Analisi dei mercati del 26.11.2019

L’andamento dei mercati è ancora altalenante e varia in funzione delle notizie provenienti dai negoziati: Trump ha minacciato di introdurre nuove tariffe sui beni cinesi se non verrà siglato al più presto un accordo commerciale con Pechino e consideriamo che manca meno di un mese all’introduzione delle nuove tariffe previste per metà dicembre.

A gettare benzina sul fuoco anche l’approvazione, da parte del congresso americano, del disegno di legge “Hong Kong human rights and democracy act” che impone al dipartimento americano di valutare annualmente l’effettiva indipendenza della colonia britannica. Si temono ripercussioni sui negoziati dato che la Cina ha reso esplicito che non gradisce l’intromissione americana nelle vicende politiche e sociali interne. Ora spetta a Trump apporre la firma finale; Trump in questo momento potrebbe trovarsi in difficoltà perché ha bisogno della firma dell’accordo con la Cina (che sarebbe a rischio in caso di approvazione del disegno di legge) ma, vista l’approvazione congiunta di Senato e Camera, sarebbe poco giustificata una bocciatura da parte della presidenza. Inoltre, Trump è politicamente in difficoltà anche perché è alle prese con la procedura di impeachment.

Hong Kong è importante per gli Stati Uniti dato che gode di un regime privilegiato di esenzioni con gli Usa e, inoltre, rappresenta quindi una porta di ingresso sul mercato cinese.

Nel fine settimana la volontà di trovare un accordo è emersa dalle parole del presidente cinese Xi Jingping il quale afferma che sta cercando di trovare un’intesa preliminare con gli USA per evitare una guerra commerciale ma ha anche avvertito di non avere paura di mettere in atto rappresaglie se necessario.

Il Renminbi, barometro delle tensioni, è in leggero indebolimento contro dollaro mentre la PBOC (Banca Centrale Cinese) continua con le manovre espansive mirate: in settimana ha tagliato il tasso “Loan Prime Rate” a 4.15% da 4.20%.

Durante l’incontro tra il presidente della Fed Powell e Trump alla Casa Bianca si sono toccati diversi temi sia di natura monetaria che economica. Si è discusso di tassi di interesse negativi (anche se ancora non ci sono in US) e Powell ha ribadito che le mosse di politica monetaria saranno basate su analisi attente della situazione economica e non dipenderanno da pressioni politiche in quanto gli obiettivi della politica monetaria rimangono la piena occupazione e la stabilità dei prezzi. Trump sembra soddisfatto dell’incontro.

Dal meeting di ottobre emerge una Fed divisa: 8 membri hanno votato a favore del taglio dei tassi contro 2 contrari.

Nei verbali relativi all’ultimo meeting di ottobre della BCE presieduto da Mario Draghi si conferma la fase attendista e, viste le divisioni interne che sono emerse, si è lanciato un forte richiamo all’unità, sottolineando come le discussioni vadano bene ma debbano poi tendere ad una decisione condivisa che consenta il raggiungimento dell’obiettivo principale della banca centrale, ovvero quello di inflazione. Christine Lagarde, effettivamente, assume la guida di un comitato diviso al suo interno in un momento molto delicato per la politica monetaria. Nel discorso, tenuto a Francoforte venerdì mattina, ha cercato di mantenere la continuità con il precedente presidente e, più che affrontare le tematiche di politica monetaria, ha ribadito nuovamente la necessità di politiche fiscali espansive, specialmente sul fronte degli investimenti.

Agli elementi che creano incertezza attorno ai BTP italiani, già citati nel commento di settimana scorsa (sistema di tiering, tensioni politiche e attribuzione di un grado di rischio anche ai titoli di stato nei bilanci delle banche), se ne è aggiunto un altro: la riforma dell’ESM (o MES, in italiano), ovvero il meccanismo europeo di stabilità, quello che è chiamato anche “fondo salva Stati”, che finora ha erogato 295 miliardi di prestiti a cinque paesi europei (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Cipro) e che è alimentato dai versamenti dei parsi membri (l’Italia è il terzo contributore dopo Germania e Francia).

La riforma mette ben in chiaro che il MES fornisce assistenza e aiuto solo agli Stati con debito pubblico sostenibile (debito/Pil inferiore a 60% e deficit/Pil inferiore al 3% negli ultimi due anni) e ritenuti in grado di rimborsare i prestiti, inoltre assumerà la funzione di “backstop” del fondo di risoluzione unico delle banche ovvero garantirà una linea di credito di 70 miliardi, al Single Resolution Fund, a cui i vari paesi potranno accedere qualora i fondi nazionali per le risoluzioni bancarie (si tratta di risorse delle banche e non pubbliche) non siano sufficienti.

Per ora siamo ancora alle prime fasi: a dicembre (da 4 al 13) la riforma verrà discussa dall’Eurogruppo, successivamente si esprimeranno, durante l’Eurosummit, i capi di Stato e di Governo e infine tutti i 19 Parlamenti nazionali dell’Eurozona dovranno ratificare il provvedimento. Per approvare la riforma serve l’unanimità quindi l’Italia potrebbe porre il veto ma con il rischio di fare saltare il tavolo sulla garanzia dei depositi a livello europeo. Dovesse mancare la ratifica dell’Italia in sede parlamentare emergerebbe la coda di paglia del nostro paese, sarebbe più opportuno, quindi, cercare di rivedere alcuni punti dell’accordo prima della stesura definitiva.

Il punto critico per l’Italia è rappresentato dal rischio di una ristrutturazione del debito, sebbene non preventivamente richiesto dalla riforma, che quindi penalizzerebbe i BTP. Non si parla esplicitamente di ristrutturazione del debito ma si fa riferimento al “concorso anche dei privati”.

