dal governo la quota di titoli retail rimborsata anticipatamente e si indebiterebbe con la BCE per acquistare quelli emessi, facendosi così carico del rischio di perdite. Se non si trovasse un accordo a livello europeo ogni singolo stato (l’Italia ad esempio) potrebbe emettere obbligazioni con durata da 6 mesi a 3 anni riservate ai retail. Sarebbero obbligazioni non vendibili, con conseguenti rendimenti vantaggiosi, ma rimborsabili anticipatamente (con delle penali ovviamente in modo da incentivare la detenzione fino a scadenza). Si calcola che, a fine 2018, la ricchezza finanziaria netta degli italiani sia stata di circa 3.300 miliardi di euro, di cui il 42% rappresentato da monete e depositi. Se si ipotizzasse di intercettarne il 10% si riuscirebbe a coprire il 50/75% del fabbisogno causato da Covid19 evitando di ricorrere a patrimoniali o a poco interessanti prestiti perpetui a tasso basso. Food for thought.

In leggero calo i rendimenti delle nostre linee di gestione. L’esposizione all’oro e alle valute diverse dall’euro hanno consentito di limitare le perdite.

Analisi dei mercati del 3.03.2020

Settimana a dir poco drammatica sui mercati quella che si è appena conclusa: pesanti i ribassi degli indici azionari e degli obbligazionari a spread, soprattutto high yield ed emergenti. Il “flight to quality” premia i governativi tedeschi e americani, mentre la periferia dell’Europa (soprattutto l’Italia a causa del Covid19) vede spread in allargamento. Guardando ai flussi si sta assistendo, già da qualche settimana, ad un’uscita dal segmento High Yield e conseguente ingresso su quello IG e le performance lo riflettono.

Il pessimismo degli investitori ha ovviamente contagiato anche le commodity con il petrolio arrivato a toccare i 44$ al barile (WTI) e, cosa strana, pure l’oro che, dopo avere superato i 1650 dollari/oncia, venerdì ha ritracciato del 3.6% sorprendendo tutti quelli che lo consideravano un bene rifugio. Le motivazioni di questa discesa sono da ricercarsi nelle vendite forzate dai “margin call” scattati sui risky assets (soprattutto azioni) che hanno costretto a liquidare anche parte delle posizioni costruite sul metallo giallo.

La discesa violenta dei mercati azionari è stata ovviamente causata dalle notizie sul Covid19 riguardo il vertiginoso aumento dei contagi al di fuori del territorio cinese: ad oggi i casi sono quasi 90.000 con circa 3.000 deceduti e 45.000 ricoverati. Impressionante come l’Italia sia balzata al terzo posto in termini di contagi (dopo Cina e Corea del Sud) e al quarto in termini di deceduti (superata dall’Iran).

Lasciando stare le considerazioni sulle metodologie di calcolo e sulla determinazione dei diversi paesi nel prendere atto del problema, quello che condiziona e disorienta i mercati è la velocità di diffusione del virus e l’eventuale non capacità dei sistemi sanitari di stare dietro al problema. Qualcuno teme che i casi possano essere superiori a quelli dichiarati.

Cercando di vedere qualcosa di positivo in quanto sta accadendo, la scorsa settimana avevamo scritto che fra i potenziali effetti di una grave crisi, come quella che potrebbe diventare l’attuale, c’era lo sblocco mentale dei governi (soprattutto dell’eurozona) circa l’applicazione di stimoli fiscali espansivi.

Ad Hong Kong il governo sta pensando sia ad un taglio delle tasse che ad una sorta di “helicopter money” dando 10.000 HKD (circa 1.200 USD) ad ogni persona adulta residente in modo permanente della città. Il pacchetto di manovre di stimolo porterà il deficit fiscale al livello record di 4.8% sul Pil.

Nello stesso giorno in Germania ha annunciato che sta valutando di sospendere, almeno temporaneamente, il limite costituzionale al debito pubblico: mossa che porterebbe uno stimolo di bilancio all’Economia tedesca e dell’eurozona che la BCE richiede da tempo (non a caso Christine Lagarde ha accolto positivamente la notizia).

