Analisi dei mercati del 28.01.2020

Il tema della settimana, alla base della “turbolenza” sui mercati, è il Coronavirus che, partito dalla città cinese di Wuhan (11 milioni di abitanti) si sta estendendo ad altri paesi compresi Europa e Stati Uniti.

Il parallelo con le pandemie precedenti (vedi Sars che nel 2002/2003 causò la morte di oltre 800 persone con un tasso di mortalità del 10%) è immediato, così come le stime di un eventuale impatto sulla crescita economica.

Questa volta le autorità cinesi hanno immediatamente informato il WHO (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), trasmettendo la mappa del DNA del virus (nel 2002 attesero circa 4 mesi) e il vaccino potrebbe essere pronto in tre mesi ma, ovviamente, non vi è alcuna certezza e, sebbene Pechino abbia praticamente “bloccato” dieci città e impedito gli spostamenti a più di 30 milioni di cinesi, la coincidenza con i festeggiamenti per il Capodanno cinese rende la gestione più complicata.

Le autorità locali hanno deciso di estendere la Lunar New Holidays fino al 2 febbraio (quindi, forse, il mercato riaprirà il 3 febbraio) e di tenere le scuole chiuse fino al 17 febbraio e le aziende fino al 9 febbraio.

La temporanea paralisi dell’economia cinese avrà un impatto sulla crescita del PIL, che alcuni economisti stimano in circa un punto percentuale nel primo trimestre. Lo stesso IMF ha individuato nel Corona Virus uno dei non pochi rischi di downside dell’economia per questo anno.

A proposito di IMF, dall’aggiornamento dell’outlook emerge che la crescita mondiale è stimata salire, nel 2020, al 3.3% dal 2.9% del 2019. I rischi di rallentamento legati alla guerra commerciale si sono significativamente ridotti ma non sono totalmente scomparsi. La stima di crescita dell’Italia per il 2020 è di 0.5%, da 0.2% del 2019, ma permane la raccomandazione di migliorare la produttività e fare scendere il debito.

Da Davos sono uscite indiscrezioni su possibili accordi tra USA e UE in merito agli scambi commerciali: Trump e Ursula Von der Leyen si sono dichiarati d’accordo sul fatto che i due paesi devono lavorare assieme per affrontare le sfide globali, le scorrette pratiche commerciali cinesi, le telecomunicazioni e il tema energetico.

Non sono mancati i soliti attacchi, oltre che da parte di Trump, questa volta anche da parte di Kudlow (consigliere economico di Trump), alla politica della Fed che, dopo avere alzato i tassi troppo in fretta è accusata di averli poi abbassati troppo lentamente ed è ora invitata a continuare a tagliarli.

In tema di banche centrali la prima che si è riunita in settimana è stata quella giapponese: la BOJ, come atteso, ha mantenuto invariata la politica monetaria e rivisto leggermente al rialzo le stime di crescita economica alla luce anche dei minori rischi in seguito all’accordo commerciale fra Cina e Stati Uniti. L’obiettivo rimane sempre quello di riportare l’inflazione al suo target.

Nessuna modifica neanche da parte della BCE, che conferma l’attuale atteggiamento finché che non si raggiungerà l’obiettivo di inflazione del 2%: pertanto, gli acquisti di titoli continueranno e termineranno solo poco prima di un eventuale rialzo dei tassi.

Christine Lagarde ha annunciato che, tra novembre e dicembre, verrà rivista la strategia di politica monetaria, per la prima volta dal 2003, dato che le economie dell’Eurozona sono state investite da profondi cambiamenti strutturali. Le sfide, ora, per un banchiere centrale vanno dal calo della crescita potenziale al rallentamento della produttività, all’invecchiamento demografico alla minaccia della sostenibilità ambientale etc. Le dinamiche inflazionistiche sono, quindi, diverse rispetto al passato e devono essere affrontate diversamente.

Intanto, il fondo pensione della BCE ha già cominciato ad investire in green bond e, all’interno del comitato, si sta valutando se introdurli anche nel CSPP (corporate sector purchase program).

Le altre principali banche centrali riunitesi in settimana non hanno apportato modifiche alla politica monetaria: la Bank of Canada ha mantenuto i tassi invariati a 1.75%, ritenendoli appropriati ma rimanendo aperta ad eventuali tagli qualora la situazione macro dovesse peggiorare. Stesso messaggio da parte della Banca norvegese che ha lasciato i tassi a 1.50%.