Fra i diversi discorsi dei membri delle banche centrali citiamo quello di Lane (capoeconomista della BCE) che, da un lato, ribadisce la necessità di riforme strutturali e stimoli fiscali indispensabili per la crescita economica, dall’altro, sottolinea che la BCE ha ancora spazio e non ha esaurito le opzioni monetarie.

Nonostante le continue sollecitazioni per una politica fiscale più accomodante in Germania la cancelliera Angela Merkel e il ministro delle finanze Olaf Scholz respingono la richiesta congiunta di imprenditori e sindacati tedeschi di risvegliare l’economia stagnante attraverso una maggiore spesa pubblica.

Venerdì sono usciti un po’ di dati PMI flash: in generale si è assistito ad un leggero miglioramento dei dati manifatturieri mentre per quelli relativi ai servizi c’è stato un leggero calo (pur rimanendo in area di espansione).

In Giappone entrambe le componenti, manifatturiero e servizi, sono migliorate; il dato aggregato europeo vede passare il PMI manifatturiero da 45.9 a 46.6 e quello relativo ai servizi rallentare da 52.2 a 51.5. Continua a fare bene la Francia e dalla Germania proseguono i segnali di miglioramento del manifatturiero (anche se rimane in contrazione); in indebolimento, e inferiori alle aspettative, quelli relativi a UK: il dato composite passa da 50 a 48.5. Di nuovo molto buoni i dati americani sia nella componente manifatturiera che in quella dei servizi, entrambe in crescita e in territorio di espansione.

Reuters riporta che le autorità di mercato europee stanno studiando limitazioni alle vendite allo scoperto in vista di una conclusione della saga Brexit. Se da un lato si potrebbe escludere una non deal brexit dall’altro rimarrebbero parecchie incertezze e questo porterebbe la Consob, ma anche le autorità di altri paesi, ad adottare restrizioni temporanee alle vendite allo scoperto

L’OCSE ha pubblicato il nuovo outlook nel quale rivede leggermente al rialzo la crescita mondiale (+2.9%) che si stabilizza al livello più basso dalla crisi finanziaria a causa della debolezza degli scambi e degli investimenti. Anche per quanto riguarda l’Italia la previsione viene leggermente rivista al rialzo (+0.2% per il 2019, 0.4% per il 2020 e 0.5% per il 2021), rimanendo comunque inferiore alle stime del governo, ma sottolineando che il debito rimane elevato e le riforme strutturali sono indispensabili.

Source: OECD

La settimana si conclude, quindi, con mercati azionari nel complesso leggermente negativi, quelli obbligazionari governativi vedono i rendimenti poco mossi così come il segmento a spread.

QUESTA SETTIMANA

Durante il fine settimana è emerso che la Cina potrebbe agire sul tema della proprietà intellettuale (tanto caro agli Stati Uniti) inasprendo le sanzioni. Il tema dei negoziati commerciali è destinato a rimanere al centro dell’attenzione anche questa settimana.

Lunedì 25 novembre, la Germania ha pubblicato l’IFO (indice di fiducia delle aziende tedesche) per il mese di novembre: le attese erano per un miglioramento sia nella componente expectations che current assessment e sono di fatto state confermate.

Source: Bloomberg

Mercoledì, negli Stati Uniti, avremo una serie di dati interessanti: oltre alla seconda stima sul Pil del terzo trimestre (atteso +1.9% trimestre/trimestre), verrà pubblicato il dato relativo al personal spending (atteso in crescita di 0.3% a ottobre), importante per il peso che i consumi hanno sul Pil americano (contano circa il 70%), e agli ordini di beni durevoli (attesi in calo). Importante anche il dato sull’inflazione segnalato dallo strumento preferito dalla Fed ovvero il PCE deflator (atteso a+1.4% anno/anno). Inoltre, verrà reso noto il Beige Book della Fed.

Giovedì si celebrerà il Thanksgiving e i mercati americani saranno chiusi e il giorno seguente avremo il “black Friday” che inaugura la stagione dello shopping prenatalizio.

Venerdì in Eurozona saranno importanti i dati sull’inflazione al consumo (CPI) preliminari di novembre attesi in leggero aumento ma comunque distanti ancora dal target di 2% della BCE.

È da parecchio tempo, ormai, che l’attenzione degli investitori è puntata sul tema dei negoziati commerciali. I presupposti per un accordo ci sono ed è interesse di entrambe le parti portarlo a termine: la Cina non ha il problema delle elezioni ma ha un’economia che dà segnali di rallentamento, Trump ha un’economia che comunque viaggia su livelli buoni ma ha il problema delle elezioni del 2020. È, quindi, di interesse di entrambi eliminare, almeno temporaneamente, un elemento di incertezza che sta pesando sulle aziende cinesi e che peserà presto su quelle americane e sui consumatori americani se i dazi del 15 dicembre verranno confermati.

Secondo l’economista americano di Nomura la fase uno dell’accordo potrebbe prevedere quindi la cancellazione dei dazi del 15 dicembre e la rimodulazione di quelli già in vigore a fronte di acquisti di prodotti agricoli da parte della Cina. La fase due (prevista per la primavera 2020) dovrebbe, invece, concentrarsi sull’apertura del settore finanziario cinese agli americani e qualcosa in tema di proprietà intellettuale. La fase tre potrebbe avvenire prima delle elezioni di novembre 2020 dovrebbe vedere la firma di un accordo completo di cooperazione economica e finanziaria relativa soprattutto alle aziende tecnologiche cinesi.