Infine, il vicepresidente dell’esecutivo europeo Dombrovskis ha ribadito che esiste già una clausola nel Patto di Stabilità prevista per far fronte a tutti i tipi di emergenze e quella relativa al coronavirus rientrerebbe a pieno titolo.

Certo la manovra di Hong Kong è decisamente più incisiva delle notizie provenienti dall’Europa, ma se qualcosa si muove già è buono.

Mentre il ministro Gualtieri ritiene che l’impatto sul Pil del coronavirus sarà limitato, l’agenzia di rating DBRS ritiene la stima del governo troppo ambiziosa e che l’Italia (con la crescita del Pil più debole in Europa) potrebbe risentire, in modo significativo, dell’impatto dell’emergenza sanitaria e tutto dipenderà dalle misure che il Governo metterà in campo.

Tornando al tema del risiko bancario, dopo che il patto Car (Comitato Azionisti di Riferimento che raccoglie il 17.7% del capitale) ha espresso la propria negatività circa l’offerta di Intesa anche il comitato direttivo del Patto dei Mille (che raccoglie l’1.6% del capitale rappresentato da investitori prevalentemente bergamaschi) ha deciso di respingere l’offerta ritenendo il concambio inadeguato rispetto alle prospettive reddituali della banca (offerta inferiore di 1.5-2 miliardi di euro rispetto al valore presunto che dovrebbe avere).

Più della metà delle azioni di UBI Banca è in mano a grandi asset manager e investitori istituzionali sia italiani che esteri. Saranno loro che decideranno le sorti della banca decidendo se avvicinarsi alla posizione dei patti e quindi ritenendo poco congrua l’offerta di Intesa Sanpaolo. Con i due terzi dei voti in assemblea favorevoli la fusione sarebbe automatica. Cattolica aderisce al piano.

Le notizie circa la diffusione del Covid19 continueranno ad essere al centro dell’attenzione degli investitori e saranno una continua fonte di volatilità.

Ieri e questa mattina in Cina sono stati pubblicati i dati PMI di febbraio: veramente notevole la contrazione, oltre le attese, che forse non incorporavano quanto sta succedendo. Il dato aggregato calcolato dall’istituto nazionale è passato da 53 a 28.9 mentre quello calcolato dalla privata Caixin è sceso da 51.1 a 40.3. Si tratta di un crollo che supera anche quanto avvenuto nel 2008. Sono partite le revisioni delle stime di crescita: GS ha indicato 2.5% anno/anno mentre BNP indica addirittura 0.5% anno/anno.

I mercati asiatici aprono comunque positivamente la settimana sulla fiducia che le pesanti misure a sostegno dell’economia attuate dalla PBOC e dal governo daranno i loro frutti.

Questa mattina l’OECD ha pubblicato l’Interim Economic Outlook aggiornando le stime di crescita globali: ci si attende una crescita che potrebbe precipitare ai livelli minimi dell’ultimo decennio a causa del Covid19, ritenuto il pericolo più grande dalla crisi finanziaria del 2008. La crescita globale è stimata scendere da 2.9% a 2.4% (livello più debole dal 2009). Per l’Italia atteso un Pil fermo.

Martedì la campagna elettorale in US si animerà in occasione del “Super Tuesday” quando si voterà in 12 stati per la scelta dell’antagonista democratico di Donald Trump alle prossime elezioni di novembre. Il coronavirus sta mettendo decisamente in secondo piano il tema elettorale americano che invece non dovrebbe assolutamente essere sottovalutato.

Mercoledì e giovedì a Vienna si riuniranno OPEC e OPEC+ per valutare come intervenire sulla produzione di petrolio, e quindi lato offerta, a fronte di una domanda che subisce l’impatto negativo del coronavirus: l’Arabia Saudita premerà per un ulteriore taglio della produzione.

