Analisi dei mercati dell’8.02.2021

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Con l’inizio del mese di febbraio il clima sui mercati è diventato più positivo: esattamente gli stessi motivi che avevano creato preoccupazione ed erano stati alla base della correzione della settimana precedente questa volta hanno creato sollievo.

La campagna di vaccinazione prosegue abbastanza spedita pur con delle notevoli differenze geografiche e regionali: Ursula Von der Leyen, a capo dell’Unione Europea, ritiene che il 70% della popolazione europea sarà vaccinata entro l’estate; la cancelliera tedesca Angela Merkel vuole arrivare ad avere l’intera popolazione vaccinata entro fine settembre ma nel frattempo pensa di protrarre lo stato di emergenza (in scadenza a marzo) fino a giugno ed estendere le restrizioni fino a fine febbraio; il Regno Unito punta a vaccinare il 70% degli abitanti entro marzo e sta addirittura studiando se è possibile mischiare vaccini diversi (AstraZeneca e Pfizer), i risultati del test saranno pronti entro l’estate; negli Stati Uniti si procede con somministrazioni del vaccino ad una velocità doppia rispetto agli altri paesi e i risultati si cominciano a vedere sulla diminuzione delle ospedalizzazioni e sul fatto che il numero dei vaccinati ha superato quello dei contagiati. Israele, che sappiamo essere decisamente più avanti di tutti, dichiara che entro due settimane avrà vaccinato il 90% della popolazione sopra i 55 anni dopodiché comincerà a riaprire gradualmente l’economia e a vaccinare fasce di età via via più basse.

Anche le notizie provenienti dagli Stati Uniti sui progressi fatti sullo stimolo fiscale hanno avuto un impatto decisamente positivo. In un incontro tra Biden e alcuni senatori repubblicani si è cercato di formulare un piano per salvare il paese avvicinandosi a quello originario dei democratici pari a 1.900 miliardi di dollari. Sul tema controverso degli assegni ai cittadini l’accordo potrebbe arrivare su una cifra più bassa (1000 dollari invece di 1400) e scalettata in base al reddito. Sopra una certa soglia non dovrebbero essere previsti assegni (50k per single invece di 75k, 100k per coppie invece di 150k) e in questo modo circa il 75% della popolazione ne beneficerebbe (invece del 94%). Nel caso non si riuscisse a trovare un accordo i Democratici sarebbero disposti a proseguire anche senza il supporto repubblicano sul piano da 1.900 miliardi di dollari attraverso la procedura della riconciliazione del bilancio.

In un recente dibattito Janet Yellen (attualmente al Tesoro americano e precedentemente presidente della Fed) ha affermato che il piano da 1.900 miliardi di dollari consentirebbe di arrivare alla piena occupazione il prossimo anno. Il rischio di generare una rapida ripresa dell’inflazione esiste e va controllato sapendo che esistono strumenti per gestirlo, ma il costo sociale di una disoccupazione ancora elevata è troppo alto e quindi il piano fiscale deve assolutamente intervenire in tal senso.

La pressione al rialzo sulla curva dei tassi americana è evidente soprattutto nel tratto 5-30 anni. Proprio questa mattina il trentennale americano si è avvicinato al 2% raggiungendo così i livelli pre-pandemia di febbraio 2020. Tuttavia, i tassi reali (vero focus delle banche centrali) grazie al rialzo proporzionale delle aspettative di inflazione riescono a rimanere stabili dando così supporto ai mercati azionari.  

Anche in Asia i governi non si risparmiano con le politiche fiscali espansive: in Korea stanno preparando il quinto giro di “helicopter money” e in India il budget è decisamente più espansivo di quanto ci si aspettasse.

Abbiamo ribadito giusto la scorsa volta che i mercati sono estremamente dipendenti sia dal newsflow sulle politiche fiscali che da quello sulle politiche monetarie.

Partendo dall’Asia, in settimana, i dati pubblicati mostrano che la base monetaria giapponese è salita circa del 19% e la BOJ dichiara che c’è ancora spazio per abbassare ulteriormente i tassi nominali al fine di evitare shock economici; in Australia la banca centrale ha annunciato che ad aprile incrementerà il programma di acquisto titoli (QE) di altri sei mesi con 100 miliardi di dollari di target e i tassi rimarranno vicini allo zero finché la disoccupazione non avrà raggiunto un livello tale da fare salire stipendi e inflazione. La banca centrale cinese (PBOC) ha iniettato liquidità nel sistema facendo rientrare l’allarme sull’interbancario delle ultime settimane.

Passando all’Europa, la Bank of England, che ha lasciato la politica monetaria invariata, sebbene abbia tagliato le stime di crescita del Pil per il 2021 dal 7.5% (di novembre) al 5%, ha espresso un forte ottimismo sull’economia britannica grazie al buon andamento della campagna di vaccinazione. Ha ribadito, inoltre, che le banche devono prepararsi alla possibilità di tassi negativi (in relazione ai quali starebbe studiando un sistema “tiered” come la BCE) anche se attualmente non sono previsti perché giudicati poco attraenti. La sterlina ha beneficiato dell’ottimismo prospettico.

In Italia è stata accolta in modo decisamente positivo la notizia, circolata nella serata di martedì, sulla convocazione al Quirinale dell’ex governatore della BCE Mario Draghi. Anche prima che Draghi accettasse l’incarico i BTP hanno beneficiato di un notevole restringimento dello spread dovuto sia alla figura assolutamente outstanding di Draghi sia al fatto che, in questo modo, si dovrebbero evitare elezioni anticipate ed una possibile deriva antieuropeista del governo. In generale tutto il mercato azionario ha tratto giovamento dalla notizia (FtsiMib +7%) ma alcuni titoli sono stati comprati con più decisione perché ci si attende che alcuni dossier che li riguardano possano sbloccarsi con il nuovo potenziale primo ministro: parliamo di Atlantia +21% (Autostrade per l’Italia secondo il vecchio esecutivo dovrebbe essere ceduta a CdP), MPS +12.3% (la quota in mano al Tesoro deve essere ceduta in tempi brevi) e in generale dei titoli appartenenti ai settori che beneficeranno dei fondi del recovery plan ad esempio la digitalizzazione e quindi la nascita della rete unica di Tim (+8%).

Per quanto riguarda i dati macroeconomici usciti in settimana vale la pena citare quello sul Pil dell’eurozona che, rispetto agli Stati Uniti, ha dimostrato come la diversa gestione della pandemia ha effetto sulla crescita: le minori restrizioni in US e le diverse politiche di supporto della crisi stanno riportano la crescita sul sentiero precedente mentre in Europa la crescita è tornata, nel quarto trimestre, leggermente negativa e sarà tale anche nel primo trimestre.

Se guardiamo ai dati di fiducia delle imprese PMI per gennaio, indicatori più prospettici, la situazione è sostanzialmente stabile: il comparto manifatturiero è in fase di espansione (PMI maggiore di 50) quasi sia in Europa che negli Stati Uniti, mentre quello relativo ai servizi in Europa è in ripresa ma rimane sotto la soglia del 50 mentre negli Stati Uniti si conferma in fase di espansione.

Il mercato del lavoro americano per il mese di gennaio ha mostrato un aumento del numero di nuovi occupati inferiore rispetto alle attese e il dato precedente è stato rivisto al ribasso. Il tasso di disoccupazione passa dal 6.7% al 6.3% con un leggero incremento dei salari orari su base annuale (+5.4%). Proprio questi dati sono stati alla base delle argomentazioni della Yellen (citate sopra) circa la necessità di un nuovo sostegno fiscale.

La volontà dell’Opec+ di proseguire, in modo coeso, con la politica decisa finora e senza riduzione dei tagli, porta il WTI sopra i 56$ (Brent europeo sopra 59$). Inoltre, sia in US che in Cina stanno calando le scorte, segno che si sta riducendo l’eccesso di petrolio. Il prossimo incontro mensile è previsto per il 4 marzo. L’andamento del prezzo del petrolio merita di essere seguito con attenzione dato che impatta direttamente sull’inflazione.

Sembra essere, per il momento, rientrato il fenomeno descritto la scorsa volta relativo agli acquisti degli investitori retail su alcuni titoli americani e lunedì anche sull’argento. Per quanto riguarda quest’ultimo il CME (Chicago Mercantile Exchange – la piazza su cui vengono scambiati i contratti derivati) ha aumentato i margini richiesti per operare sui futures sull’argento a quasi il 18% rendendo quindi più onerosa la speculazione.

La reporting season prosegue decisamente bene: fra le principali società che hanno riportato segnaliamo che sia Alphabet (Google) che Amazon hanno superano abbondantemente le aspettative in termini di utili. Il CEO di Amazon, Jeff Bezos, ha annunciato che lascerà il ruolo di AD e andrà a ricoprire quello di Presidente.

Per quanto riguarda l’aggregato delle società che hanno riportato circa il 50% di quelle dell’S&P500 ha avuto una crescita del fatturato pari al 2.5% e degli utili pari al 5.5%; su entrambe le metriche circa l’80% delle società ha battuto le attese degli analisti con una sorpresa media sugli utili del 15% (ovvero gli utili pubblicati sono stati mediamente superiori alle attese del 15%). In Europa la stagione è ancora all’inizio (solo il 20% delle società ha riportato) ma i numeri sono decisamente più deludenti avendo, per ora, una crescita negativa sia di fatturato che di utili.

Abbiamo di recente parlato del tema dei buyback: questa settimana, dopo gli ottimi risultati favoriti anche dalle vendite consistenti di iPhone (circa un milione al giorno fra ottobre e dicembre 2020), Apple ha annunciato che procederà ad un buyback azionario attraverso il cash raccolto da emissioni di bond per 14 miliardi. Questa pratica ha il duplice vantaggio: da un lato consente di sfruttare tassi bassi per migliorare il costo dell’indebitamento medio dell’azienda (il famoso concetto di WACC – weighted average cost of capital) attraverso un migliore mix di azioni (più costose) e obbligazioni (meno costose), dall’altro permette di alzare la redditività aziendale agendo direttamente sul denominatore del ROE (Return of Equity = utili/patrimonio netto).

QUESTA SETTIMANA

La situazione pandemica nel mondo è abbastanza variegata: a fronte di casi in riduzione in alcuni paesi ci sono decisioni più o meno diffuse di mantenere in atto le restrizioni per scongiurare che le varianti (con virus più resistenti ai vaccini) possano diffondersi e in attesa che le campagne di vaccinazione rendano evidenti i primi effetti.

In Cina (e in qualche altro paese asiatico) questa sarà la settimana del Nuovo Anno Lunare, che inizierà venerdì 12 sotto il segno del bue (o bufalo). Solitamente in Cina la chiusura delle fabbriche e il ritorno dei lavoratori presso le loro abitazioni crea un notevole movimento di persone. Quest’anno il governo ha espressamente richiesto di limitare gli spostamenti ed alcune aziende hanno anche deciso di non chiudere.

Oggi, lunedì 8 febbraio, il Senato americano discuterà il secondo processo di impeachment dell’ex presidente Trump. La Camera si era espressa favorevolmente a tale provvedimento dopo i fatti drammatici di Capitol Hill del 6 gennaio.

Vista l’importanza prospettica del tema inflazione, mercoledì 10 febbraio, saranno guardati con interesse i dati sul CPI (consumer price index) negli Stati Uniti relativi al mese di gennaio.

La reporting season vedrà fra i protagonisti società come Twitter, Cisco, Astrazeneca, General Motors, Coca Cola e Walt Disney.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Dopo che il Presidente Mattarella ha affidato a Mario Draghi l’incarico di formare un governo molti hanno fatto il paragone tra lui e Mario Monti (Presidente del Consiglio dal 2011 al 2013). Al di là di una diversa formazione teorica, la grande differenza fra i due riguarda il momento congiunturale che stiamo vivendo e cosa l’Europa ci chiede di fare: con Monti andavano ricostruiti i rapporti con Bruxelles e, soprattutto, risistemati i conti pubblici, questa volta, invece, l’Europa chiede come il nostro paese intende utilizzare i soldi stanziati con il Recovery Plan.

Quindi, mentre a Monti era richiesto un programma di austerità, a Draghi viene chiesto un programma di spesa volto a fare ripartire l’economia, cosa completamente diversa anche dal punto di vista del consenso popolare.

Mario Draghi quando era a capo della BCE ha dimostrato un approccio molto diverso dall’ortodossia classica tedesca e ha lanciato un piano di Quantitative Easing enorme che ha salvato l’euro e l’unione europea. Draghi è, infatti, ricordato per la celebre frase “The ECB il ready to do whatever it takes to preserve the euro. And, believe me, it will be enough”.

Purtroppo, all’epoca, la politica monetaria estremamente accomodante è andata a braccetto con una politica fiscale estremamente rigorosa e con un sistema bancario che, dovendo rispettare severi vincoli patrimoniali, non poteva svolgere il ruolo chiave che avrebbe dovuto avere ovvero di moltiplicare la massa monetaria in circolazione a vantaggio dell’economia reale. Si è venuta a generare la famosa dicotomia (di cui abbiamo spesso discusso in questa sede) tra economia reale ed economia finanziaria, ovvero tra Main Street e Wall Street.

Questa volta, invece, la politica monetaria espansiva va a braccetto con una politica fiscale altrettanto espansiva. Per ora la liquidità in circolazione è tanta e sta ancora inflazionando gli asset finanziari (con i mercati sui massimi sia azionari che obbligazionari), tuttavia quando l’economia riuscirà a ripartire perché la pandemia sarà superata, o per lo meno arginata e controllata, tutta questa liquidità dovrà entrare in circolazione e creare finalmente inflazione.

Per ora ci sono dei timidi segnali: il petrolio in ripresa, un minimo di inflazione da generi alimentari e anche le componenti relativi ai prezzi di acquisto degli indici PMI rivelano qualche movimento. Si muovono, così, le aspettative di inflazione e, di converso, i tassi nominali (la combinazione dei due elementi mantiene bassi i tassi reali).

Negli Stati Uniti, il mix fra il democratico Biden e la Yellen al Tesoro, portando verso politiche fiscali espansive e più redistributive della ricchezza rendono ancora più evidente l’effetto sui tassi governativi soprattutto a lungo termine.

Potremmo assistere, auspicabilmente, ad un graduale riavvicinamento di Main Street verso Wall Street. Ovviamente ci auspichiamo, e riteniamo, che il riavvicinamento veda Main Street avvantaggiarsi di più e Wall Street beneficiarne ma in forma meno marcata. Sarebbe una c.d. “win win situation” che giustifica ancora la presenza dei risky assets in portafoglio.

Non sarà certo una strada lineare e quindi, ripetiamo fino allo sfinimento, l’andamento dei mercati non sarà unidirezionale. Ma ricordiamo che, se è vero che siamo all’inizio di un nuovo ciclo economico, le fasi di debolezza rappresentano opportunità di acquisto. Le condizioni di liquidità rimangono estremamente supportive per i mercati nonostante i rialzi recenti e l’irripidimento delle curve. Negli Stati Uniti, infatti, se guardiamo dove si trovano i rendimenti governativi, nonostante il recente rialzo, notiamo che sono a livelli decisamente inferiori sia a quelli pre-covid sia, soprattutto, ai quelli dei periodi di normalizzazione dei cicli precedenti (es. 2013 – 2015).

Ottima la performance delle nostre linee di gestione, soprattutto di quelle con una maggiore componente azionaria che recuperano abbondantemente quanto perso la settimana precedente.

Analisi dei mercati dell’1.02.2021

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

La settimana che si è appena conclusa ha visto un repentino incremento della volatilità (evidente anche dal movimento del VIX e del VSTOXX, rispettivamente indicatori di volatilità dell’indice S&P500 e dell’Eurostoxx50) che ha portato una correzione diffusa su tutti i principali mercati azionari.

Le motivazioni non sono particolarmente evidenti ma possiamo ritenere che siano riconducibili essenzialmente a quei fattori che sono di fondamentale supporto per i mercati: le politiche monetarie e quelle fiscali. Il tema dei vaccini è sempre presente in quanto possibili ritardi nella consegna rendono più difficile individuare chiaramente una fine alla fase pandemica in atto. Inoltre, a tutto ciò si aggiunge quanto successo su alcuni titoli negli Stati Uniti presi di mira da investitori retail, che ha creato parecchia volatilità.

Partiamo dalle banche centrali.

Martedì mattina la banca centrale cinese ha drenato liquidità dal mercato in una operazione a mercato aperto e il mercato ne ha immediatamente risentito dato che ha associato la mossa alla dichiarazione di un esponente della PBOC secondo il quale c’è il rischio di bolle negli asset e nell’immobiliare. Poi dal World Economic Forum dell’IMF il governatore della PBOC ha cercato di calmare le acque dichiarando che la politica monetaria continuerà a supportare l’economia e non è prevista un’uscita prematura da questo tipo di atteggiamento. Il risultato è comunque stato di generare un po’ di tensione sul segmento interbancario con i tassi a breve che sono saliti oltre il corridoio fissato dalla banca centrale (il tasso overnight ha toccato in settimana il livello massimo degli ultimi sei anni) ed è particolarmente strano che questo avvenga avvicinandosi al Capodanno lunare cinese (12 febbraio).

Per quanto riguarda la Fed, come era ampiamente atteso, non ha apportato modifiche alla propria politica monetaria ma ha ribadito, come anche la BCE aveva fatto, che è pronta ad utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per sostenere l’economia dato che negli ultimi mesi c’è stato un leggero rallentamento e che l’andamento dipende essenzialmente dal virus e da come andranno avanti le vaccinazioni. È stato ribadito, da parte di Powell, che l’occupazione è un obiettivo della Fed e quindi lo stimolo monetario non verrà meno finché non si tornerà ad un adeguato livello di occupazione.

Soprattutto la tensione sull’interbancario cinese ha per un attimo riaperto il tema delle banche centrali e sottolineato come i mercati siano ancora estremamente dipendenti dalla liquidità che queste forniscono. Il venire meno della liquidità è ovvio che crea problemi, ma anche la non maggiore azione crea perplessità perché ormai i mercati sono abituati ad avere continuamente qualcosa di nuovo fornito dalle banche centrali.

Il cambio euro/usd è stato influenzato mercoledì dalle dichiarazioni di Knot: il membro della BCE ritiene che il mercato stia sottovalutando la probabilità di ulteriori tagli di tassi e ribadisce che l’istituto centrale utilizzerà, se necessario, tutti gli strumenti per controbilanciare l’apprezzamento dell’euro qualora sia messo a rischio il raggiungimento del target di inflazione.

Per quanto riguarda il tema dei vaccini e della pandemia il newsflow è indubbiamente variegato e alterna notizie negative a notizie positive. Le varianti del virus continuano ad impensierire così come suscitano perplessità i ritardi nelle consegne (di Pfizer e forse anche di Astrazeneca), a questi elementi si è aggiunta la notizia relativa a Merck che ha deciso di interrompere le sperimentazioni a fronte di risultati deludenti.

Però, ci sono anche delle buone notizie: sia Pfizer cha Moderna ritengono che il vaccino sia efficace anche contro le varianti e Moderna, in particolare, dichiara che sta già lavorando ad un richiamo del vaccino adatto alle nuove versioni del virus. Eli Lilly ha comunicato che nei malati trattati con il suo farmaco monoclonale il rischio di ospedalizzazione si è ridotto notevolmente (circa -70%) così come quello di morte. Inoltre, in occasione della pubblicazione dei risultati trimestrali J&J ha comunicato che il suo vaccino (che ha il vantaggio di essere monodose) dovrebbe terminare le sperimentazioni la prossima settimana e l’approvazione da parte dell’FDA (autorità americana sul farmaco) potrebbe arrivare a fine febbraio. Infine, il vaccino di AstraZeneca ha ottenuto il via libera dell’EMA (l’autorità europea sui farmaci) che ha dichiarato che potrà essere utilizzato anche sopra i 55 anni (nonostante per questa fascia di popolazione i dati a disposizione siano modesti); in Italia, tuttavia, l’AIFA ne ha autorizzata la somministrazione solo nei soggetti fra i 18 e i 55 anni.

Intorno a giugno si spera che il problema delle dosi disponibili possa essere superato. Guardando al caso di Israele, che è stato identificato da tutti come benchmark per valutare l’efficacia delle vaccinazioni e la soglia che consente il raggiungimento dell’immunità di gregge, emerge un quadro confortante: con quasi un terzo della popolazione vaccinata si è assistito ad un calo sensibile nelle ospedalizzazioni (-60%) con un’immunizzazione forte (circa 91%) raggiunta già dopo la prima dose.

