Analisi dei mercati del 23.03.2020

Durante il meeting straordinario del G7 di lunedì 16 è emersa la volontà di fare tutto il necessario per affrontare, in modo coordinato, la lotta al virus adottando misure di politica monetaria, ma soprattutto fiscale, per arginare l’emergenza e favorire la ripresa economica futura.

E così è stato fatto: durante la settimana si sono susseguiti interventi e dichiarazioni volte a cercare di arginare gli effetti economici negativi del corona-virus.

A sorpresa, la sera del 18, la BCE si è riunita in un meeting di emergenza e ha deliberato un programma di acquisto titoli (PEPP – Pandemic Emergency Purchase Programme) di 750 miliardi di euro portando gli acquisti programmati per questo anno a 1.100 miliardi. Sommando tutti i vari interventi la quantità di euro a disposizione delle BCE dovrebbe essere sufficiente a coprire i piani programmati di emissione dei singoli governi. Si stima che la cifra messa a disposizione sia circa il 5%/6% del GDP europeo, livelli simili a quanto stanno mettendo a disposizione gli Stati Uniti.

Gli acquisti di titoli del debito pubblico e privato dureranno almeno fino alla fine del 2020, termineranno solo quando la crisi legata alla pandemia sarà finita. Il programma comprenderà tutte le attività ammissibili (debito pubblico e corporate bond) e sarà esteso anche ai commercial paper, ovvero a quegli strumenti simili a cambiali a fronte dei quali le aziende ricevono denaro dalle banche per le esigenze di tesoreria di breve periodo. Il debito pubblico greco, finora escluso per merito di credito, sarà incluso.

Se comprare più corporate bond o titoli di stato è lasciato alla discrezione della BCE ma, per ora, le capital key rules (ovvero quanto acquistare di ogni stato in funzione di determinati parametri prestabiliti relativi alla partecipazione al capitale della BCE dei veri paesi) devono essere rispettate. Non è stata modificata, per ora, neanche la regola che pone al 33% il limite di detenzione del debito di ogni singolo stato.

La dichiarazione “tempi straordinari richiedono azioni straordinarie” si avvicina al “whatever it takes” di Mario Draghi.

Christine Lagarde ha, quindi, cercato di rimediare ai danni fatti aggiungendo che non ci sono limiti all’impegno della BCE per l’euro e che l’istituto è determinato ad usare il potenziale degli strumenti a disposizione nell’ambito del mandato. Significativo che anche Isabel Schnabel, membro tedesco del board (si ricorda che i tedeschi non si erano ancora pronunciati per correggere le parole della Lagarde di settimana scorsa), ha confermato che la BCE è pronta a fare tutto ciò che rientra nel mandato per contrastare la turbolenza dei mercati assicurando la trasmissione della politica monetaria. La decisione della BCE, tuttavia, non è stata presa all’unanimità.

Lagarde ha aggiunto che i lockdown imposti dai vari governi potrebbero causare un calo del Pil pari al 5% quest’anno per la zona euro.

A proposito di revisioni delle stime sulla crescita del GDP, tutti si apprestano a tagliare i numeri per i veri Paesi. Anche per la Cina, si parla di una crescita ad un livello mai visto dalla Rivoluzione Culturale del 1976. Il governo cinese si sta apprestando ad abbassare il target di crescita dal 6% indicato a dicembre al 5%. La Cina sappiamo che sta gradualmente riprendendo l’attività produttiva (si parla di 70% rispetto ai livelli pre-crisi) e sta intervenendo con stimoli fiscali che porteranno il budget deficit al 3.5% sul GDP ma finché non si riprenderà l’attività economica nel mondo difficilmente riuscirà ad arrivare a pieno regime.

Morgan Stanley chiama la recessione per il 2020 con un rimbalzo nel 2021.

IMF rivede il GDP dell’Italia a -0.6% per il 2020.

Un indicatore macro uscito in settimana, e abbastanza significativo perché preliminare di marzo, è l’IFO tedesco, indice di fiducia che raggiunge quasi i livelli del 2008.