QUESTA SETTIMANA

Intanto in Europa proseguono le negoziazioni tra Unione Europea e UK per la formulazione di un accordo. Boris Johnson ha minacciato di ritirarsi dalle negoziazioni qualora non si arrivasse ad una bozza di possibile accordo entro giugno.

In settimana verranno pubblicati i dati PMI e ISM in US per il mese di febbraio e l’Importante sarà vedere se terranno il livello di 50 che separa l’espansione dalla contrazione. Il dato ISM precedente era di 50.9 e le attese sono per 50.5, per quanto riguarda il comparto manifatturiero mentre quello dei servizi dovrebbe passare da 55.5 a 55.

Sempre negli Stati Uniti venerdì verrà pubblicato il report sul mercato del lavoro relativo al mese di febbraio: atteso tasso di disoccupazione stabile a 3.6% e aumento di salari di 3%.

Anche in Europa è prevista la pubblicazione dei dati PMI di febbraio. Vale la stessa considerazione fatta per gli USA: importante la tenuta del livello di 50 per il dato aggregato.

Martedì si riunirà la Reserve Bank of Australia: attesi tassi stabili a 0.75% anche se il mercato prezza con una probabilità del 15% un taglio di 25bps.

Estremamente difficile capire come posizionarsi con i portafogli, se è meglio stare alla finestra o se (e quando) approfittare della debolezza evitando il cosiddetto “catching the falling knife”.

Quello che in generale si legge in questo periodo sono le statistiche sui casi precedenti di epidemie e conseguenti correzioni dei mercati che, più o meno lunghe, sono state nell’ordine del 10-15%.

Sappiamo che le banche centrali, a maggior ragione ora, sono estremamente disponibili a mantenere condizioni monetarie accomodanti e, se c’è spazio, a renderle ancora più accomodanti. La Fed potrebbe tagliare anche nella prossima riunione del 18 marzo. Abbiamo visto, la scorsa settimana, che qualche intervento governativo a sostegno si comincia a intravedere (HK con una sorta di “helicopter money”, la Germania con una maggiore disponibilità a spendere). Tutti elementi estremamente positivi se destinati a proseguire, soprattutto in Europa, dove c’è una maggiore resistenza in tal senso.

È, però, fondamentale che la paralisi dell’attività produttiva non duri troppo a lungo. Si creerebbe un problema dal lato dell’offerta difficilmente affrontabile con politiche monetarie e/o fiscali.

Cercando di razionalizzare al massimo quanto sta succedendo, penso che dovremmo mantenere separati i ragionamenti in ambito sanitario, dalle conseguenze economiche e dalle reazioni sui mercati. Ovviamente sono tutti concatenati ma il “timing” e l’entità della reazione fanno la differenza.

Sul piano sanitario, non essendo esperti della materia, possiamo solo leggere e documentarci. Oltre a seguire l’evoluzione del numero di casi e del tasso di mortalità (variabili, per definizione, disponibili ex post) si deve cercare di essere lucidi e, in qualche modo, prendere una posizione. Sicuramente siamo di fronte a qualcosa di più di una semplice influenza, soprattutto per la velocità nella diffusione. Le autorità è giusto che cerchino di tutelare la parte della popolazione più vulnerabile (anziani e soggetti con patologie gravi), soprattutto in funzione della capacità delle strutture ospedaliere, cercando di limitare al massimo la diffusione.

C’è da dire, però, che il tasso di mortalità è basso e possiamo ipotizzare (e soprattutto sperare) che la situazione si risolva, o forse è meglio dire che il picco si superi, nel prossimo mese, magari con la fine della stagione fredda.

Sul piano economico è evidente, e le stime dell’OCSE di oggi lo confermano, che ci sarà un impatto notevole sui dati macroeconomici in uscita nei prossimi mesi, soprattutto quelli riferiti al primo trimestre (ne abbiamo avuto un assaggio oggi con i pessimi dati sui PMI cinesi). Qualora la situazione sanitaria non peggiori ulteriormente, tale impatto potrebbe essere limitato alla prima parte dell’anno (primo trimestre molto brutto, secondo meno) con una ripresa nella seconda parte dell’anno. Tutto dipende dalla durata delle misure a tutela della salute dei cittadini intraprese nelle zone più impattate (Cina ed Europa soprattutto) e dalla conseguente paralisi del sistema produttivo e della domanda.