Le decisioni circa le politiche fiscali, alla base della ripresa per questo anno e per gli anni a venire, sono sempre attentamente monitorate e qualunque notizia su quel fronte genera dei movimenti di mercato. Infatti, un po’ di tensione ha suscitato il dibattito sul pacchetto fiscale in US, il c.d. “rescue plan” che potrebbe essere ritardato di un mese per farlo coincidere con la fine dei sussidi alla disoccupazione creando meno malumori fra i repubblicani.

In Europa, l’importanza del Recovery Plan è sottolineata anche dall’agenzia di rating Fitch che, dopo l’avvertimento di Moody’s, mette in guardia l’Italia da un possibile downgrade del rating in assenza di misure governative atte ad ottenere e utilizzare i fondi europei. Per Fitch il rating italiano attuale (BBB-) è al limite con la categoria junk. Ricordiamo che gli appuntamenti con le agenzie di rating sono previsti per questa primavera, esattamente quando andrà presentato il Recovery Plan all’Europa.

Il Fondo Monetario Internazionale (IMF), nella pubblicazione del suo consueto outlook, ha rivisto al rialzo (rispetto alle attese contenute nell’edizione di ottobre) le stime del pil mondiale per il 2021 che passa da 5.2% a 5.5% mentre ha lasciato invariate a +4.2% quelle per il 2022. A livello geografico la previsione per gli Stati Uniti è stata alzata di due punti a +5.1% (2021) mentre è stata abbassata di un punto per l’area euro (+4.2%). L’area emergente crescerà più dei paesi sviluppati grazie al contributo della Cina (+8.1%) e dell’India (+11.5%). Secondo l’IMF il miglioramento delle previsioni si deve all’approvazione e distribuzione dei vaccini ma le varianti del virus che si stanno manifestando e una possibile nuova ondata rappresentano i principali elementi di rischio per l’outlook.

Fra i dati macroeconomici rilevanti segnaliamo, per l’Europa, l’indice tedesco IFO (frutto dell’intervista a 7000 imprese – campione molto ampio – sullo stato dell’economia) che è risultato in calo rispetto al mese precedente e inferiore alle attese degli economisti; sarà importante valutare se i PMI in uscita questa settimana confermeranno o meno la debolezza.

Negli Stati Uniti la stima preliminare del Pil del quarto trimestre segna un +4% trimestre/trimestre con consumi un po’ più deboli a causa dell’aumento delle infezioni da coronavirus e delle conseguenti maggiori restrizioni imposte.

Finalmente è stato scelto il successore di Mustier alla guida di Unicredit: il nuovo CEO sarà Andrea Orcel che diventerà operativo dal 15 aprile, quando è prevista l’assemblea che rinnoverà l’intero CdA, ma dovrà in qualche modo gestire l’interregno fra lui e Mustier che sembra uscirà anticipatamente dopo l’approvazione dei conti il 10 febbraio. Orcel è stato in Merrill Lynch fino al 2012 per poi approdare in UBS ed è sicuramente esperto di operazioni di M&A.

Complessivamente buoni i risultati delle principali società americane che hanno riportato in settimana: Apple ha battuto le aspettative sia sui ricavi (che hanno superato il livello psicologico di 100 miliardi di dollari) che sugli utili, come anche Facebook. Invece Tesla ha superato le stime sui ricavi (quasi 11 miliardi) ma non quelle sugli utili. Nonostante risultati di tutto rispetto i titoli hanno corretto.

La settimana è stata caratterizzata da un fenomeno assai singolare che ha riguardato alcuni titoli americani che sembravano essere spariti dal radar screen degli investitori (perché spesso in business poco attraenti) ma che sono tornati alla ribalta con rialzi davvero impressionanti. Uno di questi è Gamestop, la catena di vendita di videogiochi, soggetto ad uno “short squeeze” (copertura delle posizioni corte) che ha portato il titolo dai circa tre dollari di marzo agli attuali 320.

Qualche mese fa avevamo parlato dei cosiddetti “robinhooders” ovvero gli utenti della piattaforma di trading “Robinhood” che avevano aperto conti gratuiti durante il lockdown e, complice sia le restrizioni agli spostamenti sia i sussidi governativi, si erano lanciati nel trading online. A quell’epoca si erano concentrati su titoli noti e famosi (quali i big del tech e Tesla, ad esempio). Attualmente il fenomeno sembra tornato ma rivolto a tutt’altra categoria di titoli ovvero quelli sui quali erano state aperte grosse posizioni ribassiste dagli hedge fund. Un gruppo nutrito di millennial investors che frequentano community (piattaforme a metà strada fra social e forum) quali ad esempio Reddit e Wallstreetbets, hanno puntato su questi titoli scatenando una valanga di acquisti (anche attraverso opzioni call, quindi strumenti derivati a leva che amplificano l’esposizione) che ha innescato una spirale che è risultata difficilmente arrestabile. Infatti, anche quando diverse piattaforme (tipo Robinhood, Interactive Brokers e la società di intermediazione Td Ameritrade) hanno imposto il blocco delle operazioni di acquisto sui titoli presi di mira, si sono scatenate tali proteste e minacce di class action che il divieto è stato immediatamente tolto. Questa mole enorme di acquisti ha avuto come conseguenza quella di costringere gli hedge fund a chiudere le posizioni corte (andando a comprare i titoli) e alimentando ulteriormente la salita del titolo.

QUESTA SETTIMANA

In Italia il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dopo che le dimissioni di Conte hanno dato avvio alla crisi di governo, ha dato al Presidente della Camera Fico il mandato esplorativo per valutare la possibilità di formare una maggioranza di governo partendo dalle forze politiche che sostenevano quello precedente. Vedremo in questi giorni cosa emergerà e quanto sarà l’impatto sui rendimenti governativi italiani e sullo spread.

La settimana è importante, da un punto di vista macroeconomico, perché è prevista la pubblicazione dei dati di fiducia delle imprese relativi al mese di gennaio. I PMI già pubblicati in Cina mostrano un leggero rallentamento ma rimangono ancora in fase di espansione. Il rallentamento probabilmente è dovuto alle restrizioni (lockdown) legate al ripresentarsi del corona virus che hanno coinvolto aree più o meno estese e il rallentamento della componente export sempre dovuto al protrarsi della pandemia.

Martedì 2 febbraio verrà pubblicato il dato sul Pil dell’area euro area e vedremo come uscirà rispetto a quello degli Stati Uniti.

Venerdì 5 febbraio negli Stati Uniti è prevista la pubblicazione dei dati sul mercato del lavoro relativi al mese di gennaio: il tasso di disoccupazione è atteso stabile al 6.7% ma dovremmo vedere un aumento degli occupati nel settore non agricolo.

Il prezzo del petrolio potrebbe essere soggetto a oscillazioni quando mercoledì 3 febbraio si riunirà l’Opec+ che valuterà i progressi fatti nei tagli in corso alla produzione e la contribuzione dei vari paesi.

Per quanto riguarda le banche centrali giovedì 4 febbraio si riunirà la Bank of England: non sono attese particolari modifiche all’attuale politica monetaria ma sarà importante capire se la BOE sta valutando l’ipotesi di portare i tassi in negativo (attualmente allo 0.10%). Verranno, inoltre, comunicate le nuove previsioni di crescita e inflazione (le prime dopo la Brexit).

Questa settimana la reporting season avrà come protagoniste: Alibaba, Alphabet e Amazon oltre a parecchie società del settore farma (tipo Pfizer, Merck).

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

I mercati anche questa settimana hanno dimostrato quanto siano sensibili al tema dei “ritardi”: ritardi nella campagna vaccinale allontanano il ritorno alla normalità e ritardi nel piano fiscale americano rischiano di minare la ripresa economica.

Sappiamo bene quanto è fondamentale il pacchetto fiscale americano e come la composizione del Congresso (specialmente al Senato) non renda particolarmente e sempre agevole il passaggio dei provvedimenti. Ricordiamo che uno degli strumenti a disposizione da parte dei Repubblicani in Senato è il “filibustering” (ostruzionismo) che permette di discutere, senza limiti di tempo, sulle proposte da votare e quindi può allungare notevolmente i tempi. Per aggirare l’ostruzionismo la maggioranza a favore dovrebbe essere di almeno 60 senatori e considerando che la divisione fra democratici e repubblicani è 50:50 non è proprio così semplice. In alternativa i democratici possono utilizzare lo strumento della “Reconciliation” che permettere di superare l’ostruzionismo semplicemente con una maggioranza assoluta. Si tratta però di una possibilità data una volta all’anno e che non favorisce certo un dialogo costruttivo fra le parti.

Abbiamo ripetuto svariate volte che le correzioni sono inevitabili ma sembra che ci sia ancora molta voglia di comprare fra gli investitori. I motivi sono i soliti già elencati: abbondante liquidita e mancanza di alternative. Tuttavia ci sono un paio di elementi che creano un po’ di perplessità sulla continua salita degli indici e che li rende più vulnerabili a correzioni: il primo è relativo al periodico sondaggio di Bank of America dal quale risulta che la quota di cash detenuta dagli investitori è ulteriormente scesa ed è al di sotto della soglia che di solito rappresenta un “sell signal”(inferiore al 4%): l’altro elemento su cui è bene riflettere (che abbiamo descritto nella prima parte di questo commento) riguarda la particolare “euforia” degli investitori retail su alcuni titoli che tanti hedge fund hanno “shortato” (ovvero venduto allo scoperto scommettendo sulla discesa del prezzo) per motivi più o meno fondamentali e che i retail stessi comprano per motivi di sicuro poco fondamentali.

Quanto questa “mania” possa andare avanti non si sa (ricordiamoci la famosa frase di J.M. Keynes “Il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa rimanere solvente”) ma rappresenta sicuramente un fenomeno a cui guardare con attenzione perché in qualche modo ricorda il periodo della dot.com bubble degli anni 2000. L’esposizione azionaria degli investitori retail sembra abbia addirittura superato quella degli anni 1999-2000 e rende il mercato potenzialmente vulnerabile agli umori più irrazionali dei piccoli investitori.

La volatilità è quindi da mettere in conto ma non modifica l’idea di fondo che rimane ancora favorevole ai mercati azionari. Oltre a quanto più volte ripetuto in passato possiamo ribadire il tema del rendimento azionario (dividendo) rispetto a quello obbligazionario: pur avendo la pandemia impattato sui dividendi delle società tagliandoli considerevolmente (vuoi per regolamentazione, es. le banche, vuoi per l’andamento del business) questi rimangono ancora superiori sia in Europa che negli Stati Uniti ai corrispondenti rendimenti governativi. In Europa, ad esempio, analizzando l’indice Stoxx 600 il dividend yield del 68.3% dei titoli è superiore al rendimento obbligazionario dei bond emessi da loro stessi. Per l’S&P500 la percentuale è leggermente inferiore (58.2%). Il confronto è ancora più facile se raffrontiamo questi numeri con i rendimenti obbligazionari governativi.

Il cattivo andamento dei mercati finanziari ha, inevitabilmente, impattato negativamente sulle nostre linee di gestione, soprattutto quelle con una componente azionaria maggiore. In settimana, l’Area Investimenti ha modificato la composizione delle linee di gestione bilanciate (con componente sia azionaria che obbligazionaria) coerentemente con quanto discusso durante il Comitato Investimenti e approvato dal CdA della Sim: in particolare è stata azzerata in profitto la posizione sul settore bancario europeo (Lyxor Eurostoxx Banks) e riallocato la liquidità derivante sul settore finanziario americano (Invesco Financial S&P US), sui mercati emergenti (Amundi Msci Emerging Markets) e sul Giappone (UBS MSCI Japan).

Analisi dei mercati del 25.01.2021

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

L’insediamento alla Casa Bianca del 46° Presidente degli Stati Uniti di America è avvenuto in modo pacifico anche se il classico e formale passaggio di consegne tra il presidente entrante e quello uscente non c’è stato (come ci si poteva immaginare). L’accoglienza della nuova leadership da parte dei mercati è stata notevole con uno dei migliori giorni per Wall Street degli ultimi dieci anni e il miglior “inauguration day” in termini borsistici dai tempi di Reagan.

Come avviene di consuetudine, Biden ha già annunciato una serie di provvedimenti, 15 esecutivi e 2 che passeranno al vaglio del Congresso e, in parecchi casi, si tratta di inversioni di rotta rispetto a quanto impostato dall’amministrazione Trump (ad es. gli USA rientreranno negli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici e nel WHO – Organizzazione Mondiale della Sanità).

Il resto del programma lo potremo valutare nei primi 100 giorni del mandato quando si capirà definitivamente l’impostazione che intende dare alla politica nei quattro anni che ha a disposizione per governare. Dopo il c.d. “rescue plan” per rimediare ai danni immediati della pandemia, si lavorerà al “relief plan” e su questo ci sarà da trattare con i democratici più conservatori e con i repubblicani tipicamente avversi ad aumentare il deficit.

Il diverso atteggiamento di Biden rispetto a Trump lo possiamo notare anche dalle nomine alle posizioni chiave delle istituzioni, la scelta di alleati della senatrice Elisabeth Warren (una delle candidate alle primarie democratiche con posizioni abbastanza estreme) lascia presagire un atteggiamento più rigido nei confronti della regolamentazione: Gary Gensler sarà a capo della SEC (l’equivalente americano della nostra Consob) e Rohit Chopra guiderà l’Ufficio per la Protezione Finanziaria dei Consumatori.

Come anticipato la scorsa volta, in un’audizione davanti al Senato Janet Yellen, appena nominata Segretario al Tesoro, ha ribadito che il valore del dollaro, e in generale delle altre valute, deve essere determinato dal mercato e non manipolato per svalutazioni competitive. Ha poi aggiunto che il pacchetto di aiuti all’economia (il “rescue plan” da 1.900 miliardi) deve arrivare presto e deve essere massiccio in quanto i benefici per l’economia sarebbero di gran lunga superiori rispetto al maggiore debito pubblico.

Dalle riunioni delle banche centrali (BOJ e ECB) non erano attese decisioni particolari e così è stato. Per quanto riguarda la Bank of Japan è stata confermata l’attuale politica monetaria ma sono state alzate le previsioni economiche per il prossimo anno fiscale in quanto lo stimolo è stato giudicato, per ora, sufficiente ed efficace nel mitigare l’impatto della pandemia. Si manterrà, comunque, molta attenzione sui possibili effetti collaterali dell’allentamento monetario e non si esiterà ad aggiungere, eventualmente, altri provvedimenti qualora la situazione peggiorasse e li richiedesse.

Anche dalla riunione della BCE non è emerso nulla di particolare: è stato confermato l’outlook economico di dicembre, vedremo cosa cambierà nella review di marzo quando ci sarà un’idea più precisa dell’andamento epidemiologico. La Lagarde ha ribadito la flessibilità del piano PEPP (piano di acquisti a fronte della pandemia) e l’obiettivo di mantenere condizioni finanziarie favorevoli: quindi, potrà essere incrementato di dimensione ma potrebbe anche essere non pienamente utilizzato a seconda dell’evoluzione della situazione. Proprio questa seconda possibilità, insieme alla percezione che la BCE sia disposta a tollerare un incremento nei rendimenti governativi periferici, ha lasciato più perplessi gli investitori dando luogo a prese di profitto sia sull’azionario che sull’obbligazionario.

Dopo avere ottenuto la fiducia alla Camera Conte riesce ad avere la meglio anche al Senato ma con una maggioranza relativa risicata che cercherà di allargare nelle prossime due settimane, in caso contrario potrà essere difficile fare passare i provvedimenti (tipo la legge di bilancio) che richiedono la maggioranza assoluta (quindi 161 voti). Anche l’agenzia di rating Moody’s ha espresso qualche perplessità sulla situazione politica italiana: sebbene il rischio di elezioni anticipate sia basso il principale danno che l’attuale crisi di governo può causare è relativo all’incapacità di trarre vantaggio dalle risorse che l’Unione Europea sta mettendo a disposizione dei governi per far fronte ai danni della pandemia e la cosa potrebbe impattare sul profilo di credito del paese. Lo spread si è alzato leggermente arrivando a 125 bps verso il Bund.

Fra i dati macroeconomici europei segnaliamo la pubblicazione dell’indice ZEW tedesco (indice di fiducia sull’attività economica che ha come intervistati gli operatori finanziari) dal quale emerge un quadro di miglioramento. La componente relativa alle aspettative è in netto miglioramento segno che gli operatori nutrono una discreta speranza nella capacità di ripresa dell’economia tedesca e in generale dell’Eurozona.

Negli Stati Uniti hanno riportato le altre grosse banche: utili molto alti (soprattutto per Goldman Sachs, meno per Bank of America) ma guidance non entusiasmanti soprattutto da parte del CFO di GS che teme di non ripetere gli stessi risultati nel 2021 dato che la situazione dovrebbe normalizzarsi (la volatilità aiuta le attività di trading). Occorre considerare che parte dei risultati deriva dal fatto che alcuni fondi, accantonati in via precauzionale per fare fronte alle possibili perdite legate alla crisi, sono stati sbloccati in quanto non più necessari visto gli interventi straordinari a sostegno da parte del governo: questo elemento può essere valutato positivamente, se consideriamo che probabilmente le migliori prospettive economiche non richiedono più accantonamenti precauzionali, o con cautela se depuriamo gli utili da questa componente straordinaria.

Secondo uno studio di Goldman Sachs nel 2021 le banche USA tra dividendi e buyback restituiranno agli azionisti circa 103 miliardi di dollari con una redditività implicita delle maggiori pari al 9.1% (era il 14.6% l’anno prima). Questo rappresenta uno degli elementi che giustificano il fatto che le banche europee (la cui redditività media è pari al 2%) trattano a circa 0.5 il book value (ovvero la capitalizzazione di mercato è pari al 50% del patrimonio netto), valutazione corrispondente a circa la metà di quelle americane.

Molto buoni i risultati di Netflix che supera le stime degli analisti in termini di utili e aumenta il numero degli abbonati in misura superiore alle attese: si parla di 8.51 milioni di nuovi sottoscrittori solo negli ultimi tre mesi dell’anno che porta il totale sopra i 200 milioni. Positivo il fatto che, per la prima volta, il cash-flow che la società genera la renderà in grado di non dipendere più dal debito per supportare la crescita ma, anzi, le consente di valutare eventuali buyback (forse nella seconda metà dell’anno). Netflix è chiaramente un titolo appartenente al c.d. “stay at home business” che beneficia delle restrizioni agli spostamenti. Il giorno dei risultati la performance è stata ottima (+17%).

Il bitcoin continua ad essere al centro dei dibattiti e a mostrare una volatilità elevata: nello scorso commento avevamo detto che la presidente della BCE Christine Lagarde definisce il bitcoin un “asset estremamente speculativo”, nei giorni scorsi, durante l’audizione al Senato, il neosegretario al Tesoro americano (nonché ex governatrice della Fed) Janet Yellen è stata più tranchant dichiarando che le criptovalute sono usate principalmente per i finanziamenti illeciti e per riciclare denaro e quindi è necessario trovare il modo per ridurne l’utilizzo. Il bitcoin è così arrivato a toccare i 29.000 dollari.

Abbiamo detto che la quantità massima di bitcoin immessi sul mercato sarà di 21 milioni e si raggiungerà intorno al 2140. Attualmente ne abbiamo in circolazione 18 milioni. Chi cerca di stimare il valore corretto del bitcoin parte dal costo di estrazione (attualmente tra 10 e 14 mila dollari), analizza il c.d. “stock to flow” (che stima quanti bitcoin si possono produrre rispetto a quelli in circolazione in base all’andamento del prezzo). In questo modo si arriva ad un prezzo intorno a 55/60 mila dollari per il 2021. La regolamentazione è ovviamente il rischio principale da tenere in considerazione e lo si è visto dalla reazione in settimana a fronte della dichiarazione della Yellen.

