Analisi dei mercati del 11.11.2019

La settimana appena conclusa ha visto proseguire il buon andamento dei listini azionari con quelli americani che raggiungono nuovi massimi assoluti (sia S&P500 che Dow Jones e Nasdaq) ma con quelli europei (settore bancario sugli scudi, aiutato dalla salita dei tassi reali) che sovraperformano. Per contro, abbiamo assistito ad un forte incremento dei rendimenti governativi (e quindi discesa dei corsi), alla debolezza dei metalli preziosi e al ritorno verso i minimi degli indicatori di volatilità. Il tutto è coerente con un generale clima di risk-on. Ottima la performance di dollaro americano e valute emergenti contro euro.

Sono ancora i negoziati commerciali a suscitare ottimismo tra gli investitori: le intenzioni sembrano essere serie e si spera che, dopo il congelamento dei dazi previsti per ottobre, si affrontino nello stesso modo quelli previsti per dicembre per passare, poi, alla formulazione di un secondo accordo più completo entro la primavera del 2020. Sulla location per la firma le ipotesi sono le più disparate: si va dall’Iowa (lo Stato potenziale beneficiario degli acquisti cinesi di beni agricoli americani) alla Grecia, dall’Alaska alle Hawaii, oppure si potrà approfittare del summit dei BRICS che si terrà a Brasilia il prossimo 13/14 novembre o il vertice NATO di Londra di inizio dicembre.

Fra i principali dati marco-economici usciti in settimana segnaliamo i seguenti:

  • i PMI giapponesi sono entrati in territorio di contrazione per la prima volta negli ultimi tre anni (49.8 vs 52.8 di settembre). Sebbene dalla lettura dei verbali del meeting della BOJ sia emerso che alcuni esponenti del board hanno posto l’attenzione sui rischi derivanti dal mantenimento troppo a lungo dei tassi negativi, rimane comunque la possibilità di un ulteriore allentamento nel breve qualora dovessero persistere i rischi provenienti dall’estero;
  • In Cina sono stati pubblicati i PMI Caixin, relativi ai servizi, in calo a 51.1 (da 51.3 di settembre) mentre il dato aggregato ha mostrato un miglioramento passando da 51.9 a 52 lasciando, quindi, sottintendere una ripresa del comparto manifatturiero.
    Sempre in Cina, a sorpresa, la PBOC (People’s Bank of China) ha tagliato i tassi sui finanziamenti medium-term (1 anno) di 5bps a 3.25%: si tratta del primo taglio dal 2016. Il Renminbi cinese, barometro del livello di tensione fra Cina e Stati Uniti, si è portato temporaneamente sotto la soglia psicologica di 7 (contro USD) che era stata violata ad agosto;
  • i PMI dell’eurozona sono leggermente migliorati sia a livello aggregato (50.6 vs 50.2 di settembre) che nella componente servizi (52.2 vs 51.8 di settembre). La Germania rimane in territorio di contrazione ma, comunque, in miglioramento;
  • i PMI UK sono usciti sopra le attese e in crescita, sia nel dato composite (50 da 49.3) che nella componente servizi(50 da 49.5);
  • negli Stati Uniti, se da un lato il PMI composite è sceso marginalmente (a 50.9 da 50.6) con la componente servizia 50.6, dall’altro l’ISM non manifatturiero ha sorpreso in positivo passando da 53.5 a 54.7.

In generale, se guardiamo l’indice di fiducia PMI manifatturiero globale, calcolato da JPM, abbiamo la conferma di una marginale stabilizzazione (se non addirittura leggera ripresa) dell’attività economica: il dato, infatti, è salito per il terzo mese consecutivo arrivando a 49.8, soprattutto grazie al contributo dei paesi emergenti.

In merito al terzo e ultimo pilastro dell’agognata unione bancaria europea (assicurazione in solido dei depositi creditizi) è arrivata, in settimana, un’apertura da parte della Germania. Il Ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholtz, però, pone una serie di condizioni: oltre ad un ulteriore calo delle sofferenze creditizie delle banche e armonizzazione dei diritti fallimentari nazionali, si chiedono anche accantonamenti delle banche in funzionedell’esposizione ai debiti sovrani che non saranno quindi più considerati privi di rischio.

Questo elemento potrebbe essere fra le cause della sottoperformance dei governativi italiani. Infatti, la reazione del nostro Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, pur apprezzando l’apertura tedesca, non è stata benevola relativamente a quest’ultima condizione soprattutto considerato quanto le banche italiane investono sul debito nazionale.

Un altro elemento alla base della maggiore salita dei rendimenti italiani rispetto agli altri Paesi potrebbe essere la pubblicazione delle stime di crescita per l’Eurozona a cura della Commissione Europea: sebbene non sia prevista recessione per l’area, la crescita fatica a salire e l’Italia si conferma il fanalino di coda. Il commissario francese Moscovici ritiene necessario che il Paese attui delle riforme fondamentali per ristabilire la crescita. La nuova commissione, in carica dal primo di dicembre, potrebbe, per questo motivo, essere più “tollerante” sulla gestione dei conti pubblici italiani e approvare la manovra finanziaria per il 2020 nelle prossime settimane.

Giovedì, per la prima volta dal 2008, i rendimenti dei titoli di stato di Atene sono scesi sotto quelli dei BTP. Nello specifico parliamo del decennale che è arrivato all’1.23% di rendimento contro l’1.25% di quello italiano. Nel 2011, durante la crisi dell’eurozona, il rendimento della Grecia era arrivato sopra il 30% dopodiché la fame di rendimenti, accompagnata dalla formazione di un governo stabile, ha reso di nuovo attraenti per gli investitori i titoli ellenici. Da notare che la Grecia ha ancora un rating al di sotto dell’investment grade e come tale è fuori dal programma di quantitative easing della BCE.