In UK il governo ha incassato la prima sconfitta in parlamento (per la prima volta dalle elezioni di dicembre), in un voto sulla protezione dei diritti dei cittadini UE in Gran Bretagna dopo la Brexit ma, alla fine della settimana, la Regina ha dato il suo assenso e la proposta relativa alla Brexit è diventata ufficialmente legge.

Buona notizia per i titoli governativi di Atene dopo che Fitch ha portato il rating sulla Grecia da BB- a BB (due gradini sotto l’investment grade) e rivisto l’outlook da stabile a positivo. Le motivazioni risiedono nella permanenza del debito a livelli sostenibili grazie alla crescita e alla prudenza di bilancio.

In Germania è stato pubblicato lo ZEW: meglio delle attese in entrambe le componenti, ma ricordiamoci che si tratta di una survey fra investitori professionali spesso influenzati dall’andamento dei mercati.

Source: Bloomberg

Le tanto attese elezioni in Emilia Romagna hanno decretato la vittoria del PD e, quindi, aiutato la coalizione di governo scongiurando elezioni anticipate. Immediata la reazione sui BTP che questa mattina riducono parecchio lo spread rispetto al Bund.

Source: Bloomberg

QUESTA SETTIMANA

Inizia, fra i timori scatenati dal Corona Virus, la prima settimana del nuovo anno cinese: secondo l’oroscopo sarà l’anno del Topo. I festeggiamenti sono stati ridotti, se non cancellati, causa epidemia ma il periodo di vacanza verrà protratto oltre la data prevista del 30 gennaio (probabilmente fino al 2 febbraio) con le borse locali conseguentemente chiuse.

Questa mattina l’IFO tedesco ha leggermente deluso le aspettative sia nella componente “expectations” che in quella “current assessment”. Sebbene il dato, in apparenza, metta in discussione la ripresa della principale economia europea, analizzando le componenti emerge che la parte manifatturiera mostra segnali di miglioramento (deludenti, invece, il settore delle costruzioni e dei servizi) lasciando ben sperare per una future ripresa complessiva dell’economia.

Mercoledì 29 gennaio è prevista la comunicazione della Fed (la Banca Centrale Americana) in merito alla politica monetaria. Non ci si attendono modifiche del tasso sui Fed Funds (attualmente 1.5%-1.75%) e dovrebbe essere confermato il proseguimento della fase di pausa.

Giovedì sarà la BOE (Bank of England) a comunicare la propria decisione: la probabilità di taglio dei tassi è scesa intorno al 60% quindi non c’è assolutamente certezza sull’esito della riunione. Si tratta dell’ultima riunione presieduta da Carney.

Venerdì 31 gennaio la Gran Bretagna lascerà definitivamente la UE, più di tre anni dopo il fatidico referendum. Inizieranno, poi, gli undici mesi entro i quali si dovranno definire bene gli accordi e le relazioni future. Non sarà banale sostituire l’attuale legislazione, fatta di centinaia di norme in diversi settori chiave e il rischio è di arrivare ad intese parziali o addirittura ad un mancato accordo che farebbe riaffiorare il rischio di una non-deal Brexit.

In settimana verranno pubblicate le stime sui dati di crescita del PIL per il quarto trimestre del 2019 per Eurozona e Stati Uniti.

La reporting season americana, nella settimana più ricca di risultati (38% della capitalizzazione di mercato dell’S&P500 pari a circa 145 società), vedrà fra i protagonisti i giganti del tech: Apple, Facebook e Amazon.

Il Cigno Verde si è sostituito al Cigno Nero, come principale fonte di rischio per i mercati, da quando la BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali – l’organizzazione internazionale nata con lo scopo di promuovere la cooperazione tra le banche centrali) ha dichiarato che il cambiamento climatico potrebbe essere alla base della prossima crisi finanziaria.

Si tratta di un ulteriore monito, rivolto alle banche centrali, affinché queste svolgano un ruolo di stimolo e coordinamento (fra le loro politiche dei governi e le iniziative private), al fine di evitare di non essere più in grado di assicurare la stabilità finanziaria e dei prezzi e di essere costrette ad intervenire, acquistando su larga scala asset svalutati, per salvare il sistema finanziario.

