Analisi dei mercati del 27.04.2020

COMMENTO ULTIMA SETTIMANA

La settimana è stata inaugurata da un movimento del petrolio che non si era mai visto e che ha creato un po’ di destabilizzazione sul mercato: i futures sul petrolio WTI con scadenza maggio, sono andati per la prima volta in territorio negativo arrivando a raggiungere -40 dollari nella serata di lunedì. Da quando il New York Mercantile Exchange (Nymex) ha lanciato i contratti future sul WTI, nel marzo 1983, non si era mai verificato nulla di simile.

La motivazione tecnica del movimento violento risiede nel fatto che i futures (ovvero strumenti derivati, contratti a termine, utilizzati per copertura/speculazione sia dagli operatori che dagli investitori) sul WTI (il petrolio americano estratto in Texas) prevedono la consegna fisica dei barili di petrolio una volta arrivati a scadenza. Consideriamo che un future ha come sottostante 1000 barili di petrolio. Se a scadenza non si ha la possibilità di ritirare i barili (perché non si ha spazio o perché si stava semplicemente speculando) l’unica cosa che si può fare è vendere il future ed è proprio questo che ha portato il prezzo in negativo. Si è avverato quanto avevamo indicato, citando un articolo de Il sole 24 ore, qualche settimana fa: esauriti gli spazi di stoccaggio, gli operatori sono disposti a pagare pur di non avere la consegna fisica del petrolio.

La giustificazione principale del movimento è quindi legata alla speculazione così come al proliferare di strumenti tipo ETC per scommettere sull’andamento del prezzo del petrolio, primo fra tutti il “United States Oil Fund – USO” americano che controlla un quarto delle posizioni aperte sul WTI (vedi articolo girato la settimana scorsa). Per avere un’idea dell’entità si stima che nel mese di marzo gli scambi siano stati pari a circa due milioni di barili al giorno, il 70% in più rispetto all’anno precedente. Se consideriamo che ogni contratto ha come sottostante 1000 barili, ogni giorno sono scambiati circa due trilioni di barili, circa 400 volta la produzione fisica del Texas!

La dimostrazione che la speculazione e gli aspetti tecnici hanno contribuito in gran parte al movimento è dimostrata dal fatto che il prezzo del Brent (il petrolio estratto in nord Europa e i cui derivati consentono il regolamento “cash” e non solo fisico) non è crollato nella stessa misura ma si è mantenuto intorno ai 20 dollari al barile.

Ricordiamo che quando la curva è in “contango” (ovvero il prezzo è più alto sulle scadenze più lontane) per effetto, in questo caso, degli alti costi di stoccaggio (attualmente intorno a 8 dollari al barile al mese) gli strumenti che si basano su futures devono “rollare” le posizioni (ovvero vendere il contratto in scadenza e comprare quello o quelli successivi) e subiscono una perdita vendendo ad un prezzo più basso di quello a cui comprano.  Quando queste operazioni sono massicce l’effetto viene esasperato e gli strumenti che ne pagano più le conseguenze sono gli ETC a leva: se, ad esempio, il prezzo del petrolio scendesse del 30% (passando da 20 dollari a 14) un ETC leva tre moltiplicherebbe per tre la performance giornaliera arrivando a perdere il 90% del suo valore, cioè quasi azzerando l’investimento (spesso l’ETC viene poi liquidato annullando qualunque possibilità di recupero).

Ovviamente ci sono anche motivazioni fondamentali che spiegano il calo del prezzo del petrolio: la domanda, che viaggiava in un intorno di 100 milioni di barili al giorno, è di fatto paralizzata (dopo essere crollata del 30%) dal lockdown e quindi neanche un prezzo incredibilmente basso riesce a stimolarla (ricordiamoci che circa il 50% domanda è legata al trasporto automobilistico e circa 20% a quello aereo). Occorre necessariamente fare ripartire l’economia perché ci sia un minimo di ripresa della domanda (che comunque difficilmente tornerà a livelli pre-crisi in tempi brevi).

Occorre, quindi, agire sull’offerta: ci vorrebbe un taglio più intenso della produzione (i tagli decisi nell’ultimo Opec partono da maggio) che dai dati non sembra stia scendendo (anzi ad aprile è vicina ai massimi storici). Da quando gli USA sono entrati nel settore con lo shale oil il controllo dell’offerta è andato in tilt (libero mercato in US vs oligopolio dell’Opec+) tant’è che gli Stati Uniti hanno raddoppiato la produzione nel giro di cinque anni arrivando a produrre circa 13 milioni di barili al giorno (shale oil ha break-even price di 30 dollari per i produttori che non hanno ancora ammortizzato gli investimenti, per gli altri è più basso).

