Ancora una settimana positiva, soprattutto per i mercati azionari grazie alle buone notizie circa i negoziati fra Cina e Stati Uniti ma anche grazie alla reporting season americana che sorprende le aspettative degli analisti.
Riguardo al primo punto siamo molto vicini alla Fase 1 dell’accordo.
Nonostante i disordini in Cile abbiano portato alla cancellazione del meeting APEC, durante il quale USA e Cina avrebbero dovuto incontrarsi per la firma, e nonostante la Cina metta in dubbio la possibilità di raggiungere un accordo di lungo periodo con Trump, a causa di una certa diffidenza sulla controparte soprattutto riguardo alla cancellazione totale di tutti i dazi, il presidente americano riporta ottimismo dichiarando che verrà trovata un’altra location per la firma (la Cina sembra abbia proposto Macao) e che comunque l’accordo di primo livello smarcherà circa il 60% delle questioni.
Secondo Reuters la Cina avrebbe, tra l’altro, intenzione di togliere il divieto all’importazione di pollami dagli Stati Uniti come primo passo verso un accordo (l’importazione di polli è stata vietata nel 2015 a causa dell’influenza aviaria). Intanto l’agenzia del commercio americana (USTR) valuta se estendere la sospensione dei dazi, in scadenza a fine mese, su 34 miliardi di dollari di beni cinesi. Quindi l’aumento pre-natalizio delle tariffe potrebbe essere nuovamente posticipato al 2020.
Certo i dubbi su una Fase 2 dell’accordo rimangono ma i mercati hanno letto positivamente la notizia.
Per quanto riguarda la reporting season americana, con il 72% delle società (che rappresentano circa l’80% della market cap) che hanno pubblicato il risultato per il terzo trimestre del 2019, la crescita degli utili è, nel complesso, nulla. La buona notizia è che gli analisti si aspettavano una contrazione dei profitti nell’ordine di circa il 5% quindi la “sorpresa” è stata positiva e il mercato l’ha premiata.
In settimana si sono riunite un po’ di banche centrali: Fed, Bank of Japan e Bank of Canada.
La Fed ha, come atteso, tagliato i tassi di 25bps portandoli nel range 1.50%-1.75%. La decisione è stata presa a maggioranza e dal comunicato è scomparsa la frase secondo cui la Fed “agirà in modo appropriato per sostenere l’espansione economica”. Durante la conferenza stampa il presidente Powell ha confermato che l’orientamento di politica economica rimarrà verosimilmente appropriato finché l’economia manterrà una crescita moderata, un mercato del lavoro forte e un’inflazione vicina al target del 2%. Si conferma, quindi, quanto abbiamo scritto nell’ultimo commento, ovvero un’attitudine “data driven” della Fed.
Gli acquisti dei titoli proseguiranno fino alla metà del 2020 mentre la forward guidance non verrà più utilizzata. Eventuali rialzi dei tassi ci saranno solo quando l’inflazione salirà in modo sostanziale.
Riguardo alle tensioni sull’interbancario, la Fed sta indagando sui motivi che limitano le banche dal rimettere in circolazione la liquidità in eccesso; non è quindi emersa una soluzione strutturale del problema.
La BOJ ha lasciato, come atteso, i tassi invariati (a -0.10%) segnalando che potrebbe tagliarli nel prossimo futuro qualora l’economia dovesse indebolirsi ulteriormente. Il target per il rendimento del decennale nipponico è stato confermato intorno allo zero. Il programma di acquisto titoli è confermato al ritmo di 80.000 miliardi di yen all’anno ma la forward guidance è stata modificata in senso più accomodante indicando che la Banca Centrale è pronta ad un nuovo allentamento monetario se necessario.
Anche la Bank of Canada ha mantenuto i tassi invariati ma confermando la disponibilità a tagliarli nei prossimi mesi qualora l’economia lo richieda.
Per quanto riguarda i dati macro pubblicati in settimana segnaliamo i seguenti:
- I PMI cinesi sono usciti misti: quelli calcolati dall’agenzia statale (relativi soprattutto alle grandi imprese, principalmente pubbliche) mostrano cali superiori alle attese mentre quelli calcolati da Caixin (agenzia privata la cui survey ha come focus aziende più piccole e non pubbliche) sono in miglioramento e superiori alle stime.
- Hong Kong entra ufficialmente in recessione tecnica dopo la pubblicazione del dato sul Pil per il terzo trimestre a -2.9% anno/anno (verso attese di -0.3%).
- Il Pil US per il terzo trimestre (+1.9%) è uscito in calo rispetto al dato precedente (+2%) ma meglio delle aspettative (+1.6%) soprattutto grazie ai consumi (+2.9%) che, seppure in calo, hanno sorpreso in positivo e, rappresentando il 70% dell’economia, sono ancora il principale motore di crescita.