Un interessante articolo de Il sole 24 ore sul tema, individua due possibili approcci per le Banche Centrali: quello “macroeconomico”, che considera il rischio climatico per l’impatto che può avere sull’economia e, in quanto tale, non cambia la funzione di reazione della BCE, oppure quello “microeconomico” che, invece, fa rientrare il rischio climatico nella funzione di reazione della BCE, modificandone o integrandone gli obiettivi, oppure definendo addirittura gli strumenti (es. i titoli che possono essere acquistati).

Ovviamente il primo approccio è più facilmente accettabile, siano i banchieri “falchi” o “colombe”, mentre il secondo è avverso ai “falchi” in quanto legato ad un maggiore effetto distorsivo sull’economia e sui mercati da parte della Banca Centrale.

Nella riforma della strategia della BCE si presume che Christine Lagarde cercherà di assecondare la linea verde della Commissione Europea: per ottenere un aumento degli investimenti “green” in Europa, occorre che qualcuno acquisti le obbligazioni i cui proventi sono ad essi destinati e la BCE, ovviamente, è la prima candidata essendo il maggiore detentore di titoli pubblici e privati del continente.

Esiste però un problema di “size” dato che il mercato dei green bond è ancora piccolo: di circa 750 miliardi di euro nel mondo, un terzo è denominato in euro e di questi circa la metà sono già sottoscritti da fondi di investimento a lungo termine.

Utilizzando solo il 5% dell’APP (programma di acquisto di asset della BCE) si prosciugherebbe l’intero mercato dei green bond europeo. E’ essenziale, quindi, che il mercato cresca e che si incentivino le aziende a dedicare parte del bilancio a investimenti che scommettano sul futuro verde del continente.

Analisi dei mercati 21.01.2020

Ancora nuovi record per i mercati azionari, questa settimana, con gli indici americani sempre sugli scudi.

Stati Uniti e Cina hanno, finalmente, firmato le 86 pagine della cosiddetta Fase Uno dell’accordo con la quale la Cina si impegna ad acquistare almeno 200 miliardi di dollari aggiuntivi di prodotti americani per i prossimi due anni e gli Stati Uniti faranno marcia indietro su alcuni dazi (modesta riduzione a fronte di una serie di impegni di Pechino). Un po’ di scompiglio è stato generato dalla dichiarazione del segretario americano Mnuchin, secondo cui i dazi sui beni cinesi rimarranno fino al completamento della seconda fase dell’accordo, durante la quale verranno affrontate le questioni relative alla tecnologia e la Cyber-security. L’accordo prevede, ovviamente, delle modalità di risoluzione in caso di inottemperanze oltre alla facoltà di recedere previo preavviso.

Il dipartimento del Tesoro americano, il giorno prima della firma dell’accordo, ha rimosso la Cina dall’elenco dei paesi considerati “manipolatori” della moneta, come segnale di una distensione dei rapporti fra le due potenze che si è riflesso immediatamente sul cambio fra il RMB/USD.

Nel frattempo, fra i dati macroeconomici cinesi pubblicati, vale la pena segnalare la ripresa dell’export, prima volta in cinque mesi, che ha superato le attese degli analisti, gli aggregati monetari di dicembre in accelerazione e il dato sul PIL del terzo trimestre 2019 che segna un +6% annuo. La produzione industriale è in miglioramento così come le vendite al dettaglio. Con gli stimoli monetari e fiscali da parte delle autorità cinesi e un allentamento delle tensioni commerciali, qualche spiraglio di miglioramento nell’economia cinese si sta vedendo e si dovrebbe continuare a vedere.

Source: Bloomberg

In Europa il dato sulla Produzione Industriale delude leggermente le attese, con un rialzo dello 0.2% mese/mese ma mostra un leggero rialzo che si spera continui nel 2020.

Source: Bloomberg

La prima parte della reporting season americana sembra essere andata bene: ha riportato i risultati circa il 10% delle società dell’S&P 500 con una sorpresa complessiva sugli utili superiore al 3%. Alcoa, produttore di alluminio, conferma ricavi in calo rispetto al 2018 ma la nota positiva riguarda la guidance sul 2020, in quanto vede una riduzione dell’eccesso di offerta grazie ad un incremento della domanda globale. Anche le banche hanno registrato utili per il quarto trimestre in crescita e superiori alle attese.

La fame di rendimenti governativi è alla base del boom di ordini sul nuovo BTP a 30 anni, che ha raccolto una domanda record di 47 miliardi. Il titolo prevede una cedola del 2.45%. L’assorbimento delle cospicue emissioni da parte del Tesoro è stato aiutato anche dalla bocciatura, da parte delle Consulta, del referendum sul taglio del numero dei parlamentari che allontana la minaccia di elezioni anticipate.