Trump minaccia di introdurre tariffe sulle importazioni di petrolio ma queste rischierebbero di essere poco efficaci per alzare prezzi (anzi) ma avrebbero semplicemente un effetto redistributivo: positivo per produttori domestici americani ma con il costo pagato da paesi emergenti.

Il basso prezzo del WTI mette in difficoltà alcuni produttori americani di petrolio e gli effetti li vediamo sui prezzi delle obbligazioni High Yield del settore oil che in certi casi riflettono già una situazione di default.

L’attenzione degli investitori rimane sempre concentrata sulle misure governative a supporto dell’economia e anche questa settimana gli Stati Uniti si sono distinti dall’Europa (in positivo).

Il Congresso americano ha approvato un pacchetto aggiuntivo pari a 480 miliardi di dollari a favore di piccole e medie imprese, ospedali e test sui virus. Questa ulteriore misura porta la risposta alla crisi alla cifra di 3000 miliardi di dollari. Qualche delusione invece dall’Unione Europea i cui leader, durante il vertice di giovedì, hanno confermato il pacchetto di 540 miliardi: 100 miliardi per il “Sure” (una sorta di cassa integrazione europea), 240 miliardi per il MES (il “fondo salvastati”) e 200 miliardi tramite la BEI.

Hanno, inoltre, deciso di istituire un “Recovery fund” sul quale dovranno essere elaborate, da parte della Commissione Europea, le proposte entro il primo giugno. I dettagli potrebbero essere resi noti tra parecchio tempo dato che rimangono forti le divisioni fra chi chiede finanziamenti a fondo perduto (Italia e Spagna) e chi ritiene debbano essere dati sotto forma di prestiti (blocco nordico).  La size dovrebbe essere di un trilione (non due come atteso) finanziato da bond emessi dalla CE e legato al budget 2021-2027. La delusione deriva proprio dalla mancanza di dettagli (finanziamenti fondo perduto o prestiti?), da una minore size rispetto alle attese e dal timing dell’implementazione.

La Lagarde, in una lettera a un membro del Parlamento Europeo, afferma che potrebbe essere illegale, per la BCE, acquisire direttamente dai governi il debito e, quindi, la Banca Centrale resterà acquirente solo sul mercato secondario. Intervenendo all’apertura del summit ha avvertito che esistono pesanti rischi di severa contrazione, anche nell’ordine del 15% pertanto è importante un supporto massiccio di politica fiscale.

La BCE mercoledì ha deciso che accetterà i c.d. “fallen angels”, ovvero i titoli Investment Grade che a causa degli effetti della crisi vengono downgradati a high yield, come collaterale per evitare una crisi del credito nella zona euro. I bond ammessi dovevano essere almeno BBB- alla data del 7 aprile e non dovranno, comunque, avere un rating inferiore a BB. Verranno ammessi come collaterale fino a settembre 2021. Dovesse essere downgradato il debito italiano, questo verrà comunque accettato come collaterale (magari con haircut più alti) e acquistato fino a settembre 2021.

Chi temeva un possibile downgrade dell’Italia è stato rassicurato venerdì sera quando S&P si è pronunciata sul rating sovrano lasciandolo invariato (BBB e outlook negativo) ma sottolineando che è, ovviamente, atteso un peggioramento dei rapporti deficit/Pil e debito/Pil. L’economia italiana è considerata ricca e diversificata e la posizione netta dell’Italia sull’estero consente di bilanciare in parte il peso dell’alto debito pubblico, tuttavia una revisione negativa del rating sarà possibile se l’Italia non porterà il debito su un sentiero di discesa nei prossimi tre anni o se si deterioreranno le condizioni di credito. L’8 maggio si pronunceranno DBRS (rating BBB outlook stabile) e Moody’s che, pur avendo posto il rating all’ultimo gradino dell’investment grade (Baa3 e outlook stabile) ha, di recente, pubblicato una nota tranquillizzante.

L’agenzia Fitch invece si è espressa sul settore bancario affermando che il 95% delle banche dell’Europa occidentale saranno in difficoltà nel 2020 e saranno possibili downgrade. Le motivazioni risiedono nell’incertezza legata alla durata della crisi e all’efficacia delle misure prese dai governi e dalle varie istituzioni per supportare le aziende. Fra le banche italiane solo Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi e Mediobanca hanno mantenuto la view precedente.