Abbiamo più volte detto come lo scetticismo circa lo scenario macro-economico di questo anno e le incertezze relative abbiano portato i gestori a detenere un’ampia porzione di liquidità nei portafogli. A questa considerazione aggiungiamo i risultati di un’analisi della European banking authority dalla quale emerge che i depositi a vista, presenti nelle banche dell’Eurozona (di famiglie e imprese), rappresentano circa i due terzi del Pil (livello record). Questo dato dimostra come i risparmiatori siano in cerca di sicurezza (e non solo quelli italiani) e le imprese limitino gli investimenti per le incertezze sul futuro. Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno allora consideriamo che la liquidità nel sistema è enorme e, con un briciolo di minore incertezza economica e politica, potrebbe rimettersi in moto. Se invece vogliamo vedere il bicchiere mezzo vuoto allora dobbiamo essere consapevoli che, nell’era dei tassi negativi, detenere cash non solo non remunera il capitale ma addirittura impoverisce i risparmiatori e le imprese accentuando gli effetti negativi sull’economia.

In tema di tassi negativi, infatti, secondo un sondaggio della Bundesbank di fine settembre, il 58% delle banche tedesche scarica i tassi negativi sui clienti corporate: quasi 130 dei 220 istituti oggetto del sondaggio, dichiarava di avere imposto forme di penalizzazione sui depositi delle imprese mentre il 23% applicava interessi negativi alla clientela retail. Forse con il meccanismo di tiering introdotto dalla BCE questo processo potrebbe venire interrotto.

In un recente studio di Intesa SanPaolo si sottolinea come il tema relativo all’uso della leva fiscale in senso anticiclico sia tornato di attualità: infatti, il pieno utilizzo della leva politica fiscale da parte dei paesi virtuosi (in primis Germania e Olanda) e una piena “compliance” per i paesi ad alto debito, non solo eviterebbe la recessione per l’intera Eurozona, ma avrebbe effetti espansivi qualora lo “shock” fosse superiore al punto di Pil nei paesi virtuosi.

Analisi dei mercati del 19.11.2019

Questa settimana i mercati azionari, nel complesso, sono stati ancora positivi: gli Stati Uniti raggiungono“territori inesplorati” con i tre indici principali (S&P 500, Dow Jones e Nasdaq) su nuovi massimi assoluti.

Il comparto obbligazionario governativo vede un allargamento dello spread tra periferia e Germania. Sul fronte cambi segnaliamo il rafforzamento della sterlina, sulla notizia che Farage non presenterà candidati, dove i Conservatori hanno vinto le scorse elezioni (2017), confermando quindi un’alleanza con i Tories. Johnson, in questo modo, ha maggiore probabilità di vittoria.

Il news-flow proveniente dalle negoziazioni commerciali continua ad essere molto“volatile” e, vista l’importanza del tema, i mercati si muovono di conseguenza. I temi di discussione sui quali si incagliano le due controparti riguardano sempre l’ammontare degli acquisti di derrate agricole e la gestione delle proprietà intellettuali da parte della Cina. Secondo il consigliere economico alla Casa Bianca Larry Kudlow Cinae Stati Uniti sono vicini ad un accordo sul commercio dato che il dialogo sembra essere “molto costruttivo per mettere fine a 16 mesi di guerra commerciale”, tuttavia non ci sono ancora dettagli sulle tempistiche.

Sul tema dei dazi, invece, sulle auto europee e giapponesi non è stata ancora presa una decisione da parte di Trump. Per quanto riguarda Huawei, indiscrezioni riportano che l’amministrazione americana sarebbe pronta ad introdurre una proroga di 90 giorni della licenza che consente, alle società americane, di continuare i rapporti con la società cinese.

La Cina è alle prese, da un lato, con dati macro economici relativi alla produzione industriale e alle vendite al dettaglio non particolarmente brillanti, e dall’altro con le proteste di Hong Kong che proseguono inesorabilmente e fanno temere l’approvazione, da parte del Congresso americano, del progetto di legge “Hong Kong Human Rights and Democracy Act” che ha come obiettivo la valutazione del rispetto degli accordi del 1997 circa l’autonomia di Hong Kong dalla Cina. La questione, come abbiamo già sottolineato, è delicata perché rischia di essere considerata un’indebita ingerenza degli Stati Uniti nella politica cinese.

Per fare fronte alla scarsa liquidità del mercato interbancario che sta alzando i costi del credito, la PBOC (banca centrale cinese), per la seconda volta in un mese, ha immesso nel sistema 200 miliardi di yuan tramite il sistema di prestiti a medio termine.

Si conferma, quindi, che l’economia cinese sta attraversando sotto molti punti di vista una fase di debolezza e di difficoltà (politiche, economiche e sociali), ma le autorità sono determinate nell’affrontarle, con i mezzi a disposizione, in modo mirato e graduale. Le politiche fiscali e monetarie sono entrambe in espansione ma senza il “bazooka” utilizzato durante la crisi del 2008 e che ha poi creato delle situazioni di bolle speculative.

In tema di banche centrali, in settimana si è riunita quella norvegese che ha sorpreso gli analisti mantenendo i tassi invariati al minimo storico di 1%, mentre le attese erano per un taglio di 25bps, sostenendo che non c’è l’urgenza di un ulteriore allentamento monetario.

Negli Stati Uniti l’inflazione al consumo per il mese di ottobre sale dello 0.4% mese/mese (+1.8% anno/anno) a causa di prezzo più alti di benzina e generi alimentari, mentre la componente “core” (che non considera le componenti più volatili di food&energy) sale solo dello 0.2% mese/mese (2.3% anno/anno).