QUESTA SETTIMANA

Rimane sempre alta l’attenzione sui dati della pandemia. Consideriamo che la Merkel ha esteso il lockdown al 14 febbraio e in Cina, che sembrava essere ormai fuori pericolo, il lockdown sta riguardando circa 1.7 milioni di persone intorno alla capitale Pechino. Ricordiamo che un elemento importante di raffronto è Israele: dare uno sguardo ai risultati raggiunti dal paese che è più avanti di chiunque altro nella campagna vaccinale consente di farsi un’idea di quanto ancora dovremo aspettare per poter intravedere la fine delle restrizioni. A fronte di ritardi nelle consegne c’è anche da rilevare che andando avanti sempre più vaccini saranno disponibili sul mercato.

Questa settimana si terrà in forma digitale il World Economic Forum intitolato “The Davos Agenda 2021”: fra i principali speaker ci saranno il presidente cinese Xi Jingping, Emanuel Macron, Angela Merkel e i governatori delle banche centrali Christine Lagarde (BCE) e Andrew Bailey (BOE). Verrà anche pubblicato il “World Economic Outlook” dal quale ci si attende una stima della crescita mondiale per il 2021 pari a circa il 4%.

Mercoledì è prevista la riunione della Fed al termine della quale Jerome Powell comunicherà le decisioni prese. Si tratta del primo meeting dell’era Biden e vedremo come la Fed si esprimerà in merito al cambio di approccio fiscale conseguente alla nuova amministrazione. Non sono attese particolari modifiche all’attuale policy.

Giovedì verrà pubblicata la prima stima del Pil relativo al quarto trimestre per gli Stati Uniti: le attese sono per una crescita annualizzata del 4.2%.

Settimana decisamente ricca per la reporting season (coinvolgerà circa un terzo delle società dell’S&P500) che vede come protagonista il settore tech. Fra le varie società che pubblicheranno i dati del quarto trimestre segnaliamo le seguenti: Microsoft, Apple, Tesla, Facebook, Visa, J&J, Amex, Starbucks e Mc Donalds. In aggregato, per l’S&P500 ci si attende una discesa degli utili per l’ultimo trimestre 2020 pari a -7.5% mentre per l’Europa, guardando l’indice Stoxx600, le attese sono per una discesa di -26%: si tratta di dati che rispecchiano anche il diverso andamento del Pil la cui discesa è attesa più marcata per l’Europa che per gli Stati Uniti.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Abbiamo più volte scritto che, sebbene ci siano forti argomentazioni a favore dell’investimento azionario (relativamente a quello obbligazionario), i mercati non possono e non è neanche utile che si muovono in un’unica direzione. Ci saranno, inevitabilmente, dei momenti di alti e bassi ma, considerato che ci troviamo nella fase iniziale del ciclo economico, che la recessione non è stata provocata da bolle economiche e che lo stimolo fiscale messo in campo dai diversi governi è enorme, ogni correzione dovrebbe essere considerata un’occasione di acquisto per posizionarsi su asset ciclici.

La causa più probabile delle correzioni riguarda ancora il tema della pandemia perché è essenziale che almeno nella seconda metà dell’anno si possa tornare ad una sorta di normalità.

Dopo avere utilizzato parecchie lettere dell’alfabeto per esprimere visivamente il concetto di ripresa (V – W etc.) quella che attualmente sembra più adatta è la K: infatti alcuni settori si sono ripresi molto bene (quelli tipicamente legati allo “stay at home” business) mentre altri sono decisamente in crisi (vedi il turismo, la ristorazione ad esempio). La scorsa settimana è ricorso l’anniversario della dichiarazione, da parte della Cina, circa la diffusione del Sars-Cov2 e il mese prossimo sarà passato un anno da quando sono iniziati i vari lockdown in Europa. Da allora ci sono alcuni settori che sono stati veramente messi a dura prova ed è essenziale che si ritorni al più presto ad una sorta di normalità perché più il tempo passa più è probabile che ci saranno tante vittime fra i vari attori economici che non si potranno mai riprendere. Per questo motivo, ripetiamo, è così importante che la campagna di vaccinazioni faccia il suo corso velocemente, che i vaccini funzionino e che il virus diventi innocuo e poi sparisca. Lo stesso Larry Fink, amministratore delegato di Blackrock, attribuisce al vaccino il ruolo di “game changer” che consentirà di tornare alla normalità e fare risalire il Pil.

È vero che, ad oggi, i mercati stanno mediamente prezzando uno scenario di ripresa, quindi quando avvengono fatti che la rendono meno probabile i mercati correggono. Riteniamo, però, che qualora la situazione pandemica si risolvesse, il volano innescato dai governi con i vari programmi di spesa e stimolo fiscale potrà dare una spinta ulteriore alla ripresa e agli utili aziendali e la presenza di tassi bassi, per un periodo più prolungato di quello al quale normalmente siamo stati abituati, crea per gli asset ciclici ancora spazi di risalita.

Ripetiamo che la salita dei tassi nominali tende ad infastidire i mercati ma quello che è importante monitorare è il movimento dei tassi reali (depurati quindi dalle aspettative di inflazione) perché sono quelli che entrano nei modelli valutativi che gli analisti utilizzano. Tassi reali bassi (perché i nominali scendono o perché le attese di inflazione salgono) sono quindi estremamente importanti. Se poi il basso livello è determinato essenzialmente da aspettative di inflazione in crescita allora ha senso puntare su asset reali che meglio proteggono dall’aumento dei prezzi.

Ancora una settimana positiva per le nostre linee di gestione sia azionarie che obbligazionarie. Fra tutte emerge come outperformer della settimana la linea Chronos che è più esposta all’azionario americano e che ha beneficiato di alcune ottime trimestrali di titoli presenti in portafoglio (es. la citata Netflix).

Analisi dei mercati del 18.01.2021

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

L’incertezza circa l’entità dello stimolo fiscale americano pesa sui rendimenti governativi e questo, a sua volta, pesa sui mercati azionari. La maggiore spesa pubblica può essere finanziata con emissioni nuove o, alternativamente, aumentando le tasse sulle imprese e sui redditi personali più alti e fra gli investitori si crea un po’ di nervosismo, alimentato inoltre da possibili ritardi nell’implementazione.

In settimana, infatti, Biden ha annunciato il suo piano economico: si tratta di un pacchetto di 1.900 miliardi di dollari (che porta il totale a 3.000 miliardi) che dedica una parte delle risorse ad aiuti immediati (fra i quali sussidi alla disoccupazione e assegni di 2.000 dollari a cittadino) mentre per gli investimenti più a lungo termine i dettagli verranno rilasciati a febbraio. Ora la proposta deve essere approvata dal Congresso e vedremo se in Senato, dove la maggioranza è davvero risicata, andrà tutto liscio (con 60 voti a favore) o ci sarà ostruzionismo (chiamato “filibustering” in inglese). Nel secondo caso si aprirà una negoziazione che potrebbe ritardare il lancio dello stimolo e quindi i benefici per l’economia. Fra i punti critici della proposta segnaliamo quello di raddoppiare lo stipendio minimo a 15$ all’ora e quello relativo all’incremento delle tasse (si parla di aliquota per le imprese da 21% a 28%).

La Fed, per quello che può, cerca di rassicurare i mercati con messaggi tranquillizzanti: Powell dichiara che non ci sarà alcun cambiamento di politica monetaria almeno fino al termine del 2021 per essere sicuri che la ripresa dell’economia sia ben avviata e per arrivare ad avere un’inflazione superiore al 2%.

Rimanendo negli Stati Uniti prosegue la tensione a livello politico: la Camera ha, infatti, votato l’impeachment contro Trump accusandolo di incitazione all’insurrezione dopo gli eventi di Capitol Hill. Trump è l’unico presidente nella storia americana ad essere stato messo in stato di accusa per ben due volte. Oltre a tutti i membri democratici anche dieci repubblicani hanno votato a favore.

L’altro elemento di incertezza per i mercati proviene dal fronte dei vaccini in quanto si teme che ci possano essere ritardi nelle consegne da parte di Pfizer. Consideriamo, inoltre, che la doppia vaccinazione richiesta dal vaccino di Pfizer, che dovrebbe essere prevista a breve, potrebbe rallentare il numero totale dei nuovi vaccinati.

Uno degli altri vaccini in pipeline è quello di Johnson&Johnson e, con una sola iniezione, dovrebbe avere un successo del 80/85%. Il problema è che, anche in questo caso, ci potrebbero essere ritardi nella consegna, forse prevista per marzo.

Intanto, per evitare la terza ondata, parecchi governi inaspriscono le misure di contenimento. Il governo giapponese, ad esempio, estende lo stato di emergenza ad altre sette prefetture compresa quella di Osaka.

Per avere un’idea dell’efficacia dei vaccini potrebbe essere utile monitorare il caso di Israele che è fra i paesi più avanti e determinati nel piano di vaccinazioni. Quando Israele avrà un miglioramento significativo dei dati potremo riuscire ad ipotizzare a che livello si raggiunge l’immunità di gregge e quanto è efficace il vaccino.

Passando all’Europa segnaliamo che in Germania si è votato il ballottaggio per il candidato alla guida della CDU (la coalizione che sta guidando la Germania dal 2005): il centrista Armin Laschet ha avuto la meglio sul conservatore Friedrich Merz e così si garantisce continuità con la politica di Angela Merkel.

In Italia, la crisi politica e l’annuncio dello scostamento di bilancio (pari a trenta miliardi di euro) per finanziare la crisi hanno avuto, per ora, un impatto minimo sui BTP (al massimo lo spread si è allargato di decina di punti base) cosa che non sarebbe successa in tempi diversi. Ancora una volta emerge l’importanza dell’intervento della BCE. A tale proposito Christine Lagarde ribadisce che la BCE può rafforzare il suo sostegno (il “bazooka” monetario) attraverso un incremento della dote del PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme, il piano di acquisti specifico per fare fronte ai danni della pandemia) che ha il vantaggio di essere molto flessibile sia come ammontare sia come destinatari degli acquisti. La presidente della BCE ribadisce, anche, che il Next Generation Eu deve essere attuato velocemente perché la spinta costante di bilancio e monetaria è necessaria in un momento critico come quello attuale.

La potenza delle banche centrali sappiamo che manifesta i suoi effetti anche sul mondo obbligazionario corporate comprimendo parecchio i rendimenti: in settimana, ad esempio, Mediobanca ha collocato un covered bond (titolo obbligazionario con un profilo di rischio molto basso perché garantito da una parte dell’attivo patrimoniale della banca) a dieci anni per 750 milioni di euro con un rendimento pari a 13bps sul tasso midswap (ovvero circa -0.077%). Si tratta della prima banca italiana che riesce ad emettere un prestito obbligazionario a tassi negativi.

I dati macroeconomici cinesi confermano la forza dell’economia: il saldo della bilancia commerciale di dicembre sale a +78.17 miliardi di dollari. L’elemento importante è che l’export (+18%) è stato spinto soprattutto dalla domanda asiatica (segno della forza dell’intera regione) e dalla richiesta sia di prodotti sanitari che tecnologici (legata al boom dello smart working) mentre l’import (+6.5%) è aumentato per gli acquisti di semiconduttori e materie prime.

I movimenti del Bitcoin sono stati parecchio violenti e sottolineano come non si possa ancora considerare un asset da inserire in percentuali rilevanti nei portafogli a causa della volatilità eccessiva (la stessa Lagarde lo definisce “asset altamente speculativo”).

Il crollo del 25% di lunedì è stato motivato da due notizie: la prima riguarda la banca HSBC, in UK, che ha bloccato le transazioni provenienti da borse e portafogli di criptovalute e, la seconda, riguarda Fca (l’autorità di controllo britannica, equivalente alla nostra Consob) che ha avvertito i risparmiatori (ultimamente particolarmente attivi sulle criptovalute) che si tratta di un asset molto rischioso che può fare perdere tutti i soldi. Giovedì il Bitcoin è tornato intorno ai 40.000 dollari sulla base, invece, di buone notizie provenienti dagli Stati Uniti riguardo ad Anchorage, società di criptovalute fondata nel 2017, che ha ottenuto la licenza bancaria dalla Occ (l’autorità federale di regolamentazione bancaria, citata anche nello scorso commento). Si tratta del primo istituto che si occupa solo di criptovalute ad ottenere una licenza bancaria e apre la strada alle banche che vogliono inserire criptovalute nelle proprie tesorerie.

Ottimi i risultati del quarto trimestre di Blackrock che, nonostante la pandemia, riesce a battere le stime degli analisti con un utile netto il rialzo del 19% nel trimestre (e del 10% per l’intero 2020) e masse in gestione che salgono del 17% raggiungendo 8.700 miliardi di dollari. Le banche US, in generale, riportano buoni risultati in termini di utili ma deludono in termini di fatturato e nella componente “trading” (ad es. Citigroup) che non lascia ben sperare per il 2021 quando la situazione potrebbe normalizzarsi e questo scatena delle prese di profitto sui titoli.

Le banche americane sembrano essere pronte ad avviare i piani di buyback come fonte di remunerazione per gli azionisti. La Federal Reserve è meno rigida della BCE e consente di distribuire agli azionisti una somma pari agli utili trimestrali medi registrati nel 2020. Si stima che verranno distribuite cifre doppie rispetto a quelle dell’anno passato.

QUESTA SETTIMANA

I timori di una possibile terza ondata stanno portando tanti paesi ad inasprire le restrizioni già in atto. La campagna vaccinale prosegue in modo più o meno spedito, ma la cosa importante è arrivare al 75% di popolazione protetta entro l’autunno in modo da potere parlare di immunità di gregge. Affinché questo avvenga è necessario che non ci siano ritardi nelle consegne.

Oggi il mercato americano (sia azionario che obbligazionario) è chiuso per il Martin Luther King Jr Day.

Stamattina è stato pubblicato in Cina il dato sul Pil del quarto trimestre 2020: +6.5% anno/anno, il dato porta la crescita dell’intero 2020 a +2.3%. Anche gli altri dati rilasciati confermano la forza dell’economia: produzione industriale a dicembre +7.3% anno/anno e vendite al dettaglio +4.6%. La Cina diventa, così, l’unico paese fra le maggiori economie ad avere evitato la recessione nel 2020 e questo elemento è molto importante, questa settimana, perché mercoledì 20 si riunirà lo Standing Committee del National People’s Congress.

In Eurozona i ministri delle finanze si incontreranno per discutere di come la pandemia abbia aggravato gli squilibri economici fra i vari paesi. Ci sono preoccupazioni per l’implementazione del Recovery Fund, la prima tranche dovrebbe essere erogata entro fine giugno ma paesi come l’Italia fanno fatica a formulare un adeguato piano.

Settimana delle banche centrali con la BOJ e la ECB giovedì 21 che si riuniranno per il primo meeting del nuovo anno. Non sono attesi cambiamenti particolari ma l’attenzione sarà sempre massima nel cogliere eventuali sfumature nei discorsi che possono lasciare intravedere modifiche di policy.

Martedì Janet Yellen, in qualità di nuovo segretario al Tesoro americano, testimonierà davanti alla commissione finanze del Senato: ci si attende che ribadisca l’impegno di lasciare al mercato la determinazione del valore corretto del dollaro e quindi non si cercherà di indurre un indebolimento del biglietto verde per trarne vantaggi competitivi. Si tratta di una rassicurazione per il mercato che avvantaggia anche gli Stati Uniti stessi che dovranno, probabilmente, collocare parecchi Treasury ed è importante che non ci siano aspettative di una valuta troppo debole.

Mercoledì 20 gennaio è prevista la cerimonia per il giuramento di Biden che prenderà ufficialmente il ruolo di 46° Presidente degli Stati Uniti e Kamala Harris sarà la vice. Considerato quanto successo il 6 gennaio a Capitol Hill, sono attese proteste in parecchi stati e lo schieramento di forze dell’ordine questa volta sarà massiccio.

Dopo che la Camera ha approvato il processo di impeachment a Trump tocca ora al Senato americano esprimersi in merito.

Prosegue la reporting season negli Stati Uniti e fra le principali società segnaliamo le seguenti: Bank of America, Morgan Stanley, Goldman Sachs, Alcoa, Netflix, Intel, IBS e Procter&Gamble che ci consentiranno di avere una panoramica un po’ più ampia settorialmente.

Da oggi parte la quotazione di Stellantis, la nuova società automobilistica frutto della fusione fra FCA e PSA. E’ utile spiegare che la discesa di FCA della scorsa settimana (-10% solo giovedì) è dovuta essenzialmente allo stacco del dividendo straordinario (12%) destinato solo ai titolari di azioni ordinarie FCA.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Il movimento sui rendimenti governativi americani (soprattutto sul decennale che ha sfiorato il livello di 1.15%) comincia a fare parlare di ipotesi di tapering (la graduale riduzione degli asset detenuti dalla banca centrale e acquistati con il QE – quantitative easing – per sostenere l’economia). Ripetiamo che il movimento dei rendimenti nominali dei titoli di stato è da guardare in stretta relazione con i movimenti delle aspettative di inflazione, anch’esse in rapido rialzo (vicine ai massimi degli ultimi sei anni). Questo elemento è da osservare con attenzione perché richiama il tema del “taper tantrum” che nel 2013 tanto spaventò i mercati: nel giro di due mesi i rendimenti dei Treasury salirono di 100 bps (da 1.6% a oltre 2.6%) e il movimento fu scatenato dalla notizia che la Fed aveva intenzione di chiudere il programma di Quantitative Easing.

Oggi occorre capire per quale motivo si muovono i tassi: se per aspettative di inflazione o se per un aumento della spesa pubblica finanziata da un aumento del debito. Nel primo caso allora si può temere il taper tantrum, perché la banca centrale ha comunque nel proprio mandato l’inflazione (anche se ora l’obiettivo è simmetrico quindi si possono tollerare rialzi maggiori) mentre nel secondo caso la banca centrale dovrebbe acquistare ulteriormente per finanziare il governo (ritorna il tema della MMT – mondern monetary policy – attraverso la quale il debito viene comprato dalla banca centrale).

Il piano di stimoli di Biden, se approvato dal Congresso senza particolari distorsioni, sarebbe davvero molto consistente e, in qualche modo, rappresenterebbe un’indicazione per l’Europa che deve cercare di mantenere lo stesso passo: infatti, qualora la politica monetaria della BCE non dovesse essere espansiva quanto quella della Fed, si rischierebbe un eccessivo rafforzamento dell’euro con le ovvie conseguenze sull’export.

Poiché il ritorno alla normalità dell’attività economica è previsto solo dalla seconda metà dell’anno, ovvero dopo sei mesi di vaccini, è da quel momento che si dovrà valutare quanto la domanda spingerà al rialzo l’inflazione, quanto gli utili aziendali saranno in grado di riprendersi e quindi si vedrà quale sarà l’asset class vincente. Ad oggi, se guardiamo agli Stati Uniti dove le valutazioni delle borse sono parecchio alte (tipo 20 anni fa,) notiamo che rispetto all’anno scorso la leadership è cambiata e il comparto delle small cap (rappresentate nell’indice Russell 2000) è l’outperformer da inizio anno (+7.5%) soppiantando la tecnologia che lo è stata fino agli ultimi mesi dell’anno scorso. Le small cap americane sono più esposte all’economia domestica e quindi beneficiano in misura maggiore delle misure che Biden intende attuare. Questo è la dimostrazione di quanto già abbiamo detto nelle scorse edizioni, ovvero di come vanno calibrati diversamente i portafogli alla luce di quanto ci si attende avverrà sul fronte monetario e fiscale.

Le nostre linee di gestione obbligazionarie sono state fondamentalmente ferme questa settimana mentre quelle con una maggiore componente azionaria hanno un po’ sofferto il leggero ritracciamento dei mercati. Ribadiamo quanto detto in più sedi ultimamente, ovvero che con l’attuale livello di tassi i rendimenti obbligazionari sono veramente ridotti e quindi sarà molto difficile ottenere grandi performance delle linee obbligazionarie, soprattutto qualora si dovesse assistere ad un rialzo dei tassi di interesse.

Analisi dei mercati dell’11.01.2021

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Buon inizio anno per i mercati che proseguono la fase di rialzo essenzialmente per il venire meno dei principali elementi di incertezza che hanno caratterizzato il 2020 e, soprattutto, per l’avvicinarsi del tanto atteso stimolo fiscale americano.