All’inizio della settimana c’è stata un po’ di tensione sullo spread. Consideriamo che i titoli di stato italiani sono fra i più liquidi in circolazione e ciò li rende più soggetti alla speculazione legata, questa volta, all’incertezza circa l’esito del consiglio europeo di giovedì.

Inoltre, il Tesoro ha collocato un BTP 5 anni (scadenza 1 luglio 2025) e riaperto il BTP 30 anni (scadenza 1 settembre 2050): le richieste degli investitori hanno superato i 110 miliardi di euro complessivi per un’offerta di 16 miliardi (sufficienti a coprire i 15 miliardi dei BTP Italia in scadenza il 23 aprile) ma i tassi sono stati più alti. La BCE ha continuato ad offrire sostegno al mercato (acquistati 20 miliardi la settimana precedente nell’ambito del programma PEPP) riportando lo spread intorno a 220bps.

Con il DEF il Governo italiano porta l’obiettivo deficit/Pil nel 2020 al 10.4% e al 5.7% nel 2021 per effetto dell’eliminazione delle clausole di salvaguardia Iva. Il debito passa al 155.7% nel 2020 e al 152.7% nel 2021 con un Pil tendenziale del -8% per quest’anno e +4.7% il prossimo.

Fra i dati macroeconomici pubblicati in settimana sottolineiamo i PMI (indici di fiducia delle imprese) preliminari di aprile: in Europa i numeri usciti sono parecchio deludenti soprattutto per la parte servizi (da 26.4 a 11.7 vs attese di 22.8) che ha portato il dato aggregato a 13.5 da 29.7. Decisamente più vicini al consenso anche se in calo quelli americani.

Coca Cola riporta bene e batte le stime ma come ormai quasi tutte le società annulla le guidance per il resto dell’anno evidenziando che quindi la visibilità è decisamente limitata.

Qualche dato sulla reporting season: in US, con circa il 20% delle società dell’S&P500 che ha riportato, l’utile risulta in calo del 18% circa (a causa soprattutto del settore finanziario) mentre, in Europa, con il 17% delle società europee il 25% delle società dell’Eurostoxx600, l’utile è in calo del 16% ma dobbiamo considerare una diversa composizione settoriale in quanto in Europa il grosso del settore finanziario deve ancora riportare.

La settimana si è conclusa con una correzione per l’azionario (MSCI World -1.4%), soprattutto europeo (Eurostoxx50 -2.7%), e per il segmento High Yield americano. Poco significative le variazioni sul mercato dei cambi. Commodity in forte correzione (CRY -9%) a causa del crollo del prezzo del petrolio (WTI -32%) mentre l’oro guadagna terreno mantenendosi sopra i 1700 dollari/oncia (+2.12%).

QUESTA SETTIMANA

La settimana delle banche centrali è stata inaugurata dal meeting della BOJ: la banca centrale giapponese ha mantenuto, come atteso, i tassi invariati a -0.10% ma la cosa più importante, e che i mercati si auspicavano, è stata la rimozione dei limiti precedenti (80 trillion yen all’anno, pari a 742 miliardi di dollari) agli acquisti di bond governativi (al fine di mantenere allo 0% il rendimento del JGB a 10 anni) e l’innalzamento del limite agli acquisti di corporate (la BOJ potrà detenere fino a 20 trillion yen, pari a 186 billion USD, in corporate debt  rispetto ai 7.4 precedenti).

Altrettanto importante la proposta da parte del governo di un extra budget per l’economia pari a 25.690 miliardi di yen (240 miliardi di dollari) che comprende la distribuzione di 100.000 yen a ciascun residente (circa 930 dollari).

Mercoledì 29 l’appuntamento sarà con la Fed FOMC: non sono attese variazioni dei tassi attualmente fissati nel range 0%-0.25%.

Giovedì 30 aprile si riunirà la ECB: è probabile che, come ha già fatto la Fed, deciderà di includere le obbligazioni High Yield nel programma di QE dopo averli ammessi come collaterale. Qualcuno si attende una nuova asta TLTRO a tassi agevolati per facilitare il finanziamento delle imprese e un incremento del PEPP (attualmente 750 miliardi).

La settimana vedrà anche la pubblicazione dei dati su GDP del primo trimestre: per US è atteso -3.9% (in declino per la prima volta in 6 anni e con il più forte calo dal 1940), mentre per l’Eurozona le stime sono per un calo di 3.4% (con l’Italia a -5.2%).

In Cina si riunirà lo Standing Committee del Parlamento, in ritardo rispetto ai programmi a causa di covid19.

Il primo maggio, festa in molti paesi, cominceranno ad allentarsi le misure restrittive imposte dalla gestione della pandemia. Negli Stati Uniti saranno i singoli governatori a decidere per il proprio stato.