Source: Bloomberg

L’inflazione, quindi, sotto controllo e l’economia in buona salute sono alla base del discorso al Congresso del governatore della Fed Powell che conferma un atteggiamento di wait & see da parte della Banca Centrale americana che non richiede al momento mosse sui tassi.

Passando all’Europa, in settimana è stato pubblicato lo Zew tedesco (indice di fiducia di operatori finanziari e analisti) in notevole miglioramento nella componente “aspettative” e in marginale miglioramento in quella relativa alla situazione corrente: oltre alle buone notizie circa le trattative Cina-Stati Uniti e il negoziato sulla Brexit, anche il buon andamento dei mercati finanziari potrebbe avere aiutato. Positiva la stima del Pil del terzo trimestre (+0.1%) che permette all’economia tedesca di “schivare” la recessione tecnica.

Anche la stima del Pil per l’intera Eurozona sorprende leggermente in positivo con +1.2% (rispetto ad attese di +1.1%) confermando le ipotesi di stabilizzazione del quadro macro-economico europeo (e non ulteriore deterioramento). L’inflazione al consumo rimane stabile con il CPI di ottobre che segna un +0.7% anno/anno e +1.1% anno/anno nel dato “core”.

Ancora debolezza per i BTP italiani che pagano l’incertezza politica aggravata, ultimamente, dalle questioni relative al tema Ilva-Arcelor Mittal e conseguenti scontri all’interno del governo. Inoltre, alcuni analisti fanno notare come il sistema di “tiering”, introdotto dalla BCE per non penalizzare troppo gli istituti di credito che detengono riserve presso la banca centrale, induca quelli italiani ad indebitarsi sul mercato interbancario (a tassi negativi) e depositare presso la BCE (a tasso zero) lucrando sulla differenza. Il risultato è una risalita dei tassi sull’interbancario e, di conseguenza, sui BTP.

Nessuna variazione né sul rating (BBB (high) né sull’outlook (stabile) da parte di DBRS relativamente al debito italiano: l’agenzia canadese aveva, ad agosto dopo la formazione del governo conte bis, espresso positività sulla situazione debitoria del paese, considerato il migliore rapporto che si sarebbe creato con la UE. Sottolineava, però, il rischio di una crescita bassa e di un esecutivo fragile data la scarsa maggioranza in Senato e le divisioni interne. Stesse considerazioni reiterate anche venerdì sera.

Difficoltà politiche anche in Spagna dopo il recente esito elettorale: il partito del premier Sanchez sta cercando di firmare un accordo con Podemos per creare un governo di coalizione. La combinazione dei due non sarà comunque sufficiente ad assicurarsi la maggioranza in parlamento motivo per cui dovranno cercare il sostegno di altri partiti.

Per Piazza Affari inizia la stagione di stacco delle cedole “autunnali”: si parla di circa 21 miliardi di euro di dividendi che verranno distribuiti dalle 40 blue chips italiane, in crescita rispetto ai 19 miliardi del 2018 e al livello più altro dalla crisi finanziaria del 2008.

Per quanto riguarda l’IPO di Aramco dal prospetto informativo risulta che è prevista per il periodo 17 novembre/4 dicembre, poco prima della riunione OPEC del 5/6 dicembre.

QUESTA SETTIMANA

Ieri mattina, la PBOC (Banca centrale cinese) ha tagliato, a sorpresa, uno dei tassi di interesse, il “reverse repurchase rate” a sette giorni che è passato da 2.55% a 2.50%. Si tratta del primo intervento in quattro anni, sul tasso al quale la banca centrale prende a prestito denaro dalle banche commerciali, e conferma la disponibilità dell’autorità monetaria ad agire per stimolare la crescita e fornire liquidità al sistema.

Mercoledì 20 verranno pubblicate le minute della Fed, relative al meeting del 30 ottobre, che dovrebbero confermare l’approccio attendista e “data dependent” della banca centrale.

Giovedì, in UK, il partito laburista pubblicherà il proprio programma elettorale.

Sempre giovedì l’OCSE presenterà il suo outlook per il 2020.

Alla luce dei dati tedeschi leggermente migliori delle aspettative usciti durante la scorsa settimana, ci potrebbero essere miglioramenti anche per i dati preliminari di PMI di Francia, Germania ed Eurozona (in aggregato) la cui pubblicazione è prevista venerdì.

Questa settimana sono in programma vari discorsi di banchieri centrali fra i quali si segnala quello di Christine Lagarde venerdì.

Da monitorare, come sempre, gli sviluppi sul fronte commerciale Cina – Stati Uniti.

Parliamo anche oggi di posizionamento degli investitori e del conseguente impatto sugli asset finanziari: a conferma di quanto detto nelle settimane scorse, dall’ultima Fund Manager Survey di Merrill Lynch di novembre è emerso che, effettivamente, la quota detenuta in cash si è ridotta, a vantaggio dell’azionario, grazie alla percezione del miglioramento dello stato dell’economia e dell’inflazione. Questo spiegherebbe il rally dei mercati dell’ultimo mese: gli investitori rimasti scarichi di azionario per i timori di rallentamento/recessione si sono dovuti ricoprire.

Una considerazione riguardo l’ottima performance azionaria di questo anno contribuisce a spiegare il posizionamento scarico degli investitori: in base ai libri di testo i mercati azionari dovrebbero salire sulle aspettative di miglioramento del ciclo economico, e quindi degli utili, mentre quello che attualmente stiamo vivendo non è certo un contesto di crescita robusta o di utili in straordinaria ascesa. Ecco perché gli investitori erano sottopesati sull’equity e sovrappesati sulla liquidità, perché i normali driver di crescita non erano ritenuti così potenti da generare un rally apprezzabile.