La scorsa settimana avevamo scritto che “…il 6 gennaio il Congresso dichiarerà ufficialmente il vincitore delle elezioni presidenziali del 2020 che entrerà in carica il 20 gennaio; normalmente si tratta di una formalità ma quest’anno tutto è possibile visto che Trump fino all’ultimo dichiarerà che ci sono stati dei brogli.” Diciamo che si è confermato un momento di tensione estrema con i sostenitori di Trump (e infiltrati) che hanno assaltato Capitol Hill durante i lavori interrompendo la proclamazione (che è stata fatta il giorno successivo). Si è trattato di un evento indubbiamente tragico sotto molti punti di vista ma che non ha avuto un grosso impatto sui mercati.

Quello che conta di più per gli investitori, invece, è la conferma della Blue Wave con il ballottaggio in Georgia che ha portato i due seggi ancora da assegnare dalla parte dei Democratici: di fatto, il Senato è esattamente diviso a metà fra Repubblicani e Democratici (50 seggi a testa) ma la legge vuole che in questi casi sia determinante il vicepresidente, ovvero Kamala Harris, che essendo democratica sposta da quella parte l’ago della bilancia.

Con il Congresso interamente in mano ai Democratici (anche se non con ampi margini), il democratico Biden come Presidente e la Yellen al Tesoro, il mercato inizia a scontare un aumento della spesa pubblica, probabilmente un incremento della tassazione e riduzione del processo di deregolamentazione che Trump aveva avviato. C’è da dire che la maggioranza non è così netta quindi i Democratici non potranno essere così aggressivi nelle loro politiche, il che è un bene per i mercati.

Lo stimolo fiscale americano potrebbe, quindi, essere finalmente deciso e consentirebbe di aggiungere qualche punto alla crescita del Pil che potrebbe raggiungere così anche il 6%. Se guardiamo alla stima del Pil elaborata dalla Fed di Atlanta sulla base di una serie di indicatori macroeconomici siamo addirittura all’8.5%.

La campagna di vaccinazioni nei vari paesi prosegue e in alcuni casi (vedi UK, ad esempio) è accompagnata da lockdown più o meno severi: il mix delle due cose dovrebbe, auspicabilmente, consentire di aprire gradualmente e con più serenità verso la primavera.

Il Giappone, a fronte della recente impennata dei contagi ha dichiarato lo stato di emergenza nella capitale e in tre prefetture per la prima volta da aprile e lo Yen ne ha risentito indebolendosi.

Per quanto riguarda i vaccini anche quello di Moderna è stato approvato dall’autorità europea EMA e le prime dosi dovrebbero arrivare questa settimana. Pfizer, intanto, annuncia che il suo vaccino è efficace sia sulla variante inglese del virus che sull’ultima variante sudafricana.

Il primo vertice Opec+ dell’anno ha visto una forte contrapposizione fra Russia e Arabia Saudita, la prima premeva per ridurre i tagli alla produzione previsti (andando quindi, di fatto, ad aumentare l’offerta rispetto al previsto, per non perdere quote di mercato) mentre la seconda era contraria come anche altri paesi (Emirati Arabi). Il risultato è stato di consentire a Russia e Kazakhstan di incrementare la produzione mentre l’Arabia si farà carico dei tagli e contribuirà a mantenere la produzione totale invariata. Il petrolio arriva, così, a superare i 50 dollari/barile (WTI) per la prima volta da febbraio. L’OPEC+ (che comprende OPEC e i paesi produttori guidati dalla Russia), aveva deciso inizialmente di riunirsi con cadenza mensile per essere più puntuale sull’evoluzione della domanda, ma durante l’ultimo meeting ha, invece, fissato la prossima riunione per l’inizio di marzo.

Oltre al petrolio vanno in generale molto bene tutte le commodities: Goldman Sachs ritiene che il rally possa proseguire fino al 2030 sostenuto da una ripresa dell’economia globale e da un rialzo dell’inflazione che potrebbe generare un nuovo “super-ciclo” simile a quello innescato vent’anni fa dalla crescita economica cinese. Il rame, dopo avere avuto una delle migliori performance fra i metalli industriali l’anno scorso, continua a salire toccando i livelli massimi dal 2013.

La Brexit era uno degli elementi di maggiore incertezza del 2020 (che si protraeva dal referendum del 2016) e che, fortunatamente, si è risolto negli ultimi giorni dello scorso anno. Le prima conseguenze le stiamo vedendo sul settore delle compagnie aeree: poiché i vettori europei per essere considerati tali (e continuare a collegare destinazioni europee fra di loro) devono avere la maggioranza delle azioni in mano ad investitori europei, Easyjet ha congelato il diritto di voto agli azionisti non europei con quote superiori al 3% e ha aperto una sussidiaria in Austria. Un altro impatto immediato è sul settore finanziario dove nei primi giorni dell’anno si è assistito al trasferimento degli scambi di azioni denominate in euro dalle piattaforme inglesi a quelle continentali. Infatti, non è più possibile per gli investitori inglesi negoziare titoli in euro sulle proprie piattaforme di trading (fra le principali citiamo Turquoise, Aquis e Cboe). C’è da dire che le principali citate nei mesi scorsi avevano creato ad Amsterdam e Parigi dei mercati alternativi. In generale, per prestare servizi bancari e finanziari occorre che banche, gestori di fondi e istituti di pagamento richiedano una nuova autorizzazione.

In settimana sono stati pubblicati i dati di fiducia delle imprese PMI per il mese di dicembre e, come gli analisti si attendevano, si sono mantenuti tutti sopra la soglia critica del 50 (che separa la fase di espansione da quella di contrazione) per il comparto manifatturiero mentre quello dei servizi fa ancora fatica a recuperare e in generale conferma i dati del mese precedente.

Molto forte negli Stati Uniti l’omologo dato (ISM) di dicembre ai massimi da agosto 2018: in tutte le sue componenti è superiore alle aspettative e al dato relativo al mese precedente segno che l’attività produttiva manifatturiera sta crescendo a passo spedito. Un po’ di delusione, invece, dai dati sul mercato del lavoro americano pubblicati venerdì: a fronte di un tasso di disoccupazione fermo a 6.7% è stata inferiore alle attese la creazione di nuovi posti di lavoro, probabilmente complice l’aumento di casi di covid19 registrata negli ultimi mesi che ha imposto maggiori restrizioni.

Nello scorso commento avevamo citato il tema dell’inflazione, ritenendo che fosse un fattore interessante e da monitorare soprattutto questo anno, e proprio durante la settimana la break-even inflation americana a 10 anni (quella stimata dalla differenza fra il rendimento dei Treasury nominali e dei Treasury inflation linked di pari scadenza) ha rotto, temporaneamente, al rialzo un’importante resistenza (2%).

Il rialzo delle aspettative di inflazione impatta direttamente sul livello dei tassi reali (che sono la differenza fra i tassi nominali e aspettative di inflazione) riducendoli e di solito questo ha un impatto positivo sull’oro. Il metallo prezioso nell’ultima parte del 2020 ha avuto una performance non particolarmente entusiasmante sia perché non è un periodo stagionalmente favorevole sia per la concorrenza dei bitcoin. Nei primi mesi dell’anno, invece, la stagionalità è statisticamente favorevole all’oro (che potrebbe beneficiare del traino della domanda cinese legata al Capodanno, che cadrà intorno all’11 febbraio) ma rimane pesante il tema della “concorrenza” dei bitcoin che dobbiamo vedere come evolverà.

Infatti, il bitcoin (giunto, in settimana, a superare quota 40.000 dollari), e in generale le criptovalute, continuano a beneficiare dell’enorme liquidità in circolazione e, quindi, di una domanda estremamente forte a fronte di un’offerta, per definizione, limitata che consente di proteggere dall’inflazione. La banca d’affari americana JPM ha stimato che nel medio termine il prezzo potrebbe raggiungere i 146.000 dollari (ricordiamoci che Jamie Dimon nel 2017 definì il bitcoin una truffa vera e propria…) e Citigroup si spinge fino a 300.000 entro fine anno. La barriera dei 35.000 dollari è stata superata dopo che l’Autorità federale di regolamentazione bancaria americana (Occ), ha pubblicato una lettera interpretativa nella quale stabilisce che le banche commerciali possono utilizzare le blockchain pubbliche (la prima è proprio quella dei bitcoin) per archiviare o convalidare i pagamenti utilizzandole come delle sorti di camere di compensazione. Gli investitori hanno interpretato questa decisione come un primo passo verso la legittimazione del bitcoin (consacrato ormai come “oro digitale”) allontanando quindi il principale rischio che è proprio quello regolamentare. A guidare l’Occ è Brian Brooks che prima di essere stato nominato da Steve Mnuchin (segretario del Tesoro) era capo dell’ufficio legale di Coin-base, la più grande borsa di criptovalute mondiale.

La capitalizzazione di mercato delle criptovalute in circolazione ha superato il trilione di dollari (pari al valore di Google) e le due principali sono il Bitcoin (70%) e l’Ethereum (15%). Proprio su quest’ultima criptovaluta il CME (borsa delle materie prime di Chicago) l’8 febbraio lancerà il future (quello sul bitcoin ha già tre anni di vita).

Abbiamo detto più volte che uno dei driver della corsa del bitcoin è l’offerta limitata a fronte di una domanda in crescita: per dare un’idea dei numeri ricordiamo che, ad oggi, sono stati “minati” 18 milioni bitcoin (su un totale massimo di 21 milioni), di questi il 60% è in mano a detentori che non li vendono da oltre un anno (definiti “holder”), si stima che circa tre milioni siano andati persi e un milione sia in mano al fondatore Satoshi Nakamoto. Tirando le somme, circa quattro milioni sono quelli effettivamente “tradabili” sul mercato ed è l’elemento scarsità che fa salire il prezzo.

Chi sostiene la tesi che il trend sia oggi più sostenibile rispetto ai rally passati cita, come elemento principale (oltre all’effetto scarsità appena descritto), il fatto che è salito il numero di coloro che detengono oltre 100 bitcoin (le c.d. “whales” o “balene”) e che tali soggetti siano ascrivibili soprattutto a investitori istituzionali fino a poco tempo fa critici e lontani dalle criptovalute.

Il proseguimento del periodo favorevole per i mercati obbligazionari permette al Tesoro italiano di collocare, in anticipo rispetto alle attese, 10 miliardi del nuovo BTP a 15 anni con una domanda quasi record pari a più di 10 volte l’ammontare offerto: si tratta di un BTP, scadenza 1 marzo 2037 e cedola pari a 0.95%, collocato a 99.409 e conseguente rendimento a scadenza all’emissione pari a 0.992%. Grazie ai tassi bassi il Tesoro italiano è riuscito ad ottenere di abbassare il costo medio per emissione che attualmente è a 0.59%. L’obiettivo del 2021 è portare il costo medio del debito complessivamente sul mercato attorno al 2% (attualmente al 2.4%).

Nello scorso commento avevamo scritto che il NYSE aveva avviato la procedura per il delisting delle tre telcos cinesi quotate a Wall Street. Da allora c’è stata una doppia inversione di rotta: martedì è arrivata la smentita e si cercava di capire se alla base di quello che Bloomberg ha definito “U-turn”, un vero capovolgimento di decisione, ci fosse una cattiva interpretazione di un ordine esecutivo o qualcosa di più ampio legato alle possibili implicazioni geopolitiche che la decisione avrebbe avuto, poi mercoledì il NYSE ha dichiarato che la sospensione sarà effettiva da lunedì 11 gennaio. Intanto, anche Alibaba e Tencent sono state aggiunte alla lista dei titoli sui quali si sta pensando di vietare l’investimento.

Il settore tech cinese è anche coinvolto dal mistero circa la scomparsa apparente di Jack Ma, fondatore di Alibaba, che sembra sia sparito dalla scena dopo un intervento critico nei confronti del governo fatto ad ottobre.

Quanto lo stop al pagamento delle cedole penalizzi i titoli bancari europei (che, ricordiamo, secondo le direttive BCE possono distribuire massimo il 15% dei profitti o lo 0.2% del Cet1) lo possiamo notare dalla performance delle azioni di una piccola storica banca finlandese, Alandsbanken, che ha deciso di non ottemperare a quanto raccomandava il supervisore nazionale ritenendo che il risultato del 2019 fosse il migliore della sua storia e che quello del 2020 sarà ancora migliore. La decisione di distribuire il 59% dell’utile è stata premiata in borsa con un rialzo del 9% circa.

Ritornando per un attimo al risiko bancario italiano segnaliamo la performance di Unicredit (quasi +9%) e BMPS (circa +9.5%) dopo che sono circolate indiscrezioni su un possibile incremento della “dote” (attraverso cessioni di crediti deteriorati ad AMCO – la controllata del Tesoro – per 20 miliardi, dopo i 10 già ceduti nel 2020, e la neutralizzazione dei rischi legali) a favore dell’acquirente dell’istituto senese che renderebbe neutrale l’operazione dal punto di vista del capitale. Infatti, la cessione dei crediti si tradurrebbe in circa 2.5-3 miliardi di beneficio per l’acquirente ai quali vanno aggiunti 1.6 miliardi derivanti dalla partecipazione del tesoro all’aumento di capitale da 2.5 miliardi (il Tesoro sottoscriverà per il 64%) e ai 2.5 miliardi di DTA (deferred tax asset). Le trattative potranno perfezionarsi solo dopo la nomina del nuovo CEO attesa per le prossime settimane.

Infine, qualche notizia sul settore automobilistico:

  • la fusione tra FCA e PSA è stata approvata dalle rispettive assemblee degli azionisti: nasce così Stellantis, il quarto gruppo automobilistico mondiale con 180 miliardi di fatturato e circa 8.7 milioni di auto vendute dopo Volkswagen, Toyota e Nissan – Renault. Vedremo se la nuova società risultante sarà in grado di spingere a sufficienza sull’elettrico;
  • segnaliamo la forte performance di Tesla (quasi +25% in una settimana) che beneficia dell’upgrade di giudizio di Morgan Stanley avvenuto dopo che le immatricolazioni del quarto trimestre hanno superato le attese. Il balzo del titolo porta Elon Musk a superare anche Bezos (in testa alla classifica dal 2017) fra i più ricchi con un patrimonio di circa 185 miliardi di dollari;
  • rumors di una possibile partnership tra Apple e la coreana Hyundai Motor (che sulla notizia mette a segno un rialzo del 20% seguito da un +9% oggi) per la produzione di batterie e lo sviluppo della nuova auto elettrica.

QUESTA SETTIMANA

Proseguono le vaccinazioni in giro per il mondo ma la situazione dei contagi sembra peggiorare dai numeri che vengono rilasciati. In Cina il capoluogo della provincia dello Hebei è in lockdown totale per un raddoppio dei casi: si tratta di una città con undici milioni di abitanti. Pechino teme che la situazione possa andare fuori controllo con l’avvicinarsi del Capodanno lunare (12 febbraio) durante il quale gli spostamenti di lavoratori che tornano nelle loro case sono molto intensi.

A Washington la tensione politica rimane alta con Trump che dichiara che, sebbene la transizione avverrà in modo pacifico, non sarà presente all’insediamento di Biden il 20 gennaio. Intanto, Twitter e Facebook (e altri social network) hanno chiuso il suo profilo e il Congresso sta valutando una nuova procedura di impeachment accusandolo di istigazione all’insurrezione. La rappresentante democratica alla Camera, Nancy Pelosi, ha chiesto al Pentagono che Trump consegni i codici nucleari, una cosa che non si è mai vista nella storia americana. C’è anche l’ipotesi che il Congresso si appelli al XXV emendamento, dichiarando inabile il Presidente, ma in questo caso l’iniziativa dovrebbe provenire direttamente dal vice Mike Pence.

Negli Stati Uniti inizia la reporting season, come sempre, con le banche fra le prime a dare un’idea dei risultati dell’ultimo trimestre del 2020: venerdì riporteranno JPM, Citigroup e Wells Fargo.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

In settimana, il governatore della Banca di Spagna, Hernandez de Cos, ha riaperto il tema del controllo della curva dei tassi governativi europei. Ne avevamo parlato qualche tempo fa ed è una strategia già adottata in Giappone dalla BOJ che ha l’obiettivo di mantenere il rendimento del titolo di stato decennale intorno allo 0%. Secondo De Cos, la semplice dichiarazione da parte della BCE di un tale obiettivo consentirebbe di mantenere i tassi bassi quasi senza intervenire: infatti, sarebbe il mercato a posizionarsi correttamente sapendo che altrimenti interverrebbe l’istituto centrale. Le complicazioni per l’area euro, oltre al possibile ostruzionismo dei paesi nordici (che non vedono di buon occhio la possibilità di acquisti illimitati da parte della BCE), riguardano la numerosità di curve, una per ogni stato (quindi 19) che renderebbe complessa la gestione degli acquisti anche in considerazione alla recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca sul QE.

Il 2021 è l’anno della revisione della strategia della BCE e sicuramente si parlerà di questo aspetto che sta analizzando anche la Fed. Riuscire a indirizzare il mercato sul livello dei tassi e sulle aspettative anche a più lungo termine sarebbe sicuramente utile e di supporto sia per i bond che per l’equity in quanto la minaccia principale è rappresentata da un’eventuale ripresa dell’inflazione e da un repentino repricing delle obbligazioni con inevitabili ripercussioni sulle azioni. Non a caso, il falco presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, non smette di ricordare che i tassi non saranno bassi per sempre e quindi i governi si devono preparare a costi dei finanziamenti al rialzo non appena l’inflazione darà qualche segnale.

È evidente, quindi, che quello dell’inflazione rimane un tema scottante perché, da un lato, la si vuole e deve risollevare almeno vicino al 2%, dall’altro non si vuole che questo comporti una reazione delle banche centrali che alzano i tassi per gestirla meglio.

Anche la conferma dell’onda blu negli Stati Uniti con Presidente e Congresso perfettamente allineati lascia ipotizzare una maggiore spesa pubblica e un più facile ritorno verso uno scenario di reflazione (vedi tassi americani – con il decennale sopra l’1% di rendimento – e aspettative di inflazione 5Y5Y stabili intorno al 2.3%).

In generale, comunque, si rafforza l’idea di una sorta di “bazooka stimulus” ad opera dell’amministrazione americana. Consideriamo che secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) i paesi del G7 hanno iniettato finora circa il 16% del loro Pil combinato nell’economia e questa cifra non considera il recente piano degli Stati Uniti che vale il 5% del pil americano. Si tratta di uno stimolo senza precedenti, superiore addirittura a quello del 2008 (circa una volta e mezzo).

I movimenti della curva dei rendimenti, ripetiamo, vanno attentamente seguiti perché a seconda di quali si muovono ci possono essere conseguenze diverse. Con i tassi a breve ancorati dall’azione delle Banche Centrali, in mancanza di un controllo della curva (attraverso acquisti calibrati sulle varie scadenze) si assisterà, come già sta avvenendo, ad un irripidimento delle curve (ovvero un incremento del differenziale fra tassi a lunga e tassi a breve) che tende a portare beneficio ai settori più value e al comparto bancario, invece, un generalizzato aumento, anche della parte a breve, diventa molto pericoloso per il comparto azionario. Ma è ancora prematuro ipotizzare tale scenario.

Se il buongiorno si vede dal mattino possiamo dire che le nostre linee di gestione sono partite ottimamente con performance decisamente forti soprattutto con quelle con una componente azionaria maggiore.

Analisi dei mercati del 4.01.2021

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Con l’ultima settimana si è chiuso un anno decisamente particolare e impegnativo: la pandemia, che lo ha caratterizzato sin dai primi mesi, ha avuto delle conseguenze sul piano sociale e umano che, purtroppo, difficilmente dimenticheremo.

Dal punto di vista dei mercati finanziari possiamo dire che il risultato, invece, è stato molto soddisfacente soprattutto ripensando al panico e alla totale incertezza sul futuro che hanno caratterizzato i mesi di marzo e aprile.

La settimana, ridotta a causa delle festività dell’ultimo dell’anno, si è conclusa con una performance positiva per quasi tutte le asset class: i mercati azionari hanno guadagnato circa 1% (l’MSCI World), in recupero anche le materie prime (compreso l’oro) e i mercati obbligazionari sia governativi (ulteriore restringimento dei rendimenti) che a spread.

L’anno si è, quindi, chiuso in maniera decisamente positiva per i mercati azionari (MSCI World +14% circa) con una sovraperformance di quelli americani trainati dal settore tecnologico (Nasdaq +49%); l’azione delle banche centrali ha compresso ulteriormente i rendimenti governativi consentendo ai corsi obbligazionari di beneficiarne. Quest’ultimo elemento è stato alla base anche della forte performance dell’obbligazionario a spread. Le materie prime mancano all’appello e, nonostante il deciso recupero degli ultimi due mesi concludono l’anno con una performance aggregata ancora negativa da imputare totalmente alla componente energetica.