Infine, viene il piano relativo ai mercati: le borse tendono prima a prezzare il peggio poi, analizzando bene la situazione e avendo maggiore visibilità sul futuro, si ricalibrano su livelli più coerenti con gli effettivi impatti.

Se guardiamo alla performance dei mercati dai massimi di metà febbraio notiamo che la correzione dell’MSCI World è nell’ordine del 13% per quasi tutti i mercati quindi in media con le correzioni precedenti post epidemie. Sul piano valutativo (anche se bisogna capire quanto gli analisti hanno rivisto le stime) i multipli si sono decisamente ridimensionati e qualcuno considera i livelli attuali coerenti con una crescita nulla dei profitti per il 2020 delle aziende americane (giusto per avere un’idea di quanto i mercati prezzano).

I mercati locali cinesi (vedi indice CSI300) hanno corretto prima degli altri (a metà gennaio) ed ora sono quasi tornati ai livelli pre-crisi, segno che il passaggio del picco (stimato) e gli interventi a supporto, sia monetari che fiscali, sono stati utili e ben accolti dagli investitori.

A questo punto viene da chiedersi se è il caso di approfittare della correzione per entrare sui mercati azionari globali o aspettare migliori punti di ingresso.

Negli ultimi Comitati Investimento di SCM Sim, tenutisi prima della diffusione del virus fuori dai confini cinesi, l’idea era di incrementare la componente azionaria dei portafogli (attualmente sottopeso) su eventuali marcate correzioni.

Quella a cui stiamo assistendo può essere considerata tale pertanto stiamo valutando quando entrare e in che misura. Solo ex-post è possibile identificare il punto di minimo dei mercati, quindi nessuno ha la presunzione di farlo. Si può solo cercare di ragionare e gestire con razionalità i portafogli andando ad accumulare quando si ritiene di essere in un intorno di un bottom.

Analisi dei mercati del 06.11.2019

Ancora una settimana positiva, soprattutto per i mercati azionari grazie alle buone notizie circa i negoziati fra Cina e Stati Uniti ma anche grazie alla reporting season americana che sorprende le aspettative degli analisti.

Riguardo al primo punto siamo molto vicini alla Fase 1 dell’accordo.

Nonostante i disordini in Cile abbiano portato alla cancellazione del meeting APEC, durante il quale USA e Cina avrebbero dovuto incontrarsi per la firma, e nonostante la Cina metta in dubbio la possibilità di raggiungere un accordo di lungo periodo con Trump, a causa di una certa diffidenza sulla controparte soprattutto riguardo alla cancellazione totale di tutti i dazi, il presidente americano riporta ottimismo dichiarando che verrà trovata un’altra location per la firma (la Cina sembra abbia proposto Macao) e che comunque l’accordo di primo livello smarcherà circa il 60% delle questioni.

Secondo Reuters la Cina avrebbe, tra l’altro, intenzione di togliere il divieto all’importazione di pollami dagli Stati Uniti come primo passo verso un accordo (l’importazione di polli è stata vietata nel 2015 a causa dell’influenza aviaria). Intanto l’agenzia del commercio americana (USTR) valuta se estendere la sospensione dei dazi, in scadenza a fine mese, su 34 miliardi di dollari di beni cinesi. Quindi l’aumento pre-natalizio delle tariffe potrebbe essere nuovamente posticipato al 2020.

Certo i dubbi su una Fase 2 dell’accordo rimangono ma i mercati hanno letto positivamente la notizia.

Per quanto riguarda la reporting season americana, con il 72% delle società (che rappresentano circa l’80% della market cap) che hanno pubblicato il risultato per il terzo trimestre del 2019, la crescita degli utili è, nel complesso, nulla. La buona notizia è che gli analisti si aspettavano una contrazione dei profitti nell’ordine di circa il 5% quindi la “sorpresa” è stata positiva e il mercato l’ha premiata.