Il punto è che, come scritto spesso in questa sede, siamo in un paradigma del tutto nuovo per i mercati, in cui i tassi estremamente bassi e talvolta negativi creano dei comportamenti ai quali non si è abituati e non si hanno regole da seguire o esperienze passate cui attingere come riferimento.

Ecco che il mercato obbligazionario diventa come una ZTL (paragone sentito di recente e che rende l’idea) dove si paga per entrare (paradossalmente il debitore viene pagato per prendere soldi a prestito) e si inverte lo scopo per cui si comprano certi strumenti finanziari: oggi il rendimento delle azioni (guardando al dividend yield o all’earnings yield) è superiore a quello delle obbligazioni e quindi i bond possono essere comprati per ottenere un apprezzamento in conto capitale (capital gain) mentre l’equity per il flusso monetario che genera! Esattamente l’opposto di quello a cui si è abituati a pensare.

Quest’anno entrambe le asset class, bond ed equity, sono salite ma per motivi diversi rispetto a quelli canonici.
Questo è vero soprattutto in Europa dove i rendimenti obbligazionari sono estremamente bassi, mentre negli Stati Uniti è un po’ più semplice la composizione di portafogli bilanciati dato che un minimo di flusso cedolare esiste.

Analisi dei mercati del 11.11.2019

La settimana appena conclusa ha visto proseguire il buon andamento dei listini azionari con quelli americani che raggiungono nuovi massimi assoluti (sia S&P500 che Dow Jones e Nasdaq) ma con quelli europei (settore bancario sugli scudi, aiutato dalla salita dei tassi reali) che sovraperformano. Per contro, abbiamo assistito ad un forte incremento dei rendimenti governativi (e quindi discesa dei corsi), alla debolezza dei metalli preziosi e al ritorno verso i minimi degli indicatori di volatilità. Il tutto è coerente con un generale clima di risk-on. Ottima la performance di dollaro americano e valute emergenti contro euro.

Sono ancora i negoziati commerciali a suscitare ottimismo tra gli investitori: le intenzioni sembrano essere serie e si spera che, dopo il congelamento dei dazi previsti per ottobre, si affrontino nello stesso modo quelli previsti per dicembre per passare, poi, alla formulazione di un secondo accordo più completo entro la primavera del 2020. Sulla location per la firma le ipotesi sono le più disparate: si va dall’Iowa (lo Stato potenziale beneficiario degli acquisti cinesi di beni agricoli americani) alla Grecia, dall’Alaska alle Hawaii, oppure si potrà approfittare del summit dei BRICS che si terrà a Brasilia il prossimo 13/14 novembre o il vertice NATO di Londra di inizio dicembre.

Fra i principali dati marco-economici usciti in settimana segnaliamo i seguenti:

  • i PMI giapponesi sono entrati in territorio di contrazione per la prima volta negli ultimi tre anni (49.8 vs 52.8 di settembre). Sebbene dalla lettura dei verbali del meeting della BOJ sia emerso che alcuni esponenti del board hanno posto l’attenzione sui rischi derivanti dal mantenimento troppo a lungo dei tassi negativi, rimane comunque la possibilità di un ulteriore allentamento nel breve qualora dovessero persistere i rischi provenienti dall’estero;
  • In Cina sono stati pubblicati i PMI Caixin, relativi ai servizi, in calo a 51.1 (da 51.3 di settembre) mentre il dato aggregato ha mostrato un miglioramento passando da 51.9 a 52 lasciando, quindi, sottintendere una ripresa del comparto manifatturiero.
    Sempre in Cina, a sorpresa, la PBOC (People’s Bank of China) ha tagliato i tassi sui finanziamenti medium-term (1 anno) di 5bps a 3.25%: si tratta del primo taglio dal 2016. Il Renminbi cinese, barometro del livello di tensione fra Cina e Stati Uniti, si è portato temporaneamente sotto la soglia psicologica di 7 (contro USD) che era stata violata ad agosto;
  • i PMI dell’eurozona sono leggermente migliorati sia a livello aggregato (50.6 vs 50.2 di settembre) che nella componente servizi (52.2 vs 51.8 di settembre). La Germania rimane in territorio di contrazione ma, comunque, in miglioramento;
  • i PMI UK sono usciti sopra le attese e in crescita, sia nel dato composite (50 da 49.3) che nella componente servizi(50 da 49.5);
  • negli Stati Uniti, se da un lato il PMI composite è sceso marginalmente (a 50.9 da 50.6) con la componente servizia 50.6, dall’altro l’ISM non manifatturiero ha sorpreso in positivo passando da 53.5 a 54.7.

In generale, se guardiamo l’indice di fiducia PMI manifatturiero globale, calcolato da JPM, abbiamo la conferma di una marginale stabilizzazione (se non addirittura leggera ripresa) dell’attività economica: il dato, infatti, è salito per il terzo mese consecutivo arrivando a 49.8, soprattutto grazie al contributo dei paesi emergenti.

In merito al terzo e ultimo pilastro dell’agognata unione bancaria europea (assicurazione in solido dei depositi creditizi) è arrivata, in settimana, un’apertura da parte della Germania. Il Ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholtz, però, pone una serie di condizioni: oltre ad un ulteriore calo delle sofferenze creditizie delle banche e armonizzazione dei diritti fallimentari nazionali, si chiedono anche accantonamenti delle banche in funzionedell’esposizione ai debiti sovrani che non saranno quindi più considerati privi di rischio.