Andiamo ora un po’ più nel dettaglio di quanto successo nell’ultima settimana dell’anno.

Il Parlamento britannico ha approvato alla prima votazione l’accordo fra UK e la UE che è riuscito ad evitare la hard brexit, un’uscita disordinata e non concordata che sarebbe costata circa il 2% del Pil britannico. Agli intermediari finanziari britannici la Consob italiana, in questi giorni, ha concesso una moratoria di sei mesi che consentirà loro di operare in Italia (solo per i rapporti già esistenti) anche se non è più valido il principio del mutuo riconoscimento attraverso la richiesta e l’ottenimento di una nuova autorizzazione.

Un elemento di cui non si è mai parlato, ma che avrà ripercussioni positive per le aziende del nostro continente, è stato accordo sugli investimenti raggiunto tra l’Unione Europea e la Cina, che consentirà alle imprese europee di avere un più facile accesso al mercato cinese in quanto verrebbero rimosse le barriere all’ingresso e le limitazioni all’acquisizione del controllo nelle joint-venture operanti in Cina; in cambio, la Cina eviterà ulteriori restrizioni alle sue attività in Europa e potrebbe partecipare ai progetti sulle energie rinnovabili. Le trattative erano cominciate addirittura nel 2014 ma non si erano fatti particolari progressi negli anni successivi. Paradossalmente, proprio l’acuirsi delle tensioni fra Cina e Stati Uniti ha agevolato un cambio di atteggiamento della Cina che ha consentito, finalmente, il raggiungimento di un’intesa.

Riserva sempre sorprese il tema del pacchetto di stimoli fiscale americano: la Camera dei Rappresentanti ha accettato la proposta di Trump proponendo, con un disegno di legge, di aumentare gli assegni da elargire per contrastare gli effetti della crisi dai 600 dollari fissati a 2000 dollari. Qualche intoppo, invece, in Senato dove il presidente Mitch McConnel ha bloccato il voto e i repubblicani si sono spaccati con i due senatori della Georgia che hanno votato a favore.

Anche il vaccino di Astrazeneca, sviluppato in collaborazione con l’università di Oxford, è stato approvato in UK; per l’Eurozona sembra esserci qualche problema e l’approvazione potrebbe arrivare in ritardo.

Continuano le brutte notizie per le aziende cinesi quotate a New York: il NYSE ha avviato la procedura per delistare tre gruppi operanti nelle telecomunicazioni (China Mobile, China Telecom e China Unicom) in quanto esposti all’apparato militare cinese. Il double listing (le tre società hanno come listing principale quello di Hong Kong) verrà interrotto tra il 7 e l’11 gennaio. Pechino ha già fatto sapere che prenderà le misure necessarie per salvaguardare gli interessi delle tre società.

Nuovi record per il Bitcoin che arriva a sfiorare i 35.000 dollari proprio il giorno in cui compie 12 anni di vita: il 3 gennaio 2009, infatti, venne emesso il primo blocco di 50 bitcoin con un prezzo intorno allo zero. La capitalizzazione del bitcoin (definito ormai l’”oro digitale”) ha raggiunto, in questi giorni, i 580 miliardi di dollari superando quella di Berkshire Hathaway, la famosa holding di Warren Buffet.

QUESTA SETTIMANA

Dopo il periodo delle festività i vari governi faranno i conti sull’andamento dei contagi da coronavirus e decideranno come modulare le restrizioni per il mese di gennaio.

Dal primo gennaio il Regno Unito è ufficialmente fuori dall’Unione Europea. La UE ha intenzione di ridurre sensibilmente la dipendenza da Londra per i servizi finanziari, quindi, ha sollecitato i diversi operatori a scegliere società dell’Eurozona per gli scambi dei derivati e in questo Francoforte ha solo da guadagnarci essendo molto attiva sui derivati. Se consideriamo solo Piazza Affari, risulta che circa il 95% degli investitori istituzionali sono stranieri e in buona parte operano da Londra.

Al centro dell’attenzione degli investitori il ballottaggio, previsto per martedì 5 gennaio, in Georgia per l’assegnazione dei due seggi che determineranno la maggioranza nel Senato americano e che attualmente sono repubblicani. Dovessero passare in mano ai democratici si avrebbe un’ulteriore spinta alla spesa pubblica (attraverso il c.d. “democratic sweep”); occorre considerare, tuttavia, che analizzando il comportamento dell’indice S&P500 dal 1950 ad oggi i ritorni maggiori ci sono stati in caso di split Congress, ovvero di un Parlamento con le camere divise tra Democratici e Repubblicani.

Il giorno successivo (6 gennaio) il Congresso dichiarerà ufficialmente il vincitore delle elezioni presidenziali del 2020 che entrerà in carica il 20 gennaio; normalmente si tratta di una formalità ma quest’anno tutto è possibile visto che Trump fino all’ultimo dichiarerà che ci sono stati dei brogli.

La riunione mensile OPEC+ è prevista per oggi 4 gennaio: sebbene il segretario generale abbia dichiarato che ci sono parecchi rischi al ribasso per i mercati petroliferi per la prima metà dell’anno, gli investitori sperano che ci possa essere una revisione dei tagli alla produzione che sostenga il prezzo dell’oro nero.

La settimana è caratterizzata, da un punto di vista macroeconomico, dalla pubblicazione degli indici di fiducia delle imprese PMI per il mese di dicembre: in generale è attesa una conferma della fase di ripresa per il comparto manifatturiero che dovrebbe mantenersi, ovunque, sopra la soglia di espansione di 50 mentre, per il comparto dei servizi, sarà importante che i numeri per le imprese europee diano segnali di miglioramento anche se sono attesi restare sotto il 50.

Negli Stati Uniti, inoltre, verranno rilasciate le minute della Fed relative alla riunione di dicembre e, venerdì, sarà pubblicato il report mensile sul mercato del lavoro.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Inizia un anno nuovo e come sempre partono le profezie su quelle che saranno le performance delle diverse asset class: come abbiamo più volte evidenziato, il consenso è piuttosto sbilanciato a favore dei c.d. “risky assets” e, in primis, dell’azionario che dovrebbe, da un lato, beneficiare della ripresa economica, dall’altro offrire rendimenti più interessanti in rapporto al rischio che si assume.

Come sempre accade, e nel 2020 ne abbiamo avuto una decisa conferma, i mercati cercano di anticipare gli eventi. Facile, quindi, che prezzeranno la ripresa economica (come già sta accadendo da qualche mese) ancora prima che si manifesti con forza. Inevitabile, poi, che ogni tanto saranno richiamati a mettere i piedi per terra qualora notizie negative sull’efficacia dei vaccini, sulle tempistiche dell’immunizzazione di gregge o su nuovi lockdown allontanino la vera ripresa economica.

I vaccini e la loro efficacia saranno il fattore di svolta che potrà permettere alle economie di tornare sul sentiero di crescita sul quale si trovavano prima che il “cigno nero” del 2020 facesse il suo ingresso e inducesse una sorta di coma farmacologico paralizzando sia la domanda globale che l’offerta. E’ proprio il blocco dell’offerta (con lo stop forzato delle attività produttive soprattutto durante il primo lockdown) che, secondo alcuni, potrebbe essere alla base di una ripresa dell’inflazione nel momento in cui la domanda tornerà a pieno regime.

Monitorare, quindi, i rendimenti obbligazionari sarà d’obbligo nel 2021 perché è da lì che potrebbe nascere qualche elemento di volatilità e tensione.

Su tutto poi occorre considerare gli eventi avversi non stimabili o prevedibili (tipo il coronavirus nel 2020) che, proprio perché non anticipabili, non verranno mai prezzati dai mercati ed è per questo che vengono definiti “cigni neri”. Questi eventi, fortunatamente di solito rari, quando si manifestano hanno conseguenze devastanti e parecchio serie sull’economia.

Ovviamente, non si deve basare una strategia di investimento sui cigni neri altrimenti non si prenderanno mai rischi e non si guadagnerà mai nulla. Si deve, però, ricordare che prevedere il futuro è impossibile e l’unica cosa che un investitore saggio e professionale può e deve fare è analizzare al meglio lo scenario di riferimento con gli elementi a disposizione, fare delle assunzioni su quello che, ragionevolmente, ritiene probabile che accada e impostare di conseguenza un portafoglio adeguatamente equilibrato. Gli aggiustamenti, poi, saranno dettati dai movimenti di mercato che, confermando o meno la propria idea, daranno inevitabilmente occasioni di acquisto o motivi per alleggerire le posizioni.

Tutte le nostre linee di gestione hanno migliorato la performance YTD anche nell’ultima settimana dell’anno, soprattutto quelle con una componente azionaria maggiore. Nel complesso, l’anno è stato decisamente positivo per i nostri clienti grazie al buon andamento dei mercati ma anche alla gestione attenta dei portafogli che ha permesso di non cedere alla tentazione di vendere (o meglio “svendere”) gli asset finanziari nei momenti più bui della scorsa primavera ma che, anzi, ha gradualmente accumulato posizioni sull’azionario. Buona la performance anche delle linee obbligazionarie che hanno beneficiato del contributo della nostra sicav Stable Return che per un soffio non ha raggiunto il NAV di 105 ma che ha, comunque, portato a casa un rendimento di tutto rispetto considerato l’asset class obbligazionaria in cui investe.

Analisi dei mercati del 22.12.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIME DUE SETTIMANE

Anche durante la settimana che si è appena conclusa i mercati azionari sono rimasti ben intonati (MSCI World +1.4%) con una sovraperformance, in US, della tecnologia e del segmento delle small cap. Il comparto obbligazionario governativo, invece, è stato penalizzato da un leggero incremento dei rendimenti (che però non ha compromesso il livello dello spread fra il Bund tedesco e il BTP italiano compressosi ulteriormente) che ha impattato anche sulla parte investment grade dell’obbligazionario a spread. Bene le commodities con il petrolio che è salito ulteriormente e bene anche i metalli preziosi. Il dollaro si è indebolito rompendo il livello di 1.22.

Analizziamo più nel dettaglio cosa è successo partendo con il commento delle decisioni delle principali banche centrali riunitesi in settimana.

In generale possiamo dire che le banche centrali non hanno fatto altro che confermare che la politica monetaria rimane, ovunque, estremamente accomodante e disponibile ad essere ulteriormente rafforzata:

  • la Fed ha mantenuto i tassi nel range 0-0.25% con la “dot plot” (ovvero la rappresentazione grafica delle intenzioni dei singoli membri per il prossimo futuro) che li ipotizza invariati almeno fino al 2022/2023; il programma di acquisto titoli proseguirà all’attuale ritmo finché non ci saranno progressi sostanziali nell’economia (sia in termini di inflazione che di occupazione). Anche la Fed ha aggiornato le stime di crescita del Pil rivedendole al rialzo sia per il 2020 (-2.4% da -3.7% di settembre) che per l’anno prossimo (+4.2% dal +4% stimato a settembre), così come quelle di inflazione riviste leggermente al rialzo: è stato proprio il mix di questi fattori, politica monetaria invariata (e che rimarrà accomodante ancora a lungo) e inflazione in possibile aumento (legate a migliori prospettive di crescita) che ha portato il cambio euro/dollaro sopra il livello di 1.22. Powell ha ribadito che, a fronte di rischi immediati molto alti, la Fed si mantiene pronta ad intervenire pur nella consapevolezza che la situazione dovrebbe esser destinata a migliorare nel medio termine. Il mercato, nell’immediato, è rimasto un po’ deluso dalla non proattività ma poi si è ripreso;
  • la Bank of England ha deciso, all’unanimità, di mantenere l’attuale stance di politica monetaria lasciando i tassi invariati (a 0.10%) così come il programma di acquisto titoli almeno finché non ci saranno evidenti progressi sull’inflazione e chiarezza sul fronte Brexit (in tal caso si potrebbe valutare anche l’introduzione di tassi negativi). Secondo il comitato l’outlook rimane fortemente incerto anche se il vaccino dovrebbe ridurre notevolmente il downside risk;
  • la Bank of Japan ha dichiarato, prima del meeting ufficiale, che acquisterà 6 miliardi di dollari di debito direttamente dal ministero delle Finanze per potere essere pronta ad evitare che un’eventuale ripresa della pandemia metta a rischio la chiusura dell’anno fiscale giapponese (a marzo). Si tratterebbe di un primo importante passo verso la c.d. “monetizzazione” del debito pubblico direttamente legata alla tanto spesso citata MMT (Modern Monetary Theory), ovvero il finanziamento diretto dello Stato da parte della Banca Centrale. Ancora una volta il Giappone si dimostra più avanti nelle politiche di intervento monetarie, forse perché ha vissuto una grande crisi in passato che ha portato ad una cronica deflazione; dalla riunione ufficiale, invece, non sono emersi cambiamenti nella politica monetaria né in termini di tassi di interesse (che rimangono negativi a -0.10%) né di programma di acquisti (enfatizzando, su questo punto, che un’uscita dalla strategia di acquisto di ETF azionari è prematura).

Rimanendo sempre in tema banche centrali torniamo a parlare di quanto commentato più volta in questa sede, ovvero del tema critico dei dividendi per il settore finanziario.

La Bank of England ha deciso che le banche inglesi potranno tornare a distribuire i dividendi agli azionisti ma con dei vincoli. Gli stress test della BOE hanno consentito di valutare le banche britanniche sufficientemente solide (i coefficienti patrimoniali tripli rispetto alla crisi finanziaria del 2008-2009) da permettere il pagamento delle cedole nel 2021 ma con la limitazione del 15%-25% in termini di payout ratio o 0.2% del valore patrimonio primario o attività ponderate per il rischio (Cet1). Il messaggio che la BOE ha voluto dare è positivo e cioè le banche sono ritenute solide per sostenere l’economia in una fase così difficile ma si tiene comunque un cuscinetto di sicurezza.

Il giorno successivo la BCE si è allineata alla BOE confermando quanto già emerso la settimana precedente: il divieto alla distribuzione dei dividendi viene stato rimosso ma viene imposto un tetto pari al 15% degli utili cumulati nel periodo 2019-2020 e 0.20% in termini di Cet1 (si applica il minore fra i due vincoli). Tale regola varrà fino al 30 settembre 2021. Le banche non potranno, però, distribuire acconti sui dividendi relativi agli utili 2021. Le valutazioni su dividendi e buyback (modo alternativo di remunerare gli azionisti acquistando azioni sul mercato) verranno valutate caso per caso dal Consiglio di Vigilanza della Bce guidato da Andrea Enria.

In generale si tratta di una cauta riapertura (si stima che la distribuzione dei dividendi sarà pari ad un terzo di quello che sarebbe normalmente avvenuto) che tiene conto, da un lato, del fatto che potremmo essere avviati verso una normalizzazione e verso la fine della crisi e, dall’altro, che l’andamento altalenante della pandemia e dei contagi rende lo scenario ancora incerto e il problema delle sofferenze dei crediti potrebbe solo essere rimandato.

Altra considerazione da fare è la seguente: sebbene, in linea teorica, sia corretto limitare la distribuzione di dividendi (o il buyback) considerato i fondi che l’istituto centrale mette a disposizione delle banche a tassi negativi, è anche vero che, spesso, gli azionisti delle banche sono le fondazioni che utilizzano proprio i dividendi incassati per erogare servizi sul territorio importanti, a maggior ragione, in un momento di particolare fragilità come quello attuale.

Occorre, poi, aggiungere il fatto che fra i soggetti con licenza bancaria ci sono anche i c.d. “asset gatherer” o banche rete (tipo Mediolanum, Banca Generali, Fineco…) e, paradossalmente, il doppio vincolo tende a penalizzare proprio coloro che hanno meno attività di rischio (le attività bancarie sono legate al risparmio gestito e solo minimamente ai prestiti verso famiglie e imprese).

Ricordiamo che la sospensione al pagamento dei dividendi è stata introdotta a marzo di quest’anno per permettere alle banche di essere pronte a fronteggiare le conseguenze negative della pandemia. Sebbene questa crisi, come più volte ribadito, non abbia avuto origine dal settore bancario (come invece accadde nel 2007-2008) le sue ripercussioni potrebbero ricadere sulle banche in termini di maggiori NPL (non-performing loans); le banche centrali hanno cercato di salvaguardare il settore attraverso diverse misure (es. il TLTRO) e abbassando i tassi di interesse ma è normale che questi soldi debbano essere utilizzati per creare un cuscinetto indispensabile per non affogare nei quasi inevitabili crediti incagliati.

Il buon andamento dei mercati azionari e il leggero incremento dei rendimenti obbligazionari governativi sono legati anche alle attese di un imminente ritorno alla normale attività economica legata ai vaccini. Negli Stati Uniti l’FDA ha approvato anche il vaccino prodotto da Moderna mentre, in Europa, l’EMA ha annunciato che potrebbe approvare il vaccino di Pfizer/BioNTech il 21 dicembre, in anticipo rispetto alla data prevista del 29 dicembre. Se così fosse in Europa si potrebbe ipotizzare quello che alcuni chiamano V-day, l’inizio della campagna di vaccinazioni, già il 27 dicembre.

Della positività legata ad un eventuale ritorno alla normalità beneficia anche il petrolio con il WTI che supera i 49 dollari al barile nonostante l’OPEC, nel suo report mensile, tagli le previsioni sulla domanda del primo trimestre 2021 di un milione di barili al giorno a causa dell’impatto delle misure restrittive sulla prima parte del trimestre.

Con i Grandi Elettori americani che hanno confermato la vittoria di Biden alla presidenza degli Stati Uniti arriva anche l’accordo sul pacchetto da 900 miliardi di dollari per dare sostegno all’economia e ai cittadini colpiti dalla pandemia. Il voto finale è previsto per oggi.

In tema di stimolo fiscale il Giappone si distingue con una cifra record: la bozza di bilancio prevede, infatti, la spesa di 1.030 miliardi di dollari per il prossimo anno fiscale (da aprile) destinata sia alle necessità legate al coronavirus e alle conseguenti misure per cercare di rilanciare l’economia, che le normali spese militari e di welfare.

La debolezza del dollaro può essere anche, in parte, legata al recente andamento migliore dei dati macroeconomici europei rispetto a quelli americani come emerge dall’andamento degli Economic Surprise Indices delle due aree. In settimana sono stati pubblicati i dati di fiducia delle imprese PMI: in Eurozona, pur rimanendo sotto la soglia critica del 50 il dato composite è passato da 45.3 a 49.8 grazie, soprattutto, al comparto dei servizi (passato da 41.7 a 47.3) e al contributo della Francia. Per gli Stati Uniti, invece, il dato aggregato è passato da 58.6 a 55.7 a causa proprio del comparto dei servizi.

Non si arresta la corsa del bitcoin che sale sopra i 24.000 dollari per la prima volta in assoluto e oro che ne risente. Due sono le notizie rilevanti sul tema bit-coin uscite in settimana:

  • Banca Generali ha avviato una partnership con la fintech Conio Inc. (che fornisce servizi di “wallet provider” ovvero custodia, negoziazione e reporting di bitcoin) acquisendone il 9.9% (per 14 milioni di dollari). Oltre a supportarne la crescita partecipando all’aumento di capitale, Banca Generali intende distribuire i prodotti di Conio arricchendo la propria offerta digitale:
  • l’americana Coinbase, la maggiore piattaforma di scambi di criptovalute, ha depositato i documenti per quotarsi a Wall Street con una valutazione stimata iniziale pari a 8 miliardi di dollari.

Diamo qualche numero sul tema: la capitalizzazione totale delle criptovalute (che sono in totale 8.ooo) ha raggiunto la cifra di 580 miliardi di dollari (di cui 1/3 sono relativi ai Bitcoin), gli scambi giornalieri sono pari a circa 280 miliardi di dollari e gli utenti circa 60 milioni.

Società del big tech americano ancora sotto attacco sia in US che in Europa: la Federal Trade Commission americana ha aperto un’inchiesta chiedendo maggiore trasparenza sull’utilizzo di dati sensibili a Facebook, Google e YouTube confermando la tendenza ad un approccio più duro da parte del regolatore. Inoltre, in Texas il procuratore generale ha avviato una causa antitrust contro Google accusandola di collusione con Facebook sul mercato della pubblicità online che sarebbe stato manipolato per creare, di fatto, un duopolio. In Europa, la UE stabilisce multe, fino ad un massimo del 10% del fatturato, se le società del big tech non rispettano le regole sull’utilizzo dei dati e la concorrenza. Inoltre, si parla di multe fino al 6% del fatturato per coloro che non controllano e rimuovono la propaganda terroristica ed eventuali altri contenuti illegali.