In settimana si sono riunite un po’ di banche centrali: Fed, Bank of Japan e Bank of Canada.

La Fed ha, come atteso, tagliato i tassi di 25bps portandoli nel range 1.50%-1.75%. La decisione è stata presa a maggioranza e dal comunicato è scomparsa la frase secondo cui la Fed “agirà in modo appropriato per sostenere l’espansione economica”. Durante la conferenza stampa il presidente Powell ha confermato che l’orientamento di politica economica rimarrà verosimilmente appropriato finché l’economia manterrà una crescita moderata, un mercato del lavoro forte e un’inflazione vicina al target del 2%. Si conferma, quindi, quanto abbiamo scritto nell’ultimo commento, ovvero un’attitudine “data driven” della Fed.

Source: Bloomberg

Gli acquisti dei titoli proseguiranno fino alla metà del 2020 mentre la forward guidance non verrà più utilizzata. Eventuali rialzi dei tassi ci saranno solo quando l’inflazione salirà in modo sostanziale.

Riguardo alle tensioni sull’interbancario, la Fed sta indagando sui motivi che limitano le banche dal rimettere in circolazione la liquidità in eccesso; non è quindi emersa una soluzione strutturale del problema.

La BOJ ha lasciato, come atteso, i tassi invariati (a -0.10%) segnalando che potrebbe tagliarli nel prossimo futuro qualora l’economia dovesse indebolirsi ulteriormente. Il target per il rendimento del decennale nipponico è stato confermato intorno allo zero. Il programma di acquisto titoli è confermato al ritmo di 80.000 miliardi di yen all’anno ma la forward guidance è stata modificata in senso più accomodante indicando che la Banca Centrale è pronta ad un nuovo allentamento monetario se necessario.

Anche la Bank of Canada ha mantenuto i tassi invariati ma confermando la disponibilità a tagliarli nei prossimi mesi qualora l’economia lo richieda.

Per quanto riguarda i dati macro pubblicati in settimana segnaliamo i seguenti:

  • I PMI cinesi sono usciti misti: quelli calcolati dall’agenzia statale (relativi soprattutto alle grandi imprese, principalmente pubbliche) mostrano cali superiori alle attese mentre quelli calcolati da Caixin (agenzia privata la cui survey ha come focus aziende più piccole e non pubbliche) sono in miglioramento e superiori alle stime.
  • Hong Kong entra ufficialmente in recessione tecnica dopo la pubblicazione del dato sul Pil per il terzo trimestre a -2.9% anno/anno (verso attese di -0.3%).
  • Il Pil US per il terzo trimestre (+1.9%) è uscito in calo rispetto al dato precedente (+2%) ma meglio delle aspettative (+1.6%) soprattutto grazie ai consumi (+2.9%) che, seppure in calo, hanno sorpreso in positivo e, rappresentando il 70% dell’economia, sono ancora il principale motore di crescita.
  • I consumi sono sostenuti da un solido mercato del lavoro i cui dati, usciti venerdì 1° novembre, risultano molto positivi: i nuovi occupati crescono più delle aspettative, il tasso di disoccupazione rimane stabile a 3.6% e non c’è pressione salariale.
  • Pil in Eurozona relativi al terzo trimestre: il dato aggregato passa da +1.2% a +1.1% (in linea con le aspettative) ma a livello geografico sorprende positivamente quello italiano (+0.3% da un precedente +0.1% e attese per +0.2%) grazie alla domanda interna.
Source: Bloomberg

Infine, qualche aggiornamento sulla Brexit: il Parlamento britannico ha deliberato che il 12 dicembre si terranno le elezioni. Dopo che la proposta di Boris Johnson è stata bocciata lunedì sera, il premier ha presentato una mozione di revoca della legge del 2011 ottenendo, quindi, di fare passare la proposta con una maggioranza semplice (e non più qualificata).