Questo elemento potrebbe essere fra le cause della sottoperformance dei governativi italiani. Infatti, la reazione del nostro Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, pur apprezzando l’apertura tedesca, non è stata benevola relativamente a quest’ultima condizione soprattutto considerato quanto le banche italiane investono sul debito nazionale.

Un altro elemento alla base della maggiore salita dei rendimenti italiani rispetto agli altri Paesi potrebbe essere la pubblicazione delle stime di crescita per l’Eurozona a cura della Commissione Europea: sebbene non sia prevista recessione per l’area, la crescita fatica a salire e l’Italia si conferma il fanalino di coda. Il commissario francese Moscovici ritiene necessario che il Paese attui delle riforme fondamentali per ristabilire la crescita. La nuova commissione, in carica dal primo di dicembre, potrebbe, per questo motivo, essere più “tollerante” sulla gestione dei conti pubblici italiani e approvare la manovra finanziaria per il 2020 nelle prossime settimane.

Giovedì, per la prima volta dal 2008, i rendimenti dei titoli di stato di Atene sono scesi sotto quelli dei BTP. Nello specifico parliamo del decennale che è arrivato all’1.23% di rendimento contro l’1.25% di quello italiano. Nel 2011, durante la crisi dell’eurozona, il rendimento della Grecia era arrivato sopra il 30% dopodiché la fame di rendimenti, accompagnata dalla formazione di un governo stabile, ha reso di nuovo attraenti per gli investitori i titoli ellenici. Da notare che la Grecia ha ancora un rating al di sotto dell’investment grade e come tale è fuori dal programma di quantitative easing della BCE.

Source: Bloomberg

In settimana ci sono stati due appuntamenti di banche centrali: la RBA (banca centrale australiana) ha, come atteso, mantenuto i tassi invariati a 0.75% e lasciato aperta la porta ad ulteriori misure di stimolo se necessarie; anche la BOE (Bank of England) ha lasciato i tassi invariati a 0.75%, come atteso, sottolineando l’incertezza legata alla Brexit e alle elezioni del prossimo mese. Due membri del board hanno votato per un taglio dei tassi sostenendo chel’inflazione rimane bassa e le incertezze politiche, unite al debole quadro macro globale, frenano gli investimenti e mettono a rischio la crescita interna.

Durante il fine settimana ci sono state le elezioni in Spagna (le seconde nel 2019 e le quarte negli ultimi quattro anni): il partito socialista mantiene la maggioranza relativa (28%) pur con un minore numero di seggi e dovrà cercare di formare una coalizione di Governo con partiti che hanno ottenuto ancora meno voti delle precedenti elezioni: la situazione di instabilità politica sembra ormai cronica. Molto forte il partito di ultra-destra Vox che raddoppia i seggi passando da un consenso di 10.3% a 15.1%.

A livello settoriale, come segnalato, è notevole la forza del comparto bancario europeo che ha sicuramente beneficiato dell’aumento generalizzato dei tassi reali. Positivo anche il contributo dei risultati di Unicredit e di Banca Intesa. Molto fermento anche in Piazzetta Cuccia per la decisione di Mustier (AD di Unicredit) di vendere la partecipazione in Mediobanca e per la notizia circa la quota di partecipazione di Leonardo del Vecchio che potrebbe salire oltre il 10%.

Dopo 73 anni, Unicredit non sarà più azionista di Mediobanca. Ne aveva contribuito alla fondazione nel lontano 1946 insieme alle altre banche di interesse nazionale. La mossa, che rientra nel generale piano di dismissione di partecipazioni non strategiche, rende Unicredit una banca puramente commerciale con una vasta rete internazionale.

QUESTA SETTIMANA

Questa settimana i dati principali da monitorare, al fine di verificare la tenuta del ciclo economico e lo statodell’inflazione, saranno i seguenti:

  • Area Euro: ZEW tedesco (atteso in miglioramento), stima preliminare del dato sul Pil Eurozona per il terzo trimestre (atteso stabile a 1.1%) e dati sull’inflazione al consumo (CPI) per ottobre (attesi stabili a +1.1%);
  • UK: stima Pil 3Q (atteso +1% da +1.3% precedente) e produzione industriale (per settembre atteso -1.4% da – 1.8%);
  • US: inflazione al consumo (CPI) per il mese di ottobre;
  • Cina: produzione industriale e vendite al dettaglio per ottobre. In Italia, il Governo sarà alle prese con la manovra finanziaria al fine di evitare l’aumento dell’IVA legato alla procedura di infrazione e rilanciare la crescita. Mercoledì 13 novembre dovrebbero partire i dazi americani sull’import di auto europee: i mercati scommettono sulla formalizzazione di un posticipo.

In questa sede abbiamo spesso parlato di posizionamento degli investitori: anche Barclays, in una nota di questa settimana, richiama l’argomento sostenendo che, pur restando tante le fonti di incertezza e faticando a trovare dei veri catalyst per una ripresa sostenuta, lo scarso posizionamento sull’azionario da parte degli investitori rispetto ad altre asset class “sovraffollate” rappresenta una motivo per ritenere relativamente più probabile una salita del mercatonell’ultima parte dell’anno. La leggera ripresa economica (invece di una recessione che molti temevano fino a poco fa), confermata dal trend in atto di stabilizzazione degli indici di fiducia PMI, dovrebbe portare ad una rotazione da bond a equity e, all’interno di quest’ultima asset class, da stile “growth-quality” a “value-cyclical”.