Il primo maggio, festa in molti paesi, cominceranno ad allentarsi le misure restrittive imposte dalla gestione della pandemia. Negli Stati Uniti saranno i singoli governatori a decidere per il proprio stato.

Sempre il primo maggio entreranno in vigore i tagli alla produzione di petrolio decisi dall’OPEC+ ad aprile (9.7 milioni di barili al giorno).

Prosegue la reporting season in US e in Europa. Riporteranno i risultati circa 200 aziende dell’S&P500 tra le quali segnaliamo Amazon, Twitter, Facebook, Microsoft, Apple, Alphabet, nel tech, ma anche GE, Boeing, 3M negli industrial e Ford, Tesla, Harley Davidson industrial, McDonalds fra i consumer.

CONSIDERAZIONI FINALI

Le preoccupazioni di questo periodo sono, ovviamente, di due tipi: sanitario (si monitora la curva dei contagi) ed economico, sia micro (si monitora l’impatto del lockdown sulle aziende) che macro (sui conti dei paesi più colpiti e più indebitati).

Per quanto riguarda il primo aspetto sarà essenziale che al graduale rilascio delle restrizioni non segua un’impennata dei contagi che porti ad un nuovo lockdown o ad un nuovo intasamento del sistema sanitario.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, dal punto di vista micro-economico, sempre più aziende segnalano la necessita di tornare ad operare altrimenti i danni dello stop diventeranno irreversibili. Il presidente di Brembo, in un’intervista, ha dichiarato che se l’attività produttiva non riprende velocemente, se quindi l’Italia non si aggancia subito alla locomotiva tedesca, il futuro delle aziende italiane sarà a rischio. Le aziende che fanno parte di catene produttive internazionali rischiano di farsi scavalcare e sostituire da concorrenti esteri se non saranno in grado di garantire le forniture. Per non parlare di settori definitivamente danneggiati e che andranno incontro a maggiori costi e minori ricavi come quello turistico e della ristorazione.

Tante imprese si trovano in crisi di liquidità. A tal proposito, su Il sole 24 ore è stato pubblicato un articolo che suggerisce, come soluzione all’aumento dell’indebitamento delle imprese italiane costrette a finanziarsi per ottenere iniezioni di liquidità, di convertire buona parte di questi debiti in capitale di rischio. Si dovrebbe costituire un fondo sottoscritto da Cassa Depositi e Prestiti e magari da istituzioni finanziarie (come ad esempio le fondazioni o i fondi pensione) in grado di acquistare i prestiti convertibili derivanti dalla trasformazione dei debiti bancari. La dimensione dovrebbe essere di 20-25 miliardi e destinato alle imprese di dimensione minima non inferiore a 25 milioni di fatturato e massima 5 miliardi, con 50 addetti. Per le aziende più piccole si dovrebbe pensare a prestiti trasformati in contribuiti a fondo perduto. In questo modo si potrebbe rimettere in moto la nostra economia.

Per quanto riguarda, infine, il punto di vista macro-economico sappiamo bene che gli impatti sui bilanci nazionali degli interventi a supporto dell’economia saranno consistenti. La stessa agenzia Moody’s ritiene che l’affidabilità creditizia dell’Italia, ad esempio, dipende da un piano di bilancio credibile dopo lo shock legato all’epidemia. E’, quindi, indispensabile pensare subito a come intervenire soprattutto qualora dall’Europa non arrivino tempestivamente e nella giusta misura e forma i fondi necessari.

Sempre su Il sole 24 ore, un articolo un po’ provocatorio, suggerisce di sfruttare la ricchezza delle famiglie: gli Stati si dovrebbero finanziare fuori mercato attraverso obbligazioni retai inalienabili ma con possibilità di rimborso anticipato “on-demand” a condizioni certe. Ogni banca centrale nazionale (ad es. la Banca d’Italia) dovrebbe rilevare dal governo la quota di titoli retail rimborsata anticipatamente e si indebiterebbe con la BCE per acquistare quelli emessi, facendosi così carico del rischio di perdite. Se non si trovasse un accordo a livello europeo ogni singolo stato (l’Italia ad esempio) potrebbe emettere obbligazioni con durata da 6 mesi a 3 anni riservate ai retail. Sarebbero obbligazioni non vendibili, con conseguenti rendimenti vantaggiosi, ma rimborsabili anticipatamente (con delle penali ovviamente in modo da incentivare la detenzione fino a scadenza). Si calcola che, a fine 2018, la ricchezza finanziaria netta degli italiani sia stata di circa 3.300 miliardi di euro, di cui il 42% rappresentato da monete e depositi. Se si ipotizzasse di intercettarne il 10% si riuscirebbe a coprire il 50/75% del fabbisogno causato da Covid19 evitando di ricorrere a patrimoniali o a poco interessanti prestiti perpetui a tasso basso. Food for thought.