Si è parlato più volte di chiusura dei mercati finanziari, per ora lo hanno fatto solo le Filippine per due giorni (!). Secondo il presidente di Borsa Spa, Raffaele Jarusalmi, se ci fosse una decisione a livello mondiale si potrebbe fare, ma a livello nazionale viene difficile. Anche perché occorre considerare le maggiori distorsioni che si rischierebbero di creare permettendo di operare solo su alcuni mercati. Secondo il presidente della borsa di New York si rischierebbe di aumentare l’ansia nel mercato. Quindi, per ora, su questo tema non sembra ci sia la volontà di intervenire.

In Italia Consob ha sospeso lo short selling (vendite allo scoperto) su tutte le quotate di piazza Affari e ha intenzione di mantenerlo per 90 giorni, altri paesi in Europa hanno seguito l’esempio o ci stanno pensando. Inoltre, è stato sospesa ogni forma speculativa ribassista anche effettuata attraverso derivati o altri strumenti finanziari (Etf compresi) a meno che non si tratti di posizioni a copertura (quindi non speculative).

Nel mondo il sistema bancario sta cercando continuamente di fornire liquidità all’economia. In Italia la Banca d’Italia sta intervenendo tramite il sistema europeo delle banche centrali (SECB) per assicurare condizioni ordinate negli scambi in modo da garantire la liquidità al sistema produttivo, consentire estensioni delle linee di credito e fornire capitale circolante alle aziende.

Il rafforzamento del dollaro a cui abbiamo assistito anche questa settimana è legato all’incredibile domanda di divisa americana richiesta dal sistema bancario per fare fronte alle linee di credito delle aziende.

A tal proposito, in US le otto principali banche, rappresentative del sistema finanziario, a cominciare da JPM, BofA e Citigroup hanno deciso di sospendere i buyback (acquisti di azioni proprie varati lo scorso giugno per un totale di 119 miliardi, da eseguire nell’arco dei quattro trimestri successivi) con l’obiettivo di preservare risorse e averle a disposizione per clienti e consumatori. Questa decisione dovrebbe liberare nell’immediato, tra la fine del primo trimestre e il secondo, circa 38 miliardi. Nessuna sospensione invece per i dividendi. Con i capitali a disposizione si potrebbero assorbire le perdite sui prestiti in sofferenza o rispondere a maggiori utilizzi di linee di credito da parte delle imprese in difficoltà per la sospensione del business.

La Fed ha, inoltre, cominciato ad utilizzare tutte le armi a disposizione per proteggere la liquidità e consentire il corretto funzionamento del settore bancario. Grazie alle garanzie del Tesoro pari a 10 miliardi ha riaperto una facility di emergenza per l’acquisto di commercial papers, ovvero strumenti di debito a breve (mercato che vale circa 1.100 miliardi), questo dovrebbe alleggerire le richieste alle banche. La necessità di immettere liquidità nel sistema continua imperterrita.

Venerdì la Fed ha inoltre annunciato un intervento coordinato fra le banche centrali di rafforzamento delle swap line.

Altre banche centrali sono intervenute in settimana:

  • la RBA (Banca centrale australiana) ha convocato un meeting di emergenza tagliando i tassi di 0.25bps (secondo taglio in un mese) e portandoli al minimo storico di 0.25%. Ha, poi, fissato il target di 0,25% per il tasso a tre anni impegnandosi a raggiungerlo tramite acquisti sul mercato secondario;
  • la Bank of England ha tagliato nuovamente i tassi a 0.1% (-15bps) e annunciato un programma di QE da 645 miliardi di sterline;
  • la Banca centrale norvegese ha tagliato i tassi di 75bps da 1% a 0.25%;
  • Bank of Thailand ha tagliato I tassi da 1% a 0.75%;
  • l’unica che si è mossa in controtendenza è la banca danese che ha alzato i tassi da -0.75% a -0.60% nel tentativo di frenare la discesa della valuta.