Il passaggio da stile “growth” (titoli con forte crescita e favoriti dall’attuale contesto di tassi molto bassi) a stile “value”(titoli con crescita lenta ma costante) potrebbe essere favorito dall’avvicinarsi della fine di una politica monetaria ultra- espansiva e dalla necessità sempre maggiore di stimoli fiscali.

Nell’ultima settimana i mercati hanno cominciato a prezzare, soprattutto lato obbligazionario, una politica fiscale più espansiva. Dovesse proseguire questa tendenza i mercati obbligazionari (soprattutto governativi) sarebbero destinati a sottoperformare e quelli azionari potrebbero continuare a salire ma con una diversa composizione.

Rispetto al passato il processo transitorio potrebbe essere più lento perché le Banche Centrali saranno restie ad intervenire in senso restrittivo in mancanza di chiare evidenze di sostenibilità della crescita e considerata le incertezze che ancora pesano sul sistema economico.

Da un punto di vista geografico interessante notare la forte ripresa degli Economic Surprise Index europei rispetto a quelli americani: i primi sono ancora in territorio negativo (quindi i dati macro tendono ad uscire inferiori alle stime) mentre quelli americani sono, di poco, in territorio positivo ma la tendenza è verso una chiusura del gap. Dovesse proseguire questa tendenza ci sarebbe un minore supporto per il dollaro a vantaggio dell’euro.

Analisi dei mercati del 06.11.2019

Ancora una settimana positiva, soprattutto per i mercati azionari grazie alle buone notizie circa i negoziati fra Cina e Stati Uniti ma anche grazie alla reporting season americana che sorprende le aspettative degli analisti.

Riguardo al primo punto siamo molto vicini alla Fase 1 dell’accordo.

Nonostante i disordini in Cile abbiano portato alla cancellazione del meeting APEC, durante il quale USA e Cina avrebbero dovuto incontrarsi per la firma, e nonostante la Cina metta in dubbio la possibilità di raggiungere un accordo di lungo periodo con Trump, a causa di una certa diffidenza sulla controparte soprattutto riguardo alla cancellazione totale di tutti i dazi, il presidente americano riporta ottimismo dichiarando che verrà trovata un’altra location per la firma (la Cina sembra abbia proposto Macao) e che comunque l’accordo di primo livello smarcherà circa il 60% delle questioni.

Secondo Reuters la Cina avrebbe, tra l’altro, intenzione di togliere il divieto all’importazione di pollami dagli Stati Uniti come primo passo verso un accordo (l’importazione di polli è stata vietata nel 2015 a causa dell’influenza aviaria). Intanto l’agenzia del commercio americana (USTR) valuta se estendere la sospensione dei dazi, in scadenza a fine mese, su 34 miliardi di dollari di beni cinesi. Quindi l’aumento pre-natalizio delle tariffe potrebbe essere nuovamente posticipato al 2020.

Certo i dubbi su una Fase 2 dell’accordo rimangono ma i mercati hanno letto positivamente la notizia.

Per quanto riguarda la reporting season americana, con il 72% delle società (che rappresentano circa l’80% della market cap) che hanno pubblicato il risultato per il terzo trimestre del 2019, la crescita degli utili è, nel complesso, nulla. La buona notizia è che gli analisti si aspettavano una contrazione dei profitti nell’ordine di circa il 5% quindi la “sorpresa” è stata positiva e il mercato l’ha premiata.

In settimana si sono riunite un po’ di banche centrali: Fed, Bank of Japan e Bank of Canada.

La Fed ha, come atteso, tagliato i tassi di 25bps portandoli nel range 1.50%-1.75%. La decisione è stata presa a maggioranza e dal comunicato è scomparsa la frase secondo cui la Fed “agirà in modo appropriato per sostenere l’espansione economica”. Durante la conferenza stampa il presidente Powell ha confermato che l’orientamento di politica economica rimarrà verosimilmente appropriato finché l’economia manterrà una crescita moderata, un mercato del lavoro forte e un’inflazione vicina al target del 2%. Si conferma, quindi, quanto abbiamo scritto nell’ultimo commento, ovvero un’attitudine “data driven” della Fed.

Source: Bloomberg

Gli acquisti dei titoli proseguiranno fino alla metà del 2020 mentre la forward guidance non verrà più utilizzata. Eventuali rialzi dei tassi ci saranno solo quando l’inflazione salirà in modo sostanziale.

Riguardo alle tensioni sull’interbancario, la Fed sta indagando sui motivi che limitano le banche dal rimettere in circolazione la liquidità in eccesso; non è quindi emersa una soluzione strutturale del problema.

La BOJ ha lasciato, come atteso, i tassi invariati (a -0.10%) segnalando che potrebbe tagliarli nel prossimo futuro qualora l’economia dovesse indebolirsi ulteriormente. Il target per il rendimento del decennale nipponico è stato confermato intorno allo zero. Il programma di acquisto titoli è confermato al ritmo di 80.000 miliardi di yen all’anno ma la forward guidance è stata modificata in senso più accomodante indicando che la Banca Centrale è pronta ad un nuovo allentamento monetario se necessario.

Anche la Bank of Canada ha mantenuto i tassi invariati ma confermando la disponibilità a tagliarli nei prossimi mesi qualora l’economia lo richieda.