Intanto, anche MPS ha sfruttato la fase di “bonaccia” dei mercati e l’upgrade di rating da parte di Moody’s, presentandosi sul mercato del debito collocando 400 milioni di un Bond AT1 con cedola 8%, con una domanda che è stata superiore a 925 milioni di euro. Ovviamente, per rendere appetibile il collocamento, l’istituto senese ha dovuto essere più generoso rispetto alle altre due banche che hanno collocato recentemente, UBI 5.875% e Banco BPM 6.125%, ma ha dovuto concedere meno del 10.5% che aveva offerto lo scorso luglio.

Sul fronte cambi si segnala il leggero indebolimento della Sterlina Inglese causato dalle dichiarazioni di membri della Banca Centrale, circa la volontà di tagliare i tassi durante il prossimo meeting, previsto per il 30 gennaio. Attualmente il mercato prezza, con una probabilità del 71%, un taglio di 25 bps che sarebbe giustificato dal generale indebolimento dell’economia. Anomalo, visto il clima positivo sui mercati, il rafforzamento del Franco Svizzero: la motivazione sembra essere legata alle dichiarazioni della Banca Centrale che vorrebbe normalizzare i tassi rialzandoli.

Source: Bloomberg

In Russia il Rublo, dopo avere toccato il suo massimo da inizio 2018, 60.8870 contro dollaro, si è indebolito a causa delle dimissioni del Governo e del premier Medvedev: sembra che il Premier voglia favorire le riforme costituzionali, annunciate da Putin durante il discorso alla nazione, riguardo il passaggio del potere di scelta del primo ministro dal Presidente al Parlamento.

QUESTA SETTIMANA

Con la firma dell’accordo Cina-Stati Uniti, la disputa commerciale tra i due paesi è passata ovviamente in secondo piano. Non che la questione sia definitivamente risolta (sappiamo bene che si tratta di un tema di lungo periodo) ma almeno la minaccia di un rallentamento economico viene alleviata.

Ora bisogna stare attenti alle negoziazioni tra Europa e Stati Uniti e ai relativi dazi. In sospeso ci sono ancora quelli sulle auto e un possibile incremento di quelli sui generi alimentari, tema che tocca molto l’Italia.

Sappiamo bene che, in generale, la crescita economica è stata sostenuta dai consumi, soprattutto negli Stati Uniti, in quanto la componente relativa agli investimenti ha sofferto l’incertezza economica legata soprattutto alla guerra commerciale. Se negli Stati Uniti Trump cerca di sostenere ancora i consumi per l’evidente impatto positivo sulla campagna elettorale, con la proposta di taglio delle tasse alla middle-class, in Europa ci si deve giocare la carta degli investimenti con una Commissione Europea, ed anche la Banca Centrale, orientata al tema “green”. Per questo motivo sarà interessante ascoltare la conferenza stampa della Lagarde, per capire se esiste una strategia di coordinamento tra politica monetaria e politica fiscale che si concretizzi del Green Deal.

In generale i Governi, quest’anno, saranno incentivati a formulare programmi di investimento per raggiungere l’obiettivo di “emissioni zero” entro il 2050 e tenderanno ad emettere green-bond nel 2020. Il Tesoro italiano, secondo fonti interne, potrebbe seguire pertanto l’esempio della Germania e lanciare il primo bond sostenibile entro la fine dell’anno.

Ribadiamo quindi che la politica monetaria è accomodante e tale rimarrà ancora per un po’. La politica fiscale potrebbe esserlo ancora negli Stati Uniti, soprattutto se passerà il taglio delle tasse, e potrebbe diventarlo in Europa, grazie al tema degli investimenti. Gli asset rischiosi, quindi, continuano ad essere supportati nel breve da TINA (there is no alternative) e nel medio/lungo termine dalle aspettative di ripresa della crescita economica.

Analisi dei mercati del 14.01.2020

La potenziale crisi in Iran non sembra avere turbato particolarmente gli investitori, alla cui tranquillità hanno contribuito le dichiarazioni della Casa Bianca e del ministro degli Affari Esteri iraniano sull’intenzione di non volere proseguire nelle operazioni militari.