Nonostante il newsflow non sia particolarmente positivo il Nasdaq raggiunge nuovi massimi: segnaliamo, fra i principali titoli, l’ottima la performance di Apple dopo che l’agenzia di stampa giapponese Nikkey ha pubblicato che la produzione di iPhone aumenterà del 30% nella prima metà del 2021.

Da manuale la performance di Tesla, che da oggi fa parte dell’indice S&P500 con un peso pari a 1.5% circa: il titolo, dopo essere stato parecchio volatile e avere fatto segnare il record di scambi superiori a 200 milioni di titoli (pari a 148 miliardi di dollari) passati di mano in un solo giorno, ha toccato il massimo di 695$ esattamente in chiusura quando si sono concentrati gli acquisti degli etf e dei fondi passivi (pari a più di 50 milioni di dollari) che da oggi devono replicare la nuova composizione dell’indice americano.

QUESTA SETTIMANA

Settimana ridotta con le borse che venerdì saranno chiuse per il Natale (tranne Giappone e Cina, fra le principali) e, nella maggior parte dei casi, il 24 opereranno metà giornata.

Nel week-end la notizia che è circolata, e che è destinata ad impattare negativamente i mercati finché non ci sarà maggiore chiarezza, riguarda la comparsa nel Regno Unito di una nuova variante del coronavirus, che pare essere anche arrivata in Italia dove è stata immediatamente isolata. Questo elemento aggiunge notevole incertezza al quadro generale, occorre assolutamente avere la conferma della validità del vaccino anche su questa variante e della non maggiore gravità rispetto a quello visto finora.

Oggi 21 dicembre l’agenzia europea dei farmaci EMA ha approvato vaccino di Pfizer/BioNTech che consentirebbe l’inizio della campagna vaccinale subito dopo Natale.

Nel week-end è scaduta l’ennesima deadline fissata per arrivare ad un accordo sulla Brexit. I negoziati proseguiranno questa settimana. Per alcuni le posizioni sono ancora troppo distanti, questa settimana dovrebbe essere cruciale e si spera che il governo britannico sia chiamato a ratificare l’eventuale accordo raggiunto con la UE.

Tra martedì e mercoledì la pubblicazione di parecchi dati macroeconomici americani ci aiuterà ad avere un’idea più precisa dell’attuale stato dell’economia US: nello specifico, oltre alla terza stima del Pil per il terzo trimestre, verranno rilasciati i dati relativi al personal income, al personal spending e quelli sul mercato del lavoro settimanali.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Si sta avvicinando la fine di un anno veramente difficile e particolare per i mercati; come abbiamo potuto constatare dalle notizie sulla variante del virus nel week-end, non si può mai abbassare la guardia e, quindi, anche gli ultimi giorni dell’anno potranno riservare sorprese, speriamo solo positive. La liquidità, solitamente, si riduce quindi i mercati diventano più vulnerabili a qualunque notizia esasperando le variazioni.

In generale, comunque, possiamo dire che si sta passando dall’anno del virus all’anno dei vaccini e, quindi, dall’anno caratterizzato da diversi stadi di quello che abbiamo definito “coma farmacologico” indotto, attraverso le diverse sfumature di lockdown, dai governi alle economie, all’anno che dovrebbe vedere la normalizzazione dell’attività economica. Normalizzazione che sarà tanto più facile quanto più elevata sarà la numerosità dei vaccini e l’efficacia risultata nei test.

Esattamente per questo motivo i mercati sono rimasti “scombussolati” questa mattina dalla notizia della mutazione del vaccino, perché allontanerebbe la ripresa che si ipotizzava potesse avvenire nella seconda parte dell’anno. I vaccini sono fondamentali, infatti, per agevolare il ritorno ad una normale attività economica e favorire, così, la sostenibilità del ciclo economico.

In questo modo grazie al supporto delle banche centrali (che aiutano a giustificare le valutazioni del mercato azionario rendendolo più interessante di quello obbligazionario) e alle spese dei governi si potrà innescare il volano che guiderà la ripresa degli utili delle aziende e renderà più “sana” la salita dei listini. Più “sana” ovvero non drogata da tassi nominali mantenuti forzatamente bassi e che, con aspettative di inflazione in crescita, si traducono in tassi reali negativi che, a loro volta, si traducono in valutazioni azionarie migliori.

Nella seconda metà dell’anno, se tutto andrà come ci si auspica e da un punto di vista sanitario saremo vicini all’immunità di gregge, ci avvicineremo al “redde rationem” ovvero al momento in cui i mercati prenderanno atto di come stati e aziende avranno utilizzato l’enorme mole di denaro che è entrata in circolazione nel sistema sia sottoforma di massa monetaria che di spesa pubblica e solo i più virtuosi potranno venire premiati.

Le nostre linee di gestione hanno continuato a beneficiare del buon andamento degli asset rischiosi (sia azionari, che obbligazionari high yield o commodities): ottima la performance della linea ITA che si riporta positiva da inizio anno.

Analisi dei mercati del 14.12.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIME DUE SETTIMANE

Mentre l’ultimo giorno di novembre si è chiuso con dei forti movimenti tecnici (al ribasso per gli indici azionari) legati al ribilanciamento dei fondi (infatti sulla chiusura dei mercati europei ci sono state parecchie vendite), durante le prime due settimane di dicembre i mercati si sono stabilizzati oscillando in funzione, soprattutto, del newsflow relativo al piano fiscale americano e alle trattative sulla Brexit.

Il settore tecnologico americano, decisamente ben intonato nei primi giorni del mese, ha poi sofferto per l’aumento dei rischi regolamentari: la Federal Trade Commission, infatti, sta agendo contro Facebook accusandola di pratiche anticoncorrenziali e proponendo di separarla dalle società recentemente acquisite, ovvero Instagram (acquistata nel 2012) e WhatsApp (acquistata nel 2014). La questione ha pesato sull’intero settore tecnologico (anche Google è presa di mira) portando a massicce prese di profitto.

L’euro è stato particolarmente forte a inizio dicembre e si è, poi, stabilizzato intono a 1.21. La rottura della resistenza di 1.20 non ha generato nessun intervento verbale da parte dei banchieri (come, invece, avvenne a settembre da parte del capoeconomista della BCE Lane) e questo ha generato un non rientro nel trading range precedente (1.16-1.20) in piedi da agosto. Fra i principali fattori che hanno portato alla debolezza del dollaro possiamo citare la nomina della Yellen al Tesoro (e quindi l’attesa di una politica fiscale espansiva che genera un maggiore deficit) e le aspettative circa le riunioni delle banche centrali che avrebbero potuto evidenziare le armi spuntate da parte della BCE (relativamente alla Fed). Il differenziale dei tassi nominali a breve termine (fra area euro e Stati Uniti), attualmente, non giustifica il movimento del cambio eur/usd, che potrebbe, invece, trovare qualche appiglio sia nelle diverse aspettative di inflazione fra le due aree (maggiori negli Stati Uniti) sia, come detto sopra, nel fatto che gli Stati Uniti si avviano verso il c.d. “twin deficit” (disavanzo fiscale e delle partite correnti) che giustifica una valuta più debole. La curva dei rendimenti governativi americani, infatti, si è leggermente “irripidita” con i tassi più a lunga scadenza (dai cinque anni in su) che sono saliti.

Andamento opposto per i governativi europei che mantengono bassi rendimenti con i paesi della periferia che vedono ulteriori restringimenti degli spread: il Portogallo si è aggiunto ai paesi che possono vantare un rendimento negativo sul titolo decennale (attualmente pari a -0.03%), il pari scadenza spagnolo viaggia in un intorno dello zero mentre anche il BTP italiano a cinque anni ha raggiunto un rendimento negativo. Ricordiamo che si tratta di paesi appartenenti ai cosiddetti PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) al centro della crisi del debito sovrano nel 2011. Ad oggi l’Italia rimane, insieme alla Grecia, il paese con i rendimenti più alti in area euro, seppur in calo.

Le ultime due settimane sono state decisamente dense di eventi.

Partiamo con la riunione della BCE di martedì 10: i tassi non sono stati modificati (tasso principale 0%, tasso sui depositi -0.50%) e rimarranno tali (se non ancora più bassi) finché non ci sarà stabile crescita e inflazione in ripresa e, comunque, oltre il termine della pandemia.  La dotazione del piano PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) è stata incrementata di 500 miliardi (arrivando ad un totale di 1.850 miliardi) e la durata protratta fino a marzo 2022 (le attese erano dicembre 2021): su questo punto è emerso che il comitato era diviso sull’ammontare dell’incremento ma la decisione circa l’estensione è stata unanime. Anche sul secondo strumento in mano alla BCE, ovvero il TLTRO3 (Targeted Long Term Refinancing Operations) è stata ricalibrata la durata, estendendo di ulteriori 12 mesi (fino a giugno 2022) il periodo in cui si applicano condizioni favorevoli di rifinanziamento (tra -0.5% e -1%) e aumentando il limite che le banche possono chiedere a prestito.

Per quanto riguarda il cambio, Christine Lagarde, durante la conferenza stampa, ha risposto ad un’esplicita domanda ribadendo che si tratta di un elemento importante e da monitorare, dato che impatta sulle prospettive di inflazione, ma non è direttamente nel mandato della banca centrale.

Durante questo incontro era anche prevista la comunicazione delle nuove previsioni di crescita: il Pil del 2020 è stato rivisto leggermente in miglioramento a -7.3% (da -8% della stima di settembre) mentre per il 2021 la crescita attesa è del +3.9% (dal +5% stimato precedentemente). Sul lato dell’inflazione la stima rimane invariata a +1% per l’anno prossimo quindi ben sotto al target.

In sostanza la BCE sta cercando di mantenere condizioni finanziarie favorevoli per il sistema nel complesso (privati, imprese e governi) almeno fino alla fine della pandemia. Tuttavia, il mercato (nella componente azionaria) non ha reagito particolarmente bene non vedendo nulla di nuovo nella strategia di politica monetaria ma semplicemente un’estensione dell’attuale.

Sul tema dividendi delle banche la BCE non si è espressa ma venerdì, a borse chiuse, è uscita la notizia di un possibile cap al payout ratio (quota degli utili destinata alla distribuzione agli azionisti) che si porrebbe al 20% dei profitti. 

L’altro tema parecchio dibattuto in questo periodo in Europa ha riguardato la riforma del Mes (conosciuto come Fondo Salvastati). Occorre, innanzitutto, premettere che tale riforma non ha nulla a che vedere con il Mes “sanitario”, ovvero quello legato ai prestiti per affrontare la pandemia, ma si riferisce a quello istituito nel 2012 e che è intervenuto in aiuto di Irlanda, Portogallo, Grecia, Spagna e Cipro in cambio dell’impegno a realizzare riforme draconiane dell’economia per risanare le finanze pubbliche. Nel 2018 il Consiglio europeo ha esteso le funzioni del Mes permettendogli di intervenire anche in supporto delle istituzioni bancarie e finanziarie.

L’Eurogruppo, che raccoglie i vari ministri delle Finanze, dopo un anno di trattative, ha finalmente raggiunto un accordo per la riforma del Mes che riguarda due aspetti:

  • la sua trasformazione in “paracadute” per il fondo di risoluzione bancaria (Srf) a partire dal 2022 (e non dal 2024 come inizialmente previsto). Il Mes acquisirebbe, così, il ruolo di salvagente di ultima istanza in caso di crisi bancaria intervenendo, con una linea di credito al SrF, qualora lo Stato esaurisse le munizioni finanziarie nazionali e anche il bail-in (salvataggio interno) fosse già stato effettuato. L’ammontare a disposizione sarà di circa 68 miliardi e, in caso di accesso, il rimborso del prestito dovrà avvenire con i contributi delle banche entro tre o cinque anni. L’obiettivo è di rafforzare l’unione bancaria e rappresenta un primo passo verso un accordo sulla garanzia unica europea per i depositi. Sottolineiamo che, sebbene il sistema bancario italiano abbia fatto progressi notevoli e le sofferenze siano in calo, l’Italia rimane fra i paesi con il più alto livello di crediti inesigibili (insieme a Cipro, Portogallo e Grecia);
  • per quanto riguarda la parte relativa al salvataggio dei singoli Stati, le principali differenze, rispetto alla versione precedente (quella che, per intenderci, fu alla base dell’intervento sulla Grecia), riguardano la sostituzione della Troika (BCE, FMI e Commissione Europea) con la sola Commissione Europea (che gestirebbe con il Mes le linee di credito e il monitoraggio) e la richiesta di una semplice lettera di intenti (invece di uno stringente memorandum) per attivare la prima linea di credito. Sarebbe proprio questo il punto che non piace ad alcuni paesi (Italia compresa): le condizionalità che permettono l’attivazione della linea di credito in questo modo riguardano il rispetto dei parametri di Maastricht (rapporto deficit/Pil inferiore a 3% e debito/Pil inferiore a 60%) e nessuna procedura di infrazione in corso ma il rischio è che, in mancanza si assoluzione degli obblighi previsti (tipo il miglioramento della situazione di bilancio) vi sia un aumento consistente del tasso di interesse. Inoltre, la ristrutturazione del debito pubblico diventa tanto più pesante quanto maggiore è la quota di tale debito detenuta all’interno del paese da parte di banche e cittadini: in Italia, ad esempio, tale quota è pari a circa il 75% mentre per la Germania è pari a solo il 20%.

L’iter procedurale adesso prevede che il 27 gennaio l’accordo sia firmato dal Consiglio Europeo e successivamente ratificato dai singoli stati (19 paesi dell’area euro) per, poi, entrare in vigore nel 2022.

Sempre in Europa, molta enfasi è stata posta sull’approvazione del Recovery Plan o Next Generation EU: durante l’ultima riunione presieduta dalla Germania, la Cancelliera Angela Merkel è riuscita a trovare un accordo con Polonia e Ungheria che ha, di fatto, portato a un’intesa dei 27 paesi sul bilancio comunitario 2021 e 2027 e sbloccato il pacchetto da oltre 1.800 miliardi di euro (di cui 750 per il vero e proprio Recovery Fund).

Spostandoci dall’altra parte dell’oceano, il newsflow politico ha continuato a farla da protagonista soprattutto per la parte relativa allo stimolo fiscale americano: il Congresso sta discutendo della proposta bipartisan, pari a circa 900 milioni di dollari (ovvero, i 500 voluti dai repubblicani sommati ai 450 che Mnuchin sottrarrebbe al programma “main street” della Fed), che rappresenterebbe un “ponte” in attesa del piano più corposo atteso quando entrerà ufficialmente in carica Biden, a gennaio, e la Yellen si occuperà del Tesoro. Siamo lontani dagli oltre 2.000 miliardi voluti dai Democratici ma è comunque un passo in avanti. Rimane aperto e in attesa di risoluzione il tema del “debt ceiling”, ovvero il tetto del debito americano il cui sforamento è da approvare da parte del Congresso alla fine di ogni anno per evitare la paralisi della macchina amministrativa.

Trump, al di là delle dichiarazioni di una prossima ricandidatura alle elezioni del 2024, sembra avere accettato la sconfitta e oggi ci dovrebbe essere l’ufficializzazione del risultato. Ricordiamo che rimane ancora aperta la questione relativa alla composizione del Senato che verrà smarcata con il ballottaggio in Georgia a inizio gennaio.

Mentre Stati Uniti ed Europa, quindi, sono ancora in fase di discussione, il Giappone prosegue deciso nella sua politica fiscale di sostegno annunciando un piano di 700 miliardi di dollari a supporto delle aziende e settori più in difficoltà (es. turismo). È evidente come nel paese del Sol Levante (ma, forse, in Asia in generale) le decisioni siano molto più veloci, sia in campo fiscale che monetario, dimostrando una maggiore reattività delle autorità.

Per rimanere in ambito politico non poteva certo mancare all’appello la Gran Bretagna alle prese con un’estenuante negoziazione con l’Unione Europea la cui deadline continua ad essere posposta. Si teme che sia forte la possibilità di non arrivare ad un punto in comune che comporterebbe un’uscita senza accordo (e la sterlina, nell’ultimo periodo, ne ha decisamente risentito). La scorsa settimana il premier Johnson si è recato a Bruxelles per discutere direttamente con Ursula Von der Leyen; le trattative sono, poi, proseguite nel week-end ottenendo, semplicemente, di continuare la negoziazione fino all’ultimo. Un’intesa di massima sul tema del confine fra le due Irlande è stato trovato (l’Irlanda del Nord rimarrebbe nel mercato comune e, quindi, nell’unione doganale europea) ma rimane aperto il punto sulla pesca, quello della concorrenza (regole) e dei sussidi (aiuti di stato) e quello dell’autorità competente in caso di disputa, tutti i temi che risultano particolarmente delicati per UK.

Per quanto riguarda i vaccini si avvicina la fase dell’approvazione e del loro utilizzo. L’FDA americana il 10 ha approvato il vaccino di Pfizer e il 17 è chiamata a decidere su quello di Moderna. L’autorità europea EMA (European Medicines Agency, che si occupa dell’approvazione dei farmaci) ha annunciato che si esprimerà entro il 29 dicembre per il vaccino di Pfizer ed entro il 12 gennaio per quello di Moderna. In UK, invece, il vaccino di Pfizer è già stato approvato (si tratta del primo paese al mondo a farlo con la motivazione dell’emergenza) e le vaccinazioni sono già cominciate l’8 dicembre. Anche in Russia è partita la campagna di vaccinazione di massa con il vaccino Sputnik. Negli Stati Uniti si partirà oggi e per l’Italia si ipotizza il 6 gennaio.

Il prezzo del WTI (riferimento americano del petrolio) rompe al rialzo il livello di 45 dollari al barile e si porta sopra quota 47 tornando, così, ai livelli pre-pandemia. Stesso andamento per il Brent (riferimento europeo del petrolio) che torna sopra la simbolica soglia dei 50 dollari. A favorire la forza dell’oro nero possiamo identificare tre elementi: 1) la pandemia in via di risoluzione, grazie ai vaccini, lascia ben sperare sulla ripresa economica; 2) l’OPEC+ ha deciso di ridurre i tagli alla produzione (a partire da gennaio) fissando incontri mensili di verifica (il primo dei quali è previsto il 4 di gennaio) per calibrare meglio l’offerta all’evoluzione della domanda. Ricordiamoci che, su questo punto, la posizione critica rimane quella degli Emirati Arabi che non vorrebbero farsi carico di alcun taglio e minacciano di uscire dal cartello; 3) la Cina continua a dimostrare una decisa ripresa economica (anche i PMI elaborati dalla privata Caixin ne confermano la forza crescendo al ritmo maggiore degli ultimi dieci anni) e contribuisce in buona parte alla domanda di petrolio (e sembra che siano proprio gli Emirati Arabi i principali fornitori).

Dopo il CDA straordinario di Unicredit, a cui avevamo fatto accenno, il CEO Mustier ha annunciato che si ritirerà dal suo ruolo alla fine del secondo mandato (aprile 2021) dopo che per cinque anni è stato alla guida della banca (amministrata, precedentemente, da Federico Ghizzoni e, prima ancora, da Alessandro Profumo). Fra i possibili successori circola il nome di Victor Massiah (ex ceo di UBI che però sembra escluso per un patto di non concorrenza con Intesa), Marco Morelli (ex MPS) ma anche nomi interni ad Unicredit. Le motivazioni della decisione di Mustier, come si ipotizzava, sembrano riguardare “incomprensioni” interne emerse negli ultimi mesi che lasciano pensare al discorso MPS. Nei cinque anni durante i quali è stato alla guida di Unicredit Mustier ha realizzato il più grande aumento di capitale mai effettuato in Italia (13 miliardi di euro) e una campagna di dismissioni di asset pari a sei miliardi di euro (Bank Pekao, Pioneer, Fineco e Yapi Kredi) non sempre ritenute corrette e ben valutate. Ricordiamoci che il nuovo presidente di Unicredit è Piercarlo Padoan la cui nomina, tempo fa, è stata letta come un tentativo di favorire la fusione con MPS, dato che l’ex ministro del Tesoro conosce bene la banca toscana avendo guidato l’operazione di salvataggio nel 2017.