In leggero calo i rendimenti delle nostre linee di gestione. L’esposizione all’oro e alle valute diverse dall’euro hanno consentito di limitare le perdite.

Analisi dei mercati del 20.04.2020

Il report dell’IMF sancisce una recessione globale causata dal lockdown e quindi dallo shock estremo che hanno subito sia domanda che offerta.

Il Pil globale è atteso in calo del 3% con un successivo recupero, nel 2021, del 5.8%. A livello geografico le previsioni IMF evidenziano che l’Asia si riprenderà meglio e prima rispetto all’America e soprattutto all’Europa. Il Pil USA è atteso in contrazione del 5.9% per il 2020 e in ripresa del 4.7% per il 2021; i numeri per l’area Euro sono -7.5% (2020) e +4.7% (2021) con l’Italia che riesce a distinguersi con una contrazione di -9.1% per il 2020 (a fine gennaio la stima era +0.5%) e un recupero del +4.8% nel 2021).

L’ipotesi di base per le stime sul 2021 è la scomparsa della pandemia nella seconda metà di questo anno con il conseguente rilascio delle misure di contenimento che consentiranno un rimbalzo dell’attività economica. Ovvio che qualora non dovesse verificarsi questo scenario, ovvero il lockdown durasse più del previsto e/o il virus continuasse a girare, i numeri sarebbero molto peggiori.

A fronte dei danni causati dalla pandemia il numero uno dell’IMF Kristalina Gerogieva annuncia che entro fine aprile il fondo concederà gli aiuti stanziati a 50 paesi (su un totale di 102) che ne hanno fatto richiesta. Anche il capo-economista segnala che servono misure fiscali espansive e auspica che si faccia di più soprattutto a livello di zona euro.

La BCE ha annunciato, giovedì sera, che i ratio patrimoniali per le banche della zona euro verranno ammorbiditi temporaneamente e rivisti fra sei mesi. La Lagarde dichiara, in una sorta di “whatever it takes” che la banca centrale farà tutto quanto è necessario e previsto dal suo mandato aggiustando sia la dimensione che composizione dei programmi di acquisti di bond a seconda degli obiettivi.

Sembra che piano piano il modello della Fed venga seguito anche in Europa. Consideriamo che da inizio marzo la BCE ha acquistato titoli per 131 miliardi di euro dei quali più di 100 in titoli di stato (di questi 30 sui BTP, più di quanto i capital key indicano). Prossimo step potrebbe essere l’acquisto di titoli non investment grade.

Anche la Bank of Canada ha annunciato, come la FED, l’estensione del programma di acquisti di corporate bond anche alle emissioni delle provincie, quindi bond di autorità locali.

L’atteso dato sul Pil cinese del primo trimestre è uscito peggio delle aspettative e in contrazione (-6.8%) per la prima volta da quanto è iniziata la serie. La produzione industriale di marzo (-1.1% anno/anno) ha sorpreso positivamente le aspettative (-6.2%) mentre le vendite al dettaglio (-15.8% anno/anno) hanno deluso.

La Banca Centrale cinese è intervenuta ancora con misure di politica monetaria tagliando i tassi di interesse a medio termine per le istituzioni finanziarie a 2.95% (da 3.15%), si tratta del tasso più basso mai applicato. Inoltre, è stata ridotta di 28 miliardi di RMB la quantità di moneta che le banche devono detenere come riserve.

Trump ha dato forza ai mercati comunicando un piano di riapertura del paese in tre fasi (“Opening Up America Again”): la prima fase può essere attuata solo se uno stato federale ha registrato un calo dei contagi per 14 giorni consecutivi, quindi alcuni stati possono già avviarla; idem per la Merkel che valuta un inizio di exit strategy con la riapertura, questa settimana, di alcuni piccoli negozi e, a inizio maggio, la riapertura delle scuole. Alcuni paesi europei, pur essendo entrati nella fase sanitaria critica dopo l’Italia stanno portandosi avanti nel programmare come uscire dal lockdown.

Il fatto che si parli di riapertura delle economie lascia ben sperare i mercati ma i differenti approcci fra paesi saranno determinanti nelle conseguenze economiche.