Passando agli interventi governativi e fiscali ci sono stati parecchi annunci in settimana:

  • la Svizzera ha annunciato un piano di supporto economico di 32 miliardi di franchi;
  • la Germania ha annunciato uno stimolo extra budget di almeno 100 miliardi di euro;
  • Trump, intanto, ha in programma un intervento pari a 1.2 trilioni di dollari con un progetto di “helicopter money” simile a quello adottato da Hong Kong (e commentato nelle settimane scorse): nel programma è inclusa la proposta di dare assegni da 1000 dollari ai cittadini americani (per un totale di 500 miliardi);
  • il decreto “Cura Italia” va nella direzione dell’”helicopter money” ma deve essere ancora perfezionato nelle modalità e negli ammontari.

Passando alle materie prime segnaliamo che il prezzo del petrolio continua a fare nuovi minimi relativi, siamo ai livelli visti 18 anni fa! A fronte di consumi che si riducono (per il blocco delle attività economiche) non si riduce l’offerta. Il petrolio che si estrae ma non si vende deve essere conservato e le capacità di stoccaggio stanno avvicinandosi all’esaurimento con costi che salgono.

Anche i noli delle navi di stoccaggio stanno aumentando, per questo motivo qualcuno si è azzardato a parlare di “prezzi negativi” anche per l’oro nero, quando le società dovranno pagare per liberarsene. Ma siamo veramente a scenari estremi.

Perché si inverta la tendenza, in generale, sulle materie prime è necessaria una ripresa dei consumi (e quindi la fine della pandemia) oppure, per il petrolio, un taglio alla produzione volontario. L’Iraq sta cercando di ricomporre l’Opec+ ma per ora senza successo. Altra ipotesi riguarda i produttori di shale oil in US che, a causa delle difficoltà finanziarie, potrebbero vedersi costretti a tagliare.

Il forte apprezzamento del dollaro, verso quasi tutte le altre valute lo notiamo nella performance del Dollar Index (paniere di valute con pesi ponderati per gli scambi commerciali) che in settimana guadagna più del 4%. Il maggiore guadagno si ha verso la sterlina, crollata ai minimi dal 1985, a causa sia del grosso deficit delle partite correnti del Regno Unito sia della difficoltà a raggiungere un accordo commerciale con la UE. Le valute emergenti soffrono, invece, di un deflusso di capitali (superiori a quelli del 2008) che si verifica, solitamente, quando ci sono tensioni finanziarie alle quali si aggiungono, ora, prezzi delle materie prime al ribasso e tagli dei tassi da parte dei paesi emergenti.

Forte movimento, durante la settimana, anche per il comparto obbligazionario governativo con un forte incremento dei rendimenti a metà settimana poi rientrato grazie agli interventi delle banche centrali.

Per quanto riguarda l’Italia e i BTP le forti tensioni hanno portato il decennale a raggiungere il 3% per poi rientrare abbastanza velocemente (attualmente siamo a 1.6%) grazie agli interventi della Banca d’Italia e alle dichiarazioni della BCE. Lo spread verso Bund ha toccato i 280 punti per poi ritracciare agli attuali 199.

L’arrivo prepotente del virus negli Stati Uniti e le conseguenti misure restrittive alla circolazione e all’attività economica hanno portato ad una violenta correzione degli indici azionari americani.

La settimana chiude con un bilancio pesante: indici azionari in ribasso complessivamente del 12% (solo Giappone e Svizzera sono rimasti positivi), obbligazionari a spread negativi complessivamente del 9% circa (peggio il segmento high yield) e governativi parecchio altalenanti.

QUESTA SETTIMANA

La settimana ha visto un’esplosione degli indicatori di volatilità che ha riguardato tutte le asset class: Vix e Vstoxx (relativi a S&P500 ed Eurostoxx) stazionano intorno a 70, quindi ai livelli della crisi del 2008; idem per la volatilità delle obbligazioni (MOVE) vicina ai livelli del 2008; anche le valute hanno visto un aumento della volatilità che si avvicina a quelli della Global Financial Crisis.