Per ora delle 13 rappresaglie minacciate dall’Iran ne abbiamo vista solo una, ovvero un attacco alle basi americane in Iraq che, tuttavia, non ha causato nessuna vittima. L’amministrazione Trump ha imposto nuove sanzioni contro l’Iran, che colpiranno le esportazioni di acciaio, alluminio, rame e ferro, e ha dichiarato, in un discorso alla nazione, che non permetterà mai all’Iran, fintanto che sarà Presidente degli Stati Uniti, di avere armi nucleari. Le Borse sembrano non abbiano intravisto particolari rischi e, alcune, si sono riportate usi massimi storici.

Il prezzo del petrolio (WTI), dopo avere toccato i 65 dollari al barile in occasione dell’attacco americano, ha ritracciato per riposizionarsi intorno ai livelli medi dell’ultimo anno.

Source: Bloomberg

Sul tema Brexit, sia la presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, che la presidente della BCE, Christine Lagarde, ritengono che non sarà facile ridiscutere di tutti i punti dell’accordo entro la fine dell’anno. La sterlina risente di queste dichiarazioni e di quelle di Carney, che sembra essere pronto ad un ulteriore allentamento monetario.

Sul fronte macro, in Europa è positivo il dato relativo alla manifattura tedesca, che nel mese di novembre è salito dell’1.1%, più delle aspettative degli analisti (+0.7%). Si tratta di un altro timido segnale di una possibile inversione di tendenza per il settore manifatturiero tedesco, che potrebbe, se confermato da altri dati, avere impatti positivi sul resto dell’Europa e soprattutto sull’Italia, che ha come principale partner commerciale proprio la Germania. Anche i dati di Francia e Spagna lasciano ben sperare sulla ripresa manifatturiera.

I dati sul mercato del lavoro americano usciti venerdì, seppur leggermente inferiori alle aspettative nella componente “nuovi occupati non agricoli”, confermano una situazione di solidità con il tasso di disoccupazione fermo al 3.5%, livello più basso degli ultimi 50 anni, e senza particolari pressioni salariali.

In calo lo spread BTP-Bund grazie alla percezione di un minore rischio di elezioni anticipate in Italia.

Riguardo alla Banca Popolare di Bari è previsto entro la prima metà di aprile il piano industriale e l’indicazione precisa del fabbisogno finanziario, alla luce dell’alleggerimento dei 1.2 miliardi di NPL, non-performing loans, ancora presenti nei conti della banca. A giugno si terrà l’assemblea degli azionisti con la trasformazione in società per azioni, ritenuta “necessaria e fondamentale” secondo Mediocredito e la Banca d’Italia.

Sul listino italiano, in settimana, si è fatta notare MPS per il +20% di rialzo del titolo, dopo che Moody’s ha rivisto l’outlook e alcuni rating: per la prima volta dopo 7 anni il giudizio complessivo sul merito di credito è passato da Caa1 a B3 e l’outlook è passato a positivo da negativo. Le motivazioni dell’upgrade sono da ricercarsi nei miglioramenti nella qualità delle attività della banca: il rapporto sofferenze/attivi è passato da 18% a 12.50%, grazie allo smaltimento di 3.8 miliardi di euro di crediti deteriorati. Certo la media italiana è intorno all’8% e quella europea al 3% ma l’agenzia di rating ha voluto premiare il percorso intrapreso dall’istituto senese.

Source: Bloomberg

La settimana si è conclusa con performance positive per gli asset rischiosi: l’azionario globale, indice MSCI World, ha guadagnato circa lo 0.8%, con punte di 2% per Nasdaq e DAX.

Bene, anche se in misura minore, l’obbligazionario a spread. Il leggero rialzo dei rendimenti ha penalizzato l’obbligazionario governativo e il corporate investment grade.

Tornano vicini ai minimi gli indicatori di volatilità e si rafforza lo yen. Delle valute “rifugio” solo il Franco Svizzero non beneficia della fase di risk-off e si porta ai massimi dal 2017. Si mantiene su livelli alti la quotazione dell’oro, sopra 1500 dollari/oncia, livello superato il giorno dell’attacco americano. Il metallo giallo è sempre più oggetto di discussione e commenti da parte della comunità finanziaria. Come indicato la scorsa settimana, beneficia dei tassi bassi, non avendo carry, e dei flussi delle banche centrali. Inoltre, tende a proteggere i portafogli dagli “spike” di volatilità che si teme possano essere frequenti questo anno. Ne abbiamo avuto un assaggio proprio all’inizio dell’anno e con le elezioni presidenziali americane di novembre potremo averne altri.