Per quanto riguarda i dati macro pubblicati in settimana segnaliamo i seguenti:

  • I PMI cinesi sono usciti misti: quelli calcolati dall’agenzia statale (relativi soprattutto alle grandi imprese, principalmente pubbliche) mostrano cali superiori alle attese mentre quelli calcolati da Caixin (agenzia privata la cui survey ha come focus aziende più piccole e non pubbliche) sono in miglioramento e superiori alle stime.
  • Hong Kong entra ufficialmente in recessione tecnica dopo la pubblicazione del dato sul Pil per il terzo trimestre a -2.9% anno/anno (verso attese di -0.3%).
  • Il Pil US per il terzo trimestre (+1.9%) è uscito in calo rispetto al dato precedente (+2%) ma meglio delle aspettative (+1.6%) soprattutto grazie ai consumi (+2.9%) che, seppure in calo, hanno sorpreso in positivo e, rappresentando il 70% dell’economia, sono ancora il principale motore di crescita.
  • I consumi sono sostenuti da un solido mercato del lavoro i cui dati, usciti venerdì 1° novembre, risultano molto positivi: i nuovi occupati crescono più delle aspettative, il tasso di disoccupazione rimane stabile a 3.6% e non c’è pressione salariale.
  • Pil in Eurozona relativi al terzo trimestre: il dato aggregato passa da +1.2% a +1.1% (in linea con le aspettative) ma a livello geografico sorprende positivamente quello italiano (+0.3% da un precedente +0.1% e attese per +0.2%) grazie alla domanda interna.
Source: Bloomberg

Infine, qualche aggiornamento sulla Brexit: il Parlamento britannico ha deliberato che il 12 dicembre si terranno le elezioni. Dopo che la proposta di Boris Johnson è stata bocciata lunedì sera, il premier ha presentato una mozione di revoca della legge del 2011 ottenendo, quindi, di fare passare la proposta con una maggioranza semplice (e non più qualificata).

A questo punto spetta alla Regina sciogliere le Camere 25 giorni prima rispetto al giorno delle elezioni, quindi il Governo resterà in carica fino al 7 novembre. In caso di vittoria alle elezioni Johnson si ripresenterà in Parlamento con un nuovo accordo.

A livello settoriale, in Europa, segnaliamo un po’ di fermento nel settore auto con la notizia di una possibile fusione tra la francese PSA Group e FCA NV che creerebbe un potente rivale di Volkswagen e il quarto gruppo automobilistico mondiale; inoltre, sembra che le negoziazioni con gli americani stiano procedendo bene e il temuto rialzo dei dazi potrebbe essere rimandato. Soffre, invece, il settore bancario dopo la pubblicazione dei risultati di Banco Santander (a causa di pesanti oneri straordinari) e di Deutsche Bank.

QUESTA SETTIMANA

Anche questa settimana avremo la pubblicazione di una serie di dati macro utili per testare lo stato del ciclo economico: in area Euro verranno pubblicati i PMI manifatturieri e relativi ai servizi; negli Stati Uniti l’ISM non manifatturiero e i PMI servizi e composite e in Cina i Caixin services PMI.

Fra le Banche centrali, si riunirà la Reserve Bank of Australia (attesi tassi invariati a 0.75%) e giovedì 7 novembre sarà la volta della Bank of England (attesi tassi invariati a 0.75%), rilevante alla luce dei recenti sviluppi sulla Brexit: uno studio inglese, infatti, quantifica in circa 70 miliardi all’anno, la perdita per l’economia britannica in caso di uscita dall’Unione Europea (circa 3.5% del Pil) su un orizzonte di dieci anni.

L’OPEC, riunito a Vienna, pubblicherà il World Oil Outlook.

Questa settimana riporteranno i dati trimestrali parecchie società italiane tra le quali segnaliamo le banche (Intesa Sanpaolo, Banco BPM, Banca Monte dei Paschi di Siena, Unicredit e UBI tra le principali), Poste Italiane, Assicurazioni Generali e Ferrari.

POSIZIONAMENTO LINEE DI GESTIONE

Come abbiamo spesso commentato il posizionamento degli investitori talvolta è sproporzionato rispetto al reale stato dell’economia. La conseguenza di un posizionamento troppo sbilanciato sono i flussi che si generano quando tutti gli investitori decidono di ricalibrare l’asset allocation. Un esempio di riposizionamento lo stiamo vedendo in queste settimane anche se da alcune survey sembra che la negatività dei portafogli sia ancora elevata.

Cosa ha determinato il riposizionamento? Sicuramente la percezione di un miglioramento nelle trattative USA-Cina, in quella, cioè, che rappresenta la principale incognita per gli investitori e per l’economia, poi la constatazione che, per ora, gli utili aziendali tengono e, infine, per quanto riguarda soprattutto gli Stati Uniti, una conferma del buono stato dell’economia e la notizia di un possibile sgravio fiscale per le famiglie americane a partire dal 2020.

Abbiamo, quindi, almeno per gli Stati Uniti, una banca centrale accomodante (anche se “data dependent”), una politica fiscale probabilmente ancora espansiva e un’economia che tiene discretamente bene. Non deve, quindi, sorprendere che il mercato azionario abbia raggiunto nuovi massimi.

In Europa gli ingredienti sono un po’ diversi: la politica monetaria è sì molto accomodante ma con le armi un po’ spuntate e l’economia non è sicuramente in buono stato. Nonostante ciò la performance, pur non ai massimi assoluti, da inizio anno è di poco inferiore a quella americana. Sicuramente la mancanza di alternativa, lato obbligazionario, ha svolto un discreto ruolo. Ulteriore upside potrebbe derivare dall’elemento mancante rispetto agli stati Uniti, ovvero la politica fiscale espansiva. A tal proposito, in settimana, anche la presidente entrante della BCE ha dichiarato che i paesi della zona euro con un avanzo di bilancio (vedi Germania) dovrebbero fare di più per spingere la crescita, dimostrando di essere perfettamente allineata al suo predecessore.