Di questa mattina la notizia che la Fed è disposta a fare qualunque cosa per supportare l’economia annunciando di fatto un QE senza limiti diventando un prestatore di ultima istanza su tutto. Saranno acquistati Treasury e titoli legati ai mutui (MBS – mortgage backed securitys) rispettivamente per 375 miliardi e 250 solo questa settimana. Forte determinazione nel fornire liquidità nel sistema senza limiti.

Settimana cruciale per le statistiche sui contagi Covid19: una curva che si appiattisce, evidenziando minori contagi/deceduti, lascerebbe ben sperare sulla bontà degli interventi di restrizione/limitazione all’attività economica e alla circolazione delle persone. Come più volte sottolineato occorre che si intraveda nei paesi “leading” (come lo è l’Italia che il 9 marzo ha quasi chiuso completamente il paese) un andamento positivo della crisi sanitaria che permetta di ipotizzarne una data di fine.

Martedì si riuniranno in video-conference i ministri degli esteri dei G7, il meeting era originariamente previsto per il 25 marzo ma poi è stato cancellato per il corona virus. Giovedì i leader dell’Unione Europea si riuniranno in video-conference per un summit di due giorni. C’è molta attenzione sugli interventi governativi a supporto dell’economia per evitare una recessione prolungata.

In settimana verranno pubblicati i dati di fiducia dei direttori di acquisto delle imprese (PMI) nei vari paesi relativi al mese di marzo: si tratta dei dati preliminari che incorporeranno l’impatto dell’epidemia. Per l’Eurozona le attese sono per dati composite pari a 38.8 (da 51.6 di febbraio), per gli USA siamo intorno a 43 (da 49.6 precedente), per UK le stime sono per un dato pari a 45 (da 53). Come riferimento vale la pena ricordare che in Cina i PMI di febbraio, che incorporavano la prima ondata dell’epidemia, erano crollati da 51.8 a 26.5.

Giovedì si riunirà la Bank of England che deciderà come agire dopo due tagli dei tassi di emergenza. Attualmente i tassi sono allo 0.1%.

Sforziamoci di continuare ad analizzare la situazione in base ai tre aspetti indicati negli scorsi commenti:

  • crisi sanitaria: gli interventi per frenare la diffusione del virus stanno andando, chi più chi meno, nella direzione di un lockdown che limita la circolazione delle persone e ferma qualunque attività ritenuta non essenziale. Importante come alcune aziende siano stata chiamate a riconvertire la produzione verso beni necessari per affrontare la crisi sanitaria; importante un rientro nel numero dei contagi;
  • crisi economica: questa settimana vedremo qualche dato macroeconomico, ma sembra evidente che per lo meno una recessione tecnica (due trimestri di crescita negativa del Pil) la avremo con un secondo trimestre pesantemente negativo. L’individuazione della fine della crisi sanitaria aiuterebbe a calcolare dei numeri attendibili sul reale impatto economico;
  • è, ormai, evidente che le banche centrali stanno facendo e faranno quanto necessario per fornire liquidità al sistema;
  • anche i vari governi si stanno muovendo in tal senso in modo tale da attenuare le conseguenze di un virus che oltre ai danni “umani” sta provocando parecchi danni economici;
  • crisi mercati: il movimento ribassista che abbiamo visto è forte ma decidere il timing di ingresso è difficile a causa dell’elevata volatilità. Si può ipotizzare che il picco dei contagi corrisponda al bottom dei mercati ma solo a fronte di politiche fiscali appropriate, soprattutto in Europa;
  • generalmente, in 12 mesi, discese di questo tipo sono opportunità di acquisto e infatti diverse case, a fronte di stime macroeconomiche negative, cercano di dare ottimismo agli investitori;
  • Kairos, in settimana, ha fatto circolare un messaggio positivo dicendo che stanno acquistando asset rischiosi perché, sia in caso di meltdown (scenario catastrofico) sia in caso di ripresa delle economie grazie ad interventi di supporto monetari e fiscali, gli attuali livelli degli indici azionari risultano estremamente interessanti prezzando picchi di stress che dovrebbero, comunque, garantire una certa protezione dato che in parecchi casi le azioni hanno prezzi inferiori al valore intrinseco;
  • un interessante report di strategia di Morgan Stanley sottolinea che, tipicamente, una recessione segnala la fine, e non l’inizio, di un bear market. Ciò che stiamo vivendo è abbastanza unico ma cercando di trarre lezioni dal passato a questi livelli ha senso accumulare un po’ soprattutto asset di qualità.