QUESTA SETTIMANA

Mercoledì 15 gennaio a Washington è prevista la firma della Fase Uno dell’accordo fra Cina e Stati Uniti, che dovrebbe prevedere la riduzione dei dazi americani imposti a settembre dal 15% al 7.5%, su 120 miliardi di merci, e un’ulteriore estensione del congelamento di quelli che erano previsti per dicembre 2019, su circa 150 miliardi di merci, pari al 25%, mentre la Cina dovrebbe aumentare le importazioni di prodotti agricoli americani per circa 40 miliardi all’anno. Ha suscitato qualche pensiero l’annuncio che alla firma dell’accordo non sarà presente il Presidente cinese ma il Vice-Premier. Negli Stati Uniti inizia la reporting season, come sempre, le prime società a riportare i risultati del quarto trimestre 2019 saranno le banche. Martedì 14 toccherà a JPM e Citigroup, mercoledì avremo BofA e Goldman Sachs. In totale riporterà l’8% delle società dell’S&P 500.

In UK la House of Lord sarà chiamata a votare l’accordo sulla Brexit. Nonostante una generale opposizione alla Brexit non ci si aspettano sorprese e l’accordo dovrebbe passare.

Sempre in UK i dati in uscita questa settimana saranno importanti per valutare l’eventuale azione delle Bank of England e il relativo impatto sulla sterlina, dato che Carney ha prospettato un novo possibile allentamento monetario qualora l’economia domestica non mostrasse segnali di ripresa.

Mercoledì verrà pubblicato il Beige Book della Fed, che dovrebbe confermare il buono stato di salute degli Stati Uniti.

Sempre mercoledì vedremo il dato sulla produzione industriale di novembre in Eurozona (dato aggregato), che dovrebbe confermare una ripresa congiunturale dopo il calo di ottobre.

Infine, venerdì 17 avremo modo di testare lo stato dell’economia cinese, con la pubblicazione dei dati sul GDP del 4 trimestre 2019, atteso stabile al 6%, la produzione industriale di dicembre e le vendite al dettaglio.

In Italia potremmo avere chiarezza su uno dei temi politici del momento: il referendum confermativo sulla riforma costituzionale circa il taglio del numero dei parlamentari e uno abrogativo relativo alla legge elettorale (nella parte proporzionale).

JPM stima che nel 2020 le emissioni nette di titoli di stato dell’Eurozona dovrebbero scendere ai minimi dal 2008 in calo del 4% rispetto al 2019. La maggior parte delle emissioni, circa il 60%, sarà concentrato nel primo semestre e rallenterà notevolmente nella seconda parte dell’anno. Se da un lato questo fattore segnala che i governi sembrano volere approfittare dei tassi ancora bassi in vista di possibili turbolenze sul fine anno, all’avvicinarsi delle presidenziali americane, dall’altro rappresenta un elemento di sostegno ai bond governativi, che non dovrebbero vedere un’eccessiva salita dei rendimenti.

Si calcola che la scarsità di titoli di Stato in Eurozona, conseguenza del QE lanciato da Mario Draghi e confermato da Christine Lagarde, potrà arrivare a coprire quasi tutte le emissioni di debito pubblico. Con i rendimenti bassi diventano più attraenti i titoli dei paesi periferici più indebitati e quindi con rendimenti maggiori.

Sappiamo inoltre che i tassi non verranno alzati da parte delle banche centrali, neanche in caso di ri-accelerazione dell’economia o di ripresa dell’inflazione. Infatti sia la PBOC, banca centrale cinese, che la Fed sono tornate ad ampliare il loro bilancio a ritmi elevati. Se guardiamo gli indicatori relativi alle Financial Conditions, ovvero le misure che sintetizzano la disponibilità e il costo del credito per dare un’idea dello stress finanziario del sistema, possiamo notare che sono positive per tutte le principali economie e spesso si avvicinano ai livelli massimi del 2014.

Con queste premesse il 2020 potrebbe essere un proseguimento del 2019; è vero che siamo al dodicesimo anno di ciclo economico ma ricordiamo, per l’ennesima volta, che un ciclo economico non muore di vecchiaia ma di shock esogeni o errori di politica monetaria. A dimostrazione di ciò basta guardare al ciclo economico australiano: GDP positivo, quindi nessuna recessione, da ben 28 anni!!!

Source: Bloomberg

Ancora molto buone le performance delle linee con maggiore componente azionaria.