- I consumi sono sostenuti da un solido mercato del lavoro i cui dati, usciti venerdì 1° novembre, risultano molto positivi: i nuovi occupati crescono più delle aspettative, il tasso di disoccupazione rimane stabile a 3.6% e non c’è pressione salariale.
- Pil in Eurozona relativi al terzo trimestre: il dato aggregato passa da +1.2% a +1.1% (in linea con le aspettative) ma a livello geografico sorprende positivamente quello italiano (+0.3% da un precedente +0.1% e attese per +0.2%) grazie alla domanda interna.
Infine, qualche aggiornamento sulla Brexit: il Parlamento britannico ha deliberato che il 12 dicembre si terranno le elezioni. Dopo che la proposta di Boris Johnson è stata bocciata lunedì sera, il premier ha presentato una mozione di revoca della legge del 2011 ottenendo, quindi, di fare passare la proposta con una maggioranza semplice (e non più qualificata).
A questo punto spetta alla Regina sciogliere le Camere 25 giorni prima rispetto al giorno delle elezioni, quindi il Governo resterà in carica fino al 7 novembre. In caso di vittoria alle elezioni Johnson si ripresenterà in Parlamento con un nuovo accordo.
A livello settoriale, in Europa, segnaliamo un po’ di fermento nel settore auto con la notizia di una possibile fusione tra la francese PSA Group e FCA NV che creerebbe un potente rivale di Volkswagen e il quarto gruppo automobilistico mondiale; inoltre, sembra che le negoziazioni con gli americani stiano procedendo bene e il temuto rialzo dei dazi potrebbe essere rimandato. Soffre, invece, il settore bancario dopo la pubblicazione dei risultati di Banco Santander (a causa di pesanti oneri straordinari) e di Deutsche Bank.
QUESTA SETTIMANA
Anche questa settimana avremo la pubblicazione di una serie di dati macro utili per testare lo stato del ciclo economico: in area Euro verranno pubblicati i PMI manifatturieri e relativi ai servizi; negli Stati Uniti l’ISM non manifatturiero e i PMI servizi e composite e in Cina i Caixin services PMI.
Fra le Banche centrali, si riunirà la Reserve Bank of Australia (attesi tassi invariati a 0.75%) e giovedì 7 novembre sarà la volta della Bank of England (attesi tassi invariati a 0.75%), rilevante alla luce dei recenti sviluppi sulla Brexit: uno studio inglese, infatti, quantifica in circa 70 miliardi all’anno, la perdita per l’economia britannica in caso di uscita dall’Unione Europea (circa 3.5% del Pil) su un orizzonte di dieci anni.
L’OPEC, riunito a Vienna, pubblicherà il World Oil Outlook.
Questa settimana riporteranno i dati trimestrali parecchie società italiane tra le quali segnaliamo le banche (Intesa Sanpaolo, Banco BPM, Banca Monte dei Paschi di Siena, Unicredit e UBI tra le principali), Poste Italiane, Assicurazioni Generali e Ferrari.
POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE
Come abbiamo spesso commentato il posizionamento degli investitori talvolta è sproporzionato rispetto al reale stato dell’economia. La conseguenza di un posizionamento troppo sbilanciato sono i flussi che si generano quando tutti gli investitori decidono di ricalibrare l’asset allocation. Un esempio di riposizionamento lo stiamo vedendo in queste settimane anche se da alcune survey sembra che la negatività dei portafogli sia ancora elevata.
Cosa ha determinato il riposizionamento? Sicuramente la percezione di un miglioramento nelle trattative USA-Cina, in quella, cioè, che rappresenta la principale incognita per gli investitori e per l’economia, poi la constatazione che, per ora, gli utili aziendali tengono e, infine, per quanto riguarda soprattutto gli Stati Uniti, una conferma del buono stato dell’economia e la notizia di un possibile sgravio fiscale per le famiglie americane a partire dal 2020.
Abbiamo, quindi, almeno per gli Stati Uniti, una banca centrale accomodante (anche se “data dependent”), una politica fiscale probabilmente ancora espansiva e un’economia che tiene discretamente bene. Non deve, quindi, sorprendere che il mercato azionario abbia raggiunto nuovi massimi.
In Europa gli ingredienti sono un po’ diversi: la politica monetaria è sì molto accomodante ma con le armi un po’ spuntate e l’economia non è sicuramente in buono stato. Nonostante ciò la performance, pur non ai massimi assoluti, da inizio anno è di poco inferiore a quella americana. Sicuramente la mancanza di alternativa, lato obbligazionario, ha svolto un discreto ruolo. Ulteriore upside potrebbe derivare dall’elemento mancante rispetto agli stati Uniti, ovvero la politica fiscale espansiva. A tal proposito, in settimana, anche la presidente entrante della BCE ha dichiarato che i paesi della zona euro con un avanzo di bilancio (vedi Germania) dovrebbero fare di più per spingere la crescita, dimostrando di essere perfettamente allineata al suo predecessore.