Ripetiamo che la volatilità ha raggiunto livelli visti nella crisi finanziaria del 2008 e, come giustamente anche il Wall Street Journal fa notare, la volatilità è un input di parecchi programmi e algoritmi che portano a vendite sul mercato che alimentano ulteriormente la volatilità. Alcuni fondi gestiti a VAR o con limiti di volatilità, o gli stessi risk parity, sono costretti in taluni casi a vendere, in altri non possono ancora comprare. Fondamentale quindi che i vari indicatori di volatilità rientrino per bloccare questo tipo di vendite forzate.

Occorre evitare che l’attuale crisi si trasformi in crisi finanziaria.

Negli Stati Uniti, dove il problema è evidentemente maggiore e riguarda il mercato interbancario, la Fed sta cercando di intervenire con ogni strumento a disposizione.

In Europa il tema è soprattutto legato agli spread: In settimana la BCE ha finalmente iniziato ad attingere più seriamente al suo arsenale. Ad oggi rimarrebbero ancora da utilizzare l’OMT e il MES ma, attenzione, perché per attivare quest’ultimo, a meno che non vengano rimosse le condizionalità, si rischia di perdere la sovranità del proprio debito per poi essere costretti a ristrutturarlo e questo non è esattamente ciò che serve al mercato italiano.

Ricordiamo che, infatti, un paese può beneficiare dell’OMT (Outright Monetary Transactions), ovvero l’acquisto di titoli di stato di paesi sotto pressione per importi praticamente illimitati da parte della BCE, se riceve un prestito dal fondo salvastati (MES); dovrebbe poi concordare un programma che potrebbe comportare misure restrittive e vincolanti difficilmente accettabili dall’opinione pubblica.

Quello che servirebbe per evitare problemi e crisi finanziarie in futuro riguarda il sostegno dell’economia europea attraverso emissioni di debito comune (eurobond o “coronanbond”, come si dice adesso) che finanziano i vari deficit locali senza impattare sugli spread. Se ne sta parlando sempre di più, speriamo che alle parole seguano dei fatti.

In Italia il calo dei listini sta mettendo in evidenzia il rischio che alcune aziende di qualità possano essere svendute. In generale crisi e tracolli rendono degli asset di qualità appetibili per il prezzo a cui arrivano a trattare; come successe anche dopo la Global Financial Crisis del 2008 quando aziende cinesi e giapponesi, ad esempio, acquisirono aziende americane ed europee.

Questo mese abbiamo assistito all’OPA su Molmed (azienda italiana specializzate nelle biotecnologie) da parte di una società giapponese…

La reazione immediata è la tendenza a volere nazionalizzare le aziende. Chiamiamoli aiuti di stato o no sta di fatto che lo stato si impegna per tenere in casa aziende considerate strategicamente importanti.

In Italia si sta pensando di considerare strategiche tutte le aziende quotate a Piazza Affari e di introdurre una Golden Power più forte (non solo nel settore energetico ma anche di banche e assicurazioni) che permetta a Cassa Depositi e Prestiti, a Invitalia e Poste di “costruire una diga di difesa dell’interesse nazionale”.

Infine, al di là delle teorie complottiste o meno, se proprio vogliamo paragonare la situazione che stiamo vivendo ad una guerra (che qualcuno definisce batteriologica…) bisogna ricordarsi che, di solito, dopo la guerra ci sono periodi di forte ripresa dell’attività economica e si crea una maggiore coesione fra le persone. Bisogna assolutamente puntare su questo e le autorità europee devono tenerlo in considerazione perché creare, in questo momento, coesione è indispensabile altrimenti si rischia di ottenere esattamente l’effetto opposto con conseguenze devastanti per l’Eurozona.