Source: Bloomberg

In settimana ci sono stati due appuntamenti di banche centrali: la RBA (banca centrale australiana) ha, come atteso, mantenuto i tassi invariati a 0.75% e lasciato aperta la porta ad ulteriori misure di stimolo se necessarie; anche la BOE (Bank of England) ha lasciato i tassi invariati a 0.75%, come atteso, sottolineando l’incertezza legata alla Brexit e alle elezioni del prossimo mese. Due membri del board hanno votato per un taglio dei tassi sostenendo chel’inflazione rimane bassa e le incertezze politiche, unite al debole quadro macro globale, frenano gli investimenti e mettono a rischio la crescita interna.

Durante il fine settimana ci sono state le elezioni in Spagna (le seconde nel 2019 e le quarte negli ultimi quattro anni): il partito socialista mantiene la maggioranza relativa (28%) pur con un minore numero di seggi e dovrà cercare di formare una coalizione di Governo con partiti che hanno ottenuto ancora meno voti delle precedenti elezioni: la situazione di instabilità politica sembra ormai cronica. Molto forte il partito di ultra-destra Vox che raddoppia i seggi passando da un consenso di 10.3% a 15.1%.

A livello settoriale, come segnalato, è notevole la forza del comparto bancario europeo che ha sicuramente beneficiato dell’aumento generalizzato dei tassi reali. Positivo anche il contributo dei risultati di Unicredit e di Banca Intesa. Molto fermento anche in Piazzetta Cuccia per la decisione di Mustier (AD di Unicredit) di vendere la partecipazione in Mediobanca e per la notizia circa la quota di partecipazione di Leonardo del Vecchio che potrebbe salire oltre il 10%.

Dopo 73 anni, Unicredit non sarà più azionista di Mediobanca. Ne aveva contribuito alla fondazione nel lontano 1946 insieme alle altre banche di interesse nazionale. La mossa, che rientra nel generale piano di dismissione di partecipazioni non strategiche, rende Unicredit una banca puramente commerciale con una vasta rete internazionale.

QUESTA SETTIMANA

Questa settimana i dati principali da monitorare, al fine di verificare la tenuta del ciclo economico e lo statodell’inflazione, saranno i seguenti:

  • Area Euro: ZEW tedesco (atteso in miglioramento), stima preliminare del dato sul Pil Eurozona per il terzo trimestre (atteso stabile a 1.1%) e dati sull’inflazione al consumo (CPI) per ottobre (attesi stabili a +1.1%);
  • UK: stima Pil 3Q (atteso +1% da +1.3% precedente) e produzione industriale (per settembre atteso -1.4% da – 1.8%);
  • US: inflazione al consumo (CPI) per il mese di ottobre;
  • Cina: produzione industriale e vendite al dettaglio per ottobre. In Italia, il Governo sarà alle prese con la manovra finanziaria al fine di evitare l’aumento dell’IVA legato alla procedura di infrazione e rilanciare la crescita. Mercoledì 13 novembre dovrebbero partire i dazi americani sull’import di auto europee: i mercati scommettono sulla formalizzazione di un posticipo.

In questa sede abbiamo spesso parlato di posizionamento degli investitori: anche Barclays, in una nota di questa settimana, richiama l’argomento sostenendo che, pur restando tante le fonti di incertezza e faticando a trovare dei veri catalyst per una ripresa sostenuta, lo scarso posizionamento sull’azionario da parte degli investitori rispetto ad altre asset class “sovraffollate” rappresenta una motivo per ritenere relativamente più probabile una salita del mercatonell’ultima parte dell’anno. La leggera ripresa economica (invece di una recessione che molti temevano fino a poco fa), confermata dal trend in atto di stabilizzazione degli indici di fiducia PMI, dovrebbe portare ad una rotazione da bond a equity e, all’interno di quest’ultima asset class, da stile “growth-quality” a “value-cyclical”.

Il passaggio da stile “growth” (titoli con forte crescita e favoriti dall’attuale contesto di tassi molto bassi) a stile “value”(titoli con crescita lenta ma costante) potrebbe essere favorito dall’avvicinarsi della fine di una politica monetaria ultra- espansiva e dalla necessità sempre maggiore di stimoli fiscali.

Nell’ultima settimana i mercati hanno cominciato a prezzare, soprattutto lato obbligazionario, una politica fiscale più espansiva. Dovesse proseguire questa tendenza i mercati obbligazionari (soprattutto governativi) sarebbero destinati a sottoperformare e quelli azionari potrebbero continuare a salire ma con una diversa composizione.

Rispetto al passato il processo transitorio potrebbe essere più lento perché le Banche Centrali saranno restie ad intervenire in senso restrittivo in mancanza di chiare evidenze di sostenibilità della crescita e considerata le incertezze che ancora pesano sul sistema economico.

Da un punto di vista geografico interessante notare la forte ripresa degli Economic Surprise Index europei rispetto a quelli americani: i primi sono ancora in territorio negativo (quindi i dati macro tendono ad uscire inferiori alle stime) mentre quelli americani sono, di poco, in territorio positivo ma la tendenza è verso una chiusura del gap. Dovesse proseguire questa tendenza ci sarebbe un minore supporto per il dollaro a vantaggio dell’euro.