Analisi dei mercati del 22.12.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIME DUE SETTIMANE

Anche durante la settimana che si è appena conclusa i mercati azionari sono rimasti ben intonati (MSCI World +1.4%) con una sovraperformance, in US, della tecnologia e del segmento delle small cap. Il comparto obbligazionario governativo, invece, è stato penalizzato da un leggero incremento dei rendimenti (che però non ha compromesso il livello dello spread fra il Bund tedesco e il BTP italiano compressosi ulteriormente) che ha impattato anche sulla parte investment grade dell’obbligazionario a spread. Bene le commodities con il petrolio che è salito ulteriormente e bene anche i metalli preziosi. Il dollaro si è indebolito rompendo il livello di 1.22.

Analizziamo più nel dettaglio cosa è successo partendo con il commento delle decisioni delle principali banche centrali riunitesi in settimana.

In generale possiamo dire che le banche centrali non hanno fatto altro che confermare che la politica monetaria rimane, ovunque, estremamente accomodante e disponibile ad essere ulteriormente rafforzata:

  • la Fed ha mantenuto i tassi nel range 0-0.25% con la “dot plot” (ovvero la rappresentazione grafica delle intenzioni dei singoli membri per il prossimo futuro) che li ipotizza invariati almeno fino al 2022/2023; il programma di acquisto titoli proseguirà all’attuale ritmo finché non ci saranno progressi sostanziali nell’economia (sia in termini di inflazione che di occupazione). Anche la Fed ha aggiornato le stime di crescita del Pil rivedendole al rialzo sia per il 2020 (-2.4% da -3.7% di settembre) che per l’anno prossimo (+4.2% dal +4% stimato a settembre), così come quelle di inflazione riviste leggermente al rialzo: è stato proprio il mix di questi fattori, politica monetaria invariata (e che rimarrà accomodante ancora a lungo) e inflazione in possibile aumento (legate a migliori prospettive di crescita) che ha portato il cambio euro/dollaro sopra il livello di 1.22. Powell ha ribadito che, a fronte di rischi immediati molto alti, la Fed si mantiene pronta ad intervenire pur nella consapevolezza che la situazione dovrebbe esser destinata a migliorare nel medio termine. Il mercato, nell’immediato, è rimasto un po’ deluso dalla non proattività ma poi si è ripreso;
  • la Bank of England ha deciso, all’unanimità, di mantenere l’attuale stance di politica monetaria lasciando i tassi invariati (a 0.10%) così come il programma di acquisto titoli almeno finché non ci saranno evidenti progressi sull’inflazione e chiarezza sul fronte Brexit (in tal caso si potrebbe valutare anche l’introduzione di tassi negativi). Secondo il comitato l’outlook rimane fortemente incerto anche se il vaccino dovrebbe ridurre notevolmente il downside risk;
  • la Bank of Japan ha dichiarato, prima del meeting ufficiale, che acquisterà 6 miliardi di dollari di debito direttamente dal ministero delle Finanze per potere essere pronta ad evitare che un’eventuale ripresa della pandemia metta a rischio la chiusura dell’anno fiscale giapponese (a marzo). Si tratterebbe di un primo importante passo verso la c.d. “monetizzazione” del debito pubblico direttamente legata alla tanto spesso citata MMT (Modern Monetary Theory), ovvero il finanziamento diretto dello Stato da parte della Banca Centrale. Ancora una volta il Giappone si dimostra più avanti nelle politiche di intervento monetarie, forse perché ha vissuto una grande crisi in passato che ha portato ad una cronica deflazione; dalla riunione ufficiale, invece, non sono emersi cambiamenti nella politica monetaria né in termini di tassi di interesse (che rimangono negativi a -0.10%) né di programma di acquisti (enfatizzando, su questo punto, che un’uscita dalla strategia di acquisto di ETF azionari è prematura).

Rimanendo sempre in tema banche centrali torniamo a parlare di quanto commentato più volta in questa sede, ovvero del tema critico dei dividendi per il settore finanziario.

La Bank of England ha deciso che le banche inglesi potranno tornare a distribuire i dividendi agli azionisti ma con dei vincoli. Gli stress test della BOE hanno consentito di valutare le banche britanniche sufficientemente solide (i coefficienti patrimoniali tripli rispetto alla crisi finanziaria del 2008-2009) da permettere il pagamento delle cedole nel 2021 ma con la limitazione del 15%-25% in termini di payout ratio o 0.2% del valore patrimonio primario o attività ponderate per il rischio (Cet1). Il messaggio che la BOE ha voluto dare è positivo e cioè le banche sono ritenute solide per sostenere l’economia in una fase così difficile ma si tiene comunque un cuscinetto di sicurezza.

Il giorno successivo la BCE si è allineata alla BOE confermando quanto già emerso la settimana precedente: il divieto alla distribuzione dei dividendi viene stato rimosso ma viene imposto un tetto pari al 15% degli utili cumulati nel periodo 2019-2020 e 0.20% in termini di Cet1 (si applica il minore fra i due vincoli). Tale regola varrà fino al 30 settembre 2021. Le banche non potranno, però, distribuire acconti sui dividendi relativi agli utili 2021. Le valutazioni su dividendi e buyback (modo alternativo di remunerare gli azionisti acquistando azioni sul mercato) verranno valutate caso per caso dal Consiglio di Vigilanza della Bce guidato da Andrea Enria.

In generale si tratta di una cauta riapertura (si stima che la distribuzione dei dividendi sarà pari ad un terzo di quello che sarebbe normalmente avvenuto) che tiene conto, da un lato, del fatto che potremmo essere avviati verso una normalizzazione e verso la fine della crisi e, dall’altro, che l’andamento altalenante della pandemia e dei contagi rende lo scenario ancora incerto e il problema delle sofferenze dei crediti potrebbe solo essere rimandato.

Altra considerazione da fare è la seguente: sebbene, in linea teorica, sia corretto limitare la distribuzione di dividendi (o il buyback) considerato i fondi che l’istituto centrale mette a disposizione delle banche a tassi negativi, è anche vero che, spesso, gli azionisti delle banche sono le fondazioni che utilizzano proprio i dividendi incassati per erogare servizi sul territorio importanti, a maggior ragione, in un momento di particolare fragilità come quello attuale.

Occorre, poi, aggiungere il fatto che fra i soggetti con licenza bancaria ci sono anche i c.d. “asset gatherer” o banche rete (tipo Mediolanum, Banca Generali, Fineco…) e, paradossalmente, il doppio vincolo tende a penalizzare proprio coloro che hanno meno attività di rischio (le attività bancarie sono legate al risparmio gestito e solo minimamente ai prestiti verso famiglie e imprese).

Ricordiamo che la sospensione al pagamento dei dividendi è stata introdotta a marzo di quest’anno per permettere alle banche di essere pronte a fronteggiare le conseguenze negative della pandemia. Sebbene questa crisi, come più volte ribadito, non abbia avuto origine dal settore bancario (come invece accadde nel 2007-2008) le sue ripercussioni potrebbero ricadere sulle banche in termini di maggiori NPL (non-performing loans); le banche centrali hanno cercato di salvaguardare il settore attraverso diverse misure (es. il TLTRO) e abbassando i tassi di interesse ma è normale che questi soldi debbano essere utilizzati per creare un cuscinetto indispensabile per non affogare nei quasi inevitabili crediti incagliati.