A questo punto spetta alla Regina sciogliere le Camere 25 giorni prima rispetto al giorno delle elezioni, quindi il Governo resterà in carica fino al 7 novembre. In caso di vittoria alle elezioni Johnson si ripresenterà in Parlamento con un nuovo accordo.

A livello settoriale, in Europa, segnaliamo un po’ di fermento nel settore auto con la notizia di una possibile fusione tra la francese PSA Group e FCA NV che creerebbe un potente rivale di Volkswagen e il quarto gruppo automobilistico mondiale; inoltre, sembra che le negoziazioni con gli americani stiano procedendo bene e il temuto rialzo dei dazi potrebbe essere rimandato. Soffre, invece, il settore bancario dopo la pubblicazione dei risultati di Banco Santander (a causa di pesanti oneri straordinari) e di Deutsche Bank.

QUESTA SETTIMANA

Anche questa settimana avremo la pubblicazione di una serie di dati macro utili per testare lo stato del ciclo economico: in area Euro verranno pubblicati i PMI manifatturieri e relativi ai servizi; negli Stati Uniti l’ISM non manifatturiero e i PMI servizi e composite e in Cina i Caixin services PMI.

Fra le Banche centrali, si riunirà la Reserve Bank of Australia (attesi tassi invariati a 0.75%) e giovedì 7 novembre sarà la volta della Bank of England (attesi tassi invariati a 0.75%), rilevante alla luce dei recenti sviluppi sulla Brexit: uno studio inglese, infatti, quantifica in circa 70 miliardi all’anno, la perdita per l’economia britannica in caso di uscita dall’Unione Europea (circa 3.5% del Pil) su un orizzonte di dieci anni.

L’OPEC, riunito a Vienna, pubblicherà il World Oil Outlook.

Questa settimana riporteranno i dati trimestrali parecchie società italiane tra le quali segnaliamo le banche (Intesa Sanpaolo, Banco BPM, Banca Monte dei Paschi di Siena, Unicredit e UBI tra le principali), Poste Italiane, Assicurazioni Generali e Ferrari.

POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Come abbiamo spesso commentato il posizionamento degli investitori talvolta è sproporzionato rispetto al reale stato dell’economia. La conseguenza di un posizionamento troppo sbilanciato sono i flussi che si generano quando tutti gli investitori decidono di ricalibrare l’asset allocation. Un esempio di riposizionamento lo stiamo vedendo in queste settimane anche se da alcune survey sembra che la negatività dei portafogli sia ancora elevata.

Cosa ha determinato il riposizionamento? Sicuramente la percezione di un miglioramento nelle trattative USA-Cina, in quella, cioè, che rappresenta la principale incognita per gli investitori e per l’economia, poi la constatazione che, per ora, gli utili aziendali tengono e, infine, per quanto riguarda soprattutto gli Stati Uniti, una conferma del buono stato dell’economia e la notizia di un possibile sgravio fiscale per le famiglie americane a partire dal 2020.

Abbiamo, quindi, almeno per gli Stati Uniti, una banca centrale accomodante (anche se “data dependent”), una politica fiscale probabilmente ancora espansiva e un’economia che tiene discretamente bene. Non deve, quindi, sorprendere che il mercato azionario abbia raggiunto nuovi massimi.

In Europa gli ingredienti sono un po’ diversi: la politica monetaria è sì molto accomodante ma con le armi un po’ spuntate e l’economia non è sicuramente in buono stato. Nonostante ciò la performance, pur non ai massimi assoluti, da inizio anno è di poco inferiore a quella americana. Sicuramente la mancanza di alternativa, lato obbligazionario, ha svolto un discreto ruolo. Ulteriore upside potrebbe derivare dall’elemento mancante rispetto agli stati Uniti, ovvero la politica fiscale espansiva. A tal proposito, in settimana, anche la presidente entrante della BCE ha dichiarato che i paesi della zona euro con un avanzo di bilancio (vedi Germania) dovrebbero fare di più per spingere la crescita, dimostrando di essere perfettamente allineata al suo predecessore.