L’altra buona notizia che ha dato vigore ai mercati è stato l’annuncio, da parte di Gilead, dei buoni risultati riscontrati da un suo farmaco antivirale (il Remdesvir) nel trattamento di 125 casi di malati Covid19.

La reporting season del comparto finanziario americano mostra, nel complesso, forti cali degli utili e accantonamenti per NPL.

La stagione è stata inaugurata da JPM che ha riportato gli accantonamenti per futuri NPL (8 miliardi) maggiori dell’ultimo decennio: sono necessari per rafforzare il capitale a fronte di una crisi che si sta rivelando piuttosto severa. In calo l’utile per azione per la prima volta dal 2017.

Anche per Wells Fargo salgono gli accantonamenti (4 miliardi) e, considerato che si tratta di una banca rivolta ai consumatori e piccole medie imprese, è un valido indicatore dello stato dell’economia domestica. Gli utili sono stati quasi azzerati (solo 1cent).

Sulla stessa linea anche i risultati di GS, Citigroup e Bank of America che vedono un dimezzamento degli utili, rispetto al primo trimestre del 2019, e maggiori accantonamenti a riserva (quadruplicati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). L’aumento della volatilità nei mesi di febbraio e marzo ha aiutato la crescita del fatturato da attività di trading.

In Europa sempre più società ritirano l’outlook per il 2020 (per citarne qualcuna: Saipem, Volkswagen, ConocoPhilips) e dichiarano che le nuove guidance verranno rilasciate quando la situazione tornerà più stabile e ci sarà più visibilità sul futuro.

La crisi che stiamo attraversando ha scatenato le agenzie di rating nel rivedere i giudizi di parecchie società. Uno studio di Bank of America ha calcolato che, negli ultimi due mesi, il valore dei bond di aziende downgradate a junk è pari a circa 120 miliardi di dollari. La prima a subire la scure delle agenzie di rating è stata Ford che, già sotto esame, che con la chiusura degli stabilimenti per il lockdown è stata definitivamente downgradata. A Ford si sono aggiunti nomi importanti come Kraft Heinz, Renault e Occidental Petroleum.

Ricordiamo che la Fed, che per la prima volta nella storia, ha inserito nei titoli acquistabili dal programma di QE anche le obbligazioni High Yield e gli ETF che investono in HY al fine di supportare i bond dei cosiddetti fallen angels ovvero quelle società che sono state downgradate a non-investment grade. I bond rientranti nella categoria degli High Yield poi devono essere immediatamente venduti dai fondi che possono detenere solo titoli investment grade. Per questo motivo la Fed ha deciso di ampliare la sua “lista della spesa” inserendo anche corporate di rating più basso (condizioni: rating minimo BB e IG alla data del 22 marzo).

Le misure espansive della Fed e le attese di tassi bassi a lungo sono alla base dell’upgrade del target price dell’oro (a 1800 dollari l’oncia) da parte di UBS. Stesse motivazioni anche per Newmont Corp (uno dei tre principali produttori di oro al mondo) che proietta il target del metallo giallo a 2000 dollari l’oncia.

Fra i dati macro americani usciti in settimana segnaliamo quello sulle vendite al dettaglio del mese di marzo (-8.7% mese/mese) e quello sulla produzione industriale (-5.4%) entrambi negativi e inferiori alle aspettative con il primo penalizzato ovviamente dalle vendite della auto e il secondo che si rileva essere il peggiore calo dal dopoguerra. Salgono ancora le richieste di sussidi di disoccupazione (più di cinque milioni) che portano il totale del mese a circa 22 milioni e cancellano, così, i posti di lavoro creati negli ultimi 10 anni.

Questi dati sono compatibili con un tasso di disoccupazione che potrebbe superare il 10% (record raggiunto durante la grande depressione del 1929). Ricordiamoci, però, che il mercato del lavoro americano è molto flessibile quindi, una volta rimosso il lockdown, un rientro da questi eccessi è molto probabile.

Il presidente americano Donald Trump ha deciso di sospendere i finanziamenti all’OMS ritenendola colpevole di avere sottovalutato la gravità della situazione fidandosi delle autorità cinesi. Intanto si diffondono le teorie che attribuiscono la causa della pandemia in un errore commesso nei laboratori sui virus di Wuhan.