Il buon andamento dei mercati azionari e il leggero incremento dei rendimenti obbligazionari governativi sono legati anche alle attese di un imminente ritorno alla normale attività economica legata ai vaccini. Negli Stati Uniti l’FDA ha approvato anche il vaccino prodotto da Moderna mentre, in Europa, l’EMA ha annunciato che potrebbe approvare il vaccino di Pfizer/BioNTech il 21 dicembre, in anticipo rispetto alla data prevista del 29 dicembre. Se così fosse in Europa si potrebbe ipotizzare quello che alcuni chiamano V-day, l’inizio della campagna di vaccinazioni, già il 27 dicembre.

Della positività legata ad un eventuale ritorno alla normalità beneficia anche il petrolio con il WTI che supera i 49 dollari al barile nonostante l’OPEC, nel suo report mensile, tagli le previsioni sulla domanda del primo trimestre 2021 di un milione di barili al giorno a causa dell’impatto delle misure restrittive sulla prima parte del trimestre.

Con i Grandi Elettori americani che hanno confermato la vittoria di Biden alla presidenza degli Stati Uniti arriva anche l’accordo sul pacchetto da 900 miliardi di dollari per dare sostegno all’economia e ai cittadini colpiti dalla pandemia. Il voto finale è previsto per oggi.

In tema di stimolo fiscale il Giappone si distingue con una cifra record: la bozza di bilancio prevede, infatti, la spesa di 1.030 miliardi di dollari per il prossimo anno fiscale (da aprile) destinata sia alle necessità legate al coronavirus e alle conseguenti misure per cercare di rilanciare l’economia, che le normali spese militari e di welfare.

La debolezza del dollaro può essere anche, in parte, legata al recente andamento migliore dei dati macroeconomici europei rispetto a quelli americani come emerge dall’andamento degli Economic Surprise Indices delle due aree. In settimana sono stati pubblicati i dati di fiducia delle imprese PMI: in Eurozona, pur rimanendo sotto la soglia critica del 50 il dato composite è passato da 45.3 a 49.8 grazie, soprattutto, al comparto dei servizi (passato da 41.7 a 47.3) e al contributo della Francia. Per gli Stati Uniti, invece, il dato aggregato è passato da 58.6 a 55.7 a causa proprio del comparto dei servizi.

Non si arresta la corsa del bitcoin che sale sopra i 24.000 dollari per la prima volta in assoluto e oro che ne risente. Due sono le notizie rilevanti sul tema bit-coin uscite in settimana:

  • Banca Generali ha avviato una partnership con la fintech Conio Inc. (che fornisce servizi di “wallet provider” ovvero custodia, negoziazione e reporting di bitcoin) acquisendone il 9.9% (per 14 milioni di dollari). Oltre a supportarne la crescita partecipando all’aumento di capitale, Banca Generali intende distribuire i prodotti di Conio arricchendo la propria offerta digitale:
  • l’americana Coinbase, la maggiore piattaforma di scambi di criptovalute, ha depositato i documenti per quotarsi a Wall Street con una valutazione stimata iniziale pari a 8 miliardi di dollari.

Diamo qualche numero sul tema: la capitalizzazione totale delle criptovalute (che sono in totale 8.ooo) ha raggiunto la cifra di 580 miliardi di dollari (di cui 1/3 sono relativi ai Bitcoin), gli scambi giornalieri sono pari a circa 280 miliardi di dollari e gli utenti circa 60 milioni.

Società del big tech americano ancora sotto attacco sia in US che in Europa: la Federal Trade Commission americana ha aperto un’inchiesta chiedendo maggiore trasparenza sull’utilizzo di dati sensibili a Facebook, Google e YouTube confermando la tendenza ad un approccio più duro da parte del regolatore. Inoltre, in Texas il procuratore generale ha avviato una causa antitrust contro Google accusandola di collusione con Facebook sul mercato della pubblicità online che sarebbe stato manipolato per creare, di fatto, un duopolio. In Europa, la UE stabilisce multe, fino ad un massimo del 10% del fatturato, se le società del big tech non rispettano le regole sull’utilizzo dei dati e la concorrenza. Inoltre, si parla di multe fino al 6% del fatturato per coloro che non controllano e rimuovono la propaganda terroristica ed eventuali altri contenuti illegali.

Nonostante il newsflow non sia particolarmente positivo il Nasdaq raggiunge nuovi massimi: segnaliamo, fra i principali titoli, l’ottima la performance di Apple dopo che l’agenzia di stampa giapponese Nikkey ha pubblicato che la produzione di iPhone aumenterà del 30% nella prima metà del 2021.

Da manuale la performance di Tesla, che da oggi fa parte dell’indice S&P500 con un peso pari a 1.5% circa: il titolo, dopo essere stato parecchio volatile e avere fatto segnare il record di scambi superiori a 200 milioni di titoli (pari a 148 miliardi di dollari) passati di mano in un solo giorno, ha toccato il massimo di 695$ esattamente in chiusura quando si sono concentrati gli acquisti degli etf e dei fondi passivi (pari a più di 50 milioni di dollari) che da oggi devono replicare la nuova composizione dell’indice americano.

QUESTA SETTIMANA

Settimana ridotta con le borse che venerdì saranno chiuse per il Natale (tranne Giappone e Cina, fra le principali) e, nella maggior parte dei casi, il 24 opereranno metà giornata.

Nel week-end la notizia che è circolata, e che è destinata ad impattare negativamente i mercati finché non ci sarà maggiore chiarezza, riguarda la comparsa nel Regno Unito di una nuova variante del coronavirus, che pare essere anche arrivata in Italia dove è stata immediatamente isolata. Questo elemento aggiunge notevole incertezza al quadro generale, occorre assolutamente avere la conferma della validità del vaccino anche su questa variante e della non maggiore gravità rispetto a quello visto finora.

Oggi 21 dicembre l’agenzia europea dei farmaci EMA ha approvato vaccino di Pfizer/BioNTech che consentirebbe l’inizio della campagna vaccinale subito dopo Natale.

Nel week-end è scaduta l’ennesima deadline fissata per arrivare ad un accordo sulla Brexit. I negoziati proseguiranno questa settimana. Per alcuni le posizioni sono ancora troppo distanti, questa settimana dovrebbe essere cruciale e si spera che il governo britannico sia chiamato a ratificare l’eventuale accordo raggiunto con la UE.

Tra martedì e mercoledì la pubblicazione di parecchi dati macroeconomici americani ci aiuterà ad avere un’idea più precisa dell’attuale stato dell’economia US: nello specifico, oltre alla terza stima del Pil per il terzo trimestre, verranno rilasciati i dati relativi al personal income, al personal spending e quelli sul mercato del lavoro settimanali.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Si sta avvicinando la fine di un anno veramente difficile e particolare per i mercati; come abbiamo potuto constatare dalle notizie sulla variante del virus nel week-end, non si può mai abbassare la guardia e, quindi, anche gli ultimi giorni dell’anno potranno riservare sorprese, speriamo solo positive. La liquidità, solitamente, si riduce quindi i mercati diventano più vulnerabili a qualunque notizia esasperando le variazioni.

In generale, comunque, possiamo dire che si sta passando dall’anno del virus all’anno dei vaccini e, quindi, dall’anno caratterizzato da diversi stadi di quello che abbiamo definito “coma farmacologico” indotto, attraverso le diverse sfumature di lockdown, dai governi alle economie, all’anno che dovrebbe vedere la normalizzazione dell’attività economica. Normalizzazione che sarà tanto più facile quanto più elevata sarà la numerosità dei vaccini e l’efficacia risultata nei test.