Interessante osservare il tema dell’azionariato delle due banche e della ipotetica nuova identità evidenziato da Il Corriere della Sera: considerato che, dopo la cessione dei crediti deteriorati di MPS ad Amco, il Tesoro possiede il 64% dell’istituto senese (che ha una capitalizzazione di circa 1.2 miliardi) e che Unicredit (che capitalizza circa 17 miliardi) ha un azionariato molto frammentato (massima partecipazione pari al 5%), qualora il Tesoro sottoscrivesse l’aumento di capitale (si parla di 2.5 miliardi) arriverebbe ad avere una partecipazione del 11% circa diventando così il primo azionista.

Qualora, invece, non si arrivasse alla fusione con BMPS c’è chi ritiene che Unicredit potrebbe diventare preda di gruppi stranieri (francesi soprattutto) per una fusione cross-border dato che, comunque, si tratta di una banca con fondamentali solidi ed una valutazione attraente. Oppure, proprio per “evitare” MPS, si parla di aggregazione con Bper: in tal caso Unipol (principale azionista della banca modenese) si candiderebbe a sostituire Aviva nel contratto di bancassicurazione.

Prosegue la corsa di Tesla che, ricordiamo, il 21 dicembre entrerà nell’indice S&P500 con una capitalizzazione pari a 578 milioni di dollari che la porterebbe ad essere, quindi, il sesto titolo (circa 1.5%) subito dopo Alphabet. Il forte rialzo dal giorno dell’annuncio dell’inclusione non si è arrestato neanche con l’annuncio della vendita di azioni proprie pari a 5 miliardi di dollari (0.8% del capitale) che corrisponderebbe a circa 7.79 milioni di azioni. Solo il downgrade della raccomandazione di JPM a “underweight” ha fatto correggere il titolo ritenuto, dagli analisti della casa americana, sopravvalutato. Elon Musk, CEO e proprietario del 18% di Tesla, diventa così la seconda persona più ricca al mondo, dopo Jeff Bezos di Amazon, scalzando dalla posizione il presidente di LVMH Bernard Arnauld.

Ancora sugli scudi il bitcoin dopo che Guggenheim Partners ha richiesto alla SEC (Securities and Exchange Commission) di poter investire dal 5% al 10% degli asset (fino a 530 milioni di dollari) del fondo Macro Opportunities Fund sulla criptovaluta attraverso il Grayscale Bitcoin Trust (che investe solo in bitcoin). Si conferma quanto abbiamo scritto la scorsa settimana: i movimenti di prezzo, essendo l’offerta rigida, sono essenzialmente dettati da news sulla domanda sia da parte di investitori (che lo stanno prendendo sempre più in considerazione) che da parte di consumatori (ricordiamoci che Paypal consentirà dal 2021 di acquistare e regolare transazioni in bitcoin).

Intanto la divisione che si occupa della composizione degli indici per S&P Global ha annunciato che per l’anno prossimo è previsto il lancio di alcuni indici sulle criptovalute. L’idea nasce dalla constatazione che si tratta di un’asset class in rapida crescita e ha senso, quindi, creare dei benchmark di riferimento.

Una banca tedesca di medie dimensioni fondata nel 1976, la Hauch & Aufhauser, ha annunciato che a gennaio lancerà un fondo di criptovalute a gestione passiva con Bitcoin, Ethereum, Stellar e altre croptovalute, destinato ad un pubblico di investitori con patrimonio elevato o istituzionali. La size minima di investimento sarà pari a 200.000 euro.

Resta il tema della regolamentazione che è stata ribadita ad un incontro G7 (tra banchieri centrali, ministri delle finanze, membri del FMI e della World Bank) da parte, ancora, di Steve Mnuchin (segretario al Tesoro americano). Dal dibattito è emerso che sebbene i pagamenti digitali e la nascita delle monete virtuali sia importante per superare i limiti dei sistemi di pagamento tradizionali in termini di inefficienza e costi, è altrettanto importante evitare comportamenti illeciti.

QUESTA SETTIMANA

Man mano che gli eventi che avevamo identificato come particolarmente rilevanti verso la fine dell’anno vengono superati diventa molto importante continuare a monitorare l’evoluzione dei contagi nel mondo: negli Stati Uniti sembra ci sia una ripresa dei numeri in conseguenza alla festività del Thanksgiving e in Europa, con l’avvicinarsi del Natale e il parziale allentamento delle restrizioni, si potrebbe assistere ad un peggioramento dei dati a gennaio. Si parla anche di chiusure dopo Natale per frenare un’ipotetica terza ondata. Il tema, ripetiamo, è importante perché la sostenibilità della ripresa dipende anche dai danni, più o meno pesanti, subiti dall’economia.

Giovedì 17 l’FDA americana dovrebbe approvare anche il farmaco di Moderna.

La Fed si riunirà mercoledì 16 e vedremo se ci saranno novità sulla strategia e il programma di acquisti. Qualcuno si attende una calibrazione diversa degli acquisti lungo la curva ma non una modifica dell’ammontare.

Il giorno successivo, giovedì 17, si riunirà la Bank on England e la Swiss National Bank: mentre quest’ultima ha la necessità di limitare l’apprezzamento del Franco e probabilmente lascerà i tassi ai livelli attuali (-0.75%), la BOE si troverà a dovere fare i conti, eventualmente, anche con la Brexit. In UK il barometro della situazione rimane sempre il cambio della sterlina.

Infine, venerdì 19 terminerà la carrellata delle banche centrali la Bank of Japan.

In generale dalle banche centrali ci si aspetta il mantenimento di toni accomodanti e di ulteriore supporto ai mercati qualora la situazione dovesse richiederlo.

Il 19 dicembre il Parlamento Europeo dovrà decidere sia sulla riforma del Mes sia sul Recovery Plan. Sono 27 i paesi coinvolti.

Anche se, ormai, la deadline finale è il 31 dicembre, le notizie sul fronte delle negoziazioni fra UK e EU rimangono estremamente importanti da seguire.

Da un punto di vista macroeconomico sono previsti in uscita i dati di fiducia delle imprese (PMI) preliminari per il mese di dicembre attesi, sostanzialmente, stabili.

Il 18 di dicembre c’è una scadenza tecnica particolarmente importante (il c.d. “quadruple witching”): si tratta del giorno in cui scadono, contemporaneamente, futures e opzioni sia su indici che su titoli. Avviene ogni terzo venerdì di marzo, giugno, settembre e dicembre e può generare dei movimenti particolarmente violenti soprattutto dopo periodi di movimenti di mercato importanti.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Il tema delle banche centrali è indubbiamente molto sentito dai mercati, come abbiamo avuto più volte modo di sottolineare. L’impatto diretto è sul comparto obbligazionario: se guardiamo, ad esempio, ai 500 miliardi di euro aggiunti al piano PEPP da parte della BCE, circa il 18% andrebbe all’Italia e si tradurrebbe in 90 miliardi di euro di titoli di stato acquistati dalla banca centrale in nove mesi, più del fabbisogno pubblico.

I tassi sono destinati, in base a questo fattore, a rimanere favorevoli ancora per un po’ di tempo. Il problema si presenterà quando, una volta terminata l’emergenza, tutto il debito in mano alla BCE dovrà essere ripagato (qualcuno parla di cancellazione del debito ma sembra essere vietato dallo statuto). Solo in quel momento si vedrà chi avrà utilizzato bene e in modo profittevole i soldi perché, così facendo, sarà riuscito a fare rientrare un po’ l’enorme debito. Sebbene sia decisamente prematuro discuterne ora è, comunque, importante che ci sia la percezione che i soldi vengano ben spesi per garantire la stabilità dei mercati obbligazionari una volta che la “lunga mano” della banca centrale verrà meno.

Se guardiamo al bilancio della Fed siamo, ad oggi, sopra ai sette mila miliardi di dollari e, per avere un’idea dell’enormità di tale ammontare, consideriamo che, a marzo, prima della pandemia, tale cifra viaggiava intorno ai 4 mila miliardi ed era già il massimo mai raggiunto.

Si tratta di cifre davvero considerevoli che, per molti, rappresentano la “droga” dalla quale dipendono i mercati ad oggi. Naturale chiedersi cosa accadrà quando verrà gradualmente rimossa.

Nell’immediato, però, possiamo dire che la rete di protezione le banche centrali la hanno posizionata e con il 2021 sia in Europa che negli Stati Uniti partiranno i programmi di spesa che dovrebbero fare da volano alla ripresa.

Ora occorre continuare a valutare l’evoluzione della pandemia per capire quanto è ancora lungo il tunnel della cui fine però già si vede la luce.

Abbiamo in passato parlato più volte della dicotomia tra “main street” e “wall street” ovvero tra attività reale (sintetizzata dalla crescita, o meglio decrescita, del Pil) e attività finanziaria (sintetizzata dai listini azionari) e abbiamo giustificato tale dicotomia con due elementi: 1) tassi di interesse bassi (e quindi valutazioni azionarie relativamente migliori e attraenti) e 2) tendenza dei mercati di anticipare la ripresa economica.

Una dicotomia ancora più strana la possiamo notare fra l’andamento di alcune materie prime, considerate “leading” della ripresa economica, e il ciclo economico: in particolare, se osserviamo l’andamento del prezzo del rame (o “dr copper” come si chiama in gergo) o dell’iron-ore (minerale di ferro utilizzato nella produzione dell’acciaio) vediamo che si trovano entrambi ai livelli massimi degli ultimi sette anni e sembra assurdo in un mondo ancora, essenzialmente, in recessione.

Questa volta la spiegazione risiede nello stato di salute di uno dei principali utilizzatori di tali materie prime ovvero la Cina: le sue importazioni hanno battuto ogni record e, come abbiamo già detto, la Cina si sta portando avanti nelle provviste di materie prime in anticipo rispetto alla possibile ripresa globale e al potenziale enorme utilizzo nei vari progetti infrastrutturali e green (di transizione energetica) che diverse economie hanno in programma e che potrebbero fare alzare considerevolmente i prezzi.

La fase di consolidamento dei mercati in queste ultime due settimane si è riflessa sulle performance delle nostre linee di gestione che si sono mantenute stabili. Prosegue il recupero della linea ITA che riduce considerevolmente le perdite da inizio anni grazie alla buona performance dell’ultimo periodo delle small cap italiane. Bene anche la nostra SICAV Stable Return che si avvicina ai 105 di NAV.

Analisi dei mercati del 30.11.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Prosegue il rialzo dei mercati azionari che, in aggregato (Msci World), guadagnano il 2.4% nella settimana. Alcuni indici hanno raggiunto livelli record: il Dow Jones (l’indice americano esistente dal 1928) tocca il livello simbolico di 30.000 e il Nikkey (indice giapponese esistente dal 1949) porta a casa il mese migliore dal 1987. Poco variati gli indici obbligazionari con i governativi che vedono una leggera contrazione dei rendimenti. Fra le commodities segnaliamo l’ottima performance del petrolio (+7%) mentre corregge l’oro coerentemente con la fase di risk-on.

Il mercato ha particolarmente apprezzato sia le notizie provenienti dalla politica americana che il continuo progresso sul tema dei vaccini.

Sul primo tema, sebbene Trump abbia dichiarato che riconoscerà Biden come presidente solo quando il collegio elettorale (dei c.d. “grandi elettori” che si riuniranno il 14 dicembre) certificherà la sua vittoria, la responsabile dei servizi generali annuncia che si può iniziare finalmente il passaggio di consegne tra i due, sbloccando, quindi, i fondi necessari per gestire la transizione. Intanto Biden procede con la selezione dei componenti del suo team che potranno così interagire con i ministri attuali per avere aggiornamenti sui dicasteri: ai mercati è decisamente piaciuta la scelta della ex-governatrice della Fed Janet Yellen al Tesoro nota per la sua “dovishness” e propensione a sostenere l’economia in sintonia con la Fed attuale. La Yellen, che è stata già la prima donna alla guida della Fed, sarebbe anche la prima donna a capo del Tesoro da 231 anni.

Per quanto riguarda i vaccini, a inizio dicembre è attesa l’approvazione da parte di FDA (Food and Drug Administration) ed EMA (European Medicines Agency), le due autorità regolatorie rispettivamente per US ed Europa, del vaccino di Pfizer/BioNTech e di Moderna (quest’ultima ha inviato la richiesta questa mattina). Il vaccino di Astrazeneca, diverso per tecnologia da quello di Pfizer e Moderna, dai risultati preliminari mostra un’efficacia media del 70%, che sale al 90% se la somministrazione viene fatta in due fasi (prima mezza dose e dopo una intera), e garantisce risultati positivi senza gravi effetti collaterali. Giovedì, sempre Astrazeneca, annuncia che verrà eseguito un nuovo test completo per arrivare a risultati più certi ma precisa che questo non impatterà sulle tempistiche. Anche in Cina Sinopharm ha richiesto al regolatore cinese l’autorizzazione a commercializzare il suo vaccino che, tra l’altro, era stato già utilizzato “per emergenza” su parecchie persone (motivo per cui, si ipotizza, la Cina non ha di fatto avuto una seconda ondata).

Segnali di distensione anche nei rapporti fra Cina e Stati Uniti: il presidente cinese Xi Jinping avrebbe intenzione di richiedere agli Stati Uniti di unirsi ad una sorta di TPP 2 (Trans Pacific Partnership), l’accordo dal quale Trump si era sfilato ma che era stato siglato da Obama (del quale Biden era vicepresidente).

In settimana sono stati pubblicati i verbali delle riunioni di Fed e BCE. Dai primi emerge che il board della banca centrale americana sta studiando come modificare il programma di acquisto titoli sia in termini di durata sia in termini di come impattare sulla “pendenza” della curva: si ipotizza infatti un maggiore impegno sulla parte più lunga della curva. Da quelli della BCE è arrivata la conferma che la situazione richiede un intervento coordinato tra politica fiscale e monetario e che sia TLTRO che PEPP saranno gli strumenti principali da utilizzare.

Dalla lettura dei PMI preliminari per il mese di novembre usciti in settimana è emersa una certa dicotomia fra Eurozona e Stati Uniti con la prima in calo sul dato aggregato (45.1 da 50) a causa soprattutto, come atteso, della componente legata ai servizi (41.3 da 46.9) e della debacle francese (dato aggregato da 47.5 a 39.9), mentre gli Stati Uniti offrono un quadro decisamente diverso con il dato composite che passa da 56.3 a 57.9 grazie sia alla componente servizi (57.7 da 56.9) che alla manifattura (56.7 da 53.4). Anche l’IFO tedesco mostra un leggero calo (da 92.7 a 90.7) soprattutto nella componente delle aspettative.

In settimana due elementi confermano la forza dell’economia cinese: il dato sui profitti industriali per il mese di ottobre è uscito in crescita del 28.2% (vs 10.1% precedente) al livello più altro dal 2011; i risultati di Tiffany sono usciti migliori delle attese e in crescita grazie proprio al mercato cinese.

Deutsche Boerse ha annunciato una modifica alla composizione dell’indice azionario tedesco Dax: i titoli passeranno da 30 a 40 a partire da settembre 2021 con l’obiettivo di aumentare la diversificazione. Si punta anche a migliorare la qualità (soprattutto dopo lo scandalo di Wirecard) imponendo, come criterio di inclusione, la presenza di un ebitda (margine operativo lordo, ovvero l’utile al quale sono risommate le tasse, gli ammortamenti e il deprezzamento e le spese per interessi) positivo nei recenti bilanci e, come requisito di mantenimento, la pubblicazione di rapporti finanziari annuali certificati e dichiarazioni trimestrali.

Finalmente in Europa, dopo le tante pressioni arrivate, si comincia a parlare di rimozione del divieto alla distribuzione dei dividendi da parte delle banche nel 2021. Ne ha accennato il vicepresidente del consiglio di sorveglianza della BCE, Yves Mersch, dichiarando che mantenere la sospensione al pagamento dei dividendi oltre la fine di questo anno diventerebbe difficile da giustificare, sia da un punto di vista giuridico che in relazione a quanto altri paesi (vedi UK) decideranno di fare. Ovviamente la distribuzione degli eventuali dividendi sospesi dovrà avvenire in modo “cauto” e solo in caso di bilanci solidi di banche in grado di valutare anche in chiave prospettica la situazione patrimoniale. La decisione finale verrà presa solo dopo che la BCE pubblicherà le sue previsioni macro il 10 dicembre.

Il risiko bancario ogni settimana riserva qualche novità: lunedì scorso Crédit Agricole Italia (controllata da Crédit Agricole per il 75.6%) ha lanciato un’OPA da 737 milioni di euro su Creval interamente cash (per questo è previsto un aumento di capitale per garantire il mantenimento di adeguati ratio patrimoniali). Il titolo reagisce alla notizia con un +23% superando così il prezzo dell’offerta (10.5 euro per azione) che aveva un premio del 21.4% rispetto al prezzo di chiusura di venerdì e del 54% rispetto alla media ponderata degli ultimi sei mesi. L’offerta corrisponde ad una valutazione in termini di Price/Tangible Book Value pari a 0.4x e permette quindi di incassare un badwill significativo (pari a circa un miliardo). L’obiettivo di Crédit Agricole, che aveva già una partecipazione del 9.8% in Creval, è di arrivare al delisting, alla fusione e all’integrazione nella prima parte del 2022, che diventerebbe possibile qualora aderisse il 66.7% degli azionisti (Algebris, il fondo di Davide Serra, si è già impegnata a vendere il suo 5.4%). Nascerebbe così il sesto gruppo bancario italiano con più di 1.200 filiali. L’OPA è dichiarata amichevole da parte di Crédit Agricole, tuttavia, non essendo stata concordata, ci potrebbe essere la richiesta di un rilancio da parte del CdA di Creval (come successe nell’acquisizione di UBI da parte di IntesaSanPaolo che, però, era carta contro carta inizialmente); il fondo inglese Petrus Advisers ha già dichiarato l’offerta inadeguata ritenendo superiore a 14 euro per azione il valore equo, pertanto suggerisce di non aderire. Crédit Agricole, ricordiamo, aveva cercato di arrivare ad un’intesa con BancoBPM ma il nulla di fatto e, successivamente, le voci di una possibile fusione tra BPER e BancoBPM ne hanno modificato il target. A questo punto sul tavolo rimarrebbe solo Unicredit per risolvere la questione del Monte dei Paschi.

Per agevolare e incentivare le aggregazioni bancarie, come caldeggiato dalla BCE, l’Italia utilizza gli incentivi fiscali: le banche che saranno oggetto di attività di M&A potranno trasformare le attività fiscali differite (Dta – Deferred Tax Assets) derivanti dalle svalutazioni sui crediti in crediti fiscali, della più piccola delle società che si fondono, per un ammontare non superiore al 2% degli attivi (il Movimento 5 stelle ha presentato un emendamento per porre 500 milioni come tetto massimo). Abbiamo accennato a questo aspetto nelle scorse settimane come tentativo del Governo di risolvere la questione BMPS (in questo caso il beneficio sarebbe pari a due miliardi) ma è valido per tutte le fusioni ed è evidente che ne stanno approfittando in molti. Nel caso specifico di Crédit Agricole – Creval circa 1/3 dei 737 milioni tornerebbero grazie a questo incentivo.

Molto forte la performance del Bitcoin che in settimana ha toccato i livelli massimi raggiunti nel 2017 (pari a 19.500) per poi crollare improvvisamente giovedì (-10%) sulla diffusione di voci secondo le quali il segretario del Tesoro americano Mnuchin avrebbe intenzione di regolamentare la criptovaluta costringendo le varie borse che sono sotto la giurisdizione americana a venderlo/comprarlo solo per portafogli che rispettano le norme KYC, ovvero con possessori identificabili. Verrebbe meno, quindi, uno dei punti di forza delle criptovalute e cioè l’anonimato: infatti, la maggiore parte dei bitcoin si trova su portafogli anonimi e fra questi abbiamo quelli definiti “whale” (balena) che hanno almeno 1000 bitcoin (pari a circa 18 milioni di dollari) che, se smontati, potrebbero uscire da Coinbase (la borsa dei bitcoin americana) provocando un brusco ridimensionamento del valore. Neanche spostarsi sarebbe facile dato che l’altra grossa borsa mondiale Okex, attiva anche sui derivati, è basata a Malta e fra i proprietari, cinesi, figura tale Xu sotto indagine da parte della polizia cinese.