Non smette di fare parlare e discutere il petrolio. Ecco qualche notizia uscita in settimana:

-l’amministrazione Trump sta valutando un piano per pagare i produttori americani di shale oil al fine di non estrarre il petrolio che verrebbe, poi, considerato fra le riserve strategiche (tentativo di limitare l’offerta senza penalizzare i produttori);

-si ritiene che l’Arabia Saudita stia praticando forti sconti nelle vendite (forse all’Asia);

-il ribasso del prezzo del WTI, che si è distaccato parecchio dall’omologo europeo Brent, è legato anche a motivi tecnici ovvero il rollover del contratto futures in scadenza. Come spiegato anche la settimana scorsa, gli strumenti finanziari legati al prezzo del petrolio sono i futures che sono contratti forward con diverse scadenze. All’avvicinarsi della prima scadenza le posizioni vanno “rollate”, ovvero si deve vendere il contratto in scadenza e comprare quello o quelli successivi. Questo meccanismo crea una forte pressione al ribasso per il contratto in vendita e al rialzo per quelli successivi accentuando quello che si chiama “contango”, ovvero contratti futures superiori allo spot. Per avere un’idea, questa mattina, il contratto in scadenza valeva circa 14 dollari mentre il primo successivo circa 23. Le masse sugli ETC sono aumentate notevolmente e, di conseguenza, gli effetti delle scadenze tecniche vengono esasperati.

Affinché ci sia una ripresa del prezzo spot è importante che ripartano i consumi (e la fine del lockdown in questo senso aiuterebbe) dato che il graduale esaurirsi dei serbatoi porta ad un repentino incremento dei costi di stoccaggio.

In un mercato dei bond europei in piena crisi pandemica Cassa Depositi e Prestiti è riuscita a collocare un ammontare pari a un miliardo di un bond Social Responsible legato al Covid19 ottenendo richieste per 1.9 miliardi. In questo modo ottiene i fondi per sostenere imprese e pubblica amministrazione aiutandole ad affrontare la crisi e il rilancio in particolare finanziamenti al settore medicale e ospedaliero.

Si tratta di due tranche da 500 milioni, la prima con cedola pari a 1.5% e durata tre anni, la seconda con cedola di 2% e durata sette anni, spread rispettivamente di 40 e 45 bps. Il bond rientra fra quelli acquistabili dalla BCE. CDP ha seguito l’esempio dell’Austria che a marzo ha emesso un bond simile per un ammontare pari a quattro miliardi.

In arrivo (dal 18 maggio) anche la nuova edizione del BTP Italia i cui fondi saranno destinati all’emergenza corona virus. Si parla di durata fra 4 e 8 anni ma non sono disponibili ulteriori dettagli. L’annuncio è arrivato in anticipo per permettere agli investitori di organizzarsi tenendo conto che il 23 aprile è in scadenza una delle emissioni di BTP più grandi della storia (nel 2014 raccolse 20.6 miliardi). Dopo la metà di maggio sono in arrivo altri BTP destinati ai piccoli investitori per i quali si cerca di valutare come renderli più appetibili puntando, magari, su una fiscalità agevolata.

La settimana si è conclusa con una buona performance dei mercati azionari e obbligazionari a spread, soprattutto americani. Il Nasdaq beneficia della qualità delle aziende che lo compongono e del fatto che queste siano ben posizionate nell’attuale contesto. Il comparto obbligazionario a spread beneficia degli acquisti massicci della Fed.

Dopo che per settimane l’attenzione degli investitori è stata rivolta ai dati sui contagi e sui decessi da Covid19, adesso si passa a valutare le varie fasi due, ovvero come verrà rimosso gradualmente il lockdown nei diversi paesi. In questo modo si possono cominciare a fare delle ipotesi sui danni subiti e sui tempi della ripresa.

Questa mattina la Cina ha tagliato per la seconda volta il tasso benchmark a un anno (Loan Prime rate) di 20bps a 3.75% e quello a cinque anni di 10bps a 4.75%.

Importante appuntamento giovedì 23 quando è previsto, in video conference, il summit dell’Eurogruppo nel quale si dovrebbe decidere, definitivamente, il pacchetto di misure a sostegno dell’economia. Si discuterà tra le altre cose dei recovery bond in termini di dimensioni, tempistiche e legame con il bilancio dell’Unione Europea. Il budget finora è considerato insufficiente a gestire la crisi perché limitato all’1% del Pil UE. Secondo le indicazioni del ministro delle finanze francese la size del fondo dovrebbe essere di un trilione di euro e la durata di 20 anni. Il finanziamento del fondo avverrebbe tramite l’emissione di bond con garanzia degli stati membri in base al peso sul GDP e le risorse verrebbero distribuite in base all’entità dei danni subiti dalla pandemia. Sembrerebbe che anche paesi della periferia, quali Spagna, Portogallo, Irlanda e pure Grecia, siano favorevoli all’attivazione del Mes e questo isolerebbe ulteriormente l’Italia.