Esattamente per questo motivo i mercati sono rimasti “scombussolati” questa mattina dalla notizia della mutazione del vaccino, perché allontanerebbe la ripresa che si ipotizzava potesse avvenire nella seconda parte dell’anno. I vaccini sono fondamentali, infatti, per agevolare il ritorno ad una normale attività economica e favorire, così, la sostenibilità del ciclo economico.

In questo modo grazie al supporto delle banche centrali (che aiutano a giustificare le valutazioni del mercato azionario rendendolo più interessante di quello obbligazionario) e alle spese dei governi si potrà innescare il volano che guiderà la ripresa degli utili delle aziende e renderà più “sana” la salita dei listini. Più “sana” ovvero non drogata da tassi nominali mantenuti forzatamente bassi e che, con aspettative di inflazione in crescita, si traducono in tassi reali negativi che, a loro volta, si traducono in valutazioni azionarie migliori.

Nella seconda metà dell’anno, se tutto andrà come ci si auspica e da un punto di vista sanitario saremo vicini all’immunità di gregge, ci avvicineremo al “redde rationem” ovvero al momento in cui i mercati prenderanno atto di come stati e aziende avranno utilizzato l’enorme mole di denaro che è entrata in circolazione nel sistema sia sottoforma di massa monetaria che di spesa pubblica e solo i più virtuosi potranno venire premiati.

Le nostre linee di gestione hanno continuato a beneficiare del buon andamento degli asset rischiosi (sia azionari, che obbligazionari high yield o commodities): ottima la performance della linea ITA che si riporta positiva da inizio anno.

Analisi dei mercati del 14.12.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIME DUE SETTIMANE

Mentre l’ultimo giorno di novembre si è chiuso con dei forti movimenti tecnici (al ribasso per gli indici azionari) legati al ribilanciamento dei fondi (infatti sulla chiusura dei mercati europei ci sono state parecchie vendite), durante le prime due settimane di dicembre i mercati si sono stabilizzati oscillando in funzione, soprattutto, del newsflow relativo al piano fiscale americano e alle trattative sulla Brexit.

Il settore tecnologico americano, decisamente ben intonato nei primi giorni del mese, ha poi sofferto per l’aumento dei rischi regolamentari: la Federal Trade Commission, infatti, sta agendo contro Facebook accusandola di pratiche anticoncorrenziali e proponendo di separarla dalle società recentemente acquisite, ovvero Instagram (acquistata nel 2012) e WhatsApp (acquistata nel 2014). La questione ha pesato sull’intero settore tecnologico (anche Google è presa di mira) portando a massicce prese di profitto.

L’euro è stato particolarmente forte a inizio dicembre e si è, poi, stabilizzato intono a 1.21. La rottura della resistenza di 1.20 non ha generato nessun intervento verbale da parte dei banchieri (come, invece, avvenne a settembre da parte del capoeconomista della BCE Lane) e questo ha generato un non rientro nel trading range precedente (1.16-1.20) in piedi da agosto. Fra i principali fattori che hanno portato alla debolezza del dollaro possiamo citare la nomina della Yellen al Tesoro (e quindi l’attesa di una politica fiscale espansiva che genera un maggiore deficit) e le aspettative circa le riunioni delle banche centrali che avrebbero potuto evidenziare le armi spuntate da parte della BCE (relativamente alla Fed). Il differenziale dei tassi nominali a breve termine (fra area euro e Stati Uniti), attualmente, non giustifica il movimento del cambio eur/usd, che potrebbe, invece, trovare qualche appiglio sia nelle diverse aspettative di inflazione fra le due aree (maggiori negli Stati Uniti) sia, come detto sopra, nel fatto che gli Stati Uniti si avviano verso il c.d. “twin deficit” (disavanzo fiscale e delle partite correnti) che giustifica una valuta più debole. La curva dei rendimenti governativi americani, infatti, si è leggermente “irripidita” con i tassi più a lunga scadenza (dai cinque anni in su) che sono saliti.

Andamento opposto per i governativi europei che mantengono bassi rendimenti con i paesi della periferia che vedono ulteriori restringimenti degli spread: il Portogallo si è aggiunto ai paesi che possono vantare un rendimento negativo sul titolo decennale (attualmente pari a -0.03%), il pari scadenza spagnolo viaggia in un intorno dello zero mentre anche il BTP italiano a cinque anni ha raggiunto un rendimento negativo. Ricordiamo che si tratta di paesi appartenenti ai cosiddetti PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) al centro della crisi del debito sovrano nel 2011. Ad oggi l’Italia rimane, insieme alla Grecia, il paese con i rendimenti più alti in area euro, seppur in calo.

Le ultime due settimane sono state decisamente dense di eventi.

Partiamo con la riunione della BCE di martedì 10: i tassi non sono stati modificati (tasso principale 0%, tasso sui depositi -0.50%) e rimarranno tali (se non ancora più bassi) finché non ci sarà stabile crescita e inflazione in ripresa e, comunque, oltre il termine della pandemia.  La dotazione del piano PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) è stata incrementata di 500 miliardi (arrivando ad un totale di 1.850 miliardi) e la durata protratta fino a marzo 2022 (le attese erano dicembre 2021): su questo punto è emerso che il comitato era diviso sull’ammontare dell’incremento ma la decisione circa l’estensione è stata unanime. Anche sul secondo strumento in mano alla BCE, ovvero il TLTRO3 (Targeted Long Term Refinancing Operations) è stata ricalibrata la durata, estendendo di ulteriori 12 mesi (fino a giugno 2022) il periodo in cui si applicano condizioni favorevoli di rifinanziamento (tra -0.5% e -1%) e aumentando il limite che le banche possono chiedere a prestito.

Per quanto riguarda il cambio, Christine Lagarde, durante la conferenza stampa, ha risposto ad un’esplicita domanda ribadendo che si tratta di un elemento importante e da monitorare, dato che impatta sulle prospettive di inflazione, ma non è direttamente nel mandato della banca centrale.

Durante questo incontro era anche prevista la comunicazione delle nuove previsioni di crescita: il Pil del 2020 è stato rivisto leggermente in miglioramento a -7.3% (da -8% della stima di settembre) mentre per il 2021 la crescita attesa è del +3.9% (dal +5% stimato precedentemente). Sul lato dell’inflazione la stima rimane invariata a +1% per l’anno prossimo quindi ben sotto al target.

In sostanza la BCE sta cercando di mantenere condizioni finanziarie favorevoli per il sistema nel complesso (privati, imprese e governi) almeno fino alla fine della pandemia. Tuttavia, il mercato (nella componente azionaria) non ha reagito particolarmente bene non vedendo nulla di nuovo nella strategia di politica monetaria ma semplicemente un’estensione dell’attuale.

Sul tema dividendi delle banche la BCE non si è espressa ma venerdì, a borse chiuse, è uscita la notizia di un possibile cap al payout ratio (quota degli utili destinata alla distribuzione agli azionisti) che si porrebbe al 20% dei profitti. 

