Il discorso di Mario Draghi, durante il simposio delle banche centrali di Sintra, è piaciuto molto ai mercati per la sua stance ultra-espansiva. Ha infatti dichiarato che, se l’inflazione non si avvicinerà al target, la BCE sarà pronta a introdurre ulteriori misure di stimolo. Sono stati postulati sia un’ulteriore taglio dei tassi d’interesse sia la ripresa del programma di acquisti denominato Quantitative Easing.
Le parole di Draghi hanno suscitato la violenta reazione “social” di Trump, che considera gli stimoli forniti dalla BCE poco corretti da un punto di vista competitivo. Ricordiamo che una politica monetaria espansiva, abbassando i tassi, provoca un deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro.
L’impatto sui titoli sovrani dell’area euro è stato molto importante per due motivi: in primo luogo, il discorso ha ricordato il famoso “whatever it takes” del 2012, quando Draghi impegnò la BCE a difendere la moneta unica a tutti i costi. In secondo luogo, la “forward guidance” che Draghi ha espletato, ovvero la strategia comunicativa sulla politica monetaria nel medio-lungo termine della BCE, sembra aver imposto una linea molto forte. Nei prossimi meeting di luglio o settembre, infatti, si ci aspetta un taglio dei tassi e il suo successore non potrà permettersi una brusca inversione di marcia.
Draghi ha nuovamente invitato i paesi con “spazio fiscale”, ovvero con ampi avanzi primari delle partite correnti e posizioni nette della bilancia dei pagamenti attive sull’estero, ad adottare politiche meno restrittive e più orientate agli investimenti pubblici. Il Paese candidato principale è ovviamente alla Germania. L’Italia, invece, è chiamata rispettare le regole fiscali europee.
La Federal Reserve ha deciso di lasciare i tassi invariati ma ha indicato espressamente, che se lo scenario economico e le incertezze relative alla potenziale guerra commerciale non dovessero migliorare, è pronta a tagliarli nei prossimi mesi. Powell ha ammesso, quindi, che potrebbe essere necessaria una politica monetaria più accomodante.
Il prossimo meeting della Fed è previsto per il 30 o 31 luglio e il mercato prezza attualmente come certo un taglio dei tassi di almeno 25 bps.
L’effetto sui rendimenti governativi è stato molto forte, portando il decennale americano ai livelli toccati nel 2016, ovvero sotto il 2%.
In settimana si è riunita anche la Bank Of Japan che, come atteso, ha lasciato la politica monetaria invariata ma ha segnalato che a fronte dei maggiori rischi è aumentata anche la propensione per una politica monetaria maggiormente espansiva. Il JGB, titolo governativo decennale giapponese, che era rimasto per due anni intorno allo 0% si portato ulteriormente in negativo arrivando a -0.18% .
Oltre all’ovvio effetto sui rendimenti governativi, con quelli dei governativi francesi e svedesi a 10 anni che sono passati in negativo per la prima volta, l’impatto lo si è visto anche sulle aspettative di inflazione. L’indice 5-year/5-year inflation swap rate, ovvero un prodotto derivato che serve a coprirsi dal rischio d’inflazione, è rimbalzato sia in Euro che in USD.
Sul tema inflazione, si è espresso anche Mohamed El-Erian, Chief Economic Adviser di Allianz, dichiarando, in un’intervista al Corriere della Sera, che “l’inflazione tornerà, prima del previsto”.
In merito alla procedura di infrazione a carico dell’Italia, il premier Conte ha assicurato che intende rispettare le regole europee. Ha anche ammesso che bisogna riflettere su come adeguarle affinché l’Unione sia attrezzata ad affrontare crisi finanziarie sistemiche e globali. L’obiettivo di rapporto deficit/pil inviato alla UE da parte del governo italiano si attesta al 2.1% quindi in linea con quanto richiesto.
Sul fronte negoziati commerciali è arrivata un’apertura da parte di Trump e Xi, che hanno ufficializzato il loro incontro al G20 di fine mese.
Diverse aziende americane, tra cui Apple, stanno facendo pressione su Trump affinché eviti ulteriori dazi su merci di importazione cinese.
La geopolitica ha cominciato a farsi sentire di nuovo, per ora a livello di news e non di impatto sui mercati: un drone di sorveglianza americano è stato abbattuto e, in risposta, Trump ha approvato attacchi militari contro una serie di obiettivi iraniani per poi bloccarli dieci minuti prima. Il riflesso di ciò sui mercati è stato un leggero aumento del prezzo del petrolio, sia sul brent che sul greggio.
In settimana sono uscite molte notizie negative sui fondi di H2O, casa di investimento partecipata dalla banca d’affari francese Natixis, collocati da diverse reti italiane e che hanno conseguito performance decisamente outstanding negli ultimi anni. Il Financial Times ha sollevato una serie di questioni circa il rispetto del limite del 10% della detenzione di titoli illiquidi e su titoli obbligazionari che risultano emessi da società collegate al controverso finanziere tedesco Lars Windhorst e alla sua holding Tennor. I riscatti sui fondi sono stati subito massicci.
La settimana ha complessivamente visto il proseguimento del trend in atto da inizio giugno: il rialzo dei listini azionari e degli obbligazionari a spread è stato accompagnato da un generalizzato ribasso dei rendimenti dei governativi.
La discesa del dollaro ha permesso alle commodities di salire: il petrolio ha guadagnato circa 5 dollari (anche per effetto delle tensioni geopolitiche) e l’oro sì è riportato con forza sopra il livello di 1400 dollari/oncia.
QUESTA SETTIMANA
L’evento focus della settimana sarà il G-20 di Osaka: ormai nessuno si attende un accordo in quella sede trattandosi, come ribadito più volte, di una disputa legata ad un tema più strategico relativo all’egemonia economica e tecnologica. Tuttavia una semplice conferma che le negoziazioni proseguono e che i toni della disputa sono meno accesi sarà importante per i mercati.
L’imposizione di ulteriori tariffe avrebbe conseguenze negative soprattutto per i consumatori perché le aziende, alla luce della catena del valore nella produzione dei beni, si vedrebbero costrette a trasferirle immediatamente sui prezzi.
Negli Stati Uniti saranno importanti i dati sull’inflazione: venerdì avremo la pubblicazione del Price Consumer Expenditures, l’indicatore più seguito dalla Fed.