Ad oggi l’Eurogruppo ha già varato misure per 540 miliardi di euro che, però, sono considerate dal mercato ancora insufficienti. Sul Financial Times il presidente francese Macron ha fatto notare che l’Europa corre il rischio di vedere trionfare i partiti populisti (in Italia, Spagna e Francia) se Germania e Olanda (i paesi più rigoristi) non concederanno qualcosa. Macron fa riferimento al fondo per la ricostruzione ma il mercato si auspica anche una qualche forma di debito congiunto.

Il Parlamento italiano sarà chiamato a votare la nuova richiesta di aumento del deficit dopo la riunione del Consiglio dei Ministri prevista per mercoledì. Fonti governative italiane stimano che la recessione e l’insieme delle misure espansive adottate dal governo porteranno il disavanzo 2020 al 9%/10% del Pil.

Riprendono, intanto, i negoziati fra Michel Barnier (responsabile negoziatore della Commissione Europea) e la controparte inglese David Frost al fine di raggiungere un accordo commerciale anche alla luce degli effetti della pandemia.

La reporting season americana si comincia a spostare sul settore tecnologico con, fra gli altri, i dati di Intel, Texas Instruments, IBM e Netflix.

In generale la revisione degli utili da parte degli analisti è stata la più forte dalla crisi finanziaria del 2008: più benevola, però, per il mercato americano grazie ad un maggiore peso di settori “quality” (tecnologia e pharma) e ad una più incisiva azione della Fed e del governo.

Apple presenterà il nuovo iPhone SE, il primo low-cost smartphone dopo quattro anni. Il lancio ha anche lo scopo di dimostrare che la supply chain di Apple in Cina è tornata in un intorno della normalità.

L’annuncio della fine del lockdown in America è stato visto molto positivamente dai mercati: come ci siamo detti più volte, il venire meno di un elemento di incertezza (in questo caso la durata dello stop forzato all’economia) consente agli investitori di fare delle prime stime sull’effettivo impatto della crisi e cominciare a capire se il mercato sta prezzando correttamente gli asset finanziari.

Le varie case di ricerca e di investimento cominciano a sbizzarrirsi sulle previsioni per gli indici a fine anno. Per alcuni, quello a cui abbiamo assistito in queste settimane, si configura come un “bear market rally”, per altri invece la risalita dei corsi può proseguire ulteriormente. Come sempre la visione non è univoca e questo provoca le oscillazioni a cui stiamo assistendo.

Sappiamo bene che il mercato a volte si muove al di là dei fondamentali tuttavia pensare che il mercato possa velocemente tornare ai livelli pre-covid19 è abbastanza azzardato perché ci sono delle notevoli differenze sia in termini di GDP (prima la stima di crescita dell’economia era del 3% mentre ora è di segno opposto) che di utili (da una crescita positiva ad una contrazione) tra prima della crisi e oggi. Ovviamente ci sono settori o aziende che beneficiano dell’attuale contesto e che sono tornate sui massimi (alcuni titoli tech americani ad esempio), e questo giustifica anche la migliore performance del mercato americano più esposto a certi settori, ma affinché tutto il mercato possa tornare stabilmente ai livelli pre-crisi nell’immediato occorre un notevole miglioramento del quadro macro, o meglio, un notevole miglioramento delle stime di recupero dell’economia e dei risultati aziendali (perché i mercati si muovono in anticipo).

Certamente l’azione delle banche centrali nel mantenere bassi i tassi di interesse rende l’investimento sul mercato azionario relativamente più attraente rispetto a quello sul mercato obbligazionario: i rendimenti offerti dalle obbligazioni non sono, infatti, particolarmente interessanti (se si escludono i comparti più rischiosi degli high yield) ma i bond beneficiano degli acquisti delle banche centrali (che saranno tanto maggiori quanto la gravità della situazione lo richiederà) e questo, se da un lato comprime i rendimenti, dall’altro mantiene stabili i prezzi; i rendimenti delle azioni, invece, sono più difficili da valutare, visti gli attesi tagli di dividendi conseguenti all’impatto negativo sugli utili della crisi, tuttavia l’equity rappresenta l’asset class che meglio beneficerebbe di una ripresa economica e quindi più interessante in prospettiva. Importante entrarci nel momento corretto e, soprattutto, quando non sconta troppe buone notizie.

Positive, anche questa settimana, le performance delle nostre linee di gestione sia azionarie (soprattutto la Chronos, esposta parecchio al settore tecnologico e al dollaro) che obbligazionarie.