L’altro tema parecchio dibattuto in questo periodo in Europa ha riguardato la riforma del Mes (conosciuto come Fondo Salvastati). Occorre, innanzitutto, premettere che tale riforma non ha nulla a che vedere con il Mes “sanitario”, ovvero quello legato ai prestiti per affrontare la pandemia, ma si riferisce a quello istituito nel 2012 e che è intervenuto in aiuto di Irlanda, Portogallo, Grecia, Spagna e Cipro in cambio dell’impegno a realizzare riforme draconiane dell’economia per risanare le finanze pubbliche. Nel 2018 il Consiglio europeo ha esteso le funzioni del Mes permettendogli di intervenire anche in supporto delle istituzioni bancarie e finanziarie.

L’Eurogruppo, che raccoglie i vari ministri delle Finanze, dopo un anno di trattative, ha finalmente raggiunto un accordo per la riforma del Mes che riguarda due aspetti:

  • la sua trasformazione in “paracadute” per il fondo di risoluzione bancaria (Srf) a partire dal 2022 (e non dal 2024 come inizialmente previsto). Il Mes acquisirebbe, così, il ruolo di salvagente di ultima istanza in caso di crisi bancaria intervenendo, con una linea di credito al SrF, qualora lo Stato esaurisse le munizioni finanziarie nazionali e anche il bail-in (salvataggio interno) fosse già stato effettuato. L’ammontare a disposizione sarà di circa 68 miliardi e, in caso di accesso, il rimborso del prestito dovrà avvenire con i contributi delle banche entro tre o cinque anni. L’obiettivo è di rafforzare l’unione bancaria e rappresenta un primo passo verso un accordo sulla garanzia unica europea per i depositi. Sottolineiamo che, sebbene il sistema bancario italiano abbia fatto progressi notevoli e le sofferenze siano in calo, l’Italia rimane fra i paesi con il più alto livello di crediti inesigibili (insieme a Cipro, Portogallo e Grecia);
  • per quanto riguarda la parte relativa al salvataggio dei singoli Stati, le principali differenze, rispetto alla versione precedente (quella che, per intenderci, fu alla base dell’intervento sulla Grecia), riguardano la sostituzione della Troika (BCE, FMI e Commissione Europea) con la sola Commissione Europea (che gestirebbe con il Mes le linee di credito e il monitoraggio) e la richiesta di una semplice lettera di intenti (invece di uno stringente memorandum) per attivare la prima linea di credito. Sarebbe proprio questo il punto che non piace ad alcuni paesi (Italia compresa): le condizionalità che permettono l’attivazione della linea di credito in questo modo riguardano il rispetto dei parametri di Maastricht (rapporto deficit/Pil inferiore a 3% e debito/Pil inferiore a 60%) e nessuna procedura di infrazione in corso ma il rischio è che, in mancanza si assoluzione degli obblighi previsti (tipo il miglioramento della situazione di bilancio) vi sia un aumento consistente del tasso di interesse. Inoltre, la ristrutturazione del debito pubblico diventa tanto più pesante quanto maggiore è la quota di tale debito detenuta all’interno del paese da parte di banche e cittadini: in Italia, ad esempio, tale quota è pari a circa il 75% mentre per la Germania è pari a solo il 20%.

L’iter procedurale adesso prevede che il 27 gennaio l’accordo sia firmato dal Consiglio Europeo e successivamente ratificato dai singoli stati (19 paesi dell’area euro) per, poi, entrare in vigore nel 2022.

Sempre in Europa, molta enfasi è stata posta sull’approvazione del Recovery Plan o Next Generation EU: durante l’ultima riunione presieduta dalla Germania, la Cancelliera Angela Merkel è riuscita a trovare un accordo con Polonia e Ungheria che ha, di fatto, portato a un’intesa dei 27 paesi sul bilancio comunitario 2021 e 2027 e sbloccato il pacchetto da oltre 1.800 miliardi di euro (di cui 750 per il vero e proprio Recovery Fund).

Spostandoci dall’altra parte dell’oceano, il newsflow politico ha continuato a farla da protagonista soprattutto per la parte relativa allo stimolo fiscale americano: il Congresso sta discutendo della proposta bipartisan, pari a circa 900 milioni di dollari (ovvero, i 500 voluti dai repubblicani sommati ai 450 che Mnuchin sottrarrebbe al programma “main street” della Fed), che rappresenterebbe un “ponte” in attesa del piano più corposo atteso quando entrerà ufficialmente in carica Biden, a gennaio, e la Yellen si occuperà del Tesoro. Siamo lontani dagli oltre 2.000 miliardi voluti dai Democratici ma è comunque un passo in avanti. Rimane aperto e in attesa di risoluzione il tema del “debt ceiling”, ovvero il tetto del debito americano il cui sforamento è da approvare da parte del Congresso alla fine di ogni anno per evitare la paralisi della macchina amministrativa.

Trump, al di là delle dichiarazioni di una prossima ricandidatura alle elezioni del 2024, sembra avere accettato la sconfitta e oggi ci dovrebbe essere l’ufficializzazione del risultato. Ricordiamo che rimane ancora aperta la questione relativa alla composizione del Senato che verrà smarcata con il ballottaggio in Georgia a inizio gennaio.

Mentre Stati Uniti ed Europa, quindi, sono ancora in fase di discussione, il Giappone prosegue deciso nella sua politica fiscale di sostegno annunciando un piano di 700 miliardi di dollari a supporto delle aziende e settori più in difficoltà (es. turismo). È evidente come nel paese del Sol Levante (ma, forse, in Asia in generale) le decisioni siano molto più veloci, sia in campo fiscale che monetario, dimostrando una maggiore reattività delle autorità.

Per rimanere in ambito politico non poteva certo mancare all’appello la Gran Bretagna alle prese con un’estenuante negoziazione con l’Unione Europea la cui deadline continua ad essere posposta. Si teme che sia forte la possibilità di non arrivare ad un punto in comune che comporterebbe un’uscita senza accordo (e la sterlina, nell’ultimo periodo, ne ha decisamente risentito). La scorsa settimana il premier Johnson si è recato a Bruxelles per discutere direttamente con Ursula Von der Leyen; le trattative sono, poi, proseguite nel week-end ottenendo, semplicemente, di continuare la negoziazione fino all’ultimo. Un’intesa di massima sul tema del confine fra le due Irlande è stato trovato (l’Irlanda del Nord rimarrebbe nel mercato comune e, quindi, nell’unione doganale europea) ma rimane aperto il punto sulla pesca, quello della concorrenza (regole) e dei sussidi (aiuti di stato) e quello dell’autorità competente in caso di disputa, tutti i temi che risultano particolarmente delicati per UK.

Per quanto riguarda i vaccini si avvicina la fase dell’approvazione e del loro utilizzo. L’FDA americana il 10 ha approvato il vaccino di Pfizer e il 17 è chiamata a decidere su quello di Moderna. L’autorità europea EMA (European Medicines Agency, che si occupa dell’approvazione dei farmaci) ha annunciato che si esprimerà entro il 29 dicembre per il vaccino di Pfizer ed entro il 12 gennaio per quello di Moderna. In UK, invece, il vaccino di Pfizer è già stato approvato (si tratta del primo paese al mondo a farlo con la motivazione dell’emergenza) e le vaccinazioni sono già cominciate l’8 dicembre. Anche in Russia è partita la campagna di vaccinazione di massa con il vaccino Sputnik. Negli Stati Uniti si partirà oggi e per l’Italia si ipotizza il 6 gennaio.