QUESTA SETTIMANA

Questa mattina sono usciti in rialzo i dati di fiducia delle imprese in Cina per il mese di novembre: si tratta di quelli calcolati dall’agenzia statale ed evidenziano una crescita sia nel settore manifatturiero (52.1 da 51.4) che in quello dei servizi (56.4 da 56.2) entrambi superiori alle attese.

In settimana, sempre in Cina, verranno pubblicati anche quelli dell’agenzia privata Caixin. In Eurozona avremo il dato PMI finale (atteso in leggero rallentamento coerentemente con i numeri preliminari della scorsa settimana) e negli Stati Uniti l’ISM. Vedremo se si confermerà la dicotomia fra economia europea e americana

Oggi e domani è previsto il meeting Opec+: sia Russia che Arabia Saudita sembrano essere favorevoli ad una posticipazione da tre a sei mesi dell’incremento della produzione (pari a due milioni di barili al giorno) che era stato deciso per Gennaio 2021 al fine di evitare un aumento dell’offerta che potrebbe non essere assorbito dall’attuale domanda. Bisogna considerare che le tensioni all’interno dell’OPEC stanno aumentando ed emerge sempre di più una divergenza di opinioni con gli Emirati Arabi che si ipotizza possano essere prossimi ad uscire dall’organizzazione.

Il Segretario di stato americano Mnuchin e il Presidente della Fed Powell testimonieranno davanti alla commissione finanza del Senato in merito al “Cares Act” ovvero il programma di stimoli partito a marzo per far fronte alla crisi generata dalla pandemia.

Venerdì verranno pubblicati i dati sul mercato del lavoro americano riferiti al mese di novembre: le attese sono per un leggero rallentamento dei nuovi occupati e un tasso di disoccupazione stabile a 6.8%. Ricordiamo che questi dati sono importanti per avere il polso dell’economia americana la cui ripresa è strettamente legata ai consumi.

I negoziatori europei si sono spostati a Londra per riprendere i negoziati sulla Brexit: il punto critico, adesso, sembra essere quello relativo alla pesca, ovvero l’accesso dei pescherecci europei alla futura zona economica esclusivamente britannica. All’interno della UE, infatti, i pescherecci hanno accesso libero alle acque degli altri ad eccezione delle 12 miglia marine dalla costa. Con l’uscita della Gran Bretagna dalla UE, ogni anno si dovrebbero negoziare le quote riservate ai pescherecci dell’Unione Europea entro 200 miglia marine, come fa attualmente la Norvegia. La UE vorrebbe il mantenimento dello stato attuale.

In Italia c’è un po’ di movimento in Unicredit: nel week-end è stato convocato un CdA straordinario dal quale, però, non è ancora emerso nulla. Il tema sembra essere la posizione di Mustier contraria ad ipotesi di aggregazioni. Vedremo in settimana.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

In questa sede abbiamo più volte discusso di quanto l’incertezza pesi sui mercati frenandone il potenziale di crescita. La conferma la stiamo avendo in questo periodo con l’incertezza politica americana che sembra venire sempre meno con Trump che avvia il passaggio di consegne e con i vaccini che avvicinano il momento in cui si riuscirà ad arginare e controllare il problema sanitario.

Ricordiamoci che quest’anno il ciclo economico ha subito una brusca frenata con l’arrivo improvviso del corona virus e con il fatto che le economie sono state messe in una sorta di coma farmacologico facendole entrare in recessione. Non si è trattato, quindi, di una recessione derivante dallo scoppio di bolle legate a degli eccessi sul mercato ma da uno stop forzato e necessario per motivi sanitari. Man mano che i rischi sanitari vengono meno è ovvio che l’economia può riprendere il suo percorso, anche se, probabilmente, un po’ “riadattato” al nuovo modo di vivere e lavorare. I mercati in modo più o meno “lineare” si adattano al nuovo scenario.

Un tema che è stato molto dibattuto nell’ultimo periodo riguarda la possibilità che le cripto-currencies soppiantino l’oro come bene rifugio: attualmente, infatti, il Bitcoin si trova in prossimità dei nuovi massimi mentre l’oro viaggia in prossimità del supporto di 1.800 dollari/oncia come se ci fosse in atto un travaso dal vecchio al nuovo bene rifugio.

Bisogna, tuttavia, considerare che le dinamiche sottostanti ai due asset sono un po’ diverse esattamente come lo è la volatilità.

Diciamo che i due asset hanno delle caratteristiche similari: si può, infatti, ritenere che l’offerta sia limitata per entrambe (si parla di “minatori” sia per oro che per i bitcoin) e che entrambe, non avendo “carry” (ovvero non originando alcun rendimento periodico), tendono a salire quando i tassi reali scendono, ovvero quando anche le alternative tipicamente obbligazionarie hanno rendimenti bassi se non nulli o addirittura negativi. Il punto sull’offerta limitata è molto importante nell’attuale contesto in cui le banche centrali fanno a gara a chi stampa più moneta: infatti la legge della domanda e dell’offerta fa sì che all’aumentare della prima il prezzo salga se l’offerta è rigida.

Le differenze principali, invece, sono rappresentate essenzialmente dai driver della domanda: per l’oro la domanda fisica proviene soprattutto da paesi quali l’India e la Cina e quindi esiste un fattore stagionale che crea degli alti e bassi nella domanda (la stagione dei matrimoni in India e il capodanno cinese, che l’anno prossimo cadrà il 12 febbraio) mentre per il bitcoin, essendo comunque una “valuta” relativamente nuova beneficia degli annunci di chi decide di accettarla come mezzo di pagamento (vedi Paypal con l’annuncio di ottobre a valere dal 2021 per consumatori americani) ma risente anche della probabile volontà di regolamentazione da parte delle autorità.

Si tratta sicuramente di un tema interessante e da monitorare.

Ancora in crescita le nostre linee di gestione: quelle azionarie, soprattutto, continuano a beneficiare del buon andamento delle borse. Il contributo delle commodities è stato neutrale dato che le prese di profitto sull’oro sono state controbilanciate dalla salita delle materie prime più cicliche.

Ottimo il contributo della nostra Sicav SCM Stable Return che, nel mese di novembre, ha avuto una performance di +5.16%. Il fondo ha beneficiato della rotazione tra titoli “growth” e “value” e della conseguente performance dei settori industrials e finanziario, innescata dai progressi sui vaccini contro il corona virus.

Analisi dei mercati del 16.11.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Prosegue il buon andamento dei mercati finanziari che da inizio novembre, grazie alle elezioni americane e alle buone notizie sul fronte dei vaccini, hanno messo a segno una discreta performance: la settimana che si è appena conclusa ha visto, infatti, una partenza con il botto soprattutto grazie al fatto che il vaccino di Pfizer ha dimostrato nei test che l’efficacia si posiziona molto in alto, circa al 90% e questo è un dato decisamente ottimo poiché nessun vaccino, di solito, raggiunge questi livelli ma mediamente si attesta al 60%. Curioso che il CEO di Pfizer il giorno della notizia ha venduto il 62% della sua partecipazione (circa 130.000 azioni): anche se la vendita era stata prevista ad agosto la mossa non è stata particolarmente apprezzata.

La particolarità del vaccino di Pfizer/BioNTech è che si tratta di un messenger RNA (mRNA) che quindi agisce sull’organismo attraverso la creazione di proteine spike (quella che permetterebbe al virus di agganciarsi alle cellule umane ma non di tutto il resto di cui il virus ha bisogno per diffondersi) che stimolano la produzione degli anticorpi; i vaccini tradizionali invece iniettano una piccola dose di virus preformato (tipo quello del raffreddore adattato al nuovo coronavirus) o depotenziato. Questo fattore apre la strada ad un nuovo filone di ricerca e rende probabilmente più scalabile la produzione perché richiede tempi decisamente inferiori in fase di produzione. Se il 90% di successo è decisamente una percentuale alta occorre considerare anche due fattori critici: il vaccino richiede una doppia somministrazione e il trasporto va fatto a temperature molto basse (l’RNA solitamente richiede circa -70°/80°).

Qualche giorno dopo la Russia ha annunciato che anche il suo vaccino Sputnik ha un tasso di successo superiore al 90% (92% per la precisione).

Ricordiamo, inoltre, che sono in fase finale anche altri vaccini tra i quali quello di Astrazeneca/Oxford (che segue la tecnologia tradizionale e che, per questo, richiede una singola somministrazione e minori difficoltà di trasporto) e Moderna (con un vaccino molto simile a quello di Pfizer basato sulla tecnica mRNA).

Di tutti i vaccini il fattore critico è l’efficacia sulle categorie più delicate e in particolare sulla popolazione anziana perché da lì si capirà quale sarà la migliore campagna di vaccinazioni.

Intanto l’Europa è riuscita a raggiungere un accordo con Pfizer/BioNTech per la fornitura di 200 milioni di dosi di vaccino (e forse altri 100 milioni nel 2021)

Le performance dei mercati azionari da un punto di vista settoriale sono state parecchio divergenti: i temi che avevano trainato i mercati quest’anno sono stati penalizzati e fra questi abbiamo la componente tecnologica americana soprattutto legata allo “stay at home” business quale, ad esempio, Amazon, Zoom, Netflix…mentre settori quali il trasporto aereo, il turismo e, in generale, i settori legati alla normale attività e movimentazione ne hanno tratto beneficio.

Decisamene buona la performance del settore bancario che beneficia della possibilità che venga sbloccato il pagamento dei dividendi se l’emergenza sanitaria finisce. In tal caso nel 2021 si avrebbe una doppia cedola (2019 e 2020) che fa diventare i titoli del settore decisamente interessanti.

Il prezzo del petrolio (e quindi il settore energy) è salito considerevolmente sia sulle aspettative di forte ripresa economica legata alla possibile fine della pandemia sia per le attese dell’annuncio di un taglio della produzione Opec+ questo mese.

L’oro, invece, ha corretto come tutti i safe assets (Yen giapponese e franco svizzero) fanno in una fase di risk-on e perché l’aumento dei tassi nominali rende l’investimento sul metallo prezioso meno attraente.

Fortunatamente la notizia del vaccino di Pfizer si è contrapposta, negli Stati Uniti, al rischio che la politica sanitaria di Biden potesse mirare a combattere la pandemia in modo più aggressivo di Trump e, quindi, con lockdown più decisi che avrebbero decisamente compromesso la ripresa economica.

La partita elettorale americana non si è ancora conclusa definitivamente fintanto che Trump non ammette la sconfitta. Anche il presidente del Senato, Mitch McConnell, ha dichiarato in settimana che il presidente ha totalmente ragione nel volere contestare la vittoria di Biden in alcuni stati mentre il ministro della giustizia, William Barr, ha autorizzato i procuratori federali ad avviare le indagini su presunte frodi elettorali. La Georgia, intanto, annuncia il riconteggio dei voti mentre l’Arizona conferma la vittoria di Biden. Tutto questo rischia di fare proseguire l’incertezza negli Stati Uniti. La definitiva composizione del Congresso, inoltre, sarà nota solo dopo il ballottaggio in Georgia di inizio gennaio che, ricordiamo, nomina due senatori e qualora dovessero risultare democratici si avrebbe una situazione di pareggio in Senato. Teniamo presente che nel 2022 ci saranno negli Stati Uniti le elezioni di mid term che potrebbero modificarne ancora la composizione.

In Europa si fanno passi avanti sul bilancio comunitario: la Commissione bilancio dell’Europarlamento ha annunciato che è stato trovato un accordo preliminare con il Consiglio sul finanziamento 2021-2027 associato al Next Generation EU. Il totale dei fondi è stato alzato a 16 miliardi (mediazione tra i 39 richiesti dal parlamento e i 9 del Consiglio). Una prima tranche dell’esborso, pari al 10% dei fondi, dovrebbe essere erogata nella prima metà del prossimo anno. Dovrebbero essere previste due tranche all’anno.

Durante il forum digitale della BCE sulle banche centrali che di solito si svolge a Sintra, Christine Lagarde ha confermato che PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme – il programma di acquisto titoli legato alla pandemia) e il TLTRO (Targeted Long Term Refinancing Operation – i prestiti agevolati alle banche, attualmente al -1% di interesse) rimangono i principali strumenti nelle mani della BCE per affrontare le attuali difficoltà e potranno essere incrementati significativamente sia per ammontare che durata (ricordiamo che il PEPP non deve rispondere ai capital key – ovvero le percentuali di acquisto da rispettare per ogni stato membro). La politica rimarrà espansiva a lungo anche dopo la fine della pandemia per evitare che la maggiore spesa fiscale dei governi si traduca in tassi creditizi più alti. L’inflazione è attesa rimanere negativa per un periodo più lungo di quello inizialmente stimato a causa dei lockdown. Anche il presidente della Fed Jerome Powell è intervenuto al forum: pur ammettendo che un vaccino efficace è una buona notizia per il medio termine, ritiene che i prossimi mesi potrebbero essere difficili; l’economia americana è su un solido percorso di ripresa ma la continua diffusione della pandemia rappresenta il rischio più grande.

Un paper della BCE, che è stato appena pubblicato, ha fatto un’analisi del livello di tassi negativi oltre il quale in Europa si avrebbero più effetti collaterali che benefici: questo livello è stato individuato nel -1% e fa, quindi, ipotizzare un ancora ampio margine di manovra per la BCE.

Abbiamo citato qualche settimana fa le emissioni Sure dell’Unione Europea e come potessero entrare in competizione con i tradizionali risk-free bond in Eurozona ovvero quelli tedeschi. Ad oggi il divario di rendimento fra sovranazionali UE e Bund è ancora a favore dei primi: i Bund hanno un rendimento di circa -0.55% a fronte di -0.30% degli “eurobond”. Questo divario dovrebbe essere destinato a scomparire soprattutto se la BCE decidesse di includerli in maniera più massiccia nel programma di acquisto.

Ad ulteriore conferma della forza dell’economia cinese sono i dati del “Single day” in Cina, ovvero la giornata (che cade l’11 novembre) e che può essere paragonata al BlackFriday americano o al Cyber Monday: le vendite di Alibaba sono state pari a circa di 75 miliardi che confrontate con i dati sul BlackFriday pari a circa 38 miliardi danno una chiara idea di quanto i consumi cinesi siano forti.

La seconda emissione del BTP futura si è conclusa con un totale di 5.7 miliardi di euro di titoli emessi con scadenza 19 novembre 2028. Il titolo inizierà a trattare sul MOT il 17 novembre. I tassi sono stati confermati ai seguenti livelli: per i primi tre anni pari a 0.35%, per i successivi tre è pari a 0.60% e per gli ultimi due pari a 1%.  La prima edizione (a luglio) si era chiusa con una raccolta di quasi 6.5 miliardi.

Il Tesoro probabilmente rallenterà un po’ la frequenza delle emissioni considerato che la liquidità accumulata è sufficiente: si presume, quindi, che negli ultimi mesi dell’anno i collocamenti saranno inferiori rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso di circa il 30%.

La domanda maggiore dell’offerta (quasi il doppio) dei Bot annuali collocati in settimana (5.5 miliardi di euro) ha consentito di fare raggiungere al rendimento il nuovo minimo storico di -0.478%.

QUESTA SETTIMANA

Per il secondo lunedì consecutivo un’azienda farmaceutica ha annunciato i successi dei test sul vaccino di sua produzione: questa volta si tratta di Moderna che dichiara che l’efficacia è risultata del 94.5% (meglio del 90% di Pfizer e del 92% dello Sputnik russo) e, inoltre, ci sono minori problemi di trasporto perché la temperatura richiesta non è bassa come quella imposta da Pfizer e, anzi, il vaccino può essere trasportato e mantenuto ad una temperatura normale per circa 12 giorni. Impatto decisamente positivo sul titolo Moderna (circa +10% in pre-market) e in generale sul mercato con una reazione simile a lunedì scorso.

Stamattina sono usciti i dati in Cina sulla produzione industriale e le vendite al dettaglio: la prima cresce più del previsto (+6.9% anno/anno) mentre le seconde crescono un po’ meno delle attese a +4.3% ma comunque al ritmo più rapido dell’anno. I dati confermano la forza dell’economia cinese.

Martedì è previsto il dato sulle vendite al dettaglio per il mese di ottobre negli Stati Uniti: le attese sono per una crescita (+0.5% mese/mese) per il sesto mese consecutivo anche se ad un ritmo minore. Segnaliamo che il livello raggiunto ha superato quello pre-pandemico. Anche la produzione industriale è attesa in crescita dell’1%.

Martedì si riunirà l’Opec+ per decidere se posporre l’aumento della produzione inizialmente deciso per gennaio.

La nuova scadenza per trovare un accordo sulla Brexit è stata fissata per giovedì 19 novembre. Da monitorare l’impatto sulla sterlina. Boris Johnson, intanto, è in autoisolamento dopo essere entrato in contatto con un positivo Covid.

Il Tesoro potrebbe tornare ad emettere un BTP in dollari, l’ultimo è stato emesso circa un anno fa dopo nove di assenza. La data di scadenza dovrebbe essere febbraio 2026 e forse anche novembre 2050. Anche i retail avranno modo di partecipare al collocamento ma ovviamente dipenderà dal taglio minimo che un anno fa è stato molto alto. La Sec ha autorizzato un’emissione massima di 4 miliardi di dollari tuttavia tale cifra potrà essere superata qualora dovessero esserci anche investitori non statunitensi che non rientrerebbero nel massimale; il BTP in dollari di un anno fa, infatti, era stato autorizzato per 6 miliardi ma poi grazie alla domanda extra-US si è arrivati a 7 miliardi.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

La ricetta per il buon andamento dei mercati prevede, fondamentalmente, tre ingredienti: 1) banche centrali a supporto (e le abbiamo), 2) politiche fiscali espansive (ci siamo quasi, dipende dai governi) e 3) una cura/vaccino che metta fine alla pandemia (sembra ci stiamo avvicinando con, forse, il vaccino di Pfizer-BioNTech e Moderna e la cura di anticorpi monoclonali di Eli Lilly). Siamo quindi sulla buona strada.

La reazione violenta dei mercati alla notizia di Pfizer ha dimostrato come il posizionamento fosse sbilanciato a favore dei c.d. “stay at home” business e fuori da settori come settore aereo, turismo, trasporti etc.  I mercati improvvisamente hanno deciso di guardare oltre la recessione attuale perché, finalmente, se ne può intravedere una fine.

Ricordiamoci che, a fronte di un potenziale ritorno alla normalità, la reazione dei mercati può comportare un repricing dei rendimenti obbligazionari governativi (come abbiamo visto) che quando salgono hanno delle conseguenze negative sulle valutazioni azionarie. La risalita dei governativi può essere positiva se la curva si irripidisce perché si stima una maggiore crescita (in tal caso l’impatto su titoli ad alta crescita potrebbe essere negativo) oppure negativa se salgono i tassi a breve perché si ipotizza una non così forte accondiscendenza delle banche centrali.

Tutti i movimenti dei mercati sopracitati devono essere, ovviamente, monitorati e analizzati per capire se cambiano lo scenario di fondo o creano opportunità di trading. Se si crede che le banche centrali resteranno accomodanti allora si deve anche credere che i rendimenti non verranno fatti salire troppo. Torna, così, il tema della MMT (Modern Monetary Theory) ovvero la monetizzazione del debito pubblico da parte delle banche centrali. Per quanto riguarda gli Stati Uniti la Fed dovrebbe finanziare la politica fiscale e, addirittura, esserne complementare qualora, in caso di Senato repubblicano, il pacchetto fiscale dovesse essere ridotto.

La rotazione settoriale (da tech a banche, da “growth” a “value”, in generale da Covid winners a laggard), di cui abbiamo avuto un assaggio nei giorni successivi all’annuncio di Pfizer, è destinata a perdurare qualora, come ci si auspica fortemente, si arrivi a controllare e porre fine alla pandemia da Covid19. È, comunque, vero che alcuni temi, soprattutto tecnologici, che si sono risvegliati e consolidati con la pandemia, sono destinati a resistere perché certe abitudini sono radicalmente cambiate.  Nel mentre ci saranno false partenze o stop&go di cui potrebbe essere utile approfittare.

Settimana molto positiva per le nostre linee di gestione soprattutto quelle azionarie: l’esposizione al settore bancario europeo ha dato un notevole contributo.