Il prezzo del WTI (riferimento americano del petrolio) rompe al rialzo il livello di 45 dollari al barile e si porta sopra quota 47 tornando, così, ai livelli pre-pandemia. Stesso andamento per il Brent (riferimento europeo del petrolio) che torna sopra la simbolica soglia dei 50 dollari. A favorire la forza dell’oro nero possiamo identificare tre elementi: 1) la pandemia in via di risoluzione, grazie ai vaccini, lascia ben sperare sulla ripresa economica; 2) l’OPEC+ ha deciso di ridurre i tagli alla produzione (a partire da gennaio) fissando incontri mensili di verifica (il primo dei quali è previsto il 4 di gennaio) per calibrare meglio l’offerta all’evoluzione della domanda. Ricordiamoci che, su questo punto, la posizione critica rimane quella degli Emirati Arabi che non vorrebbero farsi carico di alcun taglio e minacciano di uscire dal cartello; 3) la Cina continua a dimostrare una decisa ripresa economica (anche i PMI elaborati dalla privata Caixin ne confermano la forza crescendo al ritmo maggiore degli ultimi dieci anni) e contribuisce in buona parte alla domanda di petrolio (e sembra che siano proprio gli Emirati Arabi i principali fornitori).

Dopo il CDA straordinario di Unicredit, a cui avevamo fatto accenno, il CEO Mustier ha annunciato che si ritirerà dal suo ruolo alla fine del secondo mandato (aprile 2021) dopo che per cinque anni è stato alla guida della banca (amministrata, precedentemente, da Federico Ghizzoni e, prima ancora, da Alessandro Profumo). Fra i possibili successori circola il nome di Victor Massiah (ex ceo di UBI che però sembra escluso per un patto di non concorrenza con Intesa), Marco Morelli (ex MPS) ma anche nomi interni ad Unicredit. Le motivazioni della decisione di Mustier, come si ipotizzava, sembrano riguardare “incomprensioni” interne emerse negli ultimi mesi che lasciano pensare al discorso MPS. Nei cinque anni durante i quali è stato alla guida di Unicredit Mustier ha realizzato il più grande aumento di capitale mai effettuato in Italia (13 miliardi di euro) e una campagna di dismissioni di asset pari a sei miliardi di euro (Bank Pekao, Pioneer, Fineco e Yapi Kredi) non sempre ritenute corrette e ben valutate. Ricordiamoci che il nuovo presidente di Unicredit è Piercarlo Padoan la cui nomina, tempo fa, è stata letta come un tentativo di favorire la fusione con MPS, dato che l’ex ministro del Tesoro conosce bene la banca toscana avendo guidato l’operazione di salvataggio nel 2017.

Interessante osservare il tema dell’azionariato delle due banche e della ipotetica nuova identità evidenziato da Il Corriere della Sera: considerato che, dopo la cessione dei crediti deteriorati di MPS ad Amco, il Tesoro possiede il 64% dell’istituto senese (che ha una capitalizzazione di circa 1.2 miliardi) e che Unicredit (che capitalizza circa 17 miliardi) ha un azionariato molto frammentato (massima partecipazione pari al 5%), qualora il Tesoro sottoscrivesse l’aumento di capitale (si parla di 2.5 miliardi) arriverebbe ad avere una partecipazione del 11% circa diventando così il primo azionista.

Qualora, invece, non si arrivasse alla fusione con BMPS c’è chi ritiene che Unicredit potrebbe diventare preda di gruppi stranieri (francesi soprattutto) per una fusione cross-border dato che, comunque, si tratta di una banca con fondamentali solidi ed una valutazione attraente. Oppure, proprio per “evitare” MPS, si parla di aggregazione con Bper: in tal caso Unipol (principale azionista della banca modenese) si candiderebbe a sostituire Aviva nel contratto di bancassicurazione.

Prosegue la corsa di Tesla che, ricordiamo, il 21 dicembre entrerà nell’indice S&P500 con una capitalizzazione pari a 578 milioni di dollari che la porterebbe ad essere, quindi, il sesto titolo (circa 1.5%) subito dopo Alphabet. Il forte rialzo dal giorno dell’annuncio dell’inclusione non si è arrestato neanche con l’annuncio della vendita di azioni proprie pari a 5 miliardi di dollari (0.8% del capitale) che corrisponderebbe a circa 7.79 milioni di azioni. Solo il downgrade della raccomandazione di JPM a “underweight” ha fatto correggere il titolo ritenuto, dagli analisti della casa americana, sopravvalutato. Elon Musk, CEO e proprietario del 18% di Tesla, diventa così la seconda persona più ricca al mondo, dopo Jeff Bezos di Amazon, scalzando dalla posizione il presidente di LVMH Bernard Arnauld.

Ancora sugli scudi il bitcoin dopo che Guggenheim Partners ha richiesto alla SEC (Securities and Exchange Commission) di poter investire dal 5% al 10% degli asset (fino a 530 milioni di dollari) del fondo Macro Opportunities Fund sulla criptovaluta attraverso il Grayscale Bitcoin Trust (che investe solo in bitcoin). Si conferma quanto abbiamo scritto la scorsa settimana: i movimenti di prezzo, essendo l’offerta rigida, sono essenzialmente dettati da news sulla domanda sia da parte di investitori (che lo stanno prendendo sempre più in considerazione) che da parte di consumatori (ricordiamoci che Paypal consentirà dal 2021 di acquistare e regolare transazioni in bitcoin).

Intanto la divisione che si occupa della composizione degli indici per S&P Global ha annunciato che per l’anno prossimo è previsto il lancio di alcuni indici sulle criptovalute. L’idea nasce dalla constatazione che si tratta di un’asset class in rapida crescita e ha senso, quindi, creare dei benchmark di riferimento.

Una banca tedesca di medie dimensioni fondata nel 1976, la Hauch & Aufhauser, ha annunciato che a gennaio lancerà un fondo di criptovalute a gestione passiva con Bitcoin, Ethereum, Stellar e altre croptovalute, destinato ad un pubblico di investitori con patrimonio elevato o istituzionali. La size minima di investimento sarà pari a 200.000 euro.

Resta il tema della regolamentazione che è stata ribadita ad un incontro G7 (tra banchieri centrali, ministri delle finanze, membri del FMI e della World Bank) da parte, ancora, di Steve Mnuchin (segretario al Tesoro americano). Dal dibattito è emerso che sebbene i pagamenti digitali e la nascita delle monete virtuali sia importante per superare i limiti dei sistemi di pagamento tradizionali in termini di inefficienza e costi, è altrettanto importante evitare comportamenti illeciti.

QUESTA SETTIMANA

Man mano che gli eventi che avevamo identificato come particolarmente rilevanti verso la fine dell’anno vengono superati diventa molto importante continuare a monitorare l’evoluzione dei contagi nel mondo: negli Stati Uniti sembra ci sia una ripresa dei numeri in conseguenza alla festività del Thanksgiving e in Europa, con l’avvicinarsi del Natale e il parziale allentamento delle restrizioni, si potrebbe assistere ad un peggioramento dei dati a gennaio. Si parla anche di chiusure dopo Natale per frenare un’ipotetica terza ondata. Il tema, ripetiamo, è importante perché la sostenibilità della ripresa dipende anche dai danni, più o meno pesanti, subiti dall’economia.

Giovedì 17 l’FDA americana dovrebbe approvare anche il farmaco di Moderna.

La Fed si riunirà mercoledì 16 e vedremo se ci saranno novità sulla strategia e il programma di acquisti. Qualcuno si attende una calibrazione diversa degli acquisti lungo la curva ma non una modifica dell’ammontare.

Il giorno successivo, giovedì 17, si riunirà la Bank on England e la Swiss National Bank: mentre quest’ultima ha la necessità di limitare l’apprezzamento del Franco e probabilmente lascerà i tassi ai livelli attuali (-0.75%), la BOE si troverà a dovere fare i conti, eventualmente, anche con la Brexit. In UK il barometro della situazione rimane sempre il cambio della sterlina.

Infine, venerdì 19 terminerà la carrellata delle banche centrali la Bank of Japan.

In generale dalle banche centrali ci si aspetta il mantenimento di toni accomodanti e di ulteriore supporto ai mercati qualora la situazione dovesse richiederlo.

Il 19 dicembre il Parlamento Europeo dovrà decidere sia sulla riforma del Mes sia sul Recovery Plan. Sono 27 i paesi coinvolti.

Anche se, ormai, la deadline finale è il 31 dicembre, le notizie sul fronte delle negoziazioni fra UK e EU rimangono estremamente importanti da seguire.

Da un punto di vista macroeconomico sono previsti in uscita i dati di fiducia delle imprese (PMI) preliminari per il mese di dicembre attesi, sostanzialmente, stabili.

Il 18 di dicembre c’è una scadenza tecnica particolarmente importante (il c.d. “quadruple witching”): si tratta del giorno in cui scadono, contemporaneamente, futures e opzioni sia su indici che su titoli. Avviene ogni terzo venerdì di marzo, giugno, settembre e dicembre e può generare dei movimenti particolarmente violenti soprattutto dopo periodi di movimenti di mercato importanti.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Il tema delle banche centrali è indubbiamente molto sentito dai mercati, come abbiamo avuto più volte modo di sottolineare. L’impatto diretto è sul comparto obbligazionario: se guardiamo, ad esempio, ai 500 miliardi di euro aggiunti al piano PEPP da parte della BCE, circa il 18% andrebbe all’Italia e si tradurrebbe in 90 miliardi di euro di titoli di stato acquistati dalla banca centrale in nove mesi, più del fabbisogno pubblico.

I tassi sono destinati, in base a questo fattore, a rimanere favorevoli ancora per un po’ di tempo. Il problema si presenterà quando, una volta terminata l’emergenza, tutto il debito in mano alla BCE dovrà essere ripagato (qualcuno parla di cancellazione del debito ma sembra essere vietato dallo statuto). Solo in quel momento si vedrà chi avrà utilizzato bene e in modo profittevole i soldi perché, così facendo, sarà riuscito a fare rientrare un po’ l’enorme debito. Sebbene sia decisamente prematuro discuterne ora è, comunque, importante che ci sia la percezione che i soldi vengano ben spesi per garantire la stabilità dei mercati obbligazionari una volta che la “lunga mano” della banca centrale verrà meno.

Se guardiamo al bilancio della Fed siamo, ad oggi, sopra ai sette mila miliardi di dollari e, per avere un’idea dell’enormità di tale ammontare, consideriamo che, a marzo, prima della pandemia, tale cifra viaggiava intorno ai 4 mila miliardi ed era già il massimo mai raggiunto.

Si tratta di cifre davvero considerevoli che, per molti, rappresentano la “droga” dalla quale dipendono i mercati ad oggi. Naturale chiedersi cosa accadrà quando verrà gradualmente rimossa.

Nell’immediato, però, possiamo dire che la rete di protezione le banche centrali la hanno posizionata e con il 2021 sia in Europa che negli Stati Uniti partiranno i programmi di spesa che dovrebbero fare da volano alla ripresa.

Ora occorre continuare a valutare l’evoluzione della pandemia per capire quanto è ancora lungo il tunnel della cui fine però già si vede la luce.

Abbiamo in passato parlato più volte della dicotomia tra “main street” e “wall street” ovvero tra attività reale (sintetizzata dalla crescita, o meglio decrescita, del Pil) e attività finanziaria (sintetizzata dai listini azionari) e abbiamo giustificato tale dicotomia con due elementi: 1) tassi di interesse bassi (e quindi valutazioni azionarie relativamente migliori e attraenti) e 2) tendenza dei mercati di anticipare la ripresa economica.

Una dicotomia ancora più strana la possiamo notare fra l’andamento di alcune materie prime, considerate “leading” della ripresa economica, e il ciclo economico: in particolare, se osserviamo l’andamento del prezzo del rame (o “dr copper” come si chiama in gergo) o dell’iron-ore (minerale di ferro utilizzato nella produzione dell’acciaio) vediamo che si trovano entrambi ai livelli massimi degli ultimi sette anni e sembra assurdo in un mondo ancora, essenzialmente, in recessione.

Questa volta la spiegazione risiede nello stato di salute di uno dei principali utilizzatori di tali materie prime ovvero la Cina: le sue importazioni hanno battuto ogni record e, come abbiamo già detto, la Cina si sta portando avanti nelle provviste di materie prime in anticipo rispetto alla possibile ripresa globale e al potenziale enorme utilizzo nei vari progetti infrastrutturali e green (di transizione energetica) che diverse economie hanno in programma e che potrebbero fare alzare considerevolmente i prezzi.

La fase di consolidamento dei mercati in queste ultime due settimane si è riflessa sulle performance delle nostre linee di gestione che si sono mantenute stabili. Prosegue il recupero della linea ITA che riduce considerevolmente le perdite da inizio anni grazie alla buona performance dell’ultimo periodo delle small cap italiane. Bene anche la nostra SICAV Stable Return che si avvicina ai 105 di NAV.

Analisi dei mercati del 30.11.2020

INDICI DI MERCATO

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

Prosegue il rialzo dei mercati azionari che, in aggregato (Msci World), guadagnano il 2.4% nella settimana. Alcuni indici hanno raggiunto livelli record: il Dow Jones (l’indice americano esistente dal 1928) tocca il livello simbolico di 30.000 e il Nikkey (indice giapponese esistente dal 1949) porta a casa il mese migliore dal 1987. Poco variati gli indici obbligazionari con i governativi che vedono una leggera contrazione dei rendimenti. Fra le commodities segnaliamo l’ottima performance del petrolio (+7%) mentre corregge l’oro coerentemente con la fase di risk-on.

Il mercato ha particolarmente apprezzato sia le notizie provenienti dalla politica americana che il continuo progresso sul tema dei vaccini.

Sul primo tema, sebbene Trump abbia dichiarato che riconoscerà Biden come presidente solo quando il collegio elettorale (dei c.d. “grandi elettori” che si riuniranno il 14 dicembre) certificherà la sua vittoria, la responsabile dei servizi generali annuncia che si può iniziare finalmente il passaggio di consegne tra i due, sbloccando, quindi, i fondi necessari per gestire la transizione. Intanto Biden procede con la selezione dei componenti del suo team che potranno così interagire con i ministri attuali per avere aggiornamenti sui dicasteri: ai mercati è decisamente piaciuta la scelta della ex-governatrice della Fed Janet Yellen al Tesoro nota per la sua “dovishness” e propensione a sostenere l’economia in sintonia con la Fed attuale. La Yellen, che è stata già la prima donna alla guida della Fed, sarebbe anche la prima donna a capo del Tesoro da 231 anni.

Per quanto riguarda i vaccini, a inizio dicembre è attesa l’approvazione da parte di FDA (Food and Drug Administration) ed EMA (European Medicines Agency), le due autorità regolatorie rispettivamente per US ed Europa, del vaccino di Pfizer/BioNTech e di Moderna (quest’ultima ha inviato la richiesta questa mattina). Il vaccino di Astrazeneca, diverso per tecnologia da quello di Pfizer e Moderna, dai risultati preliminari mostra un’efficacia media del 70%, che sale al 90% se la somministrazione viene fatta in due fasi (prima mezza dose e dopo una intera), e garantisce risultati positivi senza gravi effetti collaterali. Giovedì, sempre Astrazeneca, annuncia che verrà eseguito un nuovo test completo per arrivare a risultati più certi ma precisa che questo non impatterà sulle tempistiche. Anche in Cina Sinopharm ha richiesto al regolatore cinese l’autorizzazione a commercializzare il suo vaccino che, tra l’altro, era stato già utilizzato “per emergenza” su parecchie persone (motivo per cui, si ipotizza, la Cina non ha di fatto avuto una seconda ondata).

Segnali di distensione anche nei rapporti fra Cina e Stati Uniti: il presidente cinese Xi Jinping avrebbe intenzione di richiedere agli Stati Uniti di unirsi ad una sorta di TPP 2 (Trans Pacific Partnership), l’accordo dal quale Trump si era sfilato ma che era stato siglato da Obama (del quale Biden era vicepresidente).

In settimana sono stati pubblicati i verbali delle riunioni di Fed e BCE. Dai primi emerge che il board della banca centrale americana sta studiando come modificare il programma di acquisto titoli sia in termini di durata sia in termini di come impattare sulla “pendenza” della curva: si ipotizza infatti un maggiore impegno sulla parte più lunga della curva. Da quelli della BCE è arrivata la conferma che la situazione richiede un intervento coordinato tra politica fiscale e monetario e che sia TLTRO che PEPP saranno gli strumenti principali da utilizzare.

Dalla lettura dei PMI preliminari per il mese di novembre usciti in settimana è emersa una certa dicotomia fra Eurozona e Stati Uniti con la prima in calo sul dato aggregato (45.1 da 50) a causa soprattutto, come atteso, della componente legata ai servizi (41.3 da 46.9) e della debacle francese (dato aggregato da 47.5 a 39.9), mentre gli Stati Uniti offrono un quadro decisamente diverso con il dato composite che passa da 56.3 a 57.9 grazie sia alla componente servizi (57.7 da 56.9) che alla manifattura (56.7 da 53.4). Anche l’IFO tedesco mostra un leggero calo (da 92.7 a 90.7) soprattutto nella componente delle aspettative.

In settimana due elementi confermano la forza dell’economia cinese: il dato sui profitti industriali per il mese di ottobre è uscito in crescita del 28.2% (vs 10.1% precedente) al livello più altro dal 2011; i risultati di Tiffany sono usciti migliori delle attese e in crescita grazie proprio al mercato cinese.

Deutsche Boerse ha annunciato una modifica alla composizione dell’indice azionario tedesco Dax: i titoli passeranno da 30 a 40 a partire da settembre 2021 con l’obiettivo di aumentare la diversificazione. Si punta anche a migliorare la qualità (soprattutto dopo lo scandalo di Wirecard) imponendo, come criterio di inclusione, la presenza di un ebitda (margine operativo lordo, ovvero l’utile al quale sono risommate le tasse, gli ammortamenti e il deprezzamento e le spese per interessi) positivo nei recenti bilanci e, come requisito di mantenimento, la pubblicazione di rapporti finanziari annuali certificati e dichiarazioni trimestrali.

Finalmente in Europa, dopo le tante pressioni arrivate, si comincia a parlare di rimozione del divieto alla distribuzione dei dividendi da parte delle banche nel 2021. Ne ha accennato il vicepresidente del consiglio di sorveglianza della BCE, Yves Mersch, dichiarando che mantenere la sospensione al pagamento dei dividendi oltre la fine di questo anno diventerebbe difficile da giustificare, sia da un punto di vista giuridico che in relazione a quanto altri paesi (vedi UK) decideranno di fare. Ovviamente la distribuzione degli eventuali dividendi sospesi dovrà avvenire in modo “cauto” e solo in caso di bilanci solidi di banche in grado di valutare anche in chiave prospettica la situazione patrimoniale. La decisione finale verrà presa solo dopo che la BCE pubblicherà le sue previsioni macro il 10 dicembre.

Il risiko bancario ogni settimana riserva qualche novità: lunedì scorso Crédit Agricole Italia (controllata da Crédit Agricole per il 75.6%) ha lanciato un’OPA da 737 milioni di euro su Creval interamente cash (per questo è previsto un aumento di capitale per garantire il mantenimento di adeguati ratio patrimoniali). Il titolo reagisce alla notizia con un +23% superando così il prezzo dell’offerta (10.5 euro per azione) che aveva un premio del 21.4% rispetto al prezzo di chiusura di venerdì e del 54% rispetto alla media ponderata degli ultimi sei mesi. L’offerta corrisponde ad una valutazione in termini di Price/Tangible Book Value pari a 0.4x e permette quindi di incassare un badwill significativo (pari a circa un miliardo). L’obiettivo di Crédit Agricole, che aveva già una partecipazione del 9.8% in Creval, è di arrivare al delisting, alla fusione e all’integrazione nella prima parte del 2022, che diventerebbe possibile qualora aderisse il 66.7% degli azionisti (Algebris, il fondo di Davide Serra, si è già impegnata a vendere il suo 5.4%). Nascerebbe così il sesto gruppo bancario italiano con più di 1.200 filiali. L’OPA è dichiarata amichevole da parte di Crédit Agricole, tuttavia, non essendo stata concordata, ci potrebbe essere la richiesta di un rilancio da parte del CdA di Creval (come successe nell’acquisizione di UBI da parte di IntesaSanPaolo che, però, era carta contro carta inizialmente); il fondo inglese Petrus Advisers ha già dichiarato l’offerta inadeguata ritenendo superiore a 14 euro per azione il valore equo, pertanto suggerisce di non aderire. Crédit Agricole, ricordiamo, aveva cercato di arrivare ad un’intesa con BancoBPM ma il nulla di fatto e, successivamente, le voci di una possibile fusione tra BPER e BancoBPM ne hanno modificato il target. A questo punto sul tavolo rimarrebbe solo Unicredit per risolvere la questione del Monte dei Paschi.

Per agevolare e incentivare le aggregazioni bancarie, come caldeggiato dalla BCE, l’Italia utilizza gli incentivi fiscali: le banche che saranno oggetto di attività di M&A potranno trasformare le attività fiscali differite (Dta – Deferred Tax Assets) derivanti dalle svalutazioni sui crediti in crediti fiscali, della più piccola delle società che si fondono, per un ammontare non superiore al 2% degli attivi (il Movimento 5 stelle ha presentato un emendamento per porre 500 milioni come tetto massimo). Abbiamo accennato a questo aspetto nelle scorse settimane come tentativo del Governo di risolvere la questione BMPS (in questo caso il beneficio sarebbe pari a due miliardi) ma è valido per tutte le fusioni ed è evidente che ne stanno approfittando in molti. Nel caso specifico di Crédit Agricole – Creval circa 1/3 dei 737 milioni tornerebbero grazie a questo incentivo.

Molto forte la performance del Bitcoin che in settimana ha toccato i livelli massimi raggiunti nel 2017 (pari a 19.500) per poi crollare improvvisamente giovedì (-10%) sulla diffusione di voci secondo le quali il segretario del Tesoro americano Mnuchin avrebbe intenzione di regolamentare la criptovaluta costringendo le varie borse che sono sotto la giurisdizione americana a venderlo/comprarlo solo per portafogli che rispettano le norme KYC, ovvero con possessori identificabili. Verrebbe meno, quindi, uno dei punti di forza delle criptovalute e cioè l’anonimato: infatti, la maggiore parte dei bitcoin si trova su portafogli anonimi e fra questi abbiamo quelli definiti “whale” (balena) che hanno almeno 1000 bitcoin (pari a circa 18 milioni di dollari) che, se smontati, potrebbero uscire da Coinbase (la borsa dei bitcoin americana) provocando un brusco ridimensionamento del valore. Neanche spostarsi sarebbe facile dato che l’altra grossa borsa mondiale Okex, attiva anche sui derivati, è basata a Malta e fra i proprietari, cinesi, figura tale Xu sotto indagine da parte della polizia cinese.

QUESTA SETTIMANA

Questa mattina sono usciti in rialzo i dati di fiducia delle imprese in Cina per il mese di novembre: si tratta di quelli calcolati dall’agenzia statale ed evidenziano una crescita sia nel settore manifatturiero (52.1 da 51.4) che in quello dei servizi (56.4 da 56.2) entrambi superiori alle attese.

In settimana, sempre in Cina, verranno pubblicati anche quelli dell’agenzia privata Caixin. In Eurozona avremo il dato PMI finale (atteso in leggero rallentamento coerentemente con i numeri preliminari della scorsa settimana) e negli Stati Uniti l’ISM. Vedremo se si confermerà la dicotomia fra economia europea e americana

Oggi e domani è previsto il meeting Opec+: sia Russia che Arabia Saudita sembrano essere favorevoli ad una posticipazione da tre a sei mesi dell’incremento della produzione (pari a due milioni di barili al giorno) che era stato deciso per Gennaio 2021 al fine di evitare un aumento dell’offerta che potrebbe non essere assorbito dall’attuale domanda. Bisogna considerare che le tensioni all’interno dell’OPEC stanno aumentando ed emerge sempre di più una divergenza di opinioni con gli Emirati Arabi che si ipotizza possano essere prossimi ad uscire dall’organizzazione.

Il Segretario di stato americano Mnuchin e il Presidente della Fed Powell testimonieranno davanti alla commissione finanza del Senato in merito al “Cares Act” ovvero il programma di stimoli partito a marzo per far fronte alla crisi generata dalla pandemia.

Venerdì verranno pubblicati i dati sul mercato del lavoro americano riferiti al mese di novembre: le attese sono per un leggero rallentamento dei nuovi occupati e un tasso di disoccupazione stabile a 6.8%. Ricordiamo che questi dati sono importanti per avere il polso dell’economia americana la cui ripresa è strettamente legata ai consumi.

I negoziatori europei si sono spostati a Londra per riprendere i negoziati sulla Brexit: il punto critico, adesso, sembra essere quello relativo alla pesca, ovvero l’accesso dei pescherecci europei alla futura zona economica esclusivamente britannica. All’interno della UE, infatti, i pescherecci hanno accesso libero alle acque degli altri ad eccezione delle 12 miglia marine dalla costa. Con l’uscita della Gran Bretagna dalla UE, ogni anno si dovrebbero negoziare le quote riservate ai pescherecci dell’Unione Europea entro 200 miglia marine, come fa attualmente la Norvegia. La UE vorrebbe il mantenimento dello stato attuale.

In Italia c’è un po’ di movimento in Unicredit: nel week-end è stato convocato un CdA straordinario dal quale, però, non è ancora emerso nulla. Il tema sembra essere la posizione di Mustier contraria ad ipotesi di aggregazioni. Vedremo in settimana.

CONSIDERAZIONI FINALI E POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

In questa sede abbiamo più volte discusso di quanto l’incertezza pesi sui mercati frenandone il potenziale di crescita. La conferma la stiamo avendo in questo periodo con l’incertezza politica americana che sembra venire sempre meno con Trump che avvia il passaggio di consegne e con i vaccini che avvicinano il momento in cui si riuscirà ad arginare e controllare il problema sanitario.

Ricordiamoci che quest’anno il ciclo economico ha subito una brusca frenata con l’arrivo improvviso del corona virus e con il fatto che le economie sono state messe in una sorta di coma farmacologico facendole entrare in recessione. Non si è trattato, quindi, di una recessione derivante dallo scoppio di bolle legate a degli eccessi sul mercato ma da uno stop forzato e necessario per motivi sanitari. Man mano che i rischi sanitari vengono meno è ovvio che l’economia può riprendere il suo percorso, anche se, probabilmente, un po’ “riadattato” al nuovo modo di vivere e lavorare. I mercati in modo più o meno “lineare” si adattano al nuovo scenario.

Un tema che è stato molto dibattuto nell’ultimo periodo riguarda la possibilità che le cripto-currencies soppiantino l’oro come bene rifugio: attualmente, infatti, il Bitcoin si trova in prossimità dei nuovi massimi mentre l’oro viaggia in prossimità del supporto di 1.800 dollari/oncia come se ci fosse in atto un travaso dal vecchio al nuovo bene rifugio.

Bisogna, tuttavia, considerare che le dinamiche sottostanti ai due asset sono un po’ diverse esattamente come lo è la volatilità.

Diciamo che i due asset hanno delle caratteristiche similari: si può, infatti, ritenere che l’offerta sia limitata per entrambe (si parla di “minatori” sia per oro che per i bitcoin) e che entrambe, non avendo “carry” (ovvero non originando alcun rendimento periodico), tendono a salire quando i tassi reali scendono, ovvero quando anche le alternative tipicamente obbligazionarie hanno rendimenti bassi se non nulli o addirittura negativi. Il punto sull’offerta limitata è molto importante nell’attuale contesto in cui le banche centrali fanno a gara a chi stampa più moneta: infatti la legge della domanda e dell’offerta fa sì che all’aumentare della prima il prezzo salga se l’offerta è rigida.

Le differenze principali, invece, sono rappresentate essenzialmente dai driver della domanda: per l’oro la domanda fisica proviene soprattutto da paesi quali l’India e la Cina e quindi esiste un fattore stagionale che crea degli alti e bassi nella domanda (la stagione dei matrimoni in India e il capodanno cinese, che l’anno prossimo cadrà il 12 febbraio) mentre per il bitcoin, essendo comunque una “valuta” relativamente nuova beneficia degli annunci di chi decide di accettarla come mezzo di pagamento (vedi Paypal con l’annuncio di ottobre a valere dal 2021 per consumatori americani) ma risente anche della probabile volontà di regolamentazione da parte delle autorità.

Si tratta sicuramente di un tema interessante e da monitorare.

Ancora in crescita le nostre linee di gestione: quelle azionarie, soprattutto, continuano a beneficiare del buon andamento delle borse. Il contributo delle commodities è stato neutrale dato che le prese di profitto sull’oro sono state controbilanciate dalla salita delle materie prime più cicliche.

Ottimo il contributo della nostra Sicav SCM Stable Return che, nel mese di novembre, ha avuto una performance di +5.16%. Il fondo ha beneficiato della rotazione tra titoli “growth” e “value” e della conseguente performance dei settori industrials e finanziario, innescata dai progressi sui vaccini